Oh quanto avremmo voluto essere smentiti dai fatti ed invece
neppure il mio pessimistico spirito profetico era riuscito a prevedere tutta la
catastrofe amministrativa che questa dissennata gestione commissariale sta
producendo a Racalmuto.
Persino il lavoro più stabile e più indispensabile stanno
rendendo precario. Per dieci anni Racalmuto si vedrà spalmato il precorso
improvvido deficit di bilancio. Gli ELLE ESSE U se abbiamo capito sono finiti
per il momento – che non si sa quanto dura –i n cassa integrazione dell’INPS ed
anche loro concorrono – innocenti – a fracassare gli equilibri economici patrimoniali
e finanziari di questa ASSICURAZIONE
SOCIALE (sociale quanto si vuole ma sempre ASSICURAZIONE con obblighi di congrue
riserve matematiche).
Noi di Racalmuto abbiamo fatte tante di quelle baruffe
chiazzotte e siamo arrivati persino alla dissennatezza di permettere e persino
auspicare una triade commissariale che peraltro appare spesso preda di livori
impiegatizi. Ero al Centro Commerciale, quest’autunno con due alti esponenti della
disciolta amministrazione. Ci investe un tipo, credo ex amministratore, che
strillava e invocava pressioni per non far decorrere invano l’anno tassaiolo
del 2006. Avevo voglia di cercarlo di erudire dicendogli che non c’era più TARSU, e quella nuova era una impostazione privatistica, era a base tariffaria per
cui un servizio mi dai un costo ti pago in rapporto anche alla qualità del
servizio e soprattutto rimesso quel gravame alla discrezionalità del Comune. No!
Manco mi capiva; c’era solo la preoccupazione che potessero scattare (e prima o
poi scattano) le azioni di responsabilità patrimoniali per danni arrecati all’erario,
un intervento della Corte dei Conti, insomma. E in verità questi commissari
esosi e pedanti in troppe faccende per altre sonnecchiano. almeno per il
momento.
Occorre il risveglio a Racalmuto, occorre uscire dall’accidia
come ho già scritto in un post che manco trova attenzione adeguata e pertanto
lo reitero qui.
...per
mestiere spiego bene agli altri quello che per me non comprendo.
Profilo
martedì 8
gennaio 2013
Confesso
la mia piacevole sorpresa nel vedere visitato a frotte ed in poche ore il mio
post provocatorio (per celia) diretto all’amico Piero Carbone. Mi dico non
vestirti delle penne del pavone, il richiamo promana da Piero. Cristo Santo ma
Piero è così popolare?. Certo certissimo. Fascino intellettuale a parte e
incidenza letteraria di prjm’ordine hanno prodotto il miracolo dell’affollato
ascolto delle note del Taverna.
Purtuttavia,
qualche merito debbo averlo. Credo che si tratti dell’additata prospettiva di
valorizzare questa ormai cattedrale nel deserto che è la Fondazione.
A leggere i primissimi articoli dello statuto, l’esorbitante spreco di soldi
pubblici, la regalia dello stabile residuo della incipiente indutrializzazione
di Racalmuto (iniziata nel fascismo e seppellita nel dopoguerra), la dotazione
di accorgimenti informatici dell’ultima ora, pretesa dalla famiglia per dare
quello che doveva dare (e dopo manco tutto diede) dovevano far di Racalmuto una
fucina letteraria, culturale, esegetica intorno all’opera (magistrale) del
grande Sciascia. Altrimenti perché si sarebbero spesi tanti soldi? Per nulla?
Per le rimembranze di coloro (forestieri) che godettero dei “ricchi silenzi” di
Sciascia nel chiuso di un “grumo d’affetti e d’intelligenze”? Non ce l’ho con
il prof. Antonio di Grado, che anzi a seguirlo su FB mi convince e mi erudisce
sempre più. Solo vorrei che tirasse fuori i suoi zebedei per imporre saggezza,
dignità, iniziativa, slancio statutario a chi vi bivacca per un lauto pranzo o
per un esagerato rimborso spese, credendo che per sé e la degnissima consorte
gli alberghi non sono degni se non oltre le cinque stelle.
Non
nego che cose buone siano state fatte, che niente è stato banale – salvo
qualche indulgenza ad aspiranti storici o filosofi o a qualche poeta vulgo
sciocco – ma molto e molto di più era doveroso fare. Intanto, mi risulta che il
fascicolo “Sindona” non sta in Fondazione, che le carte vescovili di Mons.
Ficarra latitano (e non credo per scrupoli ecclesiali), che i ritegni
testamentari valgono salvo interesse contrario. Ma lasciamo perdere, non
sapremmo ora con chi prendercela; prima si poteva, prima si doveva. Tutti
quelli che si sono assisi nello strapuntino della cattedra sciasciana hanno
colpe da cui si dovevano emendare e non l’hanno fatto. Ora, risvegliamoci;
riprendiamoci quello che ci spetta; trasformiamo un inutile e pretenzioso
maniero al vertice d un paese parsimonioso e dignitoso, ricco di case a misura
d’uomo che non dimentica le sue recenti dimensioni contadine.
Non
sono né letterato né moralista, mi pare però che ad ottant’anni e dopo mezzo
secolo di letture sciasciane scoprire che il “rondismo di Sciascia” è ancora un
lato oscuro di questa sublime esperienza letteraria di un ex sartore divenuto
il maestro della lingua colta di fine novecento; dovere ammettere che l’alterco
(cortese ma agguerrito) tra Sciascia e Pasolini sullo scrivere, sulla buona
tecnica scrittoria, sul diverso approccio tra il conosciuto ed il conoscibile
non fu una questione di puntiglio tra sommi, tanto ed ancora tanto resta
nell'ignoto e non è tollerabile. Non posso farmi anchilosare dal francese
Claude Ambroise che si crede originale negligendo l’istinto tutto gallico nel
dire cose chiare e distinte ed aggrovigliarmi in vacui endiadi
del tipo : “scrittura della verità o verità della scrittura: in uno
scrittore , il problema della verità è, per forza, reperibile nella pratica
della scrittura”. Davvero Sciascia fu ossessionato dalla verità? forse non
apprezzò Bulgakov che nel Maestro e Margherita scopre che Cristo alla richiesta
di Pilato su che cosa fosse la verità, tronca il discorso e si consegna alla
crocifissione? Non aveva letto sorbito Pirandello, già? Cosi è se vi pare. In
uno scritto minimo, presentando le memorie di Tinebra, il Nostro si lascia
andare ad una umanissima confidenza: “voglio confessare che anch’io non mi
sono privato del piacere di riportare un documento pur conoscendone la
falsità”. E lo fece spesso: ricordarsi dell’appunto di Spagnoletti sulla
documentazione di cui si avvale Sciascia nell’osannare il poeta morto bruciato
per incendio nelle carceri dirette da don Luis de Pàramo, Antonio Veneziano. Ha
poi un bell’esibire Russi Sciuti carte secentesche che smontano fame, miseria,
violenza e muffoli di fra’ Diego. Divertente: Felice Cavallaro ragguaglia con
fedeltà su questa irruzione della “verità” nel palazzotto in cima al colle della
Fondazione, il sunto pubblicato viene talmente emendato da fare apparire
persino conferma la contestazione Russi Sciuti.
Non
soffriamo di pedanteria, per noi tutto è cultura, tutto è umano, specie nel
suonare le varie corde, in particolare quando si pizzica la corda “pazza”.
Ma
pizzicare per pizzicare, che grande concerto per sola chitarra potrebbe
congegnarsi in questa nostra Fondazione, che studi concentrici su Sciascia che
si irradiino però sino all’infinito (umano)! Che occasione di lavoro proficuo,
intellettuale, degno di questa intelligenza sconfinata racalmutese che
purtroppo quasi sempre si disperde nell’accidia soffocante! Questa la chiusa
del mio post che tanto riscontro d’ascolto ha avuto. Qui ho voluto ribadire.
In
seguito cercherò di sfruttare questa insperata attenzione per reiterare su cose
già dette nei vari blog: occupazione indotta da iniziative industriali e
culturali quali lo sfruttamento delle nostre risorse naturali, alabastro, il
giallo dello zafferano di Strabone (ne parla in greco infatti questo geografo
dell’era augustea); attuazione delle disposizioni testamentarie a partire da
quelle di Ferdinando Martini per day hospital con riguardo al'alleviamento dei
mali psichici diffusi nelle malattie mentali (idea già sviluppata nel mio
progetto del parco letterario, progetto sabotato per la speciosa argomentazione
che vi era oltraggio alla memoria di Sciascia); scuole professionali di
addestramento del personale impiegatizio comunale, lasciato spesso in balia di
se stesso e quindi indotto ad assurdità amministrative e legali come occorsomi
per la vecchia ici; iniziative imprenditoriali in joint venture tra ente locale
e forze giovanili in settori quali il turismo, le culture specializzate, la
salvaguardia ambientale; ricerca di collaborazione di capitali esteri (oggi
vorrebbero investire i cinesi per alleggerire il loro dissennato finanziamento
del debito pubblico americano; trovano ostacoli burocratici per sotterranee
pressioni d’oltreoceano); e così il nostro dormiente progetto aeroportuale con
scali merci e non di passeggieri cessa di essere solo un sogno nel cassetto.
Quel
che occorre è una nuova amministrazione comunale, con idee, con coraggio, un
po’ ma non troppo spregiudicata, colta e idonea al colloquio con forze
industriali di questo nuovo diverso millennio.
Buona
volontà senza cultura, ed anche conoscenze professionali rapprese nel
prticolarismo paesano finiscono nel mattataio di un blog localistico. Vedo che
Piero Carbone ha ascolto, ha persino seguito personale, è ”homo politicus”
oltre che letterato molto raffinato. Si inizi a costituire un tiaso di
intelletti non immondi (e a Racalmuto vi stanno e in abbondanza) e ci si
prepari a subentrare il più presto possibile a questi signori venuti da lontano
per osteggiare inventate infiltrazioni mafiose (tanto inesistenti da
costringere un giudice a condannare alle spese il ministero retto dalla nostra commissariante
Ministra Cancellieri, socia onoraria del Circolo Unione).
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