lunedì 5 dicembre 2016

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Renzi al Quirinale dopo Consiglio dei ministri:
dimissioni venerdì dopo ok alla manovra

Boschi
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di Alessandra Chello

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Titoli di coda sul governo Renzi. Nel lunedì dell'addio. Dopo il colloquio di un'ora con Mattarella e il consiglio dei minuistri-lampo, Renzi è salito al Quirinale come da protocollo. Ma la formalizzazione delle dimissioni avverrà solo dopo l'approvazione della manovra che nelle intenzioni del governo dovrebbe avvenire nei tempi più brevi possibili, forse già in settimana. D'altra parte il Capo dello Stato lo aveva detto chiaro e tondo già stamattina: «Ci sono di fronte a noi impegni e scadenze di cui le istituzioni dovranno assicurare in ogni caso il rispetto, garantendo risposte all'altezza dei problemi del momento». Come dire, adesso la priorità resta mettere in sicurezza la legge di Bilancio. Nella maggioranza dem c'è chi ha spinto proprio perchè Mattarella accettasse la via delle «dimissioni in freezer». Tecnicamente un congelamento breve. Brevissimo.  Una strada che porterebbe all'ok alla legge di bilancio con la fiducia tecnica entro venerdì.

E infatti la conferma arriva anche dalle fila dem. «Due, tre giorni è un tempo verosimile se c'è la volontà politica», spiega Ettore Rosato. Al Senato gli uffici sono già allertati. «Potremmo chiudere in 48 ore, venerdì al massimo, approvando il testo passato alla Camera», è la valutazione di fonti parlamentari confidando che si raggiunga la volontà politica unanime di un'approvazione lampo del Bilancio. «Quale convenienza avrebbe l'opposizione ad allungare i tempi?». 

 

Intanto gli scenari in campo sono già delineati. Primo: il rinvio del governo alle Camere per la formale verifica della sussistenza del rapporto fiduciario alla Camera e al Senato. Secondo: un governo-bis. Nomina di un nuovo esecutivo, presieduto dallo stesso presidente del Consiglio dei ministri, con eventuali modifiche della compagine ministeriale. Terzo: nomina di un nuovo presidente del Consiglio all'interno della stessa maggioranza. Quarto: governo del presidente o «di scopo» con guida affidata ad una personalità a forte identità istituzionale come presidente del Consiglio dei ministri. Quinto: governo «tecnico». Un esecutivo costituito da esperti, ma estranei alla vita politica in quanto tale. Sesto: elezioni anticipate. Il presidente della Repubblica scioglie le Camere ed indice nuove elezioni.

La prima possibilità sembra remota, almeno visto il discorso netto fatto da Renzi nell'annunciare le sue dimissioni. Se Mattarella decidesse di accettare le dimissioni di Renzi tutte le ipotesi contemplate sarebbero «agibili» per il Colle tenendo sempre conto di quelle «esigenze istituzionali» subito ricordate a tutti. Al termine delle consultazioni, Mattarella indicherebbe il nome del presidente del Consiglio incaricato, che per consuetudine accetta «con riserva» l'incarico, per verificare la fattibilità di un governo. Sciolta la riserva, presenterebbe la lista dei ministri al Presidente della Repubblica, giurerebbe e si presenterebbe alle Camere con un programma di governo ampio (nel caso di governo politico) o «di scopo» (per la riforma della legge elettorale e altre eventuali priorità indicate dal Quirinale).


Intanto l'ex premier affida la sua delusione ai social: «Mille giorni difficili ma belli. Grazie a tutti, viva l'Italia» scrive, in un tweet allegando un video «In mille giorni» che racconta attraverso slide e immagini di conferenze stampa i provvedimenti messi in campo dal suo governo. Una sorta di
«testamento virtuale»
 

Invece, il faccia a faccia al Colle anticipa il Consiglio dei ministri, in cui Renzi formalizzerà l'intenzione di dimettersi, prima di risalire al Colle per consegnare il mandato a Mattarella. Dovrebbe slittare, invece, a quanto si apprende, la Direzione del Pd annunciata ieri sera alla luce della sconfitta del referendum. La riunione, secondo fonti Dem, non è stata convocata e dunque potrebbe essere rinviata.

Il 59,11%, al No e il 40,89% al Sì è il risultato a scrutinio avanzato è la risposta degli italiani chiamati a ieri a votare per il referendum sulla riforma costituzionale. Una bocciatura severa che ha spinto Matteo Renzi ad annunciare, in conferenza stampa da Palazzo Chigi, poco dopo la mezzanotte, le sue dimissioni da premier: «Ho perso io, giusto dimettermi». Oggi pomeriggio, dopo una riunione del Consiglio dei ministri, si recherà al Quirinale per rimettere il mandato nelle mani del presidente della Repubblica.

La mossa dopo una giornata elettorale, che  è stata caratterizzata da un'affluenza che è andata molto al di là delle previsioni, collocandosi quasi al 69% degli aventi diritto, molto al di sopra del precedente referendum costituzionale del 2006 fermatosi al 53% nonostante si sia votato per due giorni. Una partecipazione che ha gonfiato le vele del composito fronte del No - M5S, Forza Italia, Lega, FdI, Sel e una consistente parte della minoranza Dem - verso una vittoria che è andata forse al di là delle speranze dello stesso schieramento. Sull'altro fronte, praticamente isolato, il solo presidente del Consiglio Matteo Renzi, il cerchio magico dei suoi fedelisssimi e il centrodestra di Alfano.

Il dato della prevalenza del No è uniforme su quasi tutto il territorio nazionale ad eccezione di tre regioni: Trentino, Emilia Romagna e Toscana. Nella prima il Sì ha staccato nettamente l'altro schieramento con il 57,3 contro il 42,7; in Toscana, dove Renzi giocava in casa, a favore della riforma ha votato il 52,4% contro il 47,6 del No. Singolare anche il risultato dell'Emilia Romagna, dove il Sì ha staccato il No di meno di mezzo punto. Di contro il No ha registrato i risultati migliori in Sicilia, Sardegna e Campania con percentuali anche superiori al 70%. Nella regione più popolosa, la Lombardia, la distanza tra i due fronti è stata inferiore al dato nazionale: il No ha prevalso con il 55,5% e il Sì si è fermato al 44,5%. Nel Lazio aumenta il divario: No al 59,7% e Sì al 40,3. Nella Capitale il No si è attestato al 59,4%.

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