lunedì 14 novembre 2016

ARCIPRETI E SACERDOTI NELLA SECONDA META’ DEL CINQUECENTO

 

Don Aloysio (Lisi) Provenzano

 
Questo sacerdote traspare dai registri di battesimo e di matrimonio della Matrice. Il suo ministero sembra discontinuo. Nel biennio 1575-1576 dovette avere funzioni di cappellano ed il suo nome si alterna con quello di don Vincenzo d’Averna negli atti di battesimo. Ancora nel 1581 è uno degli officianti della Matrice ed il 19 settembre 1581 battezza Paolino d’Asaro, fratello del pittore e futuro sacerdote racalmutese.
In tale veste compare sino al 1584, dopo subentrano altri cappellani come don Paolino Paladino e don Francesco Nicastro. Don Lisi Provenzano riappare successivamente nei documenti della Matrice, ma come teste nella celebrazione di matrimoni (ad es. il 28 settembre 1586) o come semplice padrino in battesimi (come quello di Francesco Castellana del 3.10.1587 ).
La sua presenza a Racalmuto è attestata sino al 1593 come da un atto di matrimonio, da cui però risulta che il Provenzano non è più cappellano della Matrice.
La figura di d. Lisi Provinzano emerge invero da un documento dell’Archivio Vescovile di Agrigento che risale al 31 ottobre 1556. Se ne ricavano alcuni tratti biografici. Ma soprattutto è la vita paesana a metà del XVI secolo che traspare. Val quindi la pena di riportarne alcuni brani.
Siamo stati supplicati da parte del Rev. presti Aloysio Crapanzano del tenor seguente: .. da parte del rev. presti Aloisio Provenzano della terra di Racalmuto, subdito della giurisdizione di V.S.  ... In tempi passati venendo a morte lo condam ... di Salvo della ditta terra, fece il suo testamento agli atti dell’egregio condam notaro Vito Jandardoni et per quello inter alia capitula legao all’esponente pro Deo et eius anima et in satisfatione de suoi peccati tarì dudici anno quolibet sopra tutti li soi beni hereditari durante la vita di esso esponente per una missa da dovirisi diri in die lunae cuiusvis hebdomadis .. in ecclesia Sancti Francisci dictae terrae per ipse esponente. Et mancando, che tali  tarì dudici li havissero li frati di ditto convento durante la vita di esso esponente, si como per ditto legato appare in ditto testamento fatto ni li atti de ditto notaro Vito 21 novembre iiij ind. 1545. Et perché lo esponente si trovao absenti da ditta terra alla morte del ditto testatore, che havea stato in Palermo et ad altri parti per soi negotij et non habbi mai notitia di tale legato et li frati di ditto convento quello si exigero con diri che ipsi voleano dire tali missa.
Appena saputa la faccenda del legato, il sacerdote si dichiara disponibile alla celebrazione della messa per l’anima del di Salvo. Ma i frati sono riluttanti e non consentono al Provenzano di celebrare quella messa nella chiesa del loro convento. Quindi il sacerdote si trova nell’impossibilità di adempiere all’obbligo nelle modalità volute dal testatore. Egli non può celebrare
ditta missa per la repugnantia di ditti frati in la loro ecclesia; pertanto supplica V.S. sia servita provvedere et comandare che ipso exponente possa satisfare la volontà di ditto defunto in diri la missa ogni lune cuiusvis hebdomadis in alcuna altra ecclesia in ditta terra di Racalmuto ben vista a V.S. Rev.da et comandare alli heredi di ditto defunto che di ditti tarì dudici anno quolibet  staiono de rispondere et quelli dari allo esponente con la conditione ordinata e fatta per lo defunto che quando mancasse per sua colpa e defetto recada al ditto convento di santo Francesco. Et ita petit et supplicat. ..
Il vicario generale dell’epoca don Rainaldo dei Rainallis dà quindi disposizioni al vicario del luogo perché faccia un’inchiesta e ragguagli il vescovado.
Quel che emerge con chiarezza è dunque la vita piuttosto girovaga di questo nostro prete del Cinquecento che per affari si reca a Palermo ed in altre località ed è tanto affaccendato da non sapere neppure di un legato in suo favore. Non meraviglia certo che il di Salvo s’induca a lasciare a favore di questo sacerdote, durante vita, un legato di dodici tarì per una messa la settimana, il giorno di Lunedì, da celebrarsi nella chiesa di S. Francesco. Le disposizioni testamentarie pro Deo et anima in remissione dei propri peccati investivano i vari strati della popolazione. Non sorprende che i frati siano riluttanti a concedere il permesso di celebrare nella loro chiesa a sacerdoti secolari. Se messe di suffragio sono da dire, possono benissimo essere loro ad adempiere ogni volontà testamentaria al riguardo. Ovviamente percependone le elemosine. A chi abbia dato ragione il Vicario Generale, se ai frati o a d. Lisi Provenzano non sappiamo, ma propendiamo a credere che sia stato quest’ultimo a venire favorito. Non per nulla, qualche anno dopo il sacerdote si stabilisce a Racalmuto e qui svolge funzioni da cappellano.
Il documento è comunque importante perché ci fornisce qualche dato sul convento e sulla chiesa di S. Francesco. L’uno e l’altra erano dunque operanti da prima del 1545. Stanziano a Racalmuto padri francescani che dispongono della chiesa ed erano sottratti alla giurisdizione del vescovo agrigentino. Nella visita pastorale del 1540-43, il vescovo Tagliavia omette ogni riferimento ai francescani. Eppure abbiamo motivo di ritenere  che essi fossero già insediati. Nel 1548 il convento possedeva una bottega in piazza e ciò risulta dalla bolla di riconoscimento della confraternita di S. Maria di Juso  datata 21 maggio 1548 ( A.C.V.A. - Registro Vescovi 1547-48, p. 142).
Con i padri dell’Ordine dei Minori Conventuali di S. Francesco, ebbe dunque a confliggere don Lisi Provenzano attorno al 1556 per un legato del 1545. Il convento francescano precede quindi di almeno 15 anni il 1560, data ritenuta di fondazione dal Tossiniano. Al 1560 risale, invero, il testamento di Giovanni del Carretto che accenna alla chiesa di S. Francesco ed al convento ma in questi termini:
Del pari lo stesso spettabile Testatore volle e diede mandato al predetto d. Girolamo del Carretto, suo figlio primogenito ed erede particolare, di far celebrare delle messe nel convento di S. Francesco di detta terra. Inoltre dispone che sia costruita una cappella in un luogo da scegliersi in detta chiesa dal suddetto erede particolare ed a tal fine saranno da spendere 100 onze entro due anni dalla morte del testatore. La Cappella è da fabbricarsi per l’anima del predetto testatore e dei suoi predecessori.
Inoltre decide di venire sepolto nella chiesa di S. Francesco con l’abito francescano:
Item elegit eius corpus sepelliri in Ecclesia Sancti Francisci dictae Terrae indutus ordinis ditti Sancti Francisci et ita voluit, et mandavit.
Anche da qui emerge che S. Francesco esisteva da tempo.
Il Sac. Lisi Provenzano visse, dunque, gli anni del suo sacerdozio tra Palermo, altri luoghi e Racalmuto. Ordinato già nel 1545, all’epoca cioè del testamento del di Salvo, nacque a Racalmuto qualche tempo prima del 1520. Morì attorno al 1597.
Nel 1584 fa una donazione alla chiesa di S. Maria Inferiore (di Gesù) di tt. 6 annui, cedendo un censo annuo su una casa una volta appartenuta a Violante Petruzzella:
Actus donationis o. - 6.
Pro ven: Eccl. Sanctae Marie inferioris - cum p.ro Aloisio Provenzano.
Die xxiiij° septembris xiij^ ind. 1584
Reverendus presbiter Aloisius Provenzano de Racalmuto coram nobis mihi notario cognitus pro anima sua titulo donationis et omni alio meliori modo sponte cessit et cedit ven: Eccl. Sanctae  Mariae Inferioris dictae terrae per eum Mattheo La Paxuta rettore mihi cognito omnia jura quae et quas habuit et habet in et super tt. 6 census quolibet anno solvendi contra magistrum Joseph Cachiatore super domo olim Violantis Petrocella virtute contractus  facti in actis meis die etc.
Testes m.j Joseph Lomia et Jacobus de Poma.
 
 
 

Arciprete Gerlando D’Averna

 
Con bolla pontificia del 13 novembre 1561 ( Archivio Segreto Vaticano - Registri Vaticano - Bolla n.° 1911 -  f. 211 e ss.), Pio IV nomina arciprete di Racalmuto don Gerlando D’Averna (chiamato nel documento Giurlando de Averna). La bolla viene indirizzata al diletto figlio, arciprete e rettore della chiesa di S. Antonio di Racalmuto, diocesi di Agrigento.
Pius episcopus servus servorum Dei. Dilecto filio Giurlando de Averna rectori archipresbitero nuncupato parrochialis ecclesiae archipresbiteratus nuncupatae Sancti Antonij terrae Rachalmuti Agrigentinae diocesis, salutem et apostolicam benedictionem.
E’ del tutto rituale l’apprezzamento che giustifica la concessione papale del lontano beneficio dell’arcipretura racalmutese, ma è pur sempre un riconoscimento di meriti:
Vitae ac morum honestas aliaque laudabilia probitatis et virtutum merita, super quibus apud nos fide digno commendaris testimonio, nos inducunt ut tibi reddamur ad gratiam liberalem.
Ci appare oggi strano come una prebenda così striminzita fosse di concessione pontificia. All’epoca era invece una consuetudine ed il papa mostra di esserne un custode geloso et attento. Ne fa accenno nel corpo della stessa bolla, dichiarando illegittima ogni usurpazione da parte di qualsiasi autorità:
Dudum siquidem omnia beneficia ecclesiastica cum cura et sine cura apud Sedem apostolicam tunc vacantia et in antea vacatura collationi et dispositioni nostrae reservavimus, decernentes ex tunc irritum et inane si secus super hijs a quacumque quavis auctoritate scienter vel ingnoranter contingeret attemptari.
In un siffatto quadro giuridico si colloca, dunque, il beneficio di Racalmuto, un beneficio che, comunque, tal Sallustio - già rettore ed arciprete di Racalmuto - non ha reputato utile mantenere e l’ha restituito nelle mani del Papa.
 Et de inde parrochiali ecclesia archipresbiteratus nuncupata Sancti Antonij terrae Rachalmuti Agrigentinae diocesis per liberam resignationem dilecti filij Salustij humilissimi nuper ipsius ecclesiae rectoris archipresbiteri nuncupati, de illa quam tunc obtinebat in manibus nostris sponte factam  et per nos admissam apud Sedem predictam vacantem.
L’arcipretura di Racalmuto, cui rinuncia anche il chierico Cesare, viene alla fine assegnata al D’Averna per i suoi meriti:.
Noi, quindi vogliamo concederti una speciale grazia per i tuoi premessi meriti, e assolvendoti da ogni eventuale censura, disponiamo che tu ottenga tutti i singoli  benefici ecclesiastici con cura e senza cura (d’anime) e tutto quanto ti compete in qualsiasi modo, comunque e per qualsiasi quantità; ed in particolare gli annessi frutti, redditi e proventi che costituiscono una pensione annua di 24 scudi d’oro italiani secondo la ricognizione fatta dalla Santa Sede quando ebbe ad accordarla al predetto Sallustio, pensione che in ogni caso non supera i sessanta ducati d’oro  come tu stesso affermi.
 E vogliamo ciò  anche se sussiste una qualche riforma insita nel corpo delle leggi visto che la predetta chiesa è riservata alla disponibilità apostolica in forma speciale e generale.
Pertanto ti conferiamo il beneficio con l’autorità apostolica che ci compete, giudicando irrituale ed inefficace ogni altra contraria decisione di qualsiasi autorità che abbia ritenuto di poterne disporre, scientemente o per ignoranza. E ciò vale anche verso chi tenterà in futuro di arrogarsi poteri dispositivi.
 
Intorno a quanto precede, diamo mandato per iscritto ai venerabili fratelli nostri, i vescovi Amerin/ e Muran/ nonché al diletto Vicario del venerabile fratello nostro, il vescovo di Agrigento, affinché loro due o uno di loro, direttamente o per il tramite di qualcuno introducano Te o un tuo procuratore nel materiale possesso della chiesa parrocchiale e degli annessi diritti e pertinenze e lo facciano per la nostra autorità. Non manchino, altresì, di difenderti, dopo avere rimosso qualsiasi altro detentore, facendoti dare integro il resoconto della chiesa parrocchiale e degli annessi frutti, redditi, proventi e doti. A ciò non osti qualsiasi contraria costituzione di papa Bonifacio Ottavo, di pia memoria, nostro predecessore, né ogni altra decisione apostolica. Del pari, nessuno può richiedere per sé o per il proprio legato un qualche diritto di omaggio o un qualunque beneficio ecclesiastico in base a lettere o in forma speciale o generale, anche nel caso in cui vi sia stato un processo e sia stato emesso decreto riformatore.
 
Vogliamo che tu comunque entri in possesso di detta chiesa parrocchiale, senza pregiudizio alcuno degli annessi benefici. Se qualcuno dovesse tentare presso il venerabile fratello nostro, il vescovo di Agrigento o presso chiunque altro che sia stato dalla Sede apostolica dotato in comunione o frazionatamente nei beni della chiesa, non gli si accordi costrizione o interdetto o sospensione o scomunica. Resta ribadito che quanto ad omaggi, benefici ecclesiastici, relativa collazione, provvisione, presentazione e qualsivoglia altra disposizione, sia congiuntamente che separatamente, non può provvedersi per lettera apostolica che non faccia piena ed espressa menzione, parola per parola, alla presente, la quale ha forza di annullare qualsiasi altra indulgenza, generale e speciale, di qualsiasi tenore della Sede apostolica.
 
 
La complessità della bolla invero illumina poco sulle peculiarità parrocchiali della Matrice del tempo. V’è un rigonfiamento di formule curiali, del tutto sproporzionato alla esiguità dell’affare.
L’arc. D’Averna non pare essere racalmutese. Sembra venire da Agrigento. E’ un po' nepotista. Con lui si sistema a Racalmuto il sac. d. Vincenzo d’Averna che è anche cappellano. Appare un vicario a nome don Giuseppe d’Averna. Fa capolino un chierico: Orlando d’Averna.
Come arciprete, lo riscontriamo con una certa assiduità negli atti di battesimo dal 12.11.1570 sino al 5.7.1571; poi appare sporadicamente. Non abbiamo, però, serie complete di atti di battesimo: il primo quinterno è incerto se si riferisce al 1554 o al 1564. Si salta, poi al 1570-71-72 e quindi al 1575-1576. Quindi il vuoto sino al 1584.
L’arc. Gerlando d’Averna figura ancora il 24 di maggio 1576 in questo atto di battesimo - ed è l’ultima testimonianza di cui disponiamo:
24 5 1576 Joannella figlia di Barbarino Vella (di)e diPalma;
madrina:                       Juannella di Rotulu;officiante: Don Gerlando di Averna.
 
Va, quindi, fugato il  sospetto che, ricevuto il beneficio dal papa, egli abbia soltanto percepito i proventi della sua arcipretura e per il resto se ne sia stato lontano. La sua arcipretura sembra durare oltre 18 anni: è, infatti, nel 1579 che subentra l’arc. Michele Romano.

Don Vincenzo D’Averna

 
Ci sembra un parente dell’arciprete d. Gerlando D’Averna, ma non abbiamo prova alcuna ove si eccettui una qualche singolare coincidenza. Sicuramente non era racalmutese. E’ cappellano della matrice a partire dal luglio del 1571. I salti della documentazione parrocchiale ci impediscono di sapere sino a quando operò assiduamente. Comunque, stando agli atti di battesimo disponibili, nel successivo periodo che decorre dal 6.11.1575 sino al 21.5.1576 è il sacerdote officiante in n.° 76 funzioni battesimali. Dopo quella data non lo s’incontra più, ma vanno tenute presenti le interruzioni che si riscontrano per quel periodo nell’archivio della matrice. Don Vincenzo D’Averna non appare nel “liber” della parrocchia: ovviamente già nel 1636 si era perso il ricordo di quel cappellano.

Don Giuseppe D’Averna

 Appare per la prima volta in un atto notarile della confraternita di S. Maria Inferiore del 31 agosto 1578:
Terrae Racalmuti Die xxxi° augusti vj ind. 1578. - Notum facimus et testamur quod Reverendus pater Joseph d’Averna cappellanus, Antoninus de Acquista; Jo Grillo et Vincentius Macalusio rectores venerabilis  ecclesiae Sanctae Mariae Inferioris ...
Nel 1580 fa da padrino di battesimo a Vincenza Stincuni:
14 2 1580 Vincentia             di Gerlando Stincuni e Angela; lo q. don Joseph di Averna  la q. Betta la Carretta'.                                        
 
E’ poi assiduo come cappellano sino alla data della sua morte che il ‘Liber’ segna sotto la data del 26 ottobre del 1600 (Liber in quo adnotata .. cit. col. 1. n.°  13). Una malcerta annotazione sembra indicarlo come Vicario Foraneo, ma è indizio troppo dubbio per essere certi che abbia ricoperto tale importante carica. Comunque è presente nei battesimi dei figli degli ottimati locali come quello di
3          7 1598 Margarita donna di Geronimo don Russo e di donna Elisabetta del Carretto, per don Gioseppe d'Averna; patrini Vinc. Piamontese et soro Gioanna Piamontese                                                            
 
Elisabetta del Carretto era figlia di Giovanni del Carretto, conte di Racalmuto e di donna Caterina de Silvestro. Ella fu legittimata il 12 novembre del 1587.
Giovanni del Carretto, fa sposare la figlia, attorno al 1590, con il nobile Girolamo Russo. Costui figura come governatore del castello di Racalmuto nell’ultimo scorcio del secolo. Un’eco affiora in certo carteggio scambiato tra il vescovo di Agrigento Horozco Covarruvias e la Santa Sede, come si è visto nello stralcio di un documento vaticano sopra richiamato.

Clerico Blasi Averna

 
Tra il 1579 ed il 1581fa capolino negli atti parrocchiali tal Clerico Blasi Averna. Di lui non fa menzione il “Liber”: era dunque sparito persino dal ricordo nel 1636. Nel rivelo del 1593 figura tal Blasi Averna, ma è un ragazzo di 22 anni che vive con la madre Vincenza nel quartiere di S. Giuliano: non ha dunque nulla a che vedere con il chierico in questione. Costui sposerà nel gennaio del 1601 Agata Mastrosimone, come da seguente trascrizione della Matrice:
7 1 1601 Averna Blasi di Antonino q.am e di Vicenza q.am con Mastro Simuni Gatuzza di Nicolao q.am e di Francesca; testi: Muntiliuni cl. Jac. e Gulpi Antonino: Benedice il sac.Macaluso Jo:

Don Monserrato d’Agrò.

 
Compare come cappellano della Matrice attorno al 1579, agli esordi dell’arcipretura Romano, e la sua missione sacerdotale, in subordine all’arciprete, dura sino al 1594. Sotto la data del 30 aprile 1595 lo incontriamo negli atti della chiesa di S. Maria di Gesù, di cui è divenuto cappellano. Nel coevo atto di assegnazione di un’onza di reddito da parte dei fratelli Vincenzo e Giacomo d’Agrò per avere in cambio la concessione di sepoltura nella medesima chiesa, don Monserrato d’Agrò fornisce il suo benestare nella cennata veste di cappellano:
Praesente ad haec omnia et singula praesbyter Monserrato de Agrò, mihi etiam notario cognito et stipulante pro dicta ecclesia uti eius cappellano et se contentante de praesente attu et omnibus in eo contractis et declaratis et non aliter.
 Ma negli ultimi giorni di agosto dell’anno successivo è già infermo e si accinge a fare testamento. Il suo attaccamento alla chiesa di S. Maria di Gesù è tale da presceglierla quale luogo della sua tumulazione. A tal fine assegna una rendita annua di un’onza e 3 tarì.
In un atto della chiesa del 12 settembre 1596 viene formalizzato il contratto di concessione in termini che sono uno spaccato del vivere civile e religioso dei racalmutesi dell’epoca.
Sappiamo dal rivelo del 1593 che a quel tempo il sacerdote aveva 45 anni. Era nato dunque attorno al 1548. Muore giovane, all’età di 48 anni. Abitava, apparentemente da solo, nel quartiere della Fontana come da questa nota del rivelo del 1593:
3 149 AGRO' (DI) PRESTI MONSERRATO [Sac:] CAPO DI CASA DI ANNI 45
 
La cappella desiderata da don Monserrato sorse nella chiesa di S. Maria vicino a quella di S. Maria dell’Itria e di fronte all’altra ove era raffigurata l’immagine di S. Francesco di Paola (intus dictam ecclesiam Sanctae Mariae Majoris prope  Cappellam Sanctae Mariae Itriae in frontispicio cappellae Imaginis Sancti Francisci de Paula...). Risulta che questa fu dedicata a S. Michele Arcangelo ( nell’atto del 1604 si parla, infatti della dote Cappellae Sancti Michaelis Arcangeli condam presbiteri Monserrati de Agrò).
Per quel che ci dice il Rollo della confraternita di S. Maria di Gesù, don Monserrato aveva almeno quattro nipoti di cui si ricorda nel testamento:
Est sciendum quod inter alia capitula donationis causa mortis facta per condam don Monserrato de Agrò Paulino, Natali, Joseph et Joannelle de Agrò eius nepotibus est infrascriptum capitulum tenoris  ....
Il nipote Paolino d’Agrò risulta figlio di quel Simone d’Agrò che approvò la transazione feudale con il conte Girolamo del Carretto nel 1581 (è il 229° dei presenti nella chiesa maggiore di Racalmuto che diedero l’assenso il giorno 15 gennaio 1581). Don Monserrato si limiterà ad apporre la sua firma come teste.
 

I primi cappellani:

don Vincenzo Colichia;

don Antonino La Matina;

don Dionisi Lombardo;

don Antonio Castagna.

 

 
Il più antico quinterno di atti battesimali della Matrice è composto di n.° 26 colonne. In alcune parti è indicata la data del 1554 (ad esempio 24 di augusto 1554 o die Xbris 1554) in altre 1563  (adi 9 januarii 1563) ed in altre ancora 1564 (junii VII ind. 1564). Non è facile districarvisi. A noi comunque sembra che le date sia apocrife, aggiunte successivamente. In effetti il fascicolo dovrebbe essere datato 1563-64, settima indizione anticipata.
Vi vengono segnati i sacerdoti che celebrano il battesimo. Sono costoro i cappellani della Matrice (operante nella chiesa di S. Antonio). Non riscontriamo mai la presenza dell’arciprete (né don Gerlando d’Averna, né quello che si considera il suo predecessore,  don Tommaso Sciarrabba (“Arciprete e canonico della cattedrale di Girgenti anno 1553”, annota il Liber citato, c. 1 n.° 2).
I cappellani officianti risultano:
 don Vincenzo Colichia;
 don Antonino La Matina;
 don Dionisi Lombardo;
 don Antonio Castagna.
 
 
Il primo atto di battesimo della Matrice di Racalmuto
Anno 1554 Viene Battezzato il figlio di Gilormo La Licata Inferno
Il sacerdote celebrante è il rev. Presti Vincenzo Colicchia
 
La maggior frequenza si registra per don Vincenzo Colichia e per don Dionisi Lombardo. Entrambi vengono segnati con il titolo di “presti” (prete).  Di nessuno di loro si fa il più vago cenno nel “Liber”. Nella successiva documentazione del 1570/71, riappare soltanto il cappellano don Antonino La Matina.
 

I cappellani del periodo successivo (1570/1571):

Don Vincenzo d’Averna;

Don Jo Cacciatore;

Don Antonino D’Auria;

Don Giuseppe Garambula;

Don Antonino La Matina;

Don Filippo Macina.

 
E’ il periodo centrale dell’arcipretura di don Gerlando D’Averna che spesso presiede alla funzione battesimale. Su don Vincenzo d’Averna ci siamo già abbondantemente soffermati. Abbiamo pure accennato a don Antonino La Matina, presente negli atti del periodo precedente del 1564 (o giù di lì). Sul D’Auria, Cacciatore e Garambula non disponiamo di altri dati. Fra tutti questi cappellani, il solo ricordato dal Liber è don Filippo Macina (c. 1 n.° 8).  Stando ai cognomi, il D’Auria, il La Matina e Jo Cacciatore possono essere stati benissimo indigeni. Il Macina ed il Garambula appaiono oriundi.
 

I cappellani del periodo 1575/76

Don Vincenzo d’Averna;

don Lisi Provenzano.

 
I salti della documentazione disponibile ci portano a questa quarta indizione anticipata (1575/76). I battesimi vengono ora suddivisi solo tra il d’Averna ed il Provenzano. Su entrambi ci siamo dilungati in precedenza. Arciprete di Racalmuto è ancora don Gerlando d’Averna

I cappellani del periodo 1579/1582:

Don Michele Abate;

Don Monserrato d’Agrò;

Don Lisi Provenzano;

Don Giuseppe d’Averna.

 
Nei fascicoli dei battesimi del 1579 appare segnato come arciprete Don Michele Romano, dottore in sacra teologia (S.T.D.). Nel Liber vengono citati Abbate (n.° 24), Monserrato d’Agrò (n.° 7) , Giuseppe d’Averna (n.° 13) e naturalmente l’arc. Romano ( n.° 4). Il Provenzano è segnato come diacono (n.° 18) non si sa se per errore o perché c’era veramente un diacono Luigi Provenzano morto il 20 luglio 1600.

I cappellani del periodo 1583/84:

Don Monserrato d’Agrò;

Don Francesco Nicastro;

Don Paolino Paladino;

Don Lisi Provenzano.

 
Arciprete del tempo è don Michele Romano che appare in qualche battesimo. Rispetto al precedente periodo appaiono per la prima volta don Francesco Nicastro e don Paolino Paladino: entrambi sono annotati nel Liber, ma senza alcun altro dato all’infuori del nome e cognome.

Don Giuseppe Romano

 
Annotato nel Liber (c. 1 n.° 17) si riscontra solamente in questa nota a margine del libro parrocchiale delle trascrizioni dei matrimoni 1582-1600:
Die 24 ottobris Xa ind.s 1597, mi detti lu cunto don Leonardo Spalletta delli sponczalicii a mia don Joseppi Romano come procuraturi di mons.r ill.mo.
L’arc. don Michele Romano era morto solo da poco tempo (28 luglio 1597). Che vi sia un qualche vincolo di parentela, è congetturabile.

Arciprete Michele Romano

 
Ha tutta l’aria di essere il primo arciprete d’origine racalmutese. Insediatosi attorno al 1579, succede a don Gerlando d’Averna. Muore il  28 luglio 1597, prossimo al suo ventennio di arcipretura. Ebbe forse ad acquisire un discreto patrimonio, fatto sta che il vescovo Horozco intenta una lite al conte del Carretto per rivendicare i beni successori del defunto arciprete Romano. Il Vescovo ne fa cenno in una sua difesa inviata al Vaticano, ove fra l’altro si legge:
« [.....]Il detto Conte di Raxhalmuto per respetto che s’ha voluto occupare la spoglia[1] del arciprete morto di detta sua terra facendoci far certi testamenti et atti fittitij, falsi et litigiosi, per levar la detta spoglia toccante à detta Ecclesia, per la qual causa, trovandosi esso Conte debitore di detto condam Arciprete per diverse partite et parti delli vassalli di esso Conte, per occuparseli esso conte, come se l’have occupato, et per non pagare ne lassar quello che si deve per conto di detta spoglia, usao tal termino che per la gran Corte di detto Regno fece destinare un delegato seculare sotto nome di persone sue confidenti per far privare ad esso exponente della possessione di detta spoglia, come in effetto ni lo fece privare, con intento di far mettere in condentione la giurisditione ecclesiastica con lo regitor di detto Regno. »
A distanza di secoli non è facile sapere chi avesse ragione. Di certo, il Romano durante la sua vita non si mostra contrario ai Del Carretto. Sul punto di morte è persino propenso a favorire il conte facendogli - a dire del vescovo - «certi testamenti et atti fittizij, falsi  e litigiosi».
L’arciprete Romano deve vedersela con il primo conte di Racalmuto, Girolamo del Carretto - divenuto tale nel 1576 - e, dopo il 9 agosto 1583, con il successore, l’avventuroso Giovanni del Carretto, che finirà trucidato a Palermo il 5 maggio 1608. Entrambi furono però signori di Racalmuto che amarono starsene a Palermo. L’arciprete Romano ebbe a che fare più con gli amministratori comitali, quali Cesare del Carretto e Girolamo Russo, che non con gli altezzosi titolari. E l’intesa sembra essere stata buona, anche quando si trattò di stabilire, nel 1581, oneri e tributi di vassallaggio.
Quando scende a Racalmuto un parente dei del Carretto per battezzare il figlio di un personaggio eccellente, in quel tempo operante nella contea, l’arc. Romano è ovviamente presente:
“Adi 9 marzo VIe Indiz. 1593 Diego figlio del s.or Gioseppi e Caterina di VUO fu batt.o per me don Michele Romano archipr.te - il Compare fu l'Ill'S.or Don Baldassaro del CARRETTO - la Conbare l'Ill'S.ora Donna Maria del Carretto''
In ogni caso, nei raduni del popolo, chiamato ad avallare gravami tributari, l’arciprete si mantiene, almeno formalmente, al di sopra delle parti e non appare neppure come teste.

Arciprete Alessandro Capoccio

 
Il Vescovo Horozco lo nominò arciprete di Racalmuto nell’estate del 1598. Il Capoccio aveva vari incarichi presso la Curia Vescovile di Agrigento e non aveva tempo di raggiungere la sede dell’arcipretura: mandò due suoi rappresentanti, muniti di formalissimi  atti notarili. Presso la Matrice può leggersi questa nota apposta al margine di un atto matrimoniale:
«DIE 16 Julii XIe Indi.nis 1598: ''Pigliao la possessioni don Vito BELLISGUARDI et don Antonino d'AMATO (?) procuratori di don Lexandro Capozza p. l'arcipretato di Racalmuto come appare per atto plubico''.» (cfr. Atti della Matrice: STATO DI FAMIGLIA - M A T R I M O N I -  1582-1600 )
Tre anni prima, don Alexandro Capocho era stato inviato a Roma, al posto del Covarruvias, per presentare la prima relazione 'ad limina' dei Vescovi di Agrigento al Papa[2]. Nell'atto di delega del 12 settembre 1595 "Don Alexandro Cappocio' viene indicato come "Sacrae theologie professor eiusque [del vescovo] Secretarius”.
In Vaticano si conserva il processo concistoriale di quel vescovo (Archivio Vaticano Segreto - Processus Concistorialis - anno 1594 - vol. I - (Agrigento) - ff. 30-62.). La testimonianza del Capoccio è, a dire il vero, schietta e per niente compiacente (f. 36v e 37).
Sintetizzando e traducendo dallo spagnolo ricaviamo questi dati:
«Depone il dottor Don Alexandro Capocho, suddiacono naturale del Regno di Napoli e residente per il momento in questa  corte. Egli testimonia che conosce il detto signor Don Juan de Horoczo y Covarruvias  di vista  e solo da due mesi, poco più poco meno, e di non essere né familiare né parente dell’ Horozco».
 Salta quindi ben dodici domande che attenevano alle origini ed alla vita del futuro vescovo. La sua testimonianza è quindi molto minuziosa sulla Cattedrale di Agrigento (circostanza che non ci pare qui conferente). ‘Conosceva piuttosto bene Agrigento per esservi stato due anni, poco più poco meno’.
Per quanto tempo il Capoccio sia stato arciprete di Racalmuto, s’ignora. Sappiamo che subentrò l'Argumento, nominato nel marzo del 1600.[3] Quel che appare sicuro è che l’arciprete Capoccio non fu presente in alcun atto di battesimo o nella celebrazione di un qualsiasi matrimonio nella parrocchia racalmutese di cui per un biennio fu titolare. A sostituirlo nelle incombenze pastorali fu di certo don Leonardo Spalletta, il cappellano di cui gli atti parrocchiali testimoniano zelo ed assidua presenza.
I CONVENTI DI RACALMUTO NEL ‘500

CENNI INTRODUTTIVI

 
Non crediamo che vi siano  stati conventi a Racalmuto nei primi quarant’anni del ‘500: solo attorno al 1545 è di sicuro operante il convento di S. Francesco, ove erano insediati i padri francescani dell’Ordine dei Minori Conventuali. In certi documenti vescovili che riguardano il sac. don Lisi Provenzano abbiamo rinvenuto elementi tali da suffragare questa antica datazione del convento. L’altro cenobio che appare alla fine del secolo, quello dei carmelitani, sorge all’incirca verso il 1575 se diamo credito alla lapide dell’avello del primo priore padre Paolo Fanara, quale ancora si legge nella chiesa del Carmelo (la chiesa sembra invece essere esistita già dal tempo della visita del Tagliavia nel 1540 ed è citata nel testamento del barone Giovanni del Carretto).
Giovan Luca Barberi parla di un convento benedettino presso Racalmuto, ma gli ereduti locali negli ultimi tempi sono propensi a ritenere che il chiostro fosse quello di S. Benedetto, in territorio di Favara.
Quanto all’altro convento francescano, quello dei Minori di Regolare Osservanza, esso, seppure se ne parla già nel 1598, inizia la sua attività nei primi anni del ‘600.
Per tutto il Cinquecento non vi sono conventi femminili a Racalmuto. Il primo - quello di S. Chiara - comincerà ad operare verso il 1645.

Convento di S. Francesco.

 
Sappiamo con certezza che il 21 novembre 1545 il convento di S. Francesco era operante. Noi pensiamo che sin dagli esordi furono i padri minori conventuali ad occupare il convento, sotto l’egida di Giovanni del Carretto. Pietro Rodolfo Tossiniano, vescovo di Senigallia, accenna a questo convento racalmutese nel libro 2° della sua Historia Serafica. Il maltese Filippo Cagliola nel 1644, fa un discorso un poco più articolato e, descrivendo le “Almae sicilienses Provinciae ordinis Minorum Conventualium S. Francisci”, prende in considerazione anche Racalmuto in questi termini:
LOCUS RACALMUTI [custodia agrigentina]. suae fondationis certam non habet notam, cum scripturas omnes grassantis  pestis insumpserit lues. Quam ob rem annus 1576 a THOSSINIANO inscriptus, ad reparationem Ecclesiae, post eliminatum languorem, non ad fundationem referendus; pugnaret siquidem secum Auctor, qui a Comite Ioanne, certam pecuniam pro Ecclesia reparatione, legatam asserit, anno 1560. Ecclesia denuo excitata, imperfecta iacet, locus iuxta arcem a Friderico Claramontano constructa, situs amoenus, qui fabricis non spernendis incrementa suscepit. Ecclesia Divo Francisco dicata.[4]
Dunque non era nota la data di fondazione, per la distruzione dell’archivio nel tempo della grande peste del 1576. Questo stesso anno viene indicato dal Tossiniano come data di fondazione, subito dopo la cessazione del flagello. Ma questi cade in contraddizione con se stesso, dato che afferma che il conte Giovanni [invero era barone] ebbe a lasciare una certa somma nel 1560 per riparare la chiesa. La chiesa, invero, di nuovo eretta, giace ora incompleta vicino al castello edificato da Federico Chiaramonte, in un luogo ameno e con un notevole chiostro. Essa è dedicata a S. Francesco.
Il barone Giovanni del Carretto, a dire il vero non aveva tanto pensato alla chiesa ma alla sua tomba. Egli lasciò cento onze per la sua cappella tombale. Ed altri mezzi per la celebrazione di messe in Conventu Sancti Francisci dictae Terrae, che dunque nel 1560 era attivo.

Francescani conventuali nel 1593

Da una ricerca del prof. Giuseppe Nalbone risulta che nel 1593 stanziassero a S. Francesco i seguenti religiosi:
1
1593
COLA  ANDREA
GAITANO
PADRE PRIORE
2
1593
GIOVANNIANTONIO
TODISCO
FRA
3
1593
SEBASTIANO
D ' ALAIMO
FRA
4
1593
FRANCESCO
BARBERIO
FRA
5
1593
GIO
BARBA
FRA
6
1593
LODOVICO
DI  SALVO                          
FRA
7
1593
GIUSEPPE
LA MATINA
FRA
 
Francamente non conosciamo granché di tutti questi francescani: abbiamo, ad esempio, alcuni accenni nell’atto di donazione di quel singolare personaggio che fu Antonella Morreale, rimasta vedova piuttosto giovane di Leonardo La Licata. Il rogito è datato 9 gennaio 1596 e ad un certo punto stabilisce:
Et voluit et mandavit ditta donatrix quod dittus Jacobus donatarius ...debeat ac teneatur supra dicto ut supra donato solvere uncias decem po: ge: in pecunia fratri Lodovico de Salvo ordinis Sancti Francisci, filio magistri Rogerij consanguineo dittae donatricis infra annos duos cursuros et numerandos a die mortis dittae donatricis in antea hoc est anno quolibet  in fine unc. unam in pacem pro vestito ispius Lodovici pro Deo et eius anima ipsius donatricis et solutis dictis unc. 10 ut supra dictus Jacobus de Poma donatarius per se et successores teneatur et debat pro dittis unc. decem anno quolibet in perpetuum solvere unciam unam  redditus supra dicto loco de supra donato dicto ven.li conventui Sancti Francisci dictae Terrae Racalmuti eiusque guardiano mentionato pro eo et successoribus in ipso conventu in perpetuum legitime stipulante in quolibet ultimo die mensis augusti cuiuslibet anni incipiendo solvere anno quolibet in perpetuum pro Deo et eius anima ipsius donatricis pro celebratione tot missarum celebrandarum per fratres dicti ven. conventus
Fra Ludovico de Salvo era dunque un consanguineo della Morreale. Nella donazione si parla di sussidi per il suo vestiario. Per le messe v’è un altro legato di un’oncia annua in favore del padre guardiano.

Il guardiano padre Cola Andrea Gaitano

 
La Morreale si ricorda di questo priore anche a proposito della sistemazione della non  chiara vicenda del lascito da parte del marito di  un vestito appartenente a don Cesare del Carretto. In dialetto, ella dispone piuttosto prolissamente che:
Item ipsa donatrix pro Deo et eius anima ac pro anima ditti condam Leonardi olim eius viri titulo donationis preditte post mortem ipsius donatricis ... donavit et donat ditto ven. conventui Sancti Francisci  ditte terre uti dicitur: una robba di donna di villuto russo chiaro con li soi passamanu di oro, quali robba ditta donatrichi teni in potiri suo in pegno del sig. don Cesaro il Carretto, la somma dello quali pignorationi ipsa donatrici non si recorda, per tanto essa donatrici voli chè si il detto del Carretto paghira ditto conventu seu suo guardiano la reali summa per la quali robba fui inpignorata, chè in tali casu lu guardiano di detto convento chè tunc forte serra sia tenuto restituiri ditta robba a ditto del Carretto et casu chè il detto del Carretto non si recapitassi detta robba oyvero non declarira la summa per la quali detta robba sta pignorata voli la detta donatrichi chè lu guardiano di detto convento habbia di obtenere lettere di executione et per quella somma chè serra revelato il detto guardiano debbea detta robba per detta somma ad altri personi inpignorarla et quelli denari convertirli et expenderli in   subsidio et bisogno di detto conventi et fari diri tanti missi per l’anima di detta donatrici et il ditto condam Leonardo per li frati di detto convento et quoniam sic voluit ditta donatrix et non aliter nec alio modo.
 
Il nome del padre guardiano doveva essere padre Cola Andrea Gaitano: non è certamente racalmutese, mentre originari del paese appaiono tutti gli altri sei fraticelli.

Fra Ludovico de Salvo

 
 La famiglia cui apparteneva fra Ludovico Salvo è così censita nel rivelo del 1593:
36
360
Salvo (de) Mg. Ruggero, soldato anni 45
Nora de Salvo moglie; Santo anni 14; Ludovico 11; Francesco 7; Ivella; Caterina; Vincenza
confina con  La Lattuca Paulino
abita  al Monte
 
Nel 1602 consegue i quattro ordini minori e pare che non sia andato oltre. Un’annotazione del vescovo Bonincontro del 1608 farebbe pensare che fra Ludovico abbia lasciato il convento e si sia secolarizzato. Lo troviamo infatti fra i chierici sottoposti alla giurisdizione dell’ordinario diocesano:
Ludovico di Salvo an 26 cons. ad 4 m. ord. die 23 martii 1602  ... S. Francisci
Fra Ludovico era nato a Racalmuto nel 1581 come da questo atto di battesimo:
19
7
1581
Lodovico
Rogieri m.o
Salvo
Nora
 
 

Fra Sebastiano d’Alaimo

 
Semplice frate nel 1593 ricevette sicuramente gli ordini sacerdotali. Nella visita del 1608 viene autorizzato alle confessioni per sei mesi:
Frater Sebastianus de Alaimo ordinis S.ti Francisci Convent. ad sex menses
Risulta dai Rolli di S. Maria quale teste in un atto del 28 ottobre 1597. Null’altro ci è dato di sapere su questo francescano, sicuramente racalmutese.

Il Convento del Carmine.

 
Per il Pirro questo convento è nobile ed antico ed ai suoi tempi (1540) contava 10 religiosi con 108 onze di reddito. Ne era stato solerte priore per 46 anni il racalmutese fra Paolo Fanara. La lapide del suo sepolcro fornisce questi dati biografici:
Paolo Fanara innalzò, accrebbe e decorò, dotandolo d’immagini, questo tempio; curò l’edificazione del convento con somma operosità. Visse 71 anni e nell’anno della salvezza 1621, dopo 41 anni di priorato, morì nella pace sel Signore.
Fra Paolo Fanara nacque dunque nel 1550; nel 1575 diviene priore del cenobio carmelitano di cui è fondatore a Racalmuto. Il convento viene edificato accanto alla chiesa periferica del Carmelo, che stando ai documenti disponibili sorgeva invero da tempo, a dir poco dal 1540.
La chiesa, invero, sembra in costruzione al tempo della morte del barone Giovanni del Carretto che così ne accenna nel suo testamento:
Item praefatus Dominus Testator dixit expendisse unceas centum triginta in emptione lignaminum et tabularum  facta per Magistrum Paulum Monreale, et per Magistrum Jacobum de Valenti, de quibus dominus Testator consequutus fuit nonnullas tabulas, et lignamina; voluit propterea, et mandavit quod debeat fieri computum per dictum spectabilem D. Hieronymum heredem particularem, et faciendo bonas uncias viginti septem solutas Ecclesiae Sanctae Mariae de Jesu, et uncias undecim solutas pro raubis; de residuo tabularum et lignaminum compleri debeat tectum Ecclesiae Sanctae Mariae di lu Carminu dictae Terrae Racalmuti, et voluit  quod debeat expendere unceas quindecim in pecunia in dicto tecto, et ita voluit, et mandavit, et hoc infra terminum annorum trium.
 
Nel 1560, dunque, la chiesa di Santa Maria del Carmelo era a buon punto e doveva soltanto completarsi il tetto, cosa che andava fatta entro tre anni. Non è attendibile quindi quel che dice l’avello del p. Fanara, quanto alla chiesa. Certo dopo il 1575 fra Paolo non mancò di farvi fare opere murarie e migliorie ed a ciò è da pensare che si riferisca l’iscrizione della lapide.

I carmelitani racalmutesi del secolo XVI

 
Nel rivelo del 1593, questo era l’orrganico del cenobio carmelitano racalmutese:
1
1593
PAULO
FANARA
PADRE PRIORE
2
1593
RUBERTO
COSTA
PADRE
3
1593
SALVATORE
RICCIO
FRA
4
1593
FRANCESCO
SFERRAZZA
FRA
5
1593
ANGELO
CASUCHIO
FRA
6
1593
GEREMIA
RUSSO
FRA
7
1593
GIUSEPPI
RAGUSA
FRA
8
1593
ZACCARIA
RICCIO
FRA
 

Fra Paolo Fanara

 
Nella visita del Bonincontro del 1608 il priore del carmelo è ricardato fugacemente come confessore approvatoed indicato semplicemente come  “fra Paulo di Racalmuto padre giardiano del Carmine”.
Fra Paolo fu molto attivo anche nelle faccende sociali. Lo incontriamo in un documento del 1614[5]  in cui si briga per consentire una “fera franca” in occasione della festività della Madonna del Carmine.
«Ill.mo Signor Conte di questa terra. Fra Paulo Fanara priore del Convento del Carmine di questa terra, dice a V.S. Ill.ma che per devotione et decoro della festività della Madonna del Carmine quali viene alla terza domenica di giugnetto [luglio] resti servita V.S. Ill.ma concedere ché ogn’anno per otto giorni cioe quattro inanti detta festa et quattro poi, si possa inanti detto convento farci la fera franca di quella di Santa Margarita la quale si transportao in lo conventu di Santa Maria di Giesu per lo decoro della detta festa et della terra di V.S. Ill.ma ché li sarà gratia particolare ultra il merito che per tal causa haverà ut altissimus etc. - Racalmuti Die XX° octobris XIII^ ind. 1614.»[6]
Nel 1596 lo incontriamo come teste in un paio di atti della confraternita di S. Maria di Gesù. Non spesso, ma qualche volta assiste pure alla celebrazione del matrimonio di qualche racalmutese in vista.

Fra Salvatore Riccio di Racalmuto

 

Dalla solita visita del 1608 sappiamo che èsacerdote ed è autorizzato alle confessioni per sei mesi:
Frater Salvator Riccius Carmelitanus ad sex menses.
A dire la verità abbiamo dubbi sulla correttezza della grafia del cognome. Se Racalmutese, ebbe forse a chiamarsi fra Salvatore Rizzo.

Fra Zaccaria Riccio

 
Anche in questo caso, il cognome è forse da correggere in Rizzo. Un chierico a nome Zaccaria Rizzo è presente in vari atti di battesimo ed in atti di trascrizione matrimoniali  della Matrice dal 1598 in poi. Costui è anche citato nella nota visita del 1608:
cl: Zaccaria Rizzo an. 25 cons. ad p. t. die 19 decembris 1597 alias vocatus Leonardus
Tratterebbesi di un racalmutese nato nel 1581 come da seguente atto di battesimo:
5
9
1581
Rizzo
Leonardo
Martino
Norella
 
Ma resta pur sempre da appurare se v’è identità fra il fraticello carmelitano ed il chierico che s’incontra negli atti della matrice e della curia vescovile di Agrigento.

Fra Angelo Casuccio

 
Nel 1608 lo ritroviamo fra i confessori:
P. Angelo Casuchia
Stando al Liber in quo ..  sarebbe morto il 4 febbraio 1636 (c. 2 n.° 45). Certo sorge il dubbio che tra il frate carmelitano del 1593 ed il sacerdote che del 1608  vi sia identità di persona. Noi siamo per la tesi affermativa e pensiamo ad una secolarizzazione del giovane fraticello del Carmine. Il Casuccio che s’incontra in Matrice è chierico tra il 1598 ed il 1600 e figura come diacono in un atto di battesimo del 30 agosto 1600. Il 12 gennaio 1601 è già stato, comunque, ordinato sacerdote.

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