SECONDO – Racalmuto nell’epoca moderna
IL SECOLO DELLA MADONNA DEL MONTE
La tradizione colloca nell’anno 1503 la venuta a Racalmuto della Madonna del Monte. La pia leggenda è talmente scolpita nei cuori dei racalmutesi da impedire ogni ricerca storica che suonerebbe falsa e blasfema. Noi quindi ce ne asteniamo. Facciamo nostra la seconda lezione dell’Officio sulla nostra prodigiosa Madonna: «a Racalmuto, in Sicilia, - vi si recita in latino - da tempo immemorabile, un prodigioso simulacro troneggia nel magnifico tempio dedicato alla Madonna del Monte, Madre di Dio. Secondo una costante tradizione, la statua in nessun modo poté venire rimossa dal Monte, ove era giunta per una sosta su un carro rustico tirato da buoi, proveniente dal litorale agrigentino per essere condotta nella antica città di Castronovo. E questo fu un mero portento.»
Francesco Vinci, in un una memoria del 1760, Don Nicolò Salvo, il padre Bonaventura Caroselli, Nicolò Tinebra Martorana, un anonimo nel 1913, Eugenio Napoleone Messana nel 1968, Leonardo Sciascia in una chiosa del 1982, ed altri che ci sfuggono hanno scritto sull’evento, quasi sempre con filiale devozione e con trepido attaccamento alla nativa terra di Racalmuto.
Un quadro storico puntuale e documentato ce l’ha fornito di recente il compianto gesuita locale P. Girolamo Morreale. Esso è esaustivo per chi pretende l’umana verità storica. Col suo candore l’ex-voto esposto nel Santuario del Monte rappresenta, pare dalla fine del Seicento, la nostra ancestrale devozione mariana; esso ci immerge nella concitazione del popolo racalmutese per l’arrivo nella parte alta del paese del carro trainato dai buoi con sopra il venerato simulacro della Madonna.
Nella visita pastorale del 1540 - la prima di cui si abbia notizia documentata - la gloriosa statua viene come inventariata, con stile del tutto anodino. Nell’Archivio Vescovile di Agrigento si rinviene il documento della visita fatta nel 1540 dai legati vescovili alla chiesa del Monte. Essa è chiesa non mediocre, con un corredo notevole. Non vi si scorge però nulla che possa richiamare alla mente un santuario prestigioso della Vergine. P. Morreale ha come un moto di stizza quando vede il notista della Curia trattare apaticamente l’argomento. In seconda battuta, come se si trattasse di cosa di scarsa importanza, l’irriguardoso burocrate in veste talare si limita ad inventariare il glorioso simulacro semplicemente come «una figura di nostra donna di marmaro». Non ci si può però meravigliare: il culto della Madonna del Monte esplode a Racalmuto solo a partire dai primi decenni del ‘700, dopo l’opera del p. Signorino, ma soprattutto a seguito di un libretto del 1764 di un frate agostiniano centuripino, il padre Catalanotto, che con semplici ma accattivanti versi in dialetto (invero più della periferia ovest di Agrigento che della nostra Racalmuto) stila una devota saga della Vinuta di la Beddra Matri di lu Munti che alquanto si distacca (apparendo peraltro più credibile) da quella che il pretenzioso padre Caroselli forgiò in una estranea lingua italica quasi un secolo dopo.
La visita pastorale del Vescovo di Agrigento, datata 1540, è per altri versi un momento importante per la storia religiosa di Racalmuto. Abbiamo un documento storico basilare. Pur nel linguaggio non perspicuo ed arcaico, balza un quadro della struttura ecclesiale di Racalmuto.
Ci affacciamo, così, all’epoca moderna per la quale disponiamo di fonti d’archivio e documentali rilevantissime che vanno studiate ed interpretate con rigore scientifico, bandendo quel vezzo della visionarietà cui gli eruditi locali sono stati soliti abbandonarsi. La storia della comunità ecclesiale racalmutese appare ora circostanziata e colma di affascinanti spunti e di specificità di grande portata edificante. Si pensi al culto della Madonna, alla devozione verso S. Rosalia, alla veneranda figura di padre Elia Lauricella ed ai tanti servi di Dio della nostra epoca contemporanea.
SACERDOTI DI RACALMUTO DEL XVI SECOLO
Nell’Archivio parrocchiale della Matrice di Racalmuto si rinviene un elenco di sacerdoti che abbraccia il periodo dal 1545 sino ai nostri giorni. L’intestazione è molto eloquente e ben specifica il contenuto del registro. «Liber - viene denominato - in quo adnotata reperiuntur nomina plurimorum Sacerdotum, nec non Diaconorum, Subdiaconorum et Clericorum huius terrae Racalmuti, jam ex hac vita discessorum a pluribus ab hinc annis fere immemorabilibus, opere R.di Sac. D. Paulini Falletta hoc anno 1636 pro quarum animarum suffragio semel in mense in feria secunda secundae hebdomadae ad cantandam Missam omnes Sacerdotes, Diaconi, Subdiaconi et Clerici se obligaverunt convenire. - Ut in actis Not. Panfili Sferrazza Racalmuti sub die 26 Marzii 1638.» Fino a quando si cantò quella messa il lunedì della seconda settimana di ogni mese, non sappiamo. Oggi non avviene più e crediamo a memoria d’uomo.
Il primo sacerdote a venirvi annotato è l’arciprete e canonico d. Nicola de Galloctis, citato nella visita pastorale di Mons. Pietro di Tagliavia e d’Aragona del 1543. La trascrizione è però scorretta: lo si chiama “Nicola Galletti”. Abbiamo quindi i tre successori nel tempo: d. Tommaso Sciarrabba - anche lui arciprete e canonico - D. Gerlando d’Averna e don Michele Romano. Viene omesso l’arciprete Capoccio per saltare a d. Andrea d’Argomento, con il quale s’inizia il secolo XVII.
Sui sacerdoti racalmutesi del secolo XVI sappiamo ben poco. Qualche dato si desume dall’archivio vescovile di Agrigento. Notizie e riferimenti si colgono nei libri parrocchiali della Matrice, quasi tutti di battesimo per quello scorcio di secolo, e databili, comunque, a partire dal 1564. La bolla di conferimento dell’arcipretura di Racalmuto al sac. Gerlando di Averna è stata da noi rintracciata nell’ Archivio Vaticano Segreto e risale al 13 novembre del 1561.
Lo stato delle nostre ricerche ci permette di individuare soltanto due sacerdoti officianti a Racalmuto prima del XVI secolo. Sono i religiosi ricordati nella Colletteria dell’archivio vaticano (cfr. ASV - Collect. 161 f. 96) Martuzio de Sifolono, titolare della chiesa di S. Maria, chiamato a corrispondere un’oncia per le decime di due anni (1308 e 1310), ed il prete Angelo di Montecaveoso, tassato per nove tarì in re¬lazione all’ufficio sacerdotale che esplicava nel Casale di Racalmuto. Del primo non sappiamo neppure se fosse un sacerdote. Ignoriamo anche dove era ubicata la chiesa di S. Maria - ed ogni attribuzione ad uno dei vari templi oggi dedicati alla Madonna è mero arbitrio. Il “presbiter” Angelo de Montecaveoso ha tutta l’aria di essere un frate: parroco di Racalmuto nel 1308 e nel 1310, non sembra indigeno; ricava pochi proventi (dopo, l’arcipretura di Racalmuto diverrà molto appetibile e la vorranno prelati di Messina, Napoli, Prizzi, S. Giovanni Gemini, etc.) e non lascia traccia di sé.
Non abbiamo elementi per stabilire se, oltre ad incassare le prebende, i beneficiari di S. Margherita, ebbero a svolgere una qualche missione sacerdotale a Racalmuto: si tratta di due preti di cui ci tramanda i nomi un noto documento (Archivio di Stato di Palermo: Reale Cancelleria, Vol. 34, f. 137v, anno 1398) del 20 settembre 1398, Tommaso de Manglono e Gerardo de Fino. Il primo era un canonico agrigentino, considerato ribelle dal re Martino e pertanto spogliato della prebenda racalmutese; il secondo, arciprete di Paternò, era divenuto cappellano regio: difficilmente avrà avuto tempo per pratiche religiose nella terra del beneficio di Santa Margherita, ricevuto graziosamente dal re. Gli bastava mettersi in contatto con Matteo del Carretto, cui erano state impartite istruzioni per la corresponsione dei proventi a quelll’arciprete di Paternò.
Biagio Pace vorrebbe un ipogeo cristiano in contrada delle Grotticelle di Racalmuto. Se ha ragione, il cristianesimo si sarebbe diffuso nel paese fin dal V-VI secolo; da allora sino al nono secolo, quando gli arabi s’impadronirono di questa parte della Sicilia, molti sacerdoti si saranno succeduti ma su di loro nulla assolutamente si sa e non sono neppure tentabili congetture, anche azzardate. Lo stesso avviene per i tempi dei Normanni e per quelli successivi sino al 1308. Occorre fare un salto, dunque, che ci porta al 17 maggio del 1512: in un documento vescovile si accenna al sacerdote racalmutese Francesco La Licata che - unitamente ai sindaci Vito Graci, Francesco Bona, Giacomo Mulè, Filippo Fanara, Salvatore Casuccio, Gabriele La Licata. Orlando Messina e Stefano Santalucia - si era rivolto all’autorità viceregia per avanzare un imprecisato ricorso avverso il chierico Paolo del Carretto. Possiamo affermare che il La Licata sia il primo sacerdote veramente racalmutese di cui abbiamo notizia.
In definitiva, è proprio dal La Licata che può partire una ricognizione dei sacerdoti racalmutesi: i precedenti quattro nominativi (due dell’inizio e due della fine del XIV secolo) ci appaiono forestieri e per un paio di loro non è ipotizzabile una qualche sia pure sporadica presenza a Racalmuto.
I CONVENTI DI RACALMUTO NEL ‘500
Se crediamo ad un quadro che si trova a Licata e che raffigura l’albero frondoso ed abbondantemente fruttifero ad esaltazione della famiglia dei carmelitani nell’agrigentino, dovremmo dire che già nel 1270 si ergeva a Racalmuto il convento del Carmine, ma la fonte è molto labile per innestarvi origini conventuali racalmutesi che peratro ribalterebbero il tanto creduto ed il molto sostenuto da grintosi storici locali. Tolto dunque il convento del Carmine, dobbiamo saltare ai conventi che sono di sicuro operanti nel XVI secolo. Non crediamo che vi siano stati conventi a Racalmuto, oltre a codesto incerto del Carmine, nei primi quarant’anni del ‘500: solo attorno al 1545 è di sicuro operante il convento di S. Francesco ove erano insediati i padri francescani dell’Ordine dei Minori Conventuali. In certi documenti vescovili che riguardano il sac. don Lisi Provenzano abbiamo rinvenuto elementi tali da suffragare questa antica datazione del convento. L’altro cenobio che appare alla fine del secolo, quello dei carmelitani, pare risorto all’incirca verso il 1575 se diamo credito alla lapide dell’avello di un priore locale, padre Paolo Fanara, quale ancora si legge nella chiesa del Carmelo (la chiesa appare invece da molto tempo prima ed è attestata dalla visita del Tagliavia nel 1540 non mancando nel testamento del barone Giovanni del Carretto).
Giovan Luca Barberi parla di un convento benedettino presso Racalmuto, ma gli eruditi locali negli ultimi tempi sono propensi a ritenere che il chiostro fosse quello di S. Benedetto, in territorio di Favara.
Quanto all’altro convento francescano, quello dei Minori di Regolare Osservanza, esso, seppure se ne parla già nel 1598, inizia la sua attività nei primi anni del ’600.
Per tutto il Cinquecento non vi sono conventi femminili a Racalmuto. Il primo - quello di S. Chiara - comincerà ad operare verso il 1645.
Convento di S. Francesco
Sappiamo con certezza che il 21 novembre 1545 il convento di S. Francesco era operante. Noi pensiamo che sin dagli esordi furono i padri minori conventuali ad occupare il chiostro, sotto l’egida di Giovanni del Carretto. Pietro Rodolfo Tossiniano, vescovo di Senigallia, vi nel libro 2° della sua Historia Serafica. Il maltese Filippo Cagliola nel 1644, fa un discorso un poco più articolato e, descrivendo le “Almae sicilienses Provinciae ordinis Minorum Conventualium S. Francisci”, prende in considerazione anche Racalmuto in questi termini:
LOCUS RACALMUTI [custodia agrigentina]. suae fondationis certam non habet notam, cum scripturas omnes grassantis pestis insumpserit lues. Quam ob rem annus 1576 a THOSSINIANO inscriptus, ad reparationem Ecclesiae, post eliminatum languorem, non ad fundationem referendus; pugnaret siquidem secum Auctor, qui a Comite Ioanne, certam pecuniam pro Ecclesia reparatione, legatam asserit, anno 1560. Ecclesia denuo excitata, imperfecta iacet, locus iuxta arcem a Friderico Claramontano constructa, situs amoenus, qui fabricis non spernendis incrementa suscepit. Ecclesia Divo Francisco dicata.
Dunque non era nota la data di fondazione, per la distruzione dell’archivio nel tempo della grande peste del 1576. Questo stesso anno viene indicato dal Tossiniano come data di fondazione, subito dopo la cessazione del flagello. Ma questi cade in contraddizione con se stesso, dato che afferma che il conte Giovanni [invero era barone] ebbe a lasciare una certa somma nel 1560 per riparare la chiesa. La chiesa, invero, di nuovo eretta, giace ora incompleta vicino al castello edificato da Federico Chiaramonte, in un luogo ameno e con un notevole chiostro. Essa è dedicata a S. Francesco.
Il barone Giovanni del Carretto, a dire il vero non aveva tanto pensato alla chiesa ma alla sua tomba. Egli lasciò cento onze per la sua cappella tombale. Ed altri mezzi per la celebrazione di messe in Conventu Sancti Francisci dictae Terrae, che dunque nel 1560 era attivo.
Francescani conventuali nel 1593
Da una nostra ricerca risulta che nel 1593 stanziassero a S. Francesco i seguenti religiosi:
1 1593 COLA ANDREA GAITANO PADRE PRIORE
2 1593 GIOVANNIANTONIO TODISCO FRA
3 1593 SEBASTIANO D ‘ ALAIMO
FRA
4 1593 FRANCESCO BARBERIO FRA
5 1593 GIO BARBA FRA
6 1593 LODOVICO DI SALVO
FRA
7 1593 GIUSEPPE LA MATINA FRA
Francamente non conosciamo granché della loro vita: abbiamo, ad esempio, alcuni accenni nell’atto di donazione di quel singolare personaggio che fu Antonella Morreale, rimasta vedova piuttosto giovane di Leonardo La Licata. Il rogito è datato 9 gennaio 1596 e ad un certo punto stabilisce:
Et voluit et mandavit ditta donatrix quod dittus Jacobus donatarius ...debeat ac teneatur supra dicto ut supra donato solvere uncias decem po: ge: in pecunia fratri Lodovico de Salvo ordinis Sancti Francisci, filio magistri Rogerij consanguineo dittae donatricis infra annos duos cursuros et numerandos a die mortis dittae donatricis in antea hoc est anno quolibet in fine unc. unam in pacem pro vestito ispius Lodovici pro Deo et eius anima ipsius donatricis et solutis dictis unc. 10 ut supra dictus Jacobus de Poma donatarius per se et successores teneatur et debeat pro dittis unc. decem anno quolibet in perpetuum solvere unciam unam redditus supra dicto loco de supra donato dicto ven.li conventui Sancti Francisci dictae Terrae Racalmuti eiusque guardiano mentionato pro eo et successoribus in ipso conventu in perpetuum legitime stipulante in quolibet ultimo die mensis augusti cuiuslibet anni incipiendo solvere anno quolibet in perpetuum pro Deo et eius anima ipsius donatricis pro celebratione tot missarum celebrandarum per fratres dicti ven. conventus
Fra Ludovico de Salvo era dunque un consanguineo della Morreale. Nella donazione si parla di sussidi per il suo vestiario. Per le messe v’è un altro legato di un’oncia annua in favore del padre guardiano.
Il guardiano padre Cola Andrea Gaitano
La Morreale si ricorda di questo priore anche a proposito della sistemazione della non chiara vicenda del lascito da parte del marito di un vestito appartenente a don Cesare del Carretto. In dialetto, ella dispone piuttosto prolissamente che:
Item ipsa donatrix pro Deo et eius anima ac pro anima ditti condam Leonardi olim eius viri titulo donationis preditte post mortem ipsius donatricis ... donavit et donat ditto ven. conventui Sancti Francisci ditte terre uti dicitur: una robba di donna di villuto russo chiaro con li soi passamanu di oro, quali robba ditta donatrichi teni in potiri suo in pegno del sig. don Cesaro il Carretto, la somma dello quali pignorationi ipsa donatrici non si recorda, per tanto essa donatrici voli chè si il detto del Carretto paghira ditto conventu seu suo guardiano la reali summa per la quali robba fui inpignorata, chè in tali casu lu guardiano di detto convento chè tunc forte serra sia tenuto restituiri ditta robba a ditto del Carretto et casu chè il detto del Carretto non si recapitassi detta robba oyvero non declarira la summa per la quali detta robba sta pignorata voli la detta donatrichi chè lu guardiano di detto convento habbia di obtenere lettere di executione et per quella somma chè serra revelato il detto guardiano debbea detta robba per detta somma ad altri personi inpignorarla et quelli denari convertirli et expenderli in subsidio et bisogno di detto conventi et fari diri tanti missi per l’anima di detta donatrici et il ditto condam Leonardo per li frati di detto convento et quoniam sic voluit ditta donatrix et non aliter nec alio modo.
Il nome del padre guardiano doveva essere padre Cola Andrea Gaitano: non è certamente racalmutese, mentre originari del paese appaiono tutti gli altri sei fraticelli.
Fra Ludovico de Salvo
La famiglia cui apparteneva fra Ludovico Salvo è così censita nel rivelo del 1593:
36 360 Salvo (de) Mg. Ruggero, soldato anni 45 Nora de Salvo moglie; Santo anni 14; Ludovico 11; Francesco 7; Ivella; Caterina; Vincenza confina con La Lattuca Paulino abita al Monte
Nel 1602 consegue i quattro ordini minori e pare che non sia andato oltre. Un’annotazione del vescovo Bonincontro del 1608 farebbe pensare che fra Ludovico abbia lasciato il convento e si sia secolarizzato. Lo troviamo infatti fra i chierici sottoposti alla giurisdizione dell’ordinario diocesano:
Ludovico di Salvo an 26 cons. ad 4 m. ord. die 23 martii 1602 ... S. Francisci
Fra Ludovico era nato a Racalmuto nel 1581 come da questo atto di battesimo:
19 7 1581 Lodovico Rogieri m.o Salvo
Nora
Fra Sebastiano d’Alaimo
Semplice frate nel 1593 ricevette sicuramente gli ordini sacerdotali. Nella visita del 1608 viene autorizzato alle confessioni per sei mesi:
Frater Sebastianus de Alaimo ordinis S.ti Francisci Convent. ad sex menses
Risulta dai Rolli di S. Maria quale teste in un atto del 28 ottobre 1597. Null’altro ci è dato di sapere su questo francescano, sicuramente racalmutese.
Il Convento del Carmine.
Per il Pirri questo convento è nobile ed antico ed ai suoi tempi (1640) contava 10 religiosi con 108 onze di reddito. Ne era stato solerte priore per 46 anni il racalmutese fra Paolo Fanara. La lapide del suo sepolcro fornisce questi dati biografici:
Paolo Fanara innalzò, accrebbe e decorò, dotandolo d’immagini, questo tempio; curò l’edificazione del convento con somma operosità. Visse 71 anni e nell’anno della salvezza 1621, dopo 41 anni di priorato, morì nella pace del Signore.
Fra Paolo Fanara nacque dunque nel 1550; nel 1575 diviene priore del cenobio carmelitano di cui è fondatore a Racalmuto. Il convento viene edificato accanto alla chiesa periferica del Carmelo, che stando ai documenti disponibili sorgeva invero da tempo, a dir poco dal 1540.
La chiesa sembra in costruzione al tempo della morte del barone Giovanni del Carretto che così ne accenna nel suo testamento:
Item praefatus Dominus Testator dixit expendisse unceas centum triginta in emptione lignaminum et tabularum facta per Magistrum Paulum Monreale, et per Magistrum Jacobum de Valenti, de quibus dominus Testator consequutus fuit nonnullas tabulas, et lignamina; voluit propterea, et mandavit quod debeat fieri computum per dictum spectabilem D. Hieronymum heredem particularem, et faciendo bonas uncias viginti septem solutas Ecclesiae Sanctae Mariae de Jesu, et uncias undecim solutas pro raubis; de residuo tabularum et lignaminum compleri debeat tectum Ecclesiae Sanctae Mariae di lu Carminu dictae Terrae Racalmuti, et voluit quod debeat expendere unceas quindecim in pecunia in dicto tecto, et ita voluit, et mandavit, et hoc infra terminum annorum trium.
Nel 1560, dunque, la chiesa di Santa Maria del Carmelo era a buon punto e doveva soltanto completarsi il tetto, cosa che andava fatta entro tre anni. Non è attendibile quindi quel che dice l’avello del p. Fanara, quanto alla chiesa. Certo dopo il 1575 fra Paolo non mancò di farvi fare opere murarie e migliorie ed a ciò è da pensare che si riferisca l’iscrizione della lapide.
I carmelitani racalmutesi del secolo XVI
Nel rivelo del 1593, questo era l’organico del cenobio carmelitano racalmutese:
1 1593 PAULO FANARA PADRE PRIORE
2 1593 RUBERTO COSTA PADRE
3 1593 SALVATORE RICCIO FRA
4 1593 FRANCESCO SFERRAZZA
FRA
5 1593 ANGELO CASUCHIO FRA
6 1593 GEREMIA RUSSO FRA
7 1593 GIUSEPPI RAGUSA FRA
8 1593 ZACCARIA RICCIO FRA
Fra Paolo Fanara
Nella visita del Bonincontro del 1608 il priore del Carmelo è ricordato fugacemente come confessore approvato ed indicato semplicemente come “fra Paulo di Racalmuto padre guardiano del Carmine”.
Fra Paolo fu molto attivo anche nelle faccende sociali. Lo incontriamo in un documento del 1614 in cui si briga per consentire una “fera franca” in occasione della festività della Madonna del Carmine.
«Ill.mo Signor Conte di questa terra. Fra Paulo Fanara priore del Convento del Carmine di questa terra, dice a V.S. Ill.ma che per devotione et decoro della festività della Madonna del Carmine quali viene alla terza domenica di giugnetto [luglio] resti servita V.S. Ill.ma concedere ché ogn’anno per otto giorni cioe quattro inanti detta festa et quattro poi, si possa inanti detto convento farci la fera franca di quella di Santa Margarita la quale si transportao in lo conventu di Santa Maria di Giesu per lo decoro della detta festa et della terra di V.S. Ill.ma ché li sarà gratia particolare ultra il merito che per tal causa haverà ut altissimus etc. - Racalmuti Die XX° octobris XIII^ ind. 1614.»
Nel 1596 lo incontriamo come teste in un paio di atti della confraternita di S. Maria di Gesù. Non spesso, ma qualche volta assiste pure alla celebrazione del matrimonio di qualche racalmutese in vista.
Fra Salvatore Riccio di Racalmuto
Dalla solita visita del 1608 sappiamo che è sacerdote ed è autorizzato alle confessioni per sei mesi:
Frater Salvator Riccius Carmelitanus ad sex menses.
A dire la verità abbiamo dubbi sulla correttezza della grafia del cognome. Se racalmutese, ebbe forse a chiamarsi fra Salvatore Rizzo.
Fra Zaccaria Riccio
Anche in questo caso, il cognome è forse da correggere in Rizzo. Un chierico a nome Zaccaria Rizzo è presente in vari atti di battesimo ed in atti di trascrizione matrimoniali della Matrice dal 1598 in poi. Costui è anche citato nella nota visita del 1608:
cl: Zaccaria Rizzo an. 25 cons. ad p. t. die 19 decembris 1597 alias vocatus Leonardus
Tratterebbesi di un racalmutese nato nel 1581 come da seguente atto di battesimo:
5 9 1581 Rizzo
Leonardo Martino Norella
Ma resta pur sempre da appurare se v’è identità fra il fraticello carmelitano ed il chierico che s’incontra negli atti della matrice e della curia vescovile di Agrigento.
Fra Angelo Casuccio
Nel 1608 lo ritroviamo fra i confessori:
P. Angelo Casuchia
Stando al Liber in quo .. sarebbe morto il 4 febbraio 1636 (c. 2 n.° 45). Certo sorge il dubbio che tra il frate carmelitano del 1593 ed il sacerdote che del 1608 vi sia identità di persona. Noi siamo per la tesi affermativa e pensiamo ad una secolarizzazione del giovane fraticello del Carmine. Il Casuccio che s’incontra in Matrice è chierico tra il 1598 ed il 1600 e figura come diacono in un atto di battesimo del 30 agosto 1600. Il 12 gennaio 1601 è già stato, comunque, ordinato sacerdote.
Fra Francesco Sferrazza
Analogo dubbio sorge per questo fraticello, visto che negli atti della Matrice figura un omonimo che però viene indicato nel Liber (c. 2 n.° 38) come don Francesco Sferrazza Fasciotta (ma rectius Falciotta).
A quest’ultimo di certo si riferiscono gli atti della visita del 1608, ove è reiteratamente citato. Vengono forniti alcuni dati anagrafici:
D. Franciscus Sferrazza an. 27 cons. ad sacerd. die 17 decembris 1605 Panorm ... quas dixit amisisse
Costui era già protagonista a quell’epoca, come emerge dai alcuni passi di quella relazione episcopale a proposito di S. Giuliano.
Da altri elementi risulta che trattasi di un membro dell’importante famiglia degli Sferrazza Falciotta. Sembrerebbe quindi che si debba escludere l’identità con l’umile fraticello del Carmelo. D. Francesco Sferrazza Falciotta fu peraltro anche Commissario del Tribunale del S. Officio e morì il 7 maggio 1630.
Se fra Francesco Sferrazza, carmelitano nel 1593, fu persona diversa, come sembra, nulla sappiamo all’infuori di quella citazione del rivelo.
Fra Giuseppe d’Antinoro
Dalle brume documentali dell’archivio parrocchiale dell’ultimo scorcio del ‘500 affiorano alcune figure di religiosi racalmutesi o, comunque, operanti a Racalmuto: uno di questi è fra Giuseppe d’Antinoro, sicuramente un carmelitano, che l’11 settembre 1584 è presente nel matrimonio insolitamente celebrato nella chiesa del Carmine. Per questa inusuale celebrazione era occorso il benestare del vescovo agrigentino. Il matrimonio era avvenuto tra certo La Licata Paolo di Paolo e La Matina Antonella di Pietro e di Vincenza. Benedisse le nozze l’arc. Romano. Ne furono testimoni il noto fra Paolo Fanara ed il citato fra Giuseppe d’Antinoro. Ne trascriviamo qui l’atto che si conserva nella matrice.
11 9 1584 La Licata Paolo di Paolo e di Angela con La Matina Antonella di Petro e di Vincenza.= Sacerdote benedicente:Romano Michele arciprete. Testi: Fanara r. fra Paolo ed D’Antinoro frate Gioseppe. Nota: foro benedetti nella chiesa del Carmine ex concessione Ill.mi et rev.mi n. Epi. Agrigentini
Due religiosi di fine secolo:
fra Antonino Amato;
fra Pasquale Di Liberto
gli atti di matrimonio di fine secolo restituiscono alla memoria questi due monaci, di cui però s’ignora tutto: dall’ordine d’appartenenza ad un qualsiasi altro dato biografico. Quel che conosciamo è tutto contenuto in queste annotazioni d’archivio:
1 9 1588 Gibbardo Berto Vincenzo con Savarino Francesca di Joanne. Benedice le nozze: Amato frati Antonino. Testi: Todisco Pietro e Rotulo Pietro
30 9 1596 Mendola (la) Leonardo di Angilo e Paolina con Aucello Antonella di Paolo e Minichella. Benedice le nozze: Spalletta don Nardo. Testi: Mulioto Giuseppe e Di Liberto frati Pasquali.
Nella visita del 1608 è invero ricordato un francescano a none fra Antonino Amato: che si tratti dello stesso monaco del 1588, non abbiamo elementi per affermarlo. Questi comunque non figura nel rivelo del 1593. Nella relazione episcopale del 1608 è indicato in questo stringato modo:
Notamento di confessori di S.to Francisci: il p.re guardiano - fra. Antonio di Amato.
L’arciprete don Gerlando d’AVERNA
Presso l’Archivio Segreto Vaticano si rinviene l’antica bolla di nomina ad arciprete di Racalmuto di don Gerlando d’Averna. Il documento pontificio è una bolla che trovasi nei “Registri Vaticani: Bullae n.° 1911” - ff. 211-212v. Esso investe appieno la storia della Matrice di Racalmuto.
Il quadro che emerge - se si può essere sinceri - non pare tanto onorevole per la storia della chiesa, anche se la storpiatura della nostra attuale visione appanna una obiettiva valutazione.
E’ strano che sia occorsa addirittura una lunga bolla di papa Pio IV per assegnare il rettorato dell’arcipretura di S. Antonio di Racalmuto al sac. d. Giurlando d’Averna. Non edifica molto quell’intrigo tra il Sallustio, il chierico Cesare ed il suo procuratore, il chierico Natale Remondino (forse neppure siciliani, certamente non racalmutesi), un intrigo che ha un vago sapore di simonia . Tutto sommato, impallidisce la figura dell’investito Giurlando d’Averna che pure viene designato come uno che può vantare «vitae ac morum honestas aliaque laudabilia probitas et virtuum merita, super quibus apud nos fide degno commenda[tur] testimonio». E su tale aspetto si ritorna dopo, quando il papa dichiara: «Nos tibi premissorum meritorum tuorum intuitu specialem gratiam facere vol[umus]». Sono - mi pare - stonature nel contesto della Bolla e mi richiamano le battute che nell’ottocento l’avvocato dell’arciprete Tirone si permette di declamare nell’attacco contro i Savatteri nella controversia sul beneficio del Crocifisso. «Chiunque - scrive a pag. 10 l’avv. Giuseppe de Luca, se non ispirato, di certo non contraddetto dal colto arciprete Tirone - ha familiarità dello stile delle Cancellerie della Curia Romana ben conosce il modo rituale come si ottengono le grazie. Per le dispense, che la detta Curia deve impartire, bisogna accennare ad un motivo che coonesta la grazia che si chiede. In mancanza di legitima causa si specola una ragione qualunque che avesse onesta apparenza, che vera o falsa si fosse rientra nel demanio della coscienza del petente.»
Si è potuta rintracciare quella Bolla pontificia dopo una difficoltosa consultazione degli schedari Carampi dell’Archivio Segreto Vaticano: non era facile reperirla e per la sua periferica rilevanza non risulta pubblicata da alcuno.
Il Giurlando d’Averna - figura che interessa personalmente, visto che quel cognome si è poi mutato a Racalmuto in Taverna - appare reiteratamente nei primi registri parrocchiali di battesimo della Matrice di Racalmuto.
Il documento pontificio non collima perfettamente con le annotazioni del “Liber in quo adnotata reperiuntur nomina plurimorum Sacerdotum ..” del 26 marzo 1638, in atti della Matrice.
Al n.° 3 abbiamo: «D. Gerlando D’Averna - Arciprete anno 1554». Credo che gli estremi siano stati presi dai primi fogli degli atti di battesimo che in effetti recano - ma con scrittura postuma - quell’anno. Ma è datazione inattendibile, specie se consideriamo i tempi d’attuazione delle disposizioni del Concilio di Trento in ordine appunto alle registrazioni dei battesimi. Dobbiamo far dunque differire al 1564 quei documenti della Matrice. In tal caso, non vi è contraddizione tra la Bolla pontificia ed il dato del “Liber”.
Il D’Averna fu arciprete - o rettore - di Racalmuto sino alla metà degli anni ‘70: a partire dal 1579 è arciprete di Racalmuto don Michele Romano. Trovo nelle registrazioni degli atti della Matrice un dato che riguarda il D’Averna sotto questa data:
164 21 5 1576 Gerlando di Averna
Non so, però, se si riferisca al rettore della Bolla.
Sintetizzando, si può sostenere che d. Giurlando D’Averna - proveniente forse da Agrigento - fu rettore dell’arcipretato di S. Antonio di Racalmuto dal 13 di novembre del 1561 sino al 1576 (probabile anno della sua morte).
E’ singolare che nella doviziosa documentazione su d. Gerlando d’Averna che si rinviene nei registri parrocchiali di battesimo del 1571, egli non sia mai indicato con il titolo di Arciprete.
Rimase allora semplice rettore di Racalmuto? E tale rimase per aggirare quella esosa pensione al Sallustio che il Vaticano voleva imporre sulla parrocchia racalmutese ad onta di ogni consuetudine e diritto della Legazia Apostolica siciliana? E saremmo tentati di rispondere affermativamente.
Il nobile Girolamo Russo, marito della figlia spuria di Giovanni del Carretto.
E’ certo che le vicende arcipretali di Racalmuto sono condizionate pesantemente dai Del Carretto. Sotto il d’Averna, più che il conte – che gozzoviglia in Palermo – è il genero Girolamo Russo a vessare il nostro paese, ed in definitiva anche la relativa arcipretura. Codesto Russo, pur nobile, non mancò di sposare la figlia illegittima del conte di Racalmuto, Elisabetta. Si trasferì nel castello chiaramontano come locale governatore e, a credere alle lagnanze del pingue presule Horozco, tiranneggiò sul popolo, sui preti e sui chierici.
Sul genero del conte Giovanni siamo in grado di fornire qualche cenno anagrafico, desunto dai registri della Matrice.
ATTI DI BATTESIMO (Battesimo di tre bambini del nobile Russo)
data di battesimo Cognome Nome Paternità Maternità
3 luglio 1596 RUSSO Francesco Maria Girolamo sig. Sabetta, donna
3 luglio 1598 RUSSO Margherita Gironimo don D.a Elisabetta
10 gennaio 1600 RUSSO Giuseppe Gerolamo, don Elisabetta
Padrini dei battesimi sono i coniugi Vincenzo e Caterina Piamontesi.»
La vicenda feudale dei del Carretto della seconda metà del Cinquecento ha alcuni momenti solenni negli estremi dei Processi che si celebravano a Palermo. Al fine di meglio inquadrare la vicenda di d. Gerlando d’Averna, possiamo qui segnare i seguenti stralci:
1560 Fino al gennaio del 1560 è barone di Racalmuto Giovanni del Carretto. Gli succede Girolamo del Carretto, come si evince dai tanti riferimenti di quel particolare processo feudale che riportiamo in altra sede.
Importante è il testamento di Giovanni del Carretto per le implicazioni nella storia delle chiese di Racalmuto.
1584 Gli atti del processo interessano il passaggio, per successione, dal neo conte Girolamo al figlio Giovanni del Carretto.
Un controversia del XVI secolo con i Del Carretto
Negli anni 60-70 del XVI secolo ferveva a Racalmuto la controversia sul mero e misto impero del barone e sugli oneri del terraggio e del terraggiolo. I documenti del fondo Palagonia ci ragguagliano a tal proposito. Stralciamo da un diploma del 1580 del predetto fondo:
Die decimo quinto Januarij nonae ind. 1580. Cum infra universitatem terrae Racalmuti et spectabiles et illustres dominos Barones terrae eiusdem, et antecessores illustrissimi domini D. Hieronymi de Carrettis comitis terrae predictae …….. Illustrissimo et eccellentissimo Signore, Bartolo Curto, Pietro Barberi, Giacomo Capobianco, Angelo Jannuzzo, Antonuzio Morreale, Cola Macaluso, Pietro Macaluso, Antonio Lo Brutto, Vito Bucculeri, Pietro d’Alaymo, Joan Vito d’Amella, Antonio Gulpi e Giacomo Morreale, li quali furo deputati eletti per consiglio congregato circa la questione e lite vertenti tra l’altri, e l’illustris.mo Conte di Racalmuto in la R.G.C. esponino a Vostra Eccellenza che sono più anni che in detta R.G.C. ha vertuto lite fra detto conte e suoi antecessori in detto contato ex una, e li Sindaci di detta terra ex altera sopra diversi pretenzioni, particularmente addutti nel libello, e processo fra loro compilato per li quali intendiano detti Sindaci essere esenti, e liberi di certi raggioni e pagamenti, come in detto processo si contiene, e poichè s’have trattato certo accordio fra esso conte ed essi esponenti come deputati eletti per detta università circa le pretentioni predetti, e circa il detto accordio s’hanno da publicare per mano di publico notaro per comuni cautela dell’uno, e l’altro, e stante che è notorio che detti capitoli s’habbiano da publicare con vocarsi per consiglio onde habbiano da intervenire li genti di detta università, e la maggior parte di quella per ciò supplicano a V. E. si degni restar servita provedere che s’abbia a destinare uno delegato dottore degente in la città di Girgenti per manco dispendio (o di spesa) dell’esponenti, e benvista a V.E. il quale s’abbia da conferire in detta università di Racalmuto, ed in quella abbia da congregare consiglio si la detta università è contenta si o no di pubblicare il detto atto d’accordio, li quali si abbiano di fari leggiri per il detto delegato a tutte le persone che interverrano in detto consiglio per potersi stipulare il detto atto con lo consenso di tutta l’università, o maggior parte di quella - e restando l’esponenti d’accordio V.E. sia servita al detto delegato concederli autorità, e potestà di tutto quello e quanto sarrà concluso per detto accordio che possa interponere l’authorità, potestà, e decreto di V.E. e sopra questo possa interponere perpetuo silenzio, e decreto con tutte le clausole, e condizioni solite, e necessarie farsi in detti atti ut Altissimus.
Data Panormi die sexto octobris octavae Ind.s 1579 ex parte E.S. illustrissimi proregis Magna Curio referat Hieronymus Carbonus Secretarius, et referendarius ….. fuerunt electi per dictum consilium prefati Antoninus Lo Brutto, et Antonutius Morreale Sindaci et Procuratores universitatis predictae coram dicto consilio et coram dictis personis prenominatis videlicet:
Capitoli dell’accordio si fà infra l’illustrissimo signor D. Hieronimo Carretto conte della terra di Racalmuto
e per esso suoi figli utriusque sexus et suoi eredi e successori in dicto statu per lo quali si havi di promittiri di rato iuxta formam ritus di ratificari lu presenti contrattu à prima linea usque ad ultimam, ita che li masculi d’età sì habbiano da fari ratificari infra mesi due da contarsi d’oggi innanzi, e li minuri quam primum erunt maioris aetatis cum pacto et condictione che la persona che rathifichirà s’habbia d’obligare di rato per li suoi figli utriusque sexus, e cossì li figli di figli in infinitum intendo per quelli che haviranno di succediri in detto stato e terra di Racalmuto, e non altrimente ne per altro modo s’intenda detta promissione di rato ut supra di l’una parti, e Bartolo Curto, Pietro Barberi, Cola Capobianco, Angelo Jannuzzo, Antonuzzo Morreale, Cola Macaluso, Pietro Macaluso, Antonino Lo Brutto, Vito Bucculeri, Pietro d’Alaymo, Joan Vito d’Amella ed Antonio Gulpi eletto di nuovo per la morte dello quondam Jacobo Morreale, deputati eletti per consiglio circa la questione e liti vertenti tra lo detto illustre signor conti e l’università di detta terra in la R.G.C. ed altri differentij che tra loro sono stati, in lo quali accordio s’intenda e sia imposto perpetuo silentio:
In primis perché è consuetudine ed osservanza nella terra di Racalmuto che tutti quelli cittadini ed abitaturi di detta terra che tenino gallini sono obligati ogn’anno darne una al Conte di detta terra per prezzo di grana dieci, e cossì quelli che tenino pollastri averni a vendiri una per prezzo di grana setti, e similmente di quelli che tenino galluzzi venderni uno l’anno per prezzo di grana cinque, per tanto stante la nova convenzione ed accordio fatto, si è convenuto ed accordato che tutti quelli cittadini di detta terra che teniranno gallini, galluzzi ò pollastri siano obligati vendiri una gallina, uno galluzzo ed una pollastra tantum l’anno al detto illustrissimo signor Conti e successori in detto contato in perpetuum, li quali abbia di pagari per prezzo di grana dieci tantum si è gallina quanto galluzzo ò pollastra, ed avuta d’una casata che terranno detti pollami, cioè quella pollame che si troviranno aviri delli sopradetti tre nominati, cioè gallini, pollastri ò galluzzi ò parti di quelli di quelli secundo la pirsuna, che quelli terrà pagati nel modo detto di sopra per una volta tantum l’anno, non pozza in detto anno detto signor signor conti pigliarci più altra pollame di quella che avirà comprato nel modo predetto nel presente capitulo, ita che quella persona cittadina ò forastera abitatura di detta terra che non avirà pollastri e gallini non sia tenuto à loco di quelli darci gallini se non tantum la gallina predetta ogn’anno come sopra detto.
Item perché è antica consuetudine ed osservanza, et prohibizione potersi lavare nello loco d’undi currino li canali di la funtana di lo loco nominato lo fonti e la bivatura, e quelli che in tali lochi proibiti hanno lavato su stati incorsi in pena di onze 4.7.10 applicata detta pena le onze 4 allo barone che pro tempore sù stati ed al presente al Conte, e li tt. 7.10 a li baglij, per tanto stante la nuova convenzione ed accordio si patta e statuisce che ogn’anno s’abbia di promulgare bando per ordine di detto illustrissimo Signor Conte e suoi successori; lo detto bando di proibizione di lavarsi in detti lochi per lo quale si proibiscono tutti e qualsivoglia persone che siano in detta terra di Racalmuto di qualsivoglia stato grado e condizione che siano altro non eccettuato ne escluso eccetto che li genti di casa per uso di detto signor Conti, suo castello e casa, ma che tutti l’altri incorrono alla predetta pena delle onze 4.7.10 applicati del modo infrascritto, cioè delli tt. 7.10 alli Baglij tt. 3.15 e l’altri 3.15 abbiano d’entrare in potere delli magnifici giurati della detta terra, e cossì similmente pagandosi le dette onze 4 si debbano di partiri onze 2 à detto Conti ed onze 2 in potiri delli jurati, delli quali dinari di pena che intriranno à detti jurati s’abbiano da fare tutte le spese e tutti consi e cosi necessarij di detta fontana ed aquedutti, nello quali loco si concede facoltà ad ogn’uno dell’università putiri denunciari la pena di quella persona che ci incorrirà, ita che li lavandari di detto illustrissimo signor conte lavando altre robbe di casa di detto illustre conte siano nella medesima pena nell’esazione, della quale pena sia data l’autorità e potestà alli giurati presenti et qui pro tempore saranno di potere creare una persona deputata ogn’anno la quale habbia potestà d’esigeri auctoritate propria le sudette pene e pigliare in pena qualsivoglia persona che controverrà, la quale in fine anni anni aggia di rendiri alli giurati di detta terra justo e legali cunto della sua amministrazione e lo illustre conti non pozza impedire in cosa nessuna si non tantum et dumtaxat in la porzione che compatisce ad essole quale pene ch’entriranno ut supra d’erogarsi e spendiri tanto in la predetta fontana come in l’orologio ed altre cose in beneficio dell’università, ed in quanto alla pena di onze 4 relasciandoci il conte la sua parte, in tutto ò in parte s’intenda relaxata la parte competente alli jurati.
Item ch’è solito e consueto li cittadini ed habitatori di detta terra havendo macina et potendo macinare alli molini del conte di detta terra aviri di macinari in detto molino di detta terra, e non à quelli di fora, stante la penadi tarì setti e grana dieci, per tanto stante la presente convenzione e concordia si statuisce perpetuamente che di qua innanti li cittadini ed abitatori di detta terra dalli quindici del mese di aprile per tutti li quindici del mese di ottobre possano e liberamente vagliano a loro libertà andari à macinari dove più li piaceet accomodo etiam in l’altri molini, che non siano del detto illustre conte, e delli quindeci del mese di ottobre insino alli quindeci del mese di aprile, cui delli detti cittadini ed abitatori vorrà andari à macinari al altri molina che non à quelli del Conti fora lo territorio, ch’innanti siano tenuti ed obligati andare dove li piacerà a loro, ad uno delli molina di detta terra di detto conte, ed andando di giorno e trovando che li sia macina per tutto detto giorno, nello quale giorno, non pozza macinari, pozza e voglia liberamente andare dove li piacerà à macinare, e si andranno à macinari di notte, avendo detto molino macina per tutta la notte sudetta, nello quale lo detto cittadino non potrà macinare, pozza e voglia liberamente andare à macinare dove li piacerà absque incursu penae, come si è detto di sopra, e di questo se n’abbia di stare per lo giuramento dello cittadino ed abitatore della detta terra, e di questo se n’abbia di stare per lo giuramento dello cittadino ed habitatore della detta terra, ed allo garzone di detti cittadini ed habitatori di potere jurare, e si trovao o ritrovao macina per tutto quello giorno, per tutta quella notte, quando avirà andato à macinare in detti molini di detto signor conte, e che per avere ritrovato macina se n’andao ad altri molini di fora lo territorio di detta terra, e non osservando la forma di detto capitolo, incorrono nella sudetta pena, applicata conforme allo bando solito prumulgarsi, benvero che provandosi per testimonij non si stia allo juramento predetto si non alli detti testimonij, e questo s’intenda per l’altri molini, eccettuando li molina dello Raffo intendendo dello jorno della spunta del sole per insina ad ore ventidue, e la notte s’intenda dalli detti ore ventidue innanti.
Item che è solito e consueto che li baglij tanto della terra come del territorio, le pene che fanno delli contravenzioni delli bandi ed osservantij e consuetudini di detta terra alle persone farli pagare senza testimonij, ma solo in caso di controvenzione dare solamente lo giuramento allo baglijo e per la pena dell’animali che fanno del modo detto di sopra, doviri essere solamente con la presenzia di un testimonio, per tanto per la convenzione e concordia perpetuo valituri si patta e costituisce che li peni del modo detto di sopra, che li baglij faranno alle persone nella terra, abbiano d’essere con uno testimonio, e mancando detto testimonio, non s’abbia da stare allo giuramento del detto baglio, ma allo giuramento di quella persona, che sarà presa in pena, e delli peni di fora della terra e suo territorio si stia alla consuetudine ed osservanza che al presente.
Item perché è di consuetudine ed osservanza in questa terra, che qualsivoglia carne di bestiame grossa, che more fora la terra, e veni morta di fori, come bovina, e vacchina e di qualsivoglia altra bestiame, tanto salvatica, come domestica, non si poetere vendere per li cittadini ed abitatori di detta terra, senza che prima ne diano un quarto allo gabelloto della bocceria del conte di detta terra, per tantoper la presente convenzione e concordia si patta e statuisce che della bestiame bovina e vacchina che verrà morta di fuora stia in facoltà e libertà delli cittadini ed abitatori di detta terra padroni di detta carne, se vorranno dare lo quarto allo gabelloto della bocceria, ò vero darci denari quattro per rotulo alli bocceri, conforme alla gabella per tutta la quantità dello piso di detta carne, che venderà delli sopradetti animali morti di fora, come sono bovi, vacchi ed ogn’altro animale salvatico, ma in quanto all’altra bestiame minuta e domestica s’abbia d’osservare la consuetudine ed osservanza come è stato ed è al presente, e non li ptere vendere che non diano lo quarto d’ogni animali che disfarranno come sono crapi, becchi ed altra bestiame pecorina e poichè non fossero mortizzi, eccettuati li castrati, ed eccetto in lo caso preditto, che fossero mortizzi, sta che, li crapi e becchi si pozzano ammazzare come è stato sempre consuetudine ed è presenti intra la terra.
Item in quanto alli Borgesi e Massari che siano esenti delle persone della giornata cossì per correri e carriare alla massaria musto ed altro cosi, e levarci bestij ed altri servizij, e delle manne [a.v.: manni] che si dunano a filari alli donne siano similmente esenti di tali gravizij, benvero li giornatari, bordonari ed altre genti che sono soliti locarsi alli servizij siano obligati serviri secondo l’osservanza e consuetudine di detta terra, e cossì ancora s’intenda per le donne, che solino filare e servire, benvero che quelli massari con tutto che siano massari e borgesi e farranno offizio di giornatari siano obligati servire non ostante che fossero massari e borgesi, quando che non aviranno à fare servizij in la robba loro, e che vorranno fare li fatti loro, e di questo similmente si ni abbia da stare allo juramento di detto cittadino ed abitatore di detta terra, si averà da afre uno servizio in la robba loro, ita che sia obligato detto signor conte pagarli sicome si pagano l’altri massari e borgesi, e similmente le donne pagarle il prezzo che li pagano l’altri, ita che le donne che non sono solite fare servizio stiano e non siano angariate per detto illustre signor conte, nè per suoi in futurum nelli cosi premissi, e l’altri che non fanno tale officio, e che fanno li fatti loro siano esenti e liberi, e cossì s’intenda per li bestij di quelli massari e borgesi, che fanno servizio ad altri, ch’in tal caso siano obligati servire come è di costume pagarci però li loro servizij, e detto signor conte sia tenuto di pagare per le cose premisse conforme sono solite pafare li massari di detta terra, ita che volendosi il conte servire delli giornateri e di qualsivoglia altra persona che si lochirà alla giornata per un giorno tantum, l’abbiano di servire senza pagare giornata alcuna, si non che siano franchi delli tt. due della giornata che tocca al conte delli tarì cinque della baglia per giornata, e volendosi servire d’altri giovani siano obligati servire del modo sopradetto dummodo che si debbiano pagare il giusto prezzo, che paghiranno l’altri di detta terra.
Item stante l’animo bono che detto signor conte have ed ha avuto verso li suoi vassalli cittadini ed habitatori di detta terra, ci fà grazia che li terraggi non esatti dall’anno sesta [1578], e settima [1579] indizione, e cussì tutti l’anni passati che forte apparisse dover avere detto illustre signor conte, terraggi nelli quali fossero dati li terri à più sommadi salme due di terraggio per ogni salmata di terra, che quelli terraggi che non si trovano allo presente pagamento s’abbiano da pagare à raggione di due terraggi per salmata di terre, cioè salme due di formento, e lo resto ci lo relasciao e relascia.
Item perché è consuetudine in detta terra ed osservanza che tutti li cittadini ed abitatori di detta terra pagare la decima dello lino al detto Conte, per tanto stante la presente convenzione e concordia perpetuamente duratura, detto Conte li fà esente e libero di detta decima.
Item perché è osservanza e consuetudine in detta terra non si potere scippare nessuna vigna che fosse nel territorio di Racalmuto, per tanto stante la presente convenzione e concordia detto signor conte concede alli cittadini ed habitatori di detta terra alle persone che aviranno vigna in detto territorio, volendo quella seu quelli fare scippare, li possano fari scippari avuta la licenza prima di detto conte, e relazione di esperti, e stimatore che mettirà la corte che quella vigna che vorranno scippare sia di doversi scippare, ed avuta tale licenza e relazione possano scippare detta vigna ad effetto di seminarsi e d’altri arbitrij , e che detti esperti abbiano di fare relazioni in scriptis cum juramento, acciò di detta licenza n’apparisse atto publico.
Item perché è consuetudine ed antica osservanza in detta terra che ogn’anno eligersi e crearsi un rabbicoto , lo quale have eletto e creato detto conte e suoi antecessori baroni di detta terra, per tanto stante la presente convenzione e concordia si statuisce che ogn’anno le gente cittadini ed abitatori di detta terra possano per consiglio da tenersi dalli giurati di detta terra con licenza di detto conte e suoi successori eligersi tre persone cittadini di detta terra, à tale officio di rabbicoto ogn’anno, e di quelli tre eletti per detto consiglio lo rabicoto sia quello delli tre eletti per detto consiglio, lo rabbicoto sia quello delli detti tre sarrà confirmato per il conte il quale statim abbia di dare la pleggeria conforme alla prammatica.
Item che è consuetudine ed osservanza in detta terra li baglij delli loro diritti e raggioni di peni cossì della gabella della baglia ed altri raggioni, ch’anno da costringersi li cittadini ed habitatori e loro debitori à farsi pagare le pene, per tanto per la presente concordia e convenzione perpetuamente duratura che per le pene gli baglij non possano pogliare formento nè altro loco sopra li bestij à nessuno, che poi non sia condannato per dette pene che domandano, e per quello che è condannato non pozza pagare se non lo giusto prezzo che have di avere per la presente in quanto allo pagare della baglia dritti di detti peni in denari s’osserva quello che per lo passato s’have osservato e per lo presente s’osserva, cioè cui è obligato pagare in formento, paga formento, e cui denari paga denari, e benvero che il cittadino ed habitatori di detta terra per tutto lo giorno di S. Vito per ogn’anno, ed offerendo per detti causi pagarsi denari non sia tenuto nè obligato pagare formento.
Item perché è antica consuetudine ed osservanza in detta terra di tutto lo musto che si inchiude in detta terra e suo territorio pagare alli baroni che pro tempore sù stati ed al presente al conte, per ogni botte di musto tarì tre per botte nominayi li grana, e perché la botte di detta terra è la misura di quartari venti, pertanto per la presente concordia e convenzione si patta e statuisce che lo musto lo quale s’inchiuderà in una stipa, che fosse la caputa di quartari ventinove abbasso insino alli venti che detta ragione di grana di tale stipa s’abbia da pagare tarì tre, ed arrivando à quartari trenta, s’abbia da pagare per una botte e menza; se più di detti quartari trenta in suso fosse detta stipa di caputa, che dettaraggione di grana s’abbia di pagare quel tanto più che toccherà di caputa di trenta quartari e di quartari venti à basso la detta raggione si debbia pagare conforme alla consuetudine ed osservanza, che è allo presente, ita che per la quantità dello musto in detti stipi s’abbia di stare allo giuramento delli padroni di detto musto, ita che provandosi lo contrario tali padroni siano in pena di onze quatro d’applicarsi all’erario [a.v. thesoriere] di detto conte.
Item perché è antica consuetudine ed osservanza in detta terra, li cittadini ed habitatori di quella per li raggioni di semina, arbitrij e massarie, che fanno e seminano in altri lochi e feghi fora dello territorio di Racalmuto pagare allo barone, che pro tempore sù stati in detta terra, ed al conte ch’al presente è quella quantità medesima per raggione di terraggio , che pagano alli padroni che ci dunano detti terri, si come per lo presente si paga, per tanto per la presente convenzione e concordia si patta, e perpetuamente statuisce, che li cittadini ed habitatori di detta terra, li quali farranno li loro arbitrij di massaria e seminari in altri lochi, feghi e territorio ultra lo fego di Racalmuto, che per raggione di tirraggio detto di fora [sott. ns.] tantum et dumtaxat, abbiano e deggiano pagare due salme di formento per ogni salmata di terra, che seminiranno, e se le terre, le quali fuora di detto territorio di Racalmuto pigliranno à seminare s’havessero dalli padroni per più terraggio, e per gran somma che fosse, non possano né siano costretti né tenuti pagare più che la detta somma di salme due di formento per ogni salmata di terre che semineranno, perché lo resto detto signor Conte si contenta farcini grazia e relasciarcilo; e quando realmente e veramente senza nessuna malizia nè fraude di qualunque modo si potesse commettere li detti cittadini ed abitatori, trovassero terre aà terraggio delli patroni che darranno le loro terre à seminare che per mera raggione di terraggio pagassero manco di salmi due di formento per ogni salmata di terre semineranno, quel tanto manco che sarrà delli salme due pattati per ogni salmata di terre abbiano di pagare allo detto conte di detta terra, ita che dette persone non aggiano nè debiano fraudare terraggio, nè fare collusione alcuna directe vel indirecte, tacite vel expresse, e fraudando detto terraggio facendo collusione, incorrono in quella pena, che lo conte ordenirà per suoi bandi, alli quali bandipromettino stare ed acquiescere.
Item che è antica consuetudine ed osservanza in detta terra li cittadini ed abitatori di quella che tanto intra lo territorio di Racalmuto, quanto fora di detto territorio, seminano intra chiusi loro appatronati, pagare allo conte, come per lo passato hanno pagato alli baruni che pro tempore sù stati in detta terra li terraggi di dette chiuse loro appatronate, che hanno seminato e semineranno, cioè intra la baronia e contato di Racalmuto, à raggione di un terraggio per salmata di terre, in li chiusi fora lo territorio della baronia e contato predetto, per tummina otto di terra che semineranno ed hanno seminato pagare à raggione di salma una di formento per salmata di terra, e tummina otto di formento per tummina otto di terra, per tanto per la presente convenzione e concordia perpetuamente si patta e statuisce sopra questa raggione di terraggio di chiuse dentro e fuora territorio, pagare sicome per lo presente si ha pagato ed osservarsi l’osservanza e consuetudine in detto terraggio di chiuse dentro e fora territorio.
Item che è antica consuetudine ed osservanza li cittadini ed abitatori di questa terra di Racalmuto, che fora dello territorio di detta terra averanno maisi, ristucci ò li vendono à forasteri di quelli che non obstante non seminano pagarni lo terraggio come hanno pagato alli baroni che pro tempore sono stati ed al presente al conto, per tanto per la presente convenzione e concordia si patta e statuisce che li cittadini ed abitatori di detta terra, li quali fora di detto territorio di Racalmuto ed altri terri, lochi e feghi, che aviranno maisi e li venderanno à forestieri, che per detti maisi aviaranno avuto le terre a due terraggi o più di detti non li pagano, né debbiano pagare più di salme due di formento per ogni salma di terre di detti maisi e restuccie, e si per manco per ogni salmata di terre di dette maesi e restuccie haviranno havuto le terre per manco siano obligati pagare li dui terraggi non innovando cosa alcuna della consuetudine e confirmandosi nel modo del pagamento di lo terraggio con la promissione del capitolo della paga dello terraggio di fora.
Item perché è di consuetudine ed osservanza in questa terra di Racalmuto, che li cittadini ed habitatori di quella in lo territorio e fego di Racalmuto e di Garamuli nello metiri putirici teniri li loro bestij somerinini et bestij grossi che s’osservano del modo e dorma che al presente si costuma ed è consuetudine.
Item per la presente convenzione e concordia il signor conte si ha contentato e cossì patta e statuisce perpetuamente che li genti ed habitatori di Racalmuto patroni di loro vigne e chiuse andando a lavorare le dette vigne e chiuse per lo tempo statuito solito e consueto che per tale effetto li cittadini predetti ponno portare le loro bestiame lavoratori, si concede ch’essendoci vacche lavoratori con le quali lavoreranno dette loro vigne e chiuse e dette vacche lavoratori avessero vitelli loro figli, quelli detti cittadini ed habitatori di Racalmuto lavorando loro proprie vigne e chiuse possano liberamente portarceli si averanno insino al numero ò vacchi selvatichi ò ienchi mannarini se li concedi che li pozzano portare e teneri del modo che si ha detto di sopra.
Item perché è antica consuetudine ed osservanza in detta terra e territorio di Racalmuto li cittadini ed habitatori di quella ed altri genti che in detta terra e territorio vendessero li loro beni stabili senza licenza delli baroni, che pro tempore sù stati ed al presente del conte incurriri in la pena di perdiri detti beni, e perché si ritrovano al presente alcuni beni stabili in detta terra e territorio venduti senza ottenere licenza del conte, onde sono incorsi nella caducità et omissione [a.v.: dimissione] di detti beni, per tanto per la presente concordia e convenzione, stante che detto signor conte graziosamente li relascia et li dimitti la pena delli detti beni venduti senza licenza, in la quale hanno incorso, perpetuamente si patta e statuisce che la detta osservanza e consuetudine di non potere vendere detti beni stabili esistenti in detta terra e territorio senza licenza di detto signor conte si habbia di osservare, e cossì per la persente convenzione e concordia si patta e statuisce che detti beni stabili in detta terra e territorio di Racalmuto non si putiri vendiri senza espressa licenza di detto signor conte; ed havuta la detta licenza pagare la debita raggione di censi.
Item perché sole succederi spessissime volti persone poco timorose di Dio e di la loro coscienza per travagliare ed interessari ad altri accusarli indebitamente, pertanto s’abbia da supplicare à S.E. e Regia G.C. che si degni concedere che si possa ordinare e statuire si come per la presente convenzione e concordia obtenta licentia predicta e non altrimente si ordina e statuisce perpetuamente che accusando alcuno à qualche persona ch’elessi li termini e non facta probazione legittima di la continenzia di la causa, statim elassi li termini e non fatta probazione contral’accusato, pozza farsi tassare le spese per lo mastro notaro per la somma tassata farsila pagare di l’accusaturi contra lo quali si pozza procedere realiter et personaliter absque quindena e che in questo non si abbia d’osservare l’atto novissimo fatto per S.E. nella R.G.C.
Item che è consuetudine ed accordio che l’una e l’altra parte, cioè che tanto detto illustre conte, come li sindachi ed università preditta ad invicem si relasciaro e rimettino tutte le spese fatte usque ad hiernum diem per le sopradette liti in judicij et extra, benvero che declararo e declarano le presente spese essere alla somma di scudi ventimila per ogn’uno, e volsero e vogliono che tentando e volendo tentare detto illustre conte o suoi figli eredi e successori in detto stato in perpetuum alcuna cosa directe ò indirecte, per sè, nec per submissas personas, contra la forma, continenzia e tenore del presente contratto d’accordio, seu d’altra cosain quello contenta, tali casu che s’intenda ipso jure et ipso facto condannato à pagare dette spese alla detta università; né possano essere intese un cosa alcuna nisi prius solutis dictis expensis; e similmente contravvinendo ipsi sindaci che non possano essere intesi nisi facta soluctione predictarum expensarum ad esso illustre conte seu suoi heredi e successori in perpetuum perché cossì volsero ex pacto cum juramento firmato.
Item e qualsivoglia altre prerogative, consuetudini, osservanzij, preminenzij, jurisdizioni, immunità, franchizzi, servitù e libertà cossì civili come criminali soliti e consueti osservanzii non previsti nè statuti nè fattane espressa menzione per li presenti capituli, convenzione e concordia s’abbiano di guardare ed osservare nel modo e forma che sù guardati ed osservati al presente non innovando cosa nessuna ultra quelli portati e stabiliti per li presenti capitoli et etiam ex forma juris à detto conte e suoi successori competino e competiranno et similiter s’abbiano d’oservare in beneficio di detta università e dello conte e suoi successori.
Item che per l’avvenire né in nessuno tempo s’abbiano nè possano metteri novi vettigali, servitù, angarie, e consuetudini per detto signor conte, suoi figli, eredi e successori in perpetuum eccetto che non si mettessero ed imponessero con solito ed universale consiglio more solito.
Item che delli presenti capitulazioni e concordia se ne abbia da fare publico istrumento con tutte quelle clausole, cauteli, solennità debiti et necessarij, et quatenus opus est et non aliter nec alio modo se n’habbia di impetrare licenza, autorità e corroborazione si Sua Eccellenza e Regia Gran Corte e doppo della Mestà del Re nostro signore, le quali licenzie detto illustre signor conte procurerà e si forzerà impetrarle e fare ogni sforzo e debito suo, à sue dispese e non altrimente né in altro modo.
Item che è antica consuetudine ed osservanza che li cittadini ed habitatori della terra di Racalmuto, che principalmente hanno in gabella tenuti di terra inclusi et strasattati, ed altri territorij per quanto importa pro rata la gabella delli dette terre seù territorij inclusi e strasattati, si patta e statuisce perpetuamente che di qui innanzi quella persona che ingabellerà tenuti di terre, che sia di salmi 50 di terre, non sia obligato se non pagare uno terraggio per salmata di terre di quello seminerà intendendosici in detta somma di salme 50 tutte le terre salvaggie che si troveranno in dette terre e territorij, ita che la gabellazione della detta tenuta sia e s’intenda ingabellata per una persona tantum e non per più persone ed ingabellandosi per più persone che siano obligati a pagare lo terraggio à salme due di formento giusta la forma dello capitolo precedente numero 13, ita che la terra selvaggia non sia più della terza parte, sopra questa fraude né collusione alcuna directe vel indirecte, tacine vel expresse, giusta la forma del capitolo n.° 13.
Item che li predetti capitoli s’abbiano d’osservare in perpetuum tanto per detto signor conte che al presente è come per l’altri successori qui pro temporesarranno in detta università, quanto per li cittadini, ed habitatori forestieri che verranno ad habitare in detta terra.
Item che tutte quelle persone tanto cittadini quanto abitatori che ingabelleranno feghi etiam che fossero manco di salme cinquanta per quello che semineranno li padroni tanto cittadini quanto come abitatori della detta terra di Racalmuto abbiano di pagare à detto signor conte à raggione di salma una di formento per ogni salmata di terre che seminerà dentro lo sodetto fego, dummodo che siano feghi separati si come sono al presente.
Item perché è stato ed è consuetudine ed osservanza che tutti quelli cittadini ed abitatori di detta terra di Racalmuto che tengono chiuse dentro lo territorio di Racalmuto, Garamoli e Colmitelli di potere tenere per ogni menza salma di terre un bue, per una salma di terre due per ogni anno, ed una cavalcatura, per tanto s’abbia d’osservare detta consuetudine ed osservanza, et etiam che ci pozzano pasciri lo bestiame somerina quanto ni tengono giusta la consuetudine ed osservanza che per lo passato è stato ed al presente è.
Vidit Ascanius de Barone delegatus.
L’importante accordo fra il conte e l’universitas di Racalmuto (di grosso risalto per il diritto feudale e per le vicende del terraggio e del terraggiolo, l’odiate tasse baronali) avviene sotto il patrocinio dell’arciprete Romano, molto vicino ai del Carretto. L’arciprete mette a disposizione la chiesa madre per il raduno civico puntualmente descritto nel documento riportato. Mi sembra, comunque, che il Romano si sia mantenuto al di sopra delle parti. Costui era succeduto al D’Averna, ammesso che questi sia mai arrivato ad avere le insegne arcipretali dell’importante Ecclesia racalmutese, nel 1578, e vi resta in sella sino sino al giorno 28 luglio 1587, data della sua morte.
L’arciprete ritorna alla ribalta della storia locale dopo il suo decesso. In Vaticano si conservano le lettere del vescovo spagnolo di Agrigento che reclama lo spoglio dell’eredità Romano contro le pretese del conte del Carretto.
E taluni passi di quella missiva, datata 1599 , ci paiono esplicativi della microstoria cinquecentesca racalmutese.
Il detto Conte di Raxhalmuto per respetto che s’ha voluto occupare la spoglia del arciprete morto di detta sua terra facendoci far certi testamenti et atti fittitij, falsi et litigiosi, per levar la detta spoglia toccante à detta Ecclesia, per la qual causa, trovandosi esso Conte debitore di detto condam Arciprete per diverse partite et parti delli vassalli di esso Conte, per occuparseli esso conte, come se l’have occupato, et per non pagare ne lassar quello che si deve per conto di detta spoglia, usao tal termino che per la gran Corte di detto Regno fece destinare un delegato seculare sotto nome di persone sue confidenti per far privare ad esso exponente della possessione di detta spoglia, come in effetto ni lo fece privare, con intento di far mettere in condentione la giurisditione ecclesiastica con lo regitor di detto Regno. Et l’exponente processe con tanta pacientia che la medesme giustitia seculare conoscio haver fatto errore et comandao fosse restituta ad esso exponente la detta spoglia. Ma con tutto questo, esso Conte non ha voluto pagare quello che si deve et si tene molti migliara di scudi et molti animali toccanti à detta spoglia, non ostanti l’excommuniche, censure et monitorij promulgati per esso exponente et che detta spoglia tocca al exponente appare per fede che fanno li giurati, per consuetudine provata, et per le misme lettere della giustitia secolare che ordinao fosse restituta al exponente.
Et più esso Conte ha voluto et vole conoscere et haver giurisditione sopra li clerici che habitano in detta sua terra di Raxhalmuto et vole che stiano à sua devotione privi della libertà ecclesiastica, con poterli carcerare et mal trattare come ha fatto à Cler: Jacopo Vella che l’ha tenuto con tanto vituperio et dispregio dell’Ecclesia in una oscura fossa “in umbra mortis”, con ceppi, ferri et muffuli per spatio di doi anni et fin hoggi non ha voluto ne vole remetterlo al foro ecclesiastico. Anzi, perchè il vicario generale d’esso exponente impedio a don Geronimo Russo, genniro d’esso Conte et gubernatore di detta sua terra, che non dasse, come volia dare, certi tratti di corda à detto clerico et essendo stato bisognoso per tal causa procedere à monitorij et excommunica, il detto Conte fece tanto strepito appresso lo regitore di detto Regno che fece congregare il Consiglio per farlo deliberare che chiamasse ad esso exponente et al detto Vicario Generale et lo reprendesse, che è, stata la prima volta che in detto Regno si mettesse in difficultà la potestà delli prelati per la potentia di detto Conte.
Con lo quale di più esso exponente have liti civili per causa di detti beni ecclesiastici, per causa di detto archipretato.
Et di più don Cesare parente di detto Conte, per il suo favore, fece scappare dalle carceri à doi prosecuti dalla corte episcopale di Girgente, et perchè ni fù prosecuto, diventano innimici delli prelati.
Altri accenni alla chiesa di Racalmuto sul finire del Cinquecento, si trovano in un nostro lavoro “Racalmuto in Microsoft”, che riguardando tra l’altro il successore dell’arciprete Romano e cioè: .
Capoccio arciprete di Racalmuto
Il Vescovo Horozco, usa ed abusa dei benefici ecclesiastici di Racalmuto, anche per le sue velleità letterarie. Del resto, aveva nominato arciprete di Racalmuto il suo segretario particolare Alessandro Capoccio che non aveva neppure il tempo di prendere possesso di persona dell’arcipretura ed ebbe perciò a mandarvi due suoi rappresentanti, muniti di formalissimi atti notarili.
Tre anni prima, don Alexandro Capocho era stato inviato a Roma, al posto del Covarruvias, per prosternare la prima relazione ‘ad limina’ dei Vescovi di Agrigento al Papa .
Mons. Domenico de Gregorio parla del Capoccio nel lavoro prima citato (pag. 69) come uno dei due testimoni nel processo canonico del febbraio 1594 per la nomina dell’Horozco a Vescovo di Agrigento presso il nunzio pontificio in Spagna, Camillo Gaetano. In particolare, la testimonianza del Capoccio fu preziosa quando si trattò della situazione della Chiesa Agrigentina, dato che costui aveva «dimorato circa due anni nella .. città» di Agrigento. Peraltro, il Capoccio a quel tempo solo «da due mesi conosceva l’Horozco».
Si dà il caso che con tali testimonianze passò inosservata la mancanza della “limpieza de sangre”, avendo il designato sangue ebreo nelle vene, che era all’epoca d’ostacolo alle cariche ecclesiastiche. Il Capoccio venne poi compensato con la lauta arcipretura di Racalmuto.
Il De Gregorio è comprensibilmente circospetto e si limita ad annotare: «Il Covarruvias portò con sé alcuni ecclesiastici spagnoli che poi fornì di benefici come Ferdinando Rodriguez, nominato nel 1596 arciprete di Cammarata, il suo familiare Giovanni Aleyva cui nel 1602 diede il beneficio della Madonna dei Miracoli di Cammarata, il dr. Antonio Perez de Bobadilla nominato canonico, Alessandro Capoccio che fu arciprete di Racalmuto (1597) e Vicario generale».
Per quanto tempo il Capoccio sia stato arciprete di Racalmuto, s’ignora. Sappiamo che subentrò l’Argumento, nominato arciprete di Racalmuto nel marzo del 1600.
Di lui v’è cenno nel Sinodo del Vescovo Covarruvias del 1600-3. Tra gli altri viene nominato esaminatore sinodale. Resta oscuro se la successione nell’arcipretura sia avvenuta per morte o per caduta in disgrazia del Capoccio .
ANTICHE CHIESE
CULTO DI S. ROSALIA
Nella visita pastorale fatta a Racalmuto vi è un accenno ad una chiesa dedicata a S. Rosalia, ubicata nella bisettrice Carmine-Fontana. A leggere la storia di Sicilia di Denis Mack Smith - lo storico amico di Leonardo Sciascia - , si sarebbe portati a credere che Santa Rosalia sia stata un’invenzione del Cardinale Giannettino Doria. Fu questi in effetti che trasformò il rinvenimento di ossa nel Monte Pellegrino, il 15 luglio 1624, in un miracoloso rinvenimento della salma di Santa Rosalia.
Resta, invece, assodato che a Racalmuto il culto di Santa Rosalia è ben più antico. Non sembra che vi sia qualcosa su S. Rosalia nelle primissime visite pastorali agrigentine del 1540-3, dato che in quella del 1543 si accenna alle seguenti chiese racalmutesi:
1) Chiesa Maggiore, sotto il titolo di S. Antonio;
2) “Ecclesiola” sub titulo Annuntiationis Gloriose Virginis Marie, da tempo sede di una Confraternita e dove era stato trasferito il Santissimo, chiesa adibita ormai al posto di quella Maggiore, a quanto pare fatiscente;
3) Chiesa di Santa Maria del Monte;
4) Chiesa di santa Maria di Gesù;
5) Chiesa di Santa Margherita;
6) Chiesa di San Giuliano;
Nella precedente visita del 1540 abbiamo:
1) Chiesa della “NUNTIATA”
2) Chiesa di Santa Maria di Gesù (Jhù)
3) Chiesa di Santa Margherita
4) Chiesa di “Santa Maria di lo Munti”
5) Chiesa di S. Giuliano.
Il silenzio delle fonti - si sa - storicamente non comprova molto; ma è certo che a quel tempo quella chiesa, se vi era, non rivestiva agli occhi della curia vescovile grande importanza. Passando alla visita pastorale del 1608, la Chiesa di Santa Rosalia è posta nell’interno dell’abitato di Racalmuto. Il 22 giugno VI Ind. 1608, il vescovo Bonincontro la indicava in modo piuttosto esplicativo come meglio vedremo dopo.
Ribadiamo l’antichità del culto di S. Rosalia, di certo provabile sin dal primo decennio del 1600, un quarto di secolo almeno anteriore alla discutibile invenzione delle spoglie mortali in Monte Pellegrino se non da parte almeno sotto il cardinale Doria.
* * *
Senza dubbio la fonte storica sulla Chiesa di Santa Rosalia più antica ed accreditata è quella del PIRRI.
« Rahyalmutum - scrive a pag. 758 - [...] Pervetusta erat aedes ab anno 1400 circiter ubi ad annum 1628 dipincta videbatur S. Rosalia Virginis in habitu heremitico, sed incuria aliquorum ob novum aedificium dicatum eidem Virgini, cuius colunt reliquias, cum societate animarum Purgatorii, habennte uncias 70, deleta est.»
Può così tradursi il passo latino del Pirri: «A Racalmuto v’era una chiesetta [aedes] - antichissima - che risaliva all’anno 1400 circa. Fino al 1628 vi si poteva vedere dipinta un’immagine di santa Rosalia in abito d’eremita e portante una croce ed un libro tra le mani.. Purtroppo, è andata distrutta per incuria di alcuni, ormai tutti presi dalla nuova chiesa dedicata alla medesima Vergine, di cui venerano alcune reliquie con una confraternita denominata delle Anime del Purgatorio dotata di rendite per 70 once.»
Non si sa se la nuova chiesa di Santa Rosalia sia sorta in altro posto oppure sopra quella vecchia. Quella vecchia, nel 1608, collocavasi nel mezzo della bisettrice Carmine-Fontana. In dettaglio sappiamo che travavasi dalla parte della parrocchia di S. Giuliano: per giungere alla vecchia chiesa di Santa Rosalia, posta dalla parte di S. Giuliano, si partiva dal:
• Carmino et tira a drittura strata strata alli casi di Antonino Curto La Mantia;
• e tira strata strata per la cantonera delli casi et potya d. m.o Gregorio Blundo;
• et tira all’altra cantonera della Casa di Vincenzo Brucculeri affacci frunti la potya di M.o Gregorio Blundo;
• e dilla scindi a drittura alla Chiesa di Santa Rosalia
La linea divisoria prosegue, quindi, per le seguenti strade per giungere fino alla Fontana.
• dilla scindi alla Cantonera delli casi del quondam Carlo d’Afflitto parimente puntone della propria strada - et dilla tira per la medesima strada alla Cantonera delli casi del quondam Francesco di Liu
• et dilla tira dritto per l’orto di Cavallaro fino allo loco dov’era la chiesa di San Leonardo lo vecchio.
La chiesa dunque è proprio al centro, con tre strade sopra e tre sotto in quel congiungimento del Carmine colla Fontana.
Ripercorrendo il tratto dal versante della Matrice, ne abbiamo ovviamente la riconferma. Ecco i dati:
Si parte dal Carmine e di là
• si tira a drittura alla grutta di Pannella restando d.a grutta nella d.a parocchia della nunziata
• et scende allo capo della strada, per la cantonera della casa di Pietro Rizzo e per la cantonera della Casa di Antonino Curto La Mantia
• e tira strata strata per la cantonera della casa di Augustino la Lumia circa
• circa all’altra cantonera della casa di Giacomo di Puma affacci frunti della Chiesa di Santa Rosalia
Del pari, si scende:
• sino alla cantonera delli casi di Antonino Lo Brutto in un puntone della strada
• e per la ditta strada tira alla cantonera della potya di Vito di Salvo e tira alla Cantonera delli Casi di Anibali Piamontisi,
• e per la ditta strada tira alla cantonera della potya di Vito di Salvo e tira alla Cantonera delli Casi di Anibali Piamontisi,
• et dilla tira alla cantonera di Paulo Macaluso confinante con li casi di Geronimo di Nolfo et li casi di m.o Oratio lo Nobili fino alla fontana.
P. Morreale fornisce varie notizie sulla chiesa, ma non tutte, a mio avviso, sono accettabili. Nel volume MARIA SS. DEL MONTE DI RACALMUTO - Racalmuto 1986 - per il gesuita - «E’ posteriore la notizia di una chiesa dedicata a S. Rosalia in Racalmuto negli anni 1320-1330» (pag. 23);
• «I Racalmutesi non pensarono solo alle case; [..] anche alle chiese. Rocco Pirri chiama «antichissima, circa dell’anno 1400, che durò fino al 1628» la chiesa di S. Rosalia, dove la santa era dipinta «in abito eremitico, tenendo in mano la croce ed il libro». La notizia del dipinto la troviamo anche nel p. Cascini S.J. Nella sua opera «Santa Rosalia, vergine palermitana»; riferendosi alla chiesetta di Racalmuto dedicata alla Santa dice, ‘V’era l’effige della santa dipinta nel muro ... di questa prima immagine restandosi ben fissa nella mente ... Pietro d’Asaro, n’ha dato fuori un bell’esemplare’» (pag. 24) [Il testo del Cascini è del 1651, n.d.r.].
• «Il Cascini fa scendere la data di costruzione della chiesa, dal 1400 come vuole Rocco Pirri, alla fine del 1300.
«Per quanto riguarda l’ubicazione pare che sorgesse in fondo alle attuali vie Cavour e Baronessa Tulumello e che fosse di piccole dimensioni come affermano le carte del ‘600 e ‘700.» (pag. 24)
• «Santa Rosalia [...] fin dal 1320-1330 era onorata in una chiesetta a lei dedicata» (pag. 97);
• «Santa Rosalia riscuoteva venerazione e culto non solo nell’antica chiesa di Casalvecchio, ma anche in quella a lei dedicata nella nuova Racalmuto, sita tra l’Itria e il Collegio di Maria» (pag. 98).
Non so come il P. Morreale arrivi a collocare la chiesa di Santa Rosalia ‘tra l’Itria e il Collegio di Maria’. La chiesa del 1608 poteva benissimo essere colà ubicata, anche se i dati prima riportati farebbero pensare ad un posto più a sud, forse a monte di via M.A. Alaimo.
Il padre Antonio Parisi - secondo le note manoscritte che attribuisco all’arciprete Genco - sosteneva che «Racalmuto la patria mia fu la prima in tutta la Sicilia ad innalzare un tempio a S. Rosalia già sin dal 1238». Il P. Morreale - che mostra di conoscere quel manoscritto - parla invece del 1320-1330, dando pieno credito al p. Asparacio Domenico O.F.M. Conv. ed a quanto questi scrive in proposito a pag. 22 del suo libro «La Santuzza ossia S. Rosalia», Palermo, 1924. L’erezione della chiesa nel secolo XIII o nel Secolo XIV è frutto - secondo me - di una cattiva lettura del testo del p. Cascini quando accenna al muro cadente con sopra la residua scritta MCC. Il Cascini, invero, - come del resto dice lo stesso P. Morreale (op. cit. pag. 69) - «non fa distinzione tra l’antica e nuova Racalmuto; per cui la chiesa del 1320-1330 è quella della nuova Racalmuto, servita dai confrati del SS. Sacramento. [cfr. Cascini Giordano, S. Rosalia Vergine palermitana, pag. 14-15]»
Per mera congettura, sembra quindi che il gesuita P. Morreale s’induca a porre quella chiesetta a Casalvecchio. Secondo le credenze locali, finora mai smentite, si opina che in quel tempo Racalmuto fosse dislocato in quella contrada. Tinebra-Martorana non ha dubbi: sino al 1355 Racalmuto «occupava i luoghi ora detti Saraceno e Casal Vecchio» (pag. 68 e ss.). Ma, reputo del tutto infondata questa credenza per le ragioni e le letture che riporto in nota : escludo pertanto che la vecchia Chiesa di S. Rosalia - anziché lungo la bisettrice Carmine-Fontana - potesse ergersi a Casalvecchio, come vorrebbe il P. Morreale.
Il gesuita nostro compaesano è pregevole per ricerca storica ed archivistica e per sobrietà di stile: non ebbe però modo di accorgersi dei dati sulla chiesa di S. Rosalia contenuti nella Visita Pastorale del 1608. Men che meno, Eugenio Napoleone Messana, che ignorò del tutto gli archivi della curia agrigentina. Entrambi incappano, quindi, in topiche storiche circa il dislocamento di una chiesa a Casalvecchio. Sia S. Rosalia sia S. Margherita erano chiese antichissime, ma sempre poste all’interno dell’attuale perimetro edificatorio racalmutese, come le carte vescovili inconfutabilmente comprovano.
Le carte vescovili ed i dati del Pirri consentono una ricognizione, sinora mai effettuata, del numero delle chiese in Racalmuto, prima del ‘600.
Oltre alle n. 6 chiese rinvenibili nella visita pastorale del 1542-43, sono da annoverarne altre tre:
• l’antica chiesa di santa Rosalia;
• la chiesa di S. Leonardo ‘lo vecchio’, sita nei pressi della Barona, vicino la Fontana, e totalmente distrutta nel 1608;
• la chiesa di S. Benedetto (il Coenobium cum Ecclesia del Pirri), verosimilmente operante nel vecchio Campo Sportivo.
Non so se nel 1596 sorgesse nel Beneficio di S. Agata una qualche omonima chiesa di cui è comprovata l’esistenza in carte vescovili del XVIII secolo. Nell’ «ARCHIVIO STORICO SICILIANO» del 1908 , Nuova Serie, Anno XXXIII, F. M. Mirabella pubblicava un articolo su «Sebastiano Bagolino, Poeta latino ed erudito del Sec. XVI» (pag. 105 e ss.). Vi si parla anche dei difficili rapporti del poeta ed il vescovo di Agrigento Giovanni Orozco Covarrusias e Leyva di Toledo. Leggo a pag. 188: «Certo è che della sua traduzione [fatta dallo spagnolo in latino di alcune opere del vescovo] il Bagolino non si tenne adeguatamente compensato. Aveagli il vescovo fatto l’onore di ammetterlo alla sua mensa; aveva anche conferito a don Pietro Bagolino, fratello di lui, prima i beneficj di Santa Lucia e di S. Margherita in Castronovo, di S. Agata in Racalmuto, di S. Maria Maddalena in Naro, di S. Leonardo fuori le mura di Girgenti, e poi quello di S. Pietro nella stessa Girgenti col reddito annuo di 250 ducati. Ma questo al poeta non pareva un guiderdone condegno.»
LA NOVELLA CHIESA DI S. ROSALIA.
Efficace il Pirri nel parlare del fervore della confraternita delle Anime del Purgatorio nel costruire o riedificare la Chiesa di Santa Rosalia. L’anno è il 1628, qualche tempo dopo la tremenda peste che a Racalmuto infierì nel 1624 , anno del rinvenimento del corpo di S. Rosalia nella grotta di Monte Pellegrino, giusta appunto il giorno dell’Ascensione.
Nel manoscritto attribuibile al Genco è significativo il presente passo: «Poi a pag. 373 [il Cascini] narra che Racalmuto fu devoto di S. Rosalia tanto che narra: “Ne si mostrò poco divota verso S. Rosalia la terra di Rahalmuto, la quale come si è detto nel primo libro, fin dal suo principio, nacque sotto la protettione di questa Santa e vi dedicò la sua prima chiesa, havendola hora rifatta di nuovo; è incredibile la divotione, con che viene visitata a piè scalzo ogni sera non da pochi, ma d’una moltitudine grande. Però con molto maggior mostra di pietà, e humiltà ciò fecero il giorno quando accompagnarono la sua Santa reliquia, che fù l’ultimo di Agosto 1625, erano andati a portarla da Palermo, ben 80. a cavallo, e quella mattina, che fù Domenica, si cantò prima [pag. 375] la Messa nella Chiesa dei Padri Minori Osservanti colla solennità solita; e si liberò una spiritata; dopo il Vespro pur solenne si fece la processione, nella quale, benché vi fosse molta pompa d’apparato con tre archi trionfali, di luminarie per tre giorni, di concerto di Musiche, e salve di schioppi, nondimeno superava ogni cosa la devotione, che s’udia delle voci, e sospiri, e pianti, e si vedea della moltitudine tutta a piè scalzo.
Accettò la Santa la pietà loro, e gli mostrò a chiari segni, che la sua protettione l’havea liberati dalla pestilenza; imperoché havendo la terra delle Grotte presso à due miglia molto mal menata da quel morbo, colla quale così infetta per un buon pezzo, prima che fosse dichiarata, vi fù pratica stretta, per essere in buona parte parenti fra loro e haver molta communicatione, non si attaccò però male veruno; anzi entrandoci dentro appestati diversi, si di questa terra, come d’altre, i medesimi che la portavano poi in altri luoghi, quivi non vi lasciarono vestigio alcuno.»
Facendo la collazione con il testo originale, sono sate necessarie alcune rettifiche. (Si è consultata l’edizione del 1651 del volume del p. Giordano Cascini «S. Rosalia, Vergine Romita palermitana, palesata con libri tre dal M. R. P. Giordano Cascini della Compagnia di Giesù»). Il manoscritto racalmutese (ed anche p. Morreale) attinge a questa pubblicazione palermitana del 1651. Il p. G. Cascini era morto sin dal 1635 quando fu pubblicato questo volume. E’ stato il p. Pietro Salerno S.J. a riprendere gli appunti del Cascini ed a rimaneggiare altri due testi già pubblicati tra il 1627 ed il 1635 per fare questo ponderoso tomo. Per di più rettifica ed immette notizie posteriori, ragion per cui non si sa quali notizie siano originali del Cascini e quali interpolate successivamente dal Salerno. Nell’analisi critica dei padri autori degli «ACTA SANCTORUM» del 1748 queste anomalie sono puntigliosamente messe in rilievo. Certo, anche per la storia di Racalmuto, alcune interpolazioni del Salerno - tipo, secondo me, quella del riferimento al Monocolo - disorientano.
Notizie interessanti sulla Chiesa di S. Rosalia di Racalmuto - anche se forse non proprio fondate - si scoprono nel “SAGGIO STORICO-APOLOGETICO sulla vera patria del celebre medico D. Marc’Antonio Alaimo di Racalmuto dell’Abate d. S. ACQUISTA” Napoli 1852 (cfr. copia fornitaci da P. Biagio Alessi). «... Andrea Vetrano - scrive Acquisto a pag. 7 -, discepolo di Marco Antonio Alaimo, recitò nel novembre del 1662 le lodi funebri del dotto Maestro [...e] proseguendo [..] in conferma dell’assunto, e della pietà, che sempre più gelosamente si coltivò nella famiglia Alaimo, il medesimo scrive; che Aloisia Alaimo, dalla quale Marc’Antonio trasse sua origine, gettò in Racalmuto le fondamenta della Chiesa di S. Rosalia , unicamente a di lei spese, circa il 1200.
* * *
Nelle varie fonti prima citate si rinvengono briciole della storia locale di Racalmuto. Non vanno disperse. A parte qualche tocco di satanismo secentesco (la vicenda della spiritata), il vivere paesano, la sua religiosità, la sua organizzazione vi trovano riscontro sinora non adeguatamente messo in risalto. Le reliquie di S. Rosalia, comprate in Palermo e traslate in pompa magna nella chiesa di S. Maria dei frati minori osservanti, da ottanta cavalieri, assurgono a momento di grande rilevanza storica. Una conferma la ritrovo nel Diploma custodito in Matrice (che però è parziale e non mi consente di leggere l’ultima parte di destra.)
Ecco ciò che riesco a decifrare:
In alto, nello svolazzante nastro:
IOANNETTINUS DORIA ET C [/]
Nel rosone, attorno ad un’interessante immagine di S. Rosalia,
Sancta Rosalia Virgo eremitica panormitana
Sotto l’aquila nobiliare
NOS D: FRANCISCUS DELLA RIBA S. T [/]
Prothonotarius Apostolicus, Archidiaconus Maioris Panormitanæ E [/]
D.ni Nostri Utriusque signaturæ Referendarius .. & Reverend.mi D [/]
IOANNETTINI DORIA S.R.E. Titoli Sancti Petri in Monte Aureo [/]
& Archiepiscopi Panormitani [......] V [icarius] Generalis.
Omnibus ad quos hæ litteræ pervenerint fidem facimus, & testamur
fragmenta Ossis Costæ, quæ funi penes Fratrem IOANNEN BATTISTA [/]
Montis Carmelis esse ex Reliquiis SANCTÆ ROSALIÆ V[...] [/]
Urbis Patronæ; cuius Corpus nuper est inventum in Antro Montis [/]
mirabiliter inclusum ut autem duo fragmenta, ut supra, liceat universis [/]
[..] ac religiose venerari; in huius rei testimonium presentes dedimus nostra fut [/]
præfati Ill.mi Dni Cardinalis obsignatas. Panormi Die X.. Augusti VIII Ind. [quindi 1625] MDCXX[/]
Firme illeggibili
e in basso, nell’ovale sotto gli angeli
Lilia præstanis encedunt alma rosetis,
Ignea pestis adest, hac rutilante Rosa
O felix, faustumque solum cui sacra [...]
Pignora, tabificum despicit [..]
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