Mps-Antonveneta, Mussari spese nove miliardi soltanto con una telefonata
di Giorgio Meletti | 24 agosto 2013
Economia & Lobby
di Giorgio Meletti | 24 agosto 2013
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Più informazioni su: Anna Maria Tarantola, Antonveneta, Bankitalia, Bnp Paribas, Fabrizio Saccomanni, Giuseppe Mussari, Mario Draghi, Monte dei Paschi di Siena
E invece è importante capire come andò. Perché, notate bene, nel libero mercato non è reato sfasciare una banca come il Montepaschi facendole comprare un altro istituto per il triplo del suo valore; né è vietato portare la terza banca italiana da 20 miliardi di valore a due. La Procura di Siena, infatti, ipotizza a carico di Mussari, dell’ex direttore generale Antonio Vigni e altri una serie di reati commessi dopo l’acquisto di Antonveneta, nel tentativo di attenuare i tragici effetti della gigantesca fesseria originaria.
Caporetto spensierata
Eppure la classe dirigente italiana dovrebbe riflettere sul perverso equilibrio politico-affaristico che ha consentito a Mussari di spendere 16 miliardi (9 per Antonveneta più 7 per i suoi debiti) con un’attenzione inferiore a quella che avrebbe dedicato all’acquisto (con soldi suoi) di un’auto usata. Il tutto nella distrazione generale, Bankitalia compresa. I magistrati cercano di capire e si vedono sfilare davanti i maggiorenti della banca e delle autorità di controllo, e tutti fanno come le tre scimmiette: non vedevo, non sentivo, non parlavo. Mussari faceva tutto da solo, proponeva e disponeva. L’allora capo della Vigilanza della Banca d’Italia, Anna Maria Tarantola, oggi presidente della Rai, andrebbe presa a simbolo di una classe dirigente tanto supponente quanto impalpabile di fronte alle responsabilità. Ai magistrati che le chiedono come mai Bankitalia – l’unica istituzione che poteva fermare Mussari – ha autorizzato l’incauto acquisto di Antonveneta, racconta un colloquio tra i vertici di Palazzo Koch (compreso l’allora governatore Mario Draghi) e quelli di Montepaschi, durante il quale “ci raccomandammo con i vertici di Mps di fare per bene l’acquisizione”. Per bene, dice testualmente. Sembra di vederla la Tarantola che a mani giunte si rivolge a Mussari come al nipotino discolo: “Mi raccomando Giuseppe, 16 miliardi sono sempre 16 miliardi”.
Non è l’unico momento grottesco che emerge dagli atti dell’inchiesta senese. Anzi, la dimensione surreale risulta dominante in questa Caporetto della finanza italiana, avvenuta tra il 6 e l’8 novembre del 2007. Ecco il consigliere d’amministrazione Turiddo Campaini, che rappresenta l’azionista Unicoop Firenze, di cui è presidente dal 1974 (sì, da 39 anni). Campaini è l’uomo che disse no a Giovanni Consorte per la scalata alla Bnl, poi ha pensato bene di buttare qualche centinaio di milioni di euro della cooperazione sul Montepaschi. Dice ai magistrati: “Ho saputo dell’acquisizione di Antonveneta in sede di consiglio di amministrazione in data 8.11.2007. Ricordo che il presidente Mussari o il direttore generale Vigni illustrarono l’operazione. Ci dissero anche che bisognava fare in fretta perché vi era il rischio che l’acquisizione non si facesse. Non ricordo se vidi il contratto di acquisto. Non ricordo se ci fu detto che era stata fatta una due diligence su banca Antonveneta”. Non ricorda niente, se non che diceva sempre sì.
Il mistero della “due diligence”
Parla Francesco Gaetano Caltagirone, uno degli uomini più ricchi d’Italia, allora azionista e vicepresidente di Mps: “Ho saputo dell’acquisto di Antonveneta in sede di Cda tenutosi il dì 8.11.2007. Ricordo che ci fu comunicato tra le varie (…) Tra l’entusiasmo degli altri consiglieri, io e il consigliere Gorgoni sollevammo qualche perplessità. Ricordo che all’annuncio chiesi, prima di votare, di vedere i documenti. Ricordo che fu fatto tutto molto in fretta. Ci furono dati dei documenti e il contratto di acquisto. La delibera, però, fu presa all’unanimità”. Poi aggiunge: “Non ricordo che durante la discussione in Cda fu fatto riferimento a una due diligence. Normalmente, quando si intende acquistare un’impresa la due diligence viene effettuata. Non sono in grado di dire se in quel caso fu fatta, ovvero se ne fu fatta una successiva”. Non sapendo, votò a favore.
Già, la due diligence. Quando si compra un’azienda, normalmente, si fa un contratto preliminare, poi l’acquirente manda i suoi esperti a scartabellare tutta la contabilità dell’azienda in vendita per verificare la congruità del prezzo stabilito. Stavolta il venditore, il Banco Santander, che poche settimane prima ha rilevato Antonveneta dall’Abn Amro per 6,6 miliardi, la mette giù dura: se Mussari vuole l’Antonveneta se la prende a scatola chiusa. Mussari se la prende. Nessuno fiata. Ecco per esempio che cosa racconta Fabrizio Saccomanni, oggi ministro dell’Economia, allora direttore generale della Banca d’Italia: “È molto probabile che Banca d’Italia abbia detto a Mps che il gruppo Antonveneta andava efficientato poiché l’Istituto non era particolarmente soddisfatto della gestione fatta da Abn Amro”. Quindi Bankitalia sa che la banca comprata non è in gran forma. Però autorizza senza chiedere: “Non ci fu segnalato che Mps aveva acquisito Antonveneta senza fare una due diligence. Devo dire che, per prassi, Banca d’Italia caldeggia sempre, in caso di acquisizioni, la due diligence preventiva”. Bankitalia dunque caldeggia in astratto, in stile Tarantola (“mi raccomando Giuseppe”), ma in concreto non vede, non sente e non parla. Non si preoccupa di niente, autorizza l’acquisto di Antonveneta per 9 miliardi senza rendersi conto delle modalità da bancarella con cui l’operazione viene condotta.
Dice Mussari: “Non ho condotto le trattative per l’acquisizione di Antonveneta e non ho fatto l’offerta di 9 miliardi di euro per il suo acquisto. Le trattative sono state condotte dal direttore generale e dalla struttura tecnica della banca”. Alessandro Daffina, amministratore delegato di Rothschild Italia, che curava per conto di Santander la vendita di Antonveneta, ricorda bene: “Quando ho trattato con banca Mps i miei colloqui erano prevalentemente con Mussari. Solo in poche occasioni era presente anche Vigni. Non era presente alcuno della struttura tecnica della banca”. E allora che cosa faceva la struttura tecnica? Parla Marco Morelli, all’epoca vicedirettore generale di Mps: “Ho avuto notizia dell’acquisizione di Antonveneta la mattina del dì 8.11.2007. Ricordo di essere stato convocato dal direttore generale”. La struttura tecnica non partecipa alla valutazione di Antonveneta, deve solo eseguire, in particolare deve mettere insieme i 9 miliardi. Morelli viene incaricato di trovare subito due miliardi di prestito-ponte presso il sistema bancario internazionale, e così ci regala una preziosa notazione sulla selezione meritocratica nel capitalismo di relazione: “L’incarico che mi fu assegnato avrebbe dovuto svolgerlo il direttore finanziario Daniele Pirondini. Ritengo che fu assegnato a me poiché Pirondini non parlava inglese”. Ecco le truppe scelte di Mussari: se è vero quanto so-stiene Morelli, dobbiamo dedurre che per la direzione finanziaria di una banca l’inglese non è indispensabile, evidentemente il capitalismo di relazione pretende ben altri requisiti.
“Bisognava chiudere in fretta”
Lo dimostra la testimonianza di un altro cane da guardia che avrebbe dovuto controllare Mussari, il consigliere Andrea Pisaneschi, uomo di Gianni Letta e Denis Verdini dentro Mps: “Chiedemmo al presidente se potevamo avere del tempo per visionare e studiare il contratto, per valutare con ponderatezza l’operazione. Mussari ci disse che bisognava chiudere in fretta”. Come non detto, niente ponderatezza: “Ci fu chiesto se eravamo d’a ccordo e noi lo rassicurammo”. Poco dopo Pisaneschi diventa presidente di Antonveneta. Spiega tutto ai magistrati Gabriello Mancini, il ragioniere della Asl di Poggibonsi messo alla presidenza della Fondazione Mps, azionista di controllo della banca, in quota Margherita: “Ricordo di avere avuto, in proposito, un colloquio con Mussari il quale indicò Pisaneschi alla presidenza della banca. Egli motivava questa sua indicazione con motivi di opportunità politica e nei seguenti termini: poiché Antonveneta aveva i suoi maggiori interessi in Veneto, regione a forte connotazione politica di centrodestra, era opportuno che il presidente fosse della medesima area politica”. Così adesso sappiamo a che tipo di due diligence dedicavano il loro tempo Mussari e i suoi sodali.
E che cosa dice il venditore, Emilio Botin-Sanz De Sautuola Garcia De Los Rios, d’ora in poi per brevità Botin? Il presidente del Santander è uomo che va per le spicce: “Non ci furono riunioni con i rappresentanti di Mps per negoziare la vendita di Antonveneta, ma si trattò tutto per telefono (…), due o tre volte con Mussari”. Ma c’era davvero questa offerta di Bnp che giustificava la fretta indiavolata di Mussari? Lo sostiene Daffina di Rothschild: “Botin intratteneva rapporti diretti solo con Bnp Paribas interloquendo direttamente con Baudoin Prott (il numero uno della banca francese)”. L’interessato dice di non aver mai parlato con Prott e che dell’offerta Bnp lo sapeva da Rothschild, perché lui “non parlò con nessuno di Bnp, né nessun’altra persona della Banca Santander parlò con i manager di Bnp”.
Piange il telefono
E dunque, alla seconda o terza telefonata con Mussari, Botin dice “9 miliardi, risposta entro 48 ore, prendere o lasciare”, e Mussari, racconta Botin, “tentò di abbassare il prezzo ma lui era consapevole di essere in una posizione ottima per mantenere il prezzo, dato l’enorme interesse che il compratore aveva”. Mussari tenta il colpaccio di cavarsela con 8 miliardi, Botin non molla. Tutto al telefono, in pochi minuti, miliardi che vanno e vengono come se trattassero lo sconto su un paio di scarpe. Mussari dirà poi al mercato che “il corrispettivo per l’acquisto dell’intero capitale di Banca Antoveneta è stato concordato tra Mps e Banco Santander nell’ambito di un processo negoziale competitivo”, una frase priva di senso su cui, ovviamente, la Consob non ha neppure chiesto spiegazioni. E intanto la classe dirigente al gran completo (azionisti, amministratori, sindaci revisori, autorità di controllo e, naturalmente, politici) si preoccupavano solo di spellarsi le mani inneggiando alla grande operazione, già pronti a dire un giorno, eventualmente, che loro non ne sapevano niente.
Twitter: @giorgiomeletti
Da Il Fatto Quotidiano del 21 agosto 2013
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di Giorgio Meletti | 24 agosto 2013
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