IL QUATTROCENTO ECCLESIASTICO A
RACALMUTO
Il quattordicesimo secolo vede i Carretto impossessarsi, prima, e padroneggiare, dopo,
la Terra di Racalmuto. Come questa famiglia genovese (o di Finale Ligure)
si sia impadronita di Racalmuto, facendone un personale feudo con mero e misto
impero, è mistero ancor oggi non dipanato. Vi fu al tempo del figlio di Matteo
del Carretto - all’inizio del secolo XV - una necessità
difensiva di fronte alle inchieste di Martino e, in parte fondatamente, in
parte capziosamente, si fecero risalire al matrimonio di una Costanza
Chiaramonte con Antonio del Carretto le origini della baronia di Racalmuto in capo
a quella famiglia proveniente da Genova. In un atto - mezzo falso e
mezzo vero del 13 aprile 1400([1])
- abbiamo le ascendenze ed i titoli per la legittimazione baronale di
Racalmuto. Lasciamo qui agli araldici ed agli storici il compito di far luce
sulla questione, che inquinata com’è nelle sue più antiche fonti, difficilmente potrà essere del tutto
chiarita. Ed è comunque questione che poco ha a che vedere con la storia
religiosa del nostro paese: la storia che specificatamente interesse noi in
questa sede.([2])
Quel che ci preme è qui sottolineare come proprio sotto
Matteo del Carretto fu scritta e tramandata un’importante pagina
di storia sacra locale. Al barone di Racalmuto si rivolgeva Re Martino per la traslazione del
beneficio canonicale di S. Margaritella da un canonico fellone ad altro di Paternò, fedele
alla causa dei Martino, pur soggetti a cocenti scomuniche papali. Si era
conclusa la triste vicenda della ribellione dei Chiaramonte - che pur dovevano essere legati da vincoli di
sangue ai del Carretto - ed era stata domata la resistenza palermitana di
Enrico Chiaramonte. Il re aragonese, tra l’altro, cominciò a metter mano alla
riforma ecclesiastica. In un certo senso ne aveva diritto per quello strano
istituto tutto siciliano e peculiare che fu la Legazia Apostolica. Per la liberazione dai
saraceni da parte dei
Normanni, il Papa aveva accordato ai regnanti di Sicilia una
inconsueta rappresentanza religiosa in forza della quale il legato del Pontefice anche in materia religiosa in
Sicilia era proprio il re. E Martino ne approfittò per togliere e donare
canonicati, prebende e riconoscimenti onorifici di natura ecclesiastica.
Anche Racalmuto, con il suo vetusto
beneficio di S. Margaritella, entrò in questo aberrante
gioco politico-religioso. Chiarisce bene la vicenda il documento che qui
riportiamo in una nostra traduzione dal latino ([3]):
«Martino etc. Al reverendo padre GERARDO
DE FINO arciprete della terra di
Paternò, cappellano della nostra
regia cappella, predicatore e familiare nostro devoto, grazia etc..
I lodevoli
meriti delle vostre virtù ci inducono ad elevare la vostra persona agli onori
ed ai grati riconoscimenti. E così apprezziamo quelli che sappiamo essere i morigerati vostri costumi di vita di cui v’è generale stima e nei quali noi
siamo pienamente fiduciosi, e pertanto per l’autorità apostolica in ciò a noi
sufficientemente accordata, il canonicato di Santa Margherita di Racalmuto della diocesi
di Agrigento con prebenda,
redditi e i suoi debiti e consueti proventi - canonicato che si è reso vacante
in atto per il nefando tradimento del prete Tommaso de Manglono, nostro ribelle al tempo della secessione contro le
nostre benignità - fiduciariamente vi commendiamo e per grazia vi conferiamo,
concediamo e doniamo in modo che possediate la prebenda, l’aumentiate, la
teniate, ne usufruiate e l’amministriate con i suoi redditi e proventi che
potrete destinare alla vostra comodità affinché in modo più consono - Dio
permettendo - possiate trarne mezzi di sussistenza durante la nostra vita e
finché quel canonicato ci resterà affidato dall’autorità apostolica.
Ai nunzi ed
agli incaricati presso il venerabile eletto governatore della predetta maggiore
chiesa agrigentina nonché al consesso dei canonici diamo incarico acché vi
pongano e vi immettano nel materiale e reale possesso di quel canonicato, con
prebenda redditi ed i suoi debiti e consueti proventi, per l’autorità delle
presenti credenziali, oppure che ve ne rendano il possesso per il tramite di
altri, non mancando di tenerlo intatto e di salvaguardarlo e di rendervelo
quindi integro sia per quanto attiene allo stesso canonicato sia alla
pertinente prebenda nei consueti termini giuridici.
Noi,
infine, ci rivolgiamo e diamo mandato al nobile Matteo del Carretto barone di
Racalmuto, nostro consigliere ed ai restanti ufficiali nonché
alle altre persone del nostro regno che ci sono fedeli tanto presenti quanto
future acciocché a voi ed ai vostri procuratori facciano rendere integralmente
e pienamente la prebenda, i redditi con
i consueti e dovuti proventi di pertinenza dello stesso canonicato, se
desiderano e possono mantenere la nostra benevolenza.
Dato in Siracusa, l’anno del Signore, VII^ Ind. 1398.
.... Re Martino - »
Il documento fu ben presente a Gian Luca Barberi che gli tornava acconcio per ribadire
l’autorità delegata dal Pontefice ai re di Sicilia per i benefici
ecclesiastici. Sul passo del Barberi si basa poi il Pirri per assegnare il beneficio di S. Margaritella di Racalmuto ai canonici di Agrigento. ([4])
Nel diploma si accenna solo al ‘canonicatus
Sancte Margarite de Rachalmuto’: diversamente da quanto poi afferma Luca
Barberi, quando scrive attorno al 1511, nell’originale non si fa accenno di
sorta ad alcuna chiesa dedicata alla santa in Racalmuto. I benefici, sì, ma la
chiesa è dubbia. Intanto si è certi che solo in prossimità del 1511 è provata
l’esistenza in Racalmuto di una chiesetta del canonicato di Agrigento dedicata a S. Margherita. E prima?
Tanti collegano - come già detto - quella chiesa ad un
diploma del 1108, ma ciò origina da una interessata tesi della curia
agrigentina. Il beneficio può benissimo essere sorto a metà del XV secolo per
accordo tra la curia vescovile ed i Chiaramonte, più verosimilmente Manfredi Chiaramonte, oppure per benevola
concessione di quest’ultimo a peste cessata ed a suggello del concordato col
Papa.
GLI EBREI A RACALMUTO
La presenza di ebrei a Racalmuto e la loro convivenza con la locale cristianità
sono dati certi, ma non tanto per la contrada del Giudeo (Judì) o per il singolare nome di una lumaca
(lu judiscu), quanto per quello che ci dicono i due fratelli Lagumina (di cui uno, Bartolomeo, è stato vescovo di
Agrigento), nella loro monumentale
opera sugli ebrei di Sicilia, prima della cacciata da parte di Isabella nel
1492. ([5])
Raccapricciante lo squarcio di cronaca nera che gli archivi
palermitani ci hanno tramandato. Insieme, viene fornito uno spaccato degli usi
e costumi racalmutesi in quel periodo. Era l’anno 1474 ed a Racalmuto veniva commesso un efferato crimine contro un
ricco ebreo, dedito certamente all’usura. Trattasi di documento interessante e che va qui riportato
integralmente sia per la singolarità della testimonianza sia pure per
l’affiorare di antichi termini dialettali della nostra terra.
«Il Vicere’ Lop Ximen Durrea dà commissione ad Oliverio RAFFA di recarsi
a Racalmuto per punire coloro che uccisero
il giudeo Sadia di
Palermo, e di
pubblicare un bando a Girgenti per la
protezione di quei giudei.»
«Ioannes etc. Vicerex etc. nobili oliverio raffa
militi algoczirio regio fideli dilecto salutem. diviti sapiri comu quisti iorni
prossimi passati sadia di palermo iudeu lu quali habitava in lu casali di
raxalmuto actendendo ad alcuni soy fachendi li quali fachia in lu dictu casali fu primo locu mortalmenti feruto
da uno liuni figlastro di mastro raneri et dapoy alcuni altri di lu dictu
casali quasi a tumultu et furia di populu dediru infiniti
colpi a lu dictu iudeu non havendu timuri alcuno di iusticia. Immo diabolico
spiritu ducti tagliaro la lingua et altri menbri et ruppiro
li denti usando in la persuna di
lu dictu iudeu multi crudelitati et demum lu
gettaru in una fossa et copersilu
di pagla et gictaru foco petri
et terra. la qual cosa essendo di malo
exemplo merita grande punicioni et nui tali commoturi di popolo et delinquenti volimo siano ben puniti et
castigati a talchi ad ipsi sia pena et supplicio et a li altri terruri et
exemplo. E pertanto confidando di la
vostra prudencia ydonitay et sufficiencia havimo provisto per
sapiri la veritati e quilli foru a tali malici participi et culpabili. et per la presenti vi dichimo
commictimo et comandamo che vi digiati personaliter conferiri in lu dictu
casali et cum quilla discrepcioni
lu casu riquedi digiati inquisiri et investigari cui dedi a lu dictu et
li persuni li quali si trovaro a lu dictu tumultu et actu. et eciam si lu
populu fra loru accordaru amazari lu dictu iudeu et cui si trovau presenti et partechipi a la dicta morti et delicto. et
de tucti li sopradicti cosi fariti
prindiri in scriptis informacioni et in reddito vestru li portariti a nui.
comandanduvi chi cum diligencia et cum quilla discrecioni da vui confidamo
digiati prindiri de personis tucti quilli foru culpabili et si
trovaro alo dicto acto et quilli digiati
minari in la chitati di girgenti et carcerarili
in lu castellu di la dicta
chitati in modo chi non si
pocza di loro fuga dubitari. E perche
siamo informati che a lu dictu iudeu fu prisa certa roba et intra
li altri uno gippuni in lu quali si
dichi erano cosuti chentochinquanta pezi doro farriti di lo
dicto gippuni e di tucta laltra roba libri et
scripturi diligenti
investigacioni et perquisicioni
cui li prisi et in
putiri di chi persuna sono. et
trovandoli cum ydonia et sufficiente pligiria de restituirili ad omni
simplichi requisicioni di la regia curia li restituiriti a li heredi di lu dictu
iudeu. preterea perche multi
audachi et temerari persuni li quali
poco timino la iusticia
presummino in la chitati di girgenti
parlari et usari alcuni prosuncioni et adminanzi ac
iniurij contra li iudei
di dicta chitati di che porria suchediri inconvenienti et scandalu
non senza disservicio di la regia
curti. a
li quali inconvenienti volendo
debitamente providiri actento chi li
iudei sono servi di la regia cammara
et non si divino lassari
indebitamente vexare ne
molestari. vi comandamo chi eciam vi
digiate conferiri in la dicta
chitati di girgenti per li lohi soliti
et consueti farriti voce preconis
emictiri banno puplico sub pena vite et publicacionis bonorum et altri a
vui meglo visti chi non sia persuna
alcuna digia ne persuna cuiusvis
condicionis et gradus chi digia palam vel oculte de die nec de
nocte intus nec extra civitatem
offendiri vexari ne molestari li dicti iudey.
ne alcuno di loro tanto masculi comu fimini tanto grandi comu
pichuli ne loru beni re facto verbo et opere. et chi
lo capitaneo iurati gubernaturi di li iudei et altri
officiali digiano ipsi iodey
favoriri et defendiri contro omni persuna chi indebite li volissi offendiri et molestari. lu quali
banno post eius pubblicacionem farriti reduchiri in scriptis ut appareat
in futurum. et si alcuno volissi
dimandari iusticia oy incusari alcunu
iudeu digia compariri davanti di nui et
farrimo debito complimento di
iusticia. in modo chi cui havira
commissu malificio et delicto sarra debitamente castigato. Nam in premissis et circa ea cum dependentibus
emergentibus et annexis vi damo et conferimo plena bastanti et sufficienti
potestati per presentes. per
li quali comandamo a tutti
et singoli officiali
et persuni di la chitati nec non a lu nobili baruni officiali
et persuni di lo dicto casali chi in la execucioni di li sopradicti cosi cum li dipendenti emergenti
et quilli vi digiano obediri et
assistiri ac prestari omni aiuto consiglio et faguri
et loro brazo si et quociens opus erit et per vos fuerint
requisiti nec contraveniant auti aliquem
contravenire permictant ratione aliqua sive causa sub pena unciarum mille regio
fisco applicandarum. vui vero in la
execucioni di li dicti cosi vi haviriti et
portariti in tali modo et omni quilla diligencia chi pozati
meritatamente essiri inanzi nui comandatu. Dat. panormi die VII Iulij
VIIe Indicionis M° CCCCLXXIIII°.
post datam. constituimo a vui dicto
nobili per vostri iornati et salario ad racionem de tarenis octo pro
quolibet die dum in premissis legitime vacaveretis. Dat. ut supra.
Lop Ximen Durrea» ([6])
In piena
estate, il 7 luglio del 1474, il vicerè Lop Ximen Durrea dava, dunque, ordine all’algoziro (a metà tra
il capitano dei carabinieri dei nostri giorni ed il sostituto procuratore)
Olivero Raffa di recarsi a Racalmuto per indagare su una efferata esecuzione
dell’ebreo Sadia di Palermo. L’orribile uccisione era
avvenuta alcuni giorni prima ed era avvenuta quasi a furore di popolo. Artefice
e sobillatore era stato tale Liuni, figliastro di mastro
Raneri. Ma tanti
altri lo avevano assecondato. Il povero Sadia di Palermo stava attendendo ad
alcune sue faccende nei dintorni del Casale di Racalmuto, quando venne assalito,
bastonato e quel che è quasi incredibile selvaggiamente mutilato. Tagliata la
lingua, evirato, rottigli i denti, l’odiato ebreo venne buttato ancor vivo in
una fossa e ricoperto di paglia venne dato alle fiamme.
Non sembra
che tanto accanimento fosse ispirato da furore religioso. Dovette, dunque,
trattarsi di rabbia per l’esosità dei prestiti e per l’inflessibilità nel loro
recupero. Che Sabia di Palermo fosse ricco si desume dal fatto che sembra
avesse cuciti nel ‘gippuni’ (giubbotto) qualcosa come 150 pezzi d’oro - una enormità per i tempi e le condizioni
della Racalmuto di allora -
e di quel denaro se ne persero ovviamente le tracce.
L’algoziro
Raffa dovrà svolgere un’indagine di polizia, con prudenza ed acume. Dovrà
appurare tutte le circostanze dell’atroce esecuzione del giudeo. Complici e
fiancheggiatori dovranno essere individuati e perseguiti dal funzionario
viceregio che non può delegarvi nessuno ma deve esplicare l’incarico recandosi
di persona sul luogo del delitto. In particolare, conta scoprire se trattasi di
moto criminale di singoli o se è lo sfogo di un latente tumulto popolare. Non
va trascurata l’eventualità che addirittura si consumata una vendetta
collettiva dell’intera popolazione racalmutese. Di tutto va fatta una puntuale
relazione scritta. Quindi, sempre con prudenza ma inflessibilmente, andranno
carcerati tutti i sospetti colpevoli e tradotti nella città di Agrigento, per essere affidati alle
carceri del castello ivi esistente, per evitare ogni possibilità di fuga. La
città di Agrigento, invero, è nota per il suo antisemitismo e molti indulgono
in vessazioni e ingiurie contro gli ebrei. E’ un costume non
tollerato dal potere regio. L’algoziro abbia ben presente che gli ebrei sono servi della regia Camera e
quindi non si devono né vessare né molestare. Chi ha accuse da rivolgere agli
ebrei si rivolga alle sedi istituzionali e si astenga da ogni iniziativa
privata. L’algoziro Raffa operi in stretto collegamento con le autorità locali agrigentine e quelle
racalmutesi.
E’ uno
spaccato del vivere sociale locale che trascende l’efferatezza del crimine e la
condizione ebraica verso lo spirare del Medio Evo. Se tanta solerzia traspare
nell’ordinanza viceregia nel perseguire gli imperdonabili criminali, ciò
connota il fatto che normalmente l’ebreo poteva vivere e prosperare
nell’assetto comunale come quello racalmutese. E qui vi erano ebrei operosi ed abbienti, non segregati, non chiusi
in ghetti, non relegati allo ‘Judì’, come si è cercato di farci credere. Nel
quattrocento, Racalmuto ha un buon assetto politico ed amministrativo.
Già prima che arrivasse l’algoziro, il colpevole del crimine è individuato e,
pensiamo, assicurato alla giustizia. Il messo viceregio dovrà limitarsi ad
appurare le connivenze e gli aspetti di contorno. L’organizzazione è
accentuatamente feudale: il barone (i Del Carretto) è all’apice del potere
locale. E’ contornato da ufficiali pubblici. Non è però un potere assoluto. La
corte viceregia sovrasta, controlla e vigila oculatamente.
RACALMUTO
NEL QUADRO STORICO DELLA SICILIA DEL ‘400
[1]) Ci
riferiamo allo scambio dei beni tra Gerardo e Matteo del Carretto. Il documento che utilizziamo
è una fotocopia dovuta alle solerti ricerche del prof. Giuseppe Nalbone presso l'Archivio di Stato di Palermo (cfr.
ARCHIVIO DI STATO - PALERMO - RICHIEDENTE NALBONE
GIUSEPPE - REAL CANCELLERIA - BUSTA N. 38 - (Anni 1399-1401) pag. 177 recto a pag. 181 - Data 9/4/1993).
[2])
Resta a nostro avviso ancora insuperata la ricostruzione che della vicenda fa
lo SPUCCHES nel quadro 783 del vol. VI (Avv. Francesco SAN MARTINO de SPUCCHES - La
storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia dalla loro origine ai nostri
giorni - 1925 - Palermo 1929 - vol VI). In particolare, ci riferiamo ai
seguenti punti dell'opera:
«1. - Federico CHIARAMONTE, figlio
terzogenito di Federico e Marchisia PREFOLIO,
ebbe Racalmuto da FEDERICO di Aragona; lo affermano concordi
tutti gli storici. Sposò questi certa Giovanna di cui si sconosce il casato.
Egli morì in Girgenti;
il suo testamento porta la data 27 dicembre 1311, X Indiz., fu pubblicato da
notar Pietro PATTI di Girgenti il 22 Gennaro 1313, II Indizione. [XI IND.]
2. - Costanza CHIARAMONTE, come figlia unica di Federico suddetto,
successe in tutti i suoi beni come erede universale del padre. In conseguenza
ebbe il possesso di RACALMUTO. Sposò questa in prime nozze,
Antonino del CARRETTO, M.se di Savona
e del Finari (Dotali in Notar Bonsignore de Terrana di Tommaso da Girgenti li 11 settembre 1307). Sposò in seconde nozze Brancaleone Doria, genovese, col quale
ebbe molti figli. Questo risulta possessore di RACALMUTO, (MUSCA, Sic. Nob. pag. 20). Costanza morì in Girgenti
... Il testamento di lei è agli atti di Notar Giorlando Di Domenico di
Girgenti, sotto la data 28 marzo 1350, V Indiz.; fu transuntato in Catania,
agli atti di Notar Filippo Santa Sofia li 24 novembre 1361 (INVEGES, Cartagine
Siciliana, f. 228-229).
3. - Antonio del CARRETTO successe
nella signoria di RACALMUTO, come donatario della madre,
per atto in Notar RUGGERO d'ANSELMO da
FINARI li 30 agosto 1344, XII Indizione. Sposò questi certa SALVASIA
di cui si sconosce il casato. Nacquero da lui GERARDO e MATTEO. Il
primo se ne tornò a Genova dopo aver servito Re MARTINO contro i ribelli;
i beni di Sicilia li cesse al fratello.
4. - Matteo del CARRETTO suddetto fu
investito della Baronia di RACALMUTO in Palermo, a 4 Giugno, IV
Indizione 1392. (R. Cancelleria,
libro dell'anno 1391, f. 71) [L'indizione è del tutto errata. Il 1392 cadeva
nella XV Indizione. Occorrerebbe cercare meglio di quanto abbiamo fatto noi
nella R. Cancelleria il citato documento che a dir poco è segnalato in modo
impreciso]. .»
[3])
Archivio di Stato di Palermo: Real Cancelleria - Vol. 34 - p. 137 v. - 1398
[Ricerche del prof. Giuseppe Nalbone]
«18. can. S. Margaritae [10° Canonicato di Santa Margherita in Racalmuto], di ejus fundatione in oppido Rhalmuti vide supra ad ann. 1108. an.
1398. ob rebellionem Thomae de Miglorno Rex Martinus dedit Gerardo de Fimio in
lib. Canc. ind. 6. ann. 1398. f. 137. Capib. f. 316. habet mediam decimam
oppidi unc. 56.»
Espliciti
in questo passo i richiami ai documenti della Cancelleria e dei
Capibrevi di Palermo: per i Capibrevi si
può consultare l'opera pubblicata 1963 da Illuminato Peri [ Gian Luca Barberi - BENEFICIA ECCLESIASTICA - a
cura di Illuminato Peri - G. Manfredi Editore Palermo - Vol. II , pag. 139]. Vi
si legge: «CANONICATUS AGRIGENTINE SEDIS
PREBENDA SANCTE MARGARITE RAYALMUTI - [316] - Cum ob rebellionem et nephariam
proditionem per presbiterum Thomam de Maglono canonicum agrigentinum contra
serenissimum regem Martinum Sicilie regem perpetratam canonicatus agrigentine
sedis cum prebenda ecclesie sancte Marie de Rayhalmuto agrigentine dioecesis
vacaret, rex ipse auctoritate apostolica sibi in hac parte sufficienter impensa
canonicatum ipsum cum eadem prebenda tanquam de regio patronatu presbitero
Gerardo de Fino contulit et concessit, quemadmodum in ipsius
domini regis Martini provisione in regie cancellarie libro anni 1398. VI.
inditionis in cartis 137 registrata diffusius est videre.
Unde per verba illa, scilicet: 'Auctoritate apostolica in hac parte
nobis sufficienter concessa' notandum est quod Sicilie reges a summis pontificibus
perpetuam habuerunt prerogativam et potestatem conferendi omnia regni
beneficia. invenitur enim reges ipsos non tantum beneficia regii patronatus,
verum etiam alia ad prelatorum et aliarum personarum collationem spectantia
contulisse, prout superius pluribus in locis expositum est.
Nunc autem anno 1511 currente.»
[5])
CODICE DIPLOMATICO DEI GIUDEI DI SICILIA raccolto e pubblicato dai fratelli
sacerdoti Bartolomeo e Giuseppe LAGUMINA
- edito dalla SOCIETA' SICILIANA
PER LA STORIA DI SICILIA - Documenti
Storia di Sicilia - Serie I - DIPLOMATICA N.°
12 - Trattasi del terzo volume dei fratelli Lagumina . Palermo 1890. (pag. 145, documento n.° LIX -
Palermo 7 luglio 1474, Ind. VII.)
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