POGGIO POPONESCO VARIE
A QUELLI DEL CICOLANO
Signori miei, è inutile che ci giriamo attorno. Di fronte ad una pagina come questa del Lugini, l'ottocentesco medico Domenico Lugini c'è da rimanere esterrefatti. C'è forse una lapide commemorativa a Santa Lucia di Fiamignano? No! Perché? per campanilismo. Prima non era di Petrella e a Romanin non interessava; ora non è del Corvaro e non dico a chi non interessa, ma il nome ce l'ho sulla punta della lingua.
Una epigrafe di sconvolgente sapienza storica, dove sta? nel museo dell'Aquila? Ci sta ancora dopo il terremoto?
E' quella sotto? corrisponde al vero che trattasi di "un frammento di epigrafe in lingua OSCA che trovasi nel pavimento della vasca della fontana della villetta di Collemaggiore. Ricorda un 'Meddixtuticus' di NERSE"
Sempre colpa degli altri? Non è colpa anche nostra? Anche mia, che frequentando da quarant'anni Baccarecce e Santa Lucia di Fiamignano non ho attivato i canali cui potevo accedere per il debito recupero?
Questa estate ho parlato con il signor sindaco di Pescorocchiano: una grandissima e degnissima persona, credo che abbia detto: "ma questo è un maziano, cosa viene mai a rompere gli zebedei a me".
Perché gli ho rotto gli zebedei?
a) perché deve recuperare la tassa sull'occupazione del suolo pubblico da parte di codesti imprendibili privati arraffatisi il fascista ma giuspubblicistico LAGO DEL SALTO;
c) Guardi che dice qui: che si tratta di lingua OSCA. Sa che significa che qui in questo paradisiaco lembo di terra ma in capo al mondo fioriva una civiltà, OSCA, ancor prima che i romani riuscissero ad imparare ad usare l'aratro a chiodo per quella nota storia di Romolo e Remo. E allora? Allora occorre che questo che è un PATRIMONIO DELL'UMANITA' diventi tutto u museo per la salvaguardia di beni irripetibili. Dunque sfrattiamo, per inziare, la Curia per possesso abusivo di ciò che è inalienabile, imprescrittibile, inusucapibile. Sì e così non mi eleggono più ancor più che pria!!!d) Ma basta? no. Bisogna indagare sull'origine del legittimo acquisto di quello che è il museo personale dei MORELLI.
Dove? a Nesce.
Etc. Etc. Calogero Taverna
E’ il 5 marzo 1574. A Poggio Poponesco arriva il terribile visitatore Pietro Camaiano, noto anche nei testi di storia nazionale e della chiesa di quella scombussolante metà secolo del risorgente umanesimo. La sua visita in tutta l’intera diocesi reatina è bene inquadrata, trascritta ed annotata dal prof. Vincenzo di Flavio - una miniera che andrebbe socializzata nell’intera provincia, comune per comune, mettendo mani anche al portafoglio degli enti autarchici coinvolti.
Da lì sono scaturiti appunti già resi noti ad illustrazione del collegato centro abitativo di S. Elpidio, quello della sopra spiegata lapide. Non è tanto una digressione quanto un completamento dell'indilazionabile richiamo alla doverosità di interventi pubblici razionali e coordinati per una impellente salvaguardia del patrimonio archeologoco, storico e di risalto ben oltre i lmiti di un quasivoglia e comunque giudicabile angolo visuale localistico. Qui è in gioco un patrimonio dell’umanità negletto e reso sempre più fatiscente. Ogni rihiamo è dunque oltre che doveroso improcrastinabile.
Pietro Camaiano salito sul l'altura del Castrum fa annoatre ai suoi amanuesi che sotto vi era un mportante oratorio "oratorium S.Tomae. Rector D. Marius Antonii" Chi era questo don Mario Antoni?
Pievano ancora non affermato, ma appartenente ad una famiglia di preti molto rdicati nella ripartizione delle parrocchie e delle rettorie del Cicolamo, per il momento detiene solo codesta rettoria ai piedi del Castrum di Poggio Poponesco. Ampia, potente e ramificata è la schiera degli ecclesiastici di quella famiglia di Antoni, che per vari indizi ci pare quella che poi diede la spinta alla conquista del feudo della Baronia, gli Antonini appunto. Da qui già emerge l'opportunità che con i debiti doverosi finanziamenti prubblici si redigano i quadri propopografici del Cicolano, secondo ormai la già consolidata scuola proosopografica.
A Corvaro, infatti, dominava il canonico don Angelo Antoni; don Cesareo Antoni è rettre ben remunerato; come beneficiario risulta Domenico Antoni ; emerge pure Francesco Antoni; Giacomo Antoni è canonico; tante prebende per don Giovanni Antoni; spiccano pure don Giovanni e don GiovanniFrancesco; semplice chierico è invece Giovanni Paolo di Cabbia; ragguardevoli canonici sono Luca e Marco Antonti; impotante frate conventuale è Marco Antoni da Roccarandisi; spicca don Mario Antoni come rettore di Poggio Poponesco, come si è detto; e in ultimo abbiamo il canonico Sante Antonini.
Il Camaiano fa annotare burocraticamente: "l'oratorio di San Tommaso sorge entro il Castrum Podii Poponischi" su cui si estende la giurisdizione dell'illustrissimo don Popmeo Colonna: La fabbrica è discreta ma fanno rifatte le coperture di alcune parti del tetto. Come di consueto, aggiunge che l'intonaco va riparato e quindi imbiancato. Si mettano vetrate nelle finestredel lato destro, qeel particolare tipo di finestre volgarmente chiamate "impannate". Sia dotata la porta di una buona chiave e che resti chiusa nei tempi morti. Certo per eseguità delle rendite l'altare è malconcio e pertanto si eviti di celebrarvi messa. Si provveda comunque a dotare la chiesa di portantina, pallio, e di un calice sacro, delle suppellettili insomma necessarie al sacrificio della santa messa. Necessita anche una croce con due buoni candelabri e in fondo all'altare si faccia dipingere una sacra immagine. Al rettore, don Mario Antoni, vanno appena 5 Giulii annuali. Ad ogni modo deve esibire le lettere della sua officiatura.
E subito il Camaiano scende giù nel molto più importante centro abitato, Fiamignano.
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Non è inopportuno riportare certi
stralci della stampa che si è occupata della questione.
Santa Lucia di Fiamignano ha una gloria perenne:
la coltissima ed molto erudita penna del medico Domenico Lugini. Da quel
vetusto testo si può dissentire, ma non se ne può prescindere; lo si può (e lo
si deve) migliorare, integrare e correggere come ha fatto il vostro
espertissimo Marco Buonocore nei vostri pregevolissimi quaderni; eppure costui
specifica: “Lugini …. [riconsidera] la raccolta epigrafica berlinese portando a
conoscenza quei documenti iscritti che solo la sua conoscenza capillare di
quella zona era in grado di compiere”. Io, l'altra sera, Lugini non l'ho
sentito citare neppure per sbaglio, Che vi sia preclusione campanilistica?
Fulcro del vostro interesse, gira e rigira, è la
Grotta c.d. del Cavaliere. Meritevolissimo e apprezzabile interesse. Solo però
che se diventa mania monotematica, perde di pregio. E Lugini e Grotta c.d. del
Cavaliere alla fine sono inscindibili. Apprendo da Lugini (pag. 43) “ gli
avanzi delle mura pelasgiche …. fra Alzano e Monte Maggiore [sarebbero] gli
avanzi del tempio di Marte ricordato da Dionisio”. Tra codesto tempio e la
Grotta c.d. del Cavaliere vi sono attinenze, contiguità, collegamenti?
La grotta del Cavaliere – mi pare– ha tre date
importanti: 1830, data della sua scoperta (?) da parte di codesto archeologo inglese
per nascita ma romano di adozione, collegato col sommo Vespignani, marito
tranquillo di una splendida romanina di trent'anni più giovane ; 1981, sua
riscoperta e specie dopo il rinvenimento di una malcerta epigrafe votiva, suo
magnificato accreditamento a ipogeo cultuale; quest'ultimo ventennio, oggetto
di accuratissimi studi e ricerche da parte del dottore Cesare Silvi.
Mi permetto di osservare: il nome è equivoco e mi
sembra congettura simpatica quella di associare il toponimo Cavaliere
all'archeologo inglese, appunto perché inglese; se ipogeo dedito al culto dei
morti, occorre scientifica investigazione per saperne di più su tale presenza
religiosa ad Alzano, trattandosi in definitiva di ipostatizzazione di una delle
tante discese agli inferi, vuoi come quelle omeriche vuoi come quella sfumata
virgiliana (meglio collegabile con tale manufatto d'epoca romana). Potrebbe
anche trattarsi di devianze esoteriche non rare in epoca tardo impero. Sia
chiaro una semplice pietra votiva non ci dice molto. Ma allora perché non fare
scavi stratigrafici e appuramenti archeologici non dilettantistici? Non sono
per il momento fattibili? La progettazione e lo studio propedeutico è sempre
possibile.
Resta l'arcano del collegamento tra il tempio di
Marte del Lugini e questa grotta dall'equivoco nome. La scienza progredisce per
espansioni, non certo per preclusioni campanilistiche.
Nella letteratura – e non parlo solo di Lugini
–queste misteriose mura del Cicolano si sono sempre chiamate Pelasgiche o
Ciclopiche, termine forse improprio ma sempre inequivocabile. Se oggi
giapponesi (estremamente curiosi, si sa) e cinesi (i turisti dell'avvenire,
secondo me) vengono da 'ste parti abbacinati da letture sull'arcano delle mura
pelasgiche o ciclopiche e si avventurano tra questi affascinanti Monti
Cicolani, chissà quale loro delusione vedendole volatizzare per dar posto a
incolori, inespressive, insignificanti MURA POLIGONALI. Perché si sono cambiati
nomi e toponimi consolidati? Per pignoleria scientifica? Per far dispetto al vicino
ma non amato Lugini? Solo se unite le diverse scuole di pensiero, solo se fra
loro si accende un rispettoso dialogo, si fanno salti di qualità. Diversamente
si cade in un mercantilismo che fa presto ad esaurirsi, specie se incombono
epocali crisi involutive in campo economico.
Si vuol portare alla Grotta c.d. del Cavaliere lo
sbocco di un'importante arteria stradale d'epoca romana? Se si fanno
congetture, perché no? Ma congettura per congettura, resto legato all'ipotesi
del Lugini (cfr. pag. 58). Ho sbirciato il lavoro della Migliario pubblicato
sempre nei vostri pregevoli quaderni. Mi riservo di approfondirne lo studio.
Spero che il Geometra Mario Balduzzi ripercorra le investigazioni del nonno
–anche lui ha conoscenza unica del territorio - e magari filmando dimostri
quanta ragione aveva il Lugini. Forse Virzì se ne dispiacerà, ma, via!, ha da
ricavarne spunti anche lui, più avvincenti di quelli a dire il vero molto
avvincenti che ci ha illustrato l'altra sera.
Occorre dialogo. Ho sentito che la struttura
ecclesiale del Cicolano è poco nota. Falso: specie dopo la pubblicazione
dell'immane lavoro di Vincenzo di Flavio (anno 2010); ce n'è materia per
puntualizzazioni. Ad esempio tanto vi ho appreso sulla chiesa di Santa Lucia
tanto cara al vostro socio Antonio Marrucci, che tanta, troppa materia ha su
questa fabbrica cultuale, a presidio di un'antica statio romana,
nonché di un crocevia di diversa ma continua importanza nell'evolversi delle
realtà storiche. Mi chiedo perché, in occasione delle prossime celebrazioni di
Santa Lucia, don Maceroni, il dott. Di Flavio, il dottor Cesare Silvi, il
dottor Antonio Marrucci, il prof. Buonventre, l'architetto Filippo Balduzzi e
la sua collega che hanno studiato quella chiesa, e, se è permesso, un
forestiero quale io sono (che pure qualche fruttuosa ricerca anche negli
archivi segreti vaticani li ha fatti, forse demolendo taluni idola teatri),
tutti costoro o taluni o anche tal'altri non vengono adunati nelle scuole di
Santa Lucia da codesta meritevole rivista per una tavola rotonda coordinata da
don Maceroni o magari da Lei stesso su questo capisaldo della locale storia
(romana a mio avviso), forse bizantina, credo non longobarda, borbonica, con
grave dispetto del vescovo reatino, e delle stranezze dell'Acotral di un tempo
o della Cotral d'oggidì? Che paradigma dell'intera storia del Cicolano e quindi
di Petrella, Pescorocchiano, Borgorose e Fiamignano, così tanto per mia
spocchia geografica!
Ai piedi del vecchio diruto Poggio Poponesco sorge un convento antico ma non antichssimo; ai tempi in cui scriveva il Lugini era ancora in piedi ma adattato a carcere mandamntale. Quel che incuriosisce noi è quale ruolo, quale servizio sociale, quale necesstà misionarie potè avere un cenobio in zona comunque inospitale, staccato da un catrum con tante esigenze ma anche compiti difensivi. legato più ad un decadente centro urbano che non al piuttosto lontano nuovo centro abitativo (Fiaminano).
Studi, ricerche, convegni ve ne sono stati, ma non pare atti a dipanare almeno uno dei tanti dilemmi dei quali ne abbiammo abbozzati solo alcuni. Nel nuovo millennio, al Cicolano vanno destinati fondi pubblici, attenzioni scientifiche e persino misure riparatrici. Se n'è già scritto e con toni anche ripiccati.
Resta singolare che un convento francescano - in sospeso tra il fortilizio medievale e il nuovo sempre più egemone centro abitativo che tanti esuli, ovviamente scontenti, dal vetusto Poggio Poponesco, in crescente fase di fatiscenza, hanno avviato e ravvivato con cipisglio consono ad una insorgente piccola borghesia in terre feudali di grandi signori disrtti a Roma - possa ivi sorgere e consolidarsi..
Quel convento ad ogni modo, se non dei primordi della irrefrenabile diffusione francescana, la segue da presso. Nelle approfondite e professionali ricerche di Luigi Pellegrini (in Chiesa e Società dal secolo IV ai giorni nostri - Italia Sacra n. 30) questo convento ai piedi di Poggio Poponesco non è citato. Insomma nel celebre "Provinciale Ordinis Fratrum Minorum" di fra Paolino da Venezia non è presente, mentre lo è quello di Radicaro (il n, 8 sub tituolo S. Jacobi de Radicaro, in Custodia Reatina). E qui possiamo risalire al 1230. "segnalati da Fra Paolino da Venezia appaiono già fondati e operanti [conventi francescani] nel 1230., ibidem).
Una cosa comunque resta evidente che tra il 1230 e i primi del Novecento, quel convento l ospita i nuovi soldati del Poverello d'Asssii che con sai lisi, con cingoli, questuando poveri tra poversi, e Poggio Poponesco a monte e Fiamignano nei dirupi di sotto, venivano catechizzati, edotti nelle cose di Dio, educati ad una religione sobria e caritatevole, ed in un certo qual senso addottorati. Pecore, capre ,bovini, terre aspre. ed orti in piccoli fazzoletti di terra servivano ad uomini che accudivan loro ma secondo fede in Dio nella evangelica predicazion di un francescanesimo sobrio e con miserie umane come tutti e come sempre ma temperate, mortificate. Ne è nato un costume di vita che ci pare di cogliere ancora quando, estranei, villeggiamo nelle calde estati, fuggitivi da Roma in calore tra foschie deprimenti.
Poggio Poponesco - un sito archeologico da salvare -
un unicum per l'archeologia medievale.
In un
vecchio atlante geografico del '700 POGGIO POPONESCO appare, vivo, vitale,
distinto ed autonomo. Ai suoi piedi, sotto la sua egemonia si distende tra
dirupi sino al vecchio fiume Fiamignano, ma apparechiaro che è altra cosa.
E' la
vetusta delle origini innanzi tutt a distungue il vecchio insediamento
abitativo POGGIO POPONESC appunto dal languido defluire di csali modesti
accanto alle pretenzione dimore dei nuovi ricchi del tempo FIAMGNANO.
E sopra
Poggoìio Ponensco, come si vertice egemone il Csatrum, medievale sez adubbio,
ma antico sino ai tempi del dominio dei frati farfensi ce sinora solo il grande
Lugini ha cercato disbirciare. Nel mezzo di una teoria di castelli mediaveli,
Il Lugini ne conta una rentina. Nessuna ricerca storica, nessuna
salvaguardiacorale, nessuna spesa "produttiva". Solo l'assurdo di
quelche ottuso campanilism che di un qualcuno di codestimanieri ve ha fatto il
topos di una dell più inverosimili tregende cinuecentesco. Buona coa se in
contiguita ad una esaustiva; pessima, se sbricciolante un bel quadro d'assieme
Ed in
relazioni a tanti castelli, ma a noi qui interessa per necesità di tesi solo il
Castrum di Poggio Poponesco., sempre il dodevlossimo Lugini gettauna luce non
ancora adeguatamente scandagliata tra castello e rete viaria nel reatino antica
e collegabile all'anno 1151 e alle notule farfenses degi ann 1148 e 1149. Si
finanziino pure tracciati incredibii che dall'estremo Nord arrivano sino a
Pachino, ma si dia premineza agli studi e alla salvaguardia dei lughi nell'aleo
erio e scientifico impostoc dal Lugini (pag. 132)..
Quindiil
castrum sopra Poggio Poponesco è faccenda farfense eperanto dislocabile nella
prima metà del XII secolo? Il Castrum, molto probabile-occorrono scavo mirati,
srati stratigrafii. sondaggi addirittura da laboratori atomici (come
sperimentato positivamente a Catania, con la cività sicata il cui epicentro
sarenbbe Racalmuto ma per giochi di poteri trslatoa milena). Quanti soldi
occorrono? Tanti, tantisssi, ma frattanto perché non si inzia con meno, molto
meno, con ricorso a fonti più disceret ma più accessibili? Posso lamentare
incurie ancestrali (qundo rinasxe il medico Lugini?)? posso ravvisare incurie,
inidoneità, abulie, campanilisi gretti edostativi. acciie, indolenze,
dispersioni colpevoli?
Ma basta non
perseverare. A chi serve il processo alpassato, anzi ad un rosario di occasioni
perdute.
Ma il centro
abitativo, no! E' di molto antecedente. Ci soccorre sempre il lugini con
questedue epigrafi: la dodicesima e la tredicesima: Molto più complessa, rica e
di importanza storica, politica e giuspubblicistica sconfinata. A noi è bastato
esibire la foto della lapide murata improvvidamente esenza alcuna raffinatezza
culturle in alto all'interno di unciesa cattolica a S. Elpidio - adirittura con
la compiacenza di un rappresentante delle autorità di settore ui incombeva
qualche dovere di rapporto - al ua specialista francesse che subito mi inabissò
on una marea di dari scientifici, storici ed istituzinali degni di un gran
trttato di diritto roano, spunti che abbaiamo passato a QUELLI DEL COCOLANO che
senza inducia e con molta ortesia hanno reso di pubblica ragione, nel
territorio.
Figurarsi de
dovessi sottoporre il quesito circa il significato di vasche, fistlae e sigilla
ahenea in una lapide romana. E questa lapide dove è stata rinvenuta: nell'ex
"convento dei cappuccini di Fiamignano, come dire ai pidi di Poggio
Poponesco. Quindi Poggio poponesco risale per lo meno al primo secolo dell'era
cristiana.
Non tutto
merito del Lugini, ma Grutero (1020, 4, 5), Doni (11, 17) Martelli (tom. II, p.
160), Garrucci (pg. 163 del Bullettino. E come se non bastasse addirittura il
Mommsen (I.N. 57 13) al tempo del Lugini edora nei ponderosi epigrafi del CIL.
Ma tanto ben
di dio è stato preso in considerazioe in ltre un secolo? Se non andiamo errati,
solo la lodevole ma impari inziativa di un volenteroso dilettante locale. Che
hanno fatto le autorità di setore? Quale ancor piccolo investimento le
dispendiose e dispersive fonti pubblche? Non è arrivato iltempo di riparare.
Alorabastano
due milleni di vita per Poggio Poponesco? No! ancora più indietro. Accanto
alcastrum squadre di archeologi professionististranieri hanno rinvenuto,
studiato, salvaguardato (almeno pro tempore) un insediamento umano preistorico.
Vi sono pubblicazioni; non ho avuto modo di studiarle e valutarle. Comunque
cose pregevolissime, egne dello stadio scientifico raggiunto nel settore. Cose
che in ogni caso non possono venire lasciate - come credo che avvenga
-all'incuria ed alla omessa vigilanza,ad un pascolo in mano a sonnecchiosi e
talora infoiati albanesi (certi fatti di cronanca sono quelli che sono e pur un
filntropo non razzista come me ne resta turbato. Un intensificarsi della
viglanza campestre non sarebbe aupicabile, sia per le nostre donne, sia per il
buon nome della quasi totalità degli extracomunitari costretti ad
inselvatichirsi cone pecore, porci e bovini quanto in egole con le esose
pretese del fisco e ell'Inps non so.) Aggiungas che quei ritrovmenti sul
crinale di un'altissima montagna non patrimono dell'umanità ome il castrum,
come l'abitato residuo (m di questo dpo). Non vi sono costi cospicui che
possano assolvere da inadiempienze e da cerenze di investimenti necessari,
improcrastinabili, ineludibili, impellenti.
E quanto
all'epigrafia romana dell'intero Cicolano e specificatamente a queste due
ladipi di Pogio poponesco non vi sono parole pr sottolilearne l'importanza. A
mo' di esempio, facciamo qui un richiamo d qantosi è di recente polemizzatoin
ordine ad una lapide egrafale ogi mal posta in una chiesa di S. Elpidio.
Rieniamo di voner qui riportare i termini essenziali del corelato dibattito:
Didattito
sull'epigrafia del Cicolano - La lapide di S. Elpidio
da Calogero Taverna (Note)
Lunedì 13 maggio 2013 alle ore 16.32
· Pubblica
·
·
· Calogero
Taverna
Toto corde
plaudo al ritorno sulle mura della chiesa di Sant'Elpidio della epigrafe
lapidea risalente ad un arco di un paio di secoli dal I a.C . al I d. C. a dire
dei tecnici. Certo mi sarebbe piaciuto che con gli strumenti scientifici
d'oggidì e con le cognizioni altamente sofisticate dei nostri migliori
archeologi, quell'arco si restringesse di molto, anche per meglio precisare i
dati storici del Cicolano. A questo riguardo non so proprio se affiggere una
lastra con incisi caratteri latini in alto su una parete esterna di una chiesa
sia stata scelta oculata. Iniziare a conservare e ad esporre acconciamente in
un antiquarium i tanti preziosissimi reperti archeologici del Cicolano molto
gioverebbe alla ricerca storica.
Già quel L.
CARCURIN[us?] molto probabilmente edile, per gli specialisti prosopografici
potrebbe dir molto specie ai fini della datazione. Noi non sappiamo quel Q e
quel TARONIA cui segue TERT ...se siano suscettibili di corrette e illuminanti
letture archeologiche. In alto poi non so come si possano misurare le lettere
incise (ammesso che non sia stato fatto) che consentono agli specialisti
specifiche di importanza non trascurabile.Il Lugini - una volta tanto
recuperato - ci avverte che quell lapide, già allora monca, non stava sui meri
della chiesa, sibbene "in quel tempietto che sottostà alla stessa dove
serve di capitello ad una delle colonne che ne sostengono la volta". Credo
che il terremoto abbia fatto tabula rasa ed oggi nulla abbiamo. Magari per un
eccesso di pignoleria, segnalo che la epigrafe pubblicata dal Lugini sta a pag.
91 della recente edizione e non a pag. 93 come scrive Mario Buonocore (a meno
che non si riferisca ad altra edizione) nella pregevole rivista QUADERNO VALLE
DEL SALTO del 1° dicembre 2007; rivista che va propagandata e adeguatamente
supportata per il turismo dell’intero Cicolano.
solo una
piccola precisazione: la lapide è stata messa sì, su di una parete, ma interna
alla chiesa! =)
Calogero
Taverna Grazie per la precisazione; del resto (com metto troppo tra parentesi:
orribili zeppe; ma spiego in CONTRA OMNIA RACALMUTO perché scrivo così) cerco
di pararmi i colpi non essendo sul luogo né del luogo.
Calogero Taverna
Non per polemica, solo per una discussione che possa dare qualche frutto. La
lapide messa in chiesa a S. Elpidio non so cosa possa avere di sacro, almeno
per la religione cattolica. Suppongo ce il tempietto di cui parla il Lugini
possa essere stato un residuo di un tempio romano esistente tra il primo secolo
a.C. e i primissimi secoli d. C. Un alto funzionario dell'impero romano poteva
benissimo mettervi una epigrafe lapidea a futura memoria. Dobbiamo al Buonocore
se sappiamo che ne parla nei CIL il Mommsen al n. 4126. Dovrei andare in
biblioteca a consultare tale pagina d l CIL, non credo che ne avrò tempo.
Dovrei anche consultare grossissimi volumi prosopografici per vedere se trovo
qualcosa su un Carcurinus edile. I testi di Mommsen sulla storia romana
dovrebbero contenere qualcosa. Mi domando: cosa ci sta a fare materiale simile
dentro una chiesa cattolica sia pure di un paesino con nome greco, alla stregua
di Sant'Anatolia, Sant'Agapito, S. Ippolito ... Che ci stanno a fare tanti
toponomastici greci in una limitata enclave? Non pensa che questi ed altri
quesiti potrebbero avere allettante risposta in cartigli attorno a tanti bei
reperti archeologici. Avete tanti immobili pubblici ormai in disuso e quanta
attrattiva per turismo colto avrebbero antiquarii del genere? Ricordo che tempo
fa al Museo Pigorini di Roma attraeva molto la tomba ricostruita di un
guerriero longobardo che era stata ritrovata in Val di Varri. Ora non c'è pù
nulla nelle sale d'esposizione. el Cicolano quella tomba non sarebbe più
confacene? Avete tanta ricchezza archeologica, storica, culturale:
valorizzatela. So bene che siete ora in pochi ed è già molto che taluni bei
paesini resistono ancora. Ma io per imposizione politica debbo essere
ottimista.
posso dire
che molto probab ilmente la lapide, con nessuna rilevanza dal punto di vista
cattolico è stata "rimessa" in chiesa per due motivi: 1) è stata da
lì prelevata in seguito al terremoto del 1915 che ha devastato la Marsica ed
anche la quasi totalità del nostro paese, ivi compresa la chiesa (poi perchè
fino al 1915 fosse lì io non lo so)
2) la chiesa
credo che sia l'unico luogo che permette di poterla visionare a TUTTI i
cittadini di S.Elpidio senza andare a ricercarla nei varii musei (ad esempio
molti dei resti, oggetti reperti del nostro paese sono nel museo di Borgo
S.Pietro o a Rieti, ed io che ho 32 anni, non sono mai andata a cederli,
figuriamoci i nostri bei vecchietti).
per quel che
riguarda la toponomastica posso dire che il nostro paese porta il nome del
Vescovo S.Elpidio poichè leggenda dice che tale Vescovo si era recato a Roma
dalla Francia, paese dove attuava il suo operato, e sulla strada del ritorno
morì propr...Altro
Calogero
Taverna Ho molto apprezzato le sue cognizioni e soprattutto il suo interesse
alle cose della storia locale. La mircostoria - che peraltro non dà gloria e
per di più fa perdere quattrini -è la mia mania; mi sento il più grande
microstorico di Racalmuto che per di più vanta un libro come Le Parrocchie di
Regalpetra di Sciascia. In tale contesto -più che plaudente nei suoi confronti-
mi permetta di contrapporre alcuni miei dissensi. Non parlo di MUSEI (ho
attaccato il Pigurini, figurarsi!) - ma di ANTIQUARIUM. Per quel che conosco
io, perché lasciare ai drogati il piano terra del mostro cementizio di Santa
Lucia? Ben altro vi sarà a Sant'Elpidio. Quelle delle monache di S. Pietro sono
riparazioni dell'allagamento fascista della valle del Salto: buono per
l'elettricità, mica tanto per voi cicolanesi: non vi pagano neanche le imposte
per occupazione del suolo comunale. e correte il rischio di finire ora sotto
Viterbo (pensi ai vecchietti come me!).
Calogero
Taverna Aggiungo: correre nei musei è vizio forse solo di certi "bei
vecchietti", ma andare a visitare sale adeguatamente illustrative nelle
località cui si riferiscono i reperti antichi non ha ostacoli legati all'età,
sibbene agli interessi culturali che non ...Altro
La chiesa di
Sant'Elpidio è ben descritta (nella sua decrepitezza del 7 marzo del 1574) dal
vescovo visitatore Camaiani. S. Elpidio era allora dominio di Giovanni Giorgio
Cesarini mentre il territorio contiguo apparteneva al celeberrimo Pompeo
Colonna. La chiesa era "inornata et incomposita"; aveva tetto
fatiscente solcato da "rimis" (al mio paese si chiamano 'gutteri';
voi non so) " “ et pluvia tutum reddendum" ( come dire che bisognava
adoperarsi per non continuare a farvi diluviare dentro). Cento i nuclei
familiari, quasi 500 abitanti che per allora e per paesi di montagna erano
davvero tanti. Là non si parla di reperti archeologici, ma mio cognato Antonio
Marruci mi assicura che dopo vi fu un vescovo reatino diligentissimo in queste
cose. Sia come sia, per me varrebbe di più il recupero di quel tempietto romano
di cui parla il Lugini ove rimaneva ancora affissa la lapide ora elevata a improbabile
decorazione di una parete interna di una chiesa cristiana sicuramente a suo
tempo eretta per sommergere ogni residuo di un meraviglioso culto pagano. (Mi
permetterà di avere in cose di religione, gusti opposti).
eheh... mi
dispiace contraddirla, ma attualmente qui da noi non ci sono luoghi
utilizzabili per poter esporre alcunchè... fino a qualche giorno fa si poteva
pensare alla sala parrocchiale, ma ora è chiusa per la rimozione dell'amianto,
e chissà quanto tornerà usufruibile, per tutto il resto non ho risposte, devo
ammettere di essere mooolto ignorante in materia, sono ben altre le cose di cui
mi occupo, per questo ritengo che la chiesa possa risultare uno dei luoghi più
idonei per l'esposizione della lapide, forse sbaglio, m
Giovedì alle
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o
forse
sbaglio, ma conoscendo paese e paesani, credo che in altro luogo non si sarebbe
potuta mettere
Calogero
Taverna Capisco. Ogni estate questa splendida terra del Cicolano mi ospita
liberandomi dai plumebi calori romani. Ne sono innamorato. Apprezzo tante
grandissime persone e la civiltà raffinatissima che alberga da voi. Ma un
piccolo difetto lo riscontro. Siete m...Altro
ha colto in
pieno lo spirito paesano!!!!! complimenti! =)
Si sarà resa
conto che io amo il Cicolano senza se e senza ma. Ma tutto il Cicolano e sono
convinto che tanto si dorvà ancora fare. Certo molto è stato fatto e per merito
esclusivo dei Cicolani, chiamiamoli anche Equi. Il frazionismo però qualche
guaio l'ha prodotto. Vi sono quattro capoluoghi (Petrella, Pescorocchiano,
Fiamignano e Borgorose, certo Corvaro scalpita) ma vi sono pure due o tre
frazioncine (manco il 15% dell popolazione) che fanno comune a sé e determinano
maggioranze in importanti istituzioni ove v'è il sistema capitario: quei
sindaci là hanno determinato maggioranze rivolte più a favorirli che a far
crescere il circondario. Mettiamo i fondi che vanno ripartiti per comuni a
prescindere dalle dimensioni e dalle attese amministrative. Abbiamo posti
remunerati che finiscono a piccolissimi comuni e vengono esclusi altri con
maggiori titoli e competenze che hanno la disgrazia di appartenere a realtà
comunali più consistenti. Il lago fu opera sì fascista ma come opera statale,
perché allora tutto nello Stato niente fuori dello Stato. Poi quello Stato si
chiamò Enel e con la mania delle privatizzazioni ora pare (così mi dicono) che
l'opera non solo è privata o privatizzata che dir si voglia ma è passata di
mano a realtà estere. I comuni dovrebbero incassare fior di quattrini. Pare vi
sia una piccola consorteria locale che percepisce e ripartisce. Mi dicono che a
Pescorocchiano arrivano sì e no 4-5000 euro all'anno. L'Ente delegato paga bene
i suoi amministratori. Non so se mi spiego. In compenso, tutti - me
compreso-paghiamo l'IMU più alta d'Italia. Proventi ben ripartiti ed adeguati
al suolo pubblico comunale occupato sarebbero sufficienti non dico a non dover
pagare nulla ma almeno aliquote contenute (sempre giuste comunque). Ho agitato
la questione in un post qui gentilmente ospitato. Sollevo anche altre più
spinose questioni. Vox clamantis in deserto. Pare che quello che interessa il
Cicolano è non mettere in un antiquarium di Santa Lucia le tante epigrafi
disperse e male affisse nei muri delle chiese o delle fontane o in muriccioli
alti un metro a portata degli scarichi abrasivi delle auto. Oppure pagare fior
d'avvocati per far tornare da Fiamignano una crosta di Santa Lucia nel
vicinissimo borgo omonimo. Sarebbe come dire che qui a Roma dovremmo portare su
al Casaletto il Colosseo perché forse la pietra fu portata là da questo
periferico colle. Il Cicolano sia una sola entità amministrativa: non sono più
di otto mila abitanti. Non si frazionino con campanilismi da secchia rapita,
pena un irrefrenabile decadimento abitativo ed economico.
credo che
ormai l'esito sia inevitabile... ciò che è fatto è fatto! siamo cresciuti con
tali convinzioni: a noi di S.Elpidio non nominare Pescorocchiano, per l'amor di
Dio (ed io sono tra questi ahimè o per fortuna?) e lo stesso vale dall'altra
parte.....Altro
Giovedì alle
21.45 · Mi piace
o
Calogero
Taverna Le informazioni su di lui sono frammentarie confuse. Pietro da
Natalibus lo identifica con un eremita originario della Cappadocia e venuto in
Italia dove sarebbe morto. Lo scrittore Palladio lo ricorda come un eremita,
vissuto presso Gerico per molti a...Altro
=) sono
contenta che si sia appassionato così tanto alla nostra terra, e poi sapere che
noi siamo bizantini e a Pesco longobardi mi rincuora, nella mia testa i
bizantini sono più signorili (col significato odierno, naturalmente) dei
Longobardi... ahaha
Giovedì alle
22.32 · Mi piace
o
Calogero
Taverna I bizantini sono i continuatori (talora in meglio, talora in peggio)
della grande civiltà romana; i longobardi? Beh! Gli antenati di Bossi. Mi sa
che sant'Elpidio ci guadagna. Augurissimi a lei ed a tutti gli abitanti di
S.Elpidio
grazie
infinite!!! tantissimi auguri anche a lei! =)
Quelli del
Cicolano Una grande soddisfazione leggere su questa bacheca cultura storica e
letteraria,specie del periodo di cui sono appassionato.Grande ammirazione per
Calogero Taverna per l'accuratezza e la estrema conoscenza dei dettagli.Per non
parlare della nostra Carola,che rappresenta la categoria di giovani di cui si è
orgogliosi di averli nati e abitanti di questa nostra Valle.FB può essere anche
luogo virtuale di aggregazione e scambio di idee e di cultura.
o
Calogero
Taverna Una aggiunta: mia moglie nasce a Pescorocchiano ma la sua famiglia si
trasferisce in un bel maniero a Baccarecce. Lì mia moglie abita per oltre 22
anni. Io trovo alloggio estivo in una casetta di ex monache in Santa Lucia di
Fiamignano (ma non riesco a fare guerra a quelli di Fiamignano per il
trafugamento di una icona di Santa Lucia). Se mia moglie origina dai
longobardi, quelli che guerreggiavano in Val di Varri (vedasi Museo Pigorini),
io dovrei rifarmi ai bizantini visto che al mio paese è stato nel 1940
ritrovato un tesoretto del V-VI secolo d.C. risalenti ad un paio di imperatori
bizantini. L'attaccamento alle proprie radici è sublime, il campanilismo solo
simpaticissimo diversivo
Ma
l'importanza ell'epigrafia èattetata dagi interessi che robustistudiosi
tedeschivi hanno dedicato. Certo si sono avvalsi delle relazioniscjientifiche
nel CIS di uncolosso come il Mommsen. Ma sia come sia,eccoche già nel1804
unosudioso palare dell'Edille (ilquinto)che risisideva a S. Elpidio, il
magistrato Carcovinus.
Val la
penafarne qui una sufficiente sintesi.
Il
personaggio di S.Elpidio viene citato in un testo tedesco moto importante- Si
tratta di Carcurin
magistrato
romano citato due volte nel testo:
3) i. Tüinius Pansa Sctccus tr. mil. 400 v. Chr.
PHIL0L06ISGHHIST0BISGHE KLASSE.
NEUE FOLGE. BAND V, 2.
BERLIN.
WEIDMANNSCHE BUCHHANDLUNG.
1904.
INHALT.
Wilhelm Schulze, Zar G-eschichte lateinischer Eigennamen.
------------------------------------------------------
4) Tappo:
Tappurius = Mose fnasu: Masurius oben S. 190 Muso musu: Musurrius S. 196
carcu: Carcurin- S. 171 sq. vgl. mit S. G9. Tappilor(um) CIL V 5753
(Mailand). P. VilHus Tap-
pulus COS. 199 V. Chr. Also wie Letito: LentuluSj vielleicht auch wie Cato:
Catulus. Plinius bringt
Catus und Corculus zusammen n. h. 7, 118. Man hat aber gewiss für das
richtige Verständnis
von Corculus auch das etruskische Oentilicium xurcles x^^x^es Fabretti 2070
sq. zu bedenken.
3) Cafo: Cafumius Bapo: Bapumius SS. 137. 219 carcu: Carcurin- 172 Anm. 3
latuni:
Latumius 176. 178 sacu: Sagurus 223 manttial:
Manturanum 274 Causo: Cauaorius 262 Caepio:
Ceporiua 351. Llaturnius 149.
Ci risparmiamo qui doglianze sulle colpevoli assenze
delle nostre autorità di settore ed anche della cltura specializzata piùo o
meno accademica. Prospettiamo quindi una istanza a correre almeno adesso ai
ripari. Problema risolvibilae e quindi da risolvere immediatamente.
E’ il 5 marzo 1574. A Poggio Poponesco arriva il
terribile visitatore Pietro Camaiano, noto anche nei testi di storia nazionale
e della chiesa di quella scombussolante meta del secolo del risorgente
umanesimo. La sua visita in tutta l’intera diocesi reatina è bene inquadrata,
trascritta ed annotata dal prof. Vincenzo di Flavio - una miniera che andrebbe
socializzata nell’intera provincia, comune per comune, mettendo mani anche al
portafoglio degli enti autarchici coinvolti.
Da lì sono scaturiti appunti già resi noti ad
illustrazione del collegato centro abitativo di S. Elpidio, quello della sopra
spiegata lapide. Non è tanto una digressione quanto un completamento
delindilazionabile richiamo alla doverosità di interventi pubblici razionali e
coordinati per un impellente salvaguardia del patrimonio archeologoco, storico
e di risalto ben ltre i lmiti di un qualsivoglia e comunque giudicabile angolo
visuale localistico.Qui è qui un patrimonio dell’umanità negletto e reso sempre
più fatiscente. Ogni richiamo è dunque oltre che doveroso improcrastinabile.
Il CICOLANO
medio-piccolo borghese
- STAFFOLI: 80 abitanti;
- PETRELLA: 100 famiglie (circa 450 abitanti)
- PONTE DELLA SPONGA 15 famiglie (circa 70 abitanti);
- MARERI: 35 abitanti;
- OIANO: 3 famiglie (non più di 15 abitanti);
- MERCATO: 90 famiglie (circa 400 abitanti, sparsi in quatuor villis parum ab invicem dintantibus);
- FIAMIGNANO: v. Mercato;
- MARMOSEDIO: 25 famiglie (oltre 110 abitanti);
- GAMAGNA: non precisato;
- SANT’AGAPITO: 40 famiglie (circa 180 abitanti);
- SAN SALVATORE: 35 famiglie (circa 155 abitanti);
- COLLEMAZZOLINO: 20 famiglie (circa 90 abitanti);
- SANTA LUCIA DI FIAMIGNANO: 28 famiglie (quasi 125 abitanti);
- FAGGE: 57 famiglie (oltre 250 abitanti);
- BRUSCIANO: 85 abitanti sparsi in quatuor villis;
- SAMBUCO: 72 famiglie (325 abitanti circa sparsi in quinqe villis);
- FORNELLO: numero di famiglie non segnalato;
- SANTO STEFANO: 30 famiglie (circa 135 abitanti);
- RADICARO: 40 famiglie (circa 180 abitanti);
- SAN PIETRO: 9 famiglie (circa 40 abitanti);
- ROCCA RANDISI: 35 famiglie ( circa 155 abitanti);
- SANT’ELPIDIO: 100 famiglie (450 abitanti sparsi in quinque villis);
- POGGIO SAN GIOVANNI: 35 famiglie (circa 155 abitanti);
- TORRE DI TAGLIO: dato anagrafico non segnalato;
- ALZANO: 45 famiglie (oltre 200 abitanti);
- CASTELMENARDO: 20 famiglie (circa 90 abitanti);
- CASTIGLIONE : dato anagrafico non segnalato;
- BORGOROSE: 72 famiglie (circa 325 abitanti);
- SANTO STEFANO: 17 famiglie (circa 75 abitanti);
- CORVARO: 120 famiglie (540 abitanti circa);
- CARTORE: 7 famiglie (oltre 30 abitanti);
- SANT’ANATOLIA: 100 famiglie (circa 450 abitanti);
- SPEDINO: 25 famiglie ( circa 115 abitanti);
- TORANO e VILLA TORANO: 100 famiglie (circa 450 abitanti);
- VILLEROSE: 35 famiglie (circa 155 abitanti);
- CIVITELLA: 28 famiglie (circa 125 abitanti);
- PESCOROCCHIANO: 40 famiglie (circa 180 abitanti);
- NESCE: 20 famiglie (circa 90 abitanti):
- POGGIOREALE: 35 famiglie (circa 155 abitanti);
- LEOFRENI: 35 famiglie (circa 155 abitanti);
- CASTELLUCCIO: 8 famiglie (circa 35 abitanti);
- PACE: 27 famiglie (circa 125 abitanti);
- GIRGENTI: 45 famiglie (circa 200 abitanti);
- BACCARECCE: 24 famiglie (circa 100 abitanti);
- COLLI: 30 famiglie (115 abitanti sparsi in tre villaggi);
- ROCCABERARDI; 40 famiglie (circa 180 abitanti);
- SANTA LUCIA di GIOVEROTONDO; famiglie 17 (circa 75abitanti);
- TONNICODA: 20 famiglie (90 abitanti circa);
TEGLIETO: 30 famiglie (circa 135 abitanti).
Allo stato
dell'arte questo è quanto può rintracciarsi tra i mass-media. E' tanto, non è
troppo ma manco possiamo dire adeguato all'importanza di certi siti
archeologici soprattitto medievali (ma una epigrafia di prim'ordine romana
potrà sconcolgere tanti luogh comuni assodati ma falsi). Abbiamo ad esempio un
unicum quale è il pendio sotto il castrum di Poggio Poponesco, qui mi pare manco
accennato. Ci ripromettiamo di supplire, con le nostre modeste forze. Speriamo
che possa essere per lo meno il seme per il doveroso rilancio archeologico di
una plag a ridorro della Roma Antica davvero unica nel suo genere.
Gli Equicoli
erano un popolo dell' Italia antica, limitati nel Cicolano,residuo dell'
antica nazione degli Equi dopo la conquista romana(fine IV- inizi III
sec. a.C.)...
...Questa notizia viene riportata anche da un' iscrizione a Roma sul colle Palatino (CIL VI 1302), e conservato nell' omonimo museo:
...Questa notizia viene riportata anche da un' iscrizione a Roma sul colle Palatino (CIL VI 1302), e conservato nell' omonimo museo:
§ Ferter Resius / rex Aequeicolus / is preimus / ius
fetiale paravit / inde p(opulus) R(omanus) discipleinam excepit.
Nel
Cicolano, nella frazione di Corvaro,
sono stati rinvenuti tre tumuli degli Equicoli. Il primo tumulo e stato
rinvenuto in località Cartore, il secondo ed il terzo nella piana di
Corvaro, in località Montariolo.
Il sito
archeologico sicuramente più importante e più articolato relativo agli antichi Equi
(la separazione tra Equi ed Equicoli è ancora da definire e non
tutti gli studiosi la riconoscono come tale) è, senza dubbio, il grande
tumulo di Corvaro di Borgorose. Una struttura
funeraria assai complessa, che affascina soprattutto per la sua monumentalità e
perché non ne esistono di uguali in tutta la penisola........continua
Concesso dalla rivista Aequa.
Concesso dalla rivista Aequa.
Ultimo
importante ritrovamento archeologico nel tumulo degli Equicoli nella località Montariolo in
Corvaro, e lo scheletro integro di un cavallo. L'
eccezionale scoperta archeologica ......
Ringraziamenti
particolari al :
Prof. Enzo Di Marco (per il lungo e duro lavoro che svolge),
Rivista Aequa, per la concessione dell' Articolo sul Tumulo degli Equicoli in località Corvaro,
scritto dalla Dott.ssa Giovanna Alvino.
Prof. Enzo Di Marco (per il lungo e duro lavoro che svolge),
Rivista Aequa, per la concessione dell' Articolo sul Tumulo degli Equicoli in località Corvaro,
scritto dalla Dott.ssa Giovanna Alvino.
Contatti : info@equicoli.com
Equi
Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Gli Equi nel Lazio
Gli Equi (Lat. Aequi) erano una
antica popolazione, che occupava un'area oggi compresa fra il Lazio e l'Abruzzo, in Italia, costantemente citata nella prima decade di Livio come ostile a Roma nei primi tre secoli dell'esistenza della
città.
Indice
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· 3
Note
|
Occupavano l'estensione superiori delle valli del
fiume Anio (Aniene),
affluente del Tevere, Tolenus (Turano), Himella (Imele) e Saltus
(Salto), che scorrono verso nord e confluiscono nel fiumeNera. Il loro centro principale sarebbe stato conquistato
una prima volta dai Romani verso il 484 a.C. [1] e di nuovo circa novanta anni più tardi [2], ma non furono sottomessi definitivamente che alla
fine della Seconda guerra sannitica [3], quando sembra che abbiano ricevuto una forma
limitata di libertà [4].
Tutto ciò che sappiamo della loro successiva
situazione politica è che dopo la guerra sociale le
popolazioni di Nersae
(quest'ultima oggi nel comune di Pescorocchiano)
sembrano unite in una res publica Aequiculorum, che era un municipium
di tipo ordinario [5] insieme a Cliternia
(probabilmente oggi Petrella Salto). Le colonie latine di Alba
Fucens (304 a.C.) e Carsoli (298 a.C.) dovevano aver diffuso l'uso del Latino (o di una variante di esso) per tutto il distretto.
Il territorio era attraversato dall'itinerario verso Lucera e l'Italia meridionale (via Valeria). Sicuro insediamento di questo popolo fu anche un
villaggio dove oggi sorge Marano
Equo, situato nella valle dell'Aniene, nel cui territorio sono presenti, delle sorgenti di
acque minerali di 7 tipi diversi, di eccezionale qualità; altra città
ricondotta agli Equi è Tora.
Della lingua parlata dagli Equi prima della conquista
romana non abbiamo notizie: poiché le popolazioni confinanti dei Marsi, che vivevano
subito ad est, e degli Ernici, loro vicini a sud-ovest, erano di sicura etnia osco-umbra, si può ipotizzare che anche gli Equi facesso parte
dello stesso ceppo.
Alla loro lingua originaria doveva appartenere il nome
stesso della popolazione, ricordato come Aequi o Aequiculi (con
la "i" lunga)[6]. In particolare la forma più lunga del loro nome
sembrerebbe collegata ad un locativo derivante dal termine aequum (con il
significato di "pianura"), indicando quindi gli "abitanti della
pianura": in epoca storica tuttavia furono stanziati in un territorio
prevalentemente collinoso.
La presenza della "q" nel nome potrebbe
derivare da una "q" indoeuropea:
in questo caso si confermerebbe l'appartenenza al gruppo latino, che conserva
infatti la "q" indoeuropea originaria, mentre questa diviene una
"p" nei dialetti volsci umbri e sanniti (il latino quis corrisponde all'umbro-volsco pis).
La "q" del nome potrebbe tuttavia derivare anche da un originario
termine indoeuropeo con "k" + "u" (come nel latino equus,
corrispondente all'umbro-volsco ekvo). L'aggettivo derivativo Aequicus
potrebbe indicare una parentela con i Volsci o i Sabini, ma il termine non sembra essere mai
stato usato come un realeetnico.
Per approfondire, vedi la voce Res
publica Aequiculorum.
|
Panoramica del Cicolano
Alla fine del periodo repubblicano gli Equi appaiono,
sotto il nome di Aequiculi o di Aequicoli, organizzati come un municipium,
il cui territorio sembra che abbia compreso la parte superiore della valle del Salto, ancora conosciuta come Cicolano. È
probabile, tuttavia, che abbiano continuato a vivere nei loro villaggi come
prima. Di questi Nersae
presso Nesce, una frazione di Pescorocchiano,
era il più considerevole. Le mura poligonali
che esistono in considerevole quantità nel distretto, rappresentano una
notevole testimonianza della loro cultura.
§ Sabini
§ Italici
§ Latini
§ Ufente
§ Il Cicolano, gli
Equicoli ed il tumulo di Corvaro Il
Tumulo monumentale di Corvaro.
§ Acheologia Lazio: gli Equicoli insediamenti umani nel Cicolano.
§ Rivista trimestrale di studi, ricerche ed indagini storico
-culturali sul territorio degli Equi
Con diversi articoli su questo popolo.
· Equi
Continuiamo il nostro percorso sugli etnonimi
ciociari seguendo gli insegnamenti del linguista Giovanni Semerano. Partiamo
dagli EQUI, che non hanno nulla a che vedere con il mondo equino.
Virgilio nell’Eneide disegnò l’indole aggressiva e selvaggia del popolo degli
Equi che abitavano i monti dell’alta Ciociaria dall’alta Valle dell’Aniene
all’Imelia fino al lago Fucino. Ai tempi della Roma monarchica gli Equi, come
ricorda più volte nella sua opera lo storico Livio, confinavano con i Marsi,
i Volsci, gli Ernici e i Sabini. Il Fiume Licenza, affluente di destra
dell’Aniene, doveva probabilmente segnare il confine con i Sabini, mentre la
dorsale sud-est dei Monti Simbruini dagli Altipiani di Arcinazzo e il
territorio di Trevi li divideva dagli Ernici. Come per gli altri eponimi che
mostrano un substrato linguistico comune risalente a basi sumerico accadiche,
il nome EQUI, richiamando l’antico accadico EQLUM, sta ad
indicare semplicemente "TERRA, REGIONE", gli Equicoli quindi
sono gli "ABITANTI DELLA REGIONE".
Passiamo al "Potente popolo italico dei
sassi", gli ERNICI. Da Virgilio sappiamo che erano abilissimi nel
lanciare frecce, che andavano in guerra con il piede sinistro nudo e il
destro coperto da un calzare, mentre Ovidio ci tramanda che presso il popolo
ernico il mese di marzo sarebbe stato il sesto, quindi per loro l’anno
iniziava nel mese di ottobre, come per gli Spartani ed i Fenici. Lo storico
Tito Livio nella sua monumentale opera finalizzata all’esaltazione di Roma,
nella Prima Decade racconta diversi episodi di guerra tra Romani ed Ernici
dal punto di vista dei vincitori, che comunque per quasi due secoli si
scontrarono con questa popolazione italica, riunita nella Lega Ernica.
Si tratterebbe di popolazione montana, confinante
con i Volsci e i Sanniti a sud e con gli Equi ed i Marsi a nord, genti che
abitavano il territorio compreso tra i Monti Prenestini ed Albani fino al
fiume Liri, come precisato nel pregevole Latium di Athanasius Kircher attivo
a Roma nella seconda metà del Seicento ("Hernica regio comprehendit
illos populos qui Praenestinorum, Albanorumque montium dorso utrimque ad
Lirim usque fluvium inhabitant"). Alatri, Anagni,
Ferentino,Veroli furono i loro oppia principali, che vissero di
vita propria prima della conquista romana, circondate da quelle mura
pelasgiche di costruzione precedente forse all’ insediamento ernico, che
hanno destato stupore e meraviglia ai numerosi viaggiatori e studiosi dell’
Ottocento, se Gregorovius, di fronte alle mura di Alatri poteva affermare: "Allorquando
mi trovai dinanzi a quella nera costruzione titanica, conservata in ottimo
stato, quasi non contasse secoli e secoli, ma soltanto anni, provai
un’ammirazione per la forza umana assai maggiore di quella, che mi aveva
ispirata la vista del Colosseo". "Hernici dicti a saxis
quae Marsi herna dicunt", con queste parole il grammatico latino
Festo denomina gli Ernici, la popolazione latina di razza sabina che deriva
il nome dalla stessa base di Carnia, Carniche, Carnaro, accadico QARNU
(punta, letteralmente corno), quindi l’etnonimo sta ad indicare: IL POPOLO
DEI SASSI.
EQUI = ABITANTI DELLA REGIONE
ERNICI = IL POPOLO DEI SASSI
31.1.08
|
|
U.R.S.E. Unione Regioni Storiche Europee
Villa Cristina – Via del Vecchio Casale - 03010 ALTIPIANI DI ARCINAZZO - PIGLIO FR - ITALIA Tel. 347.6326361 – Tel.Fax. 0775.598011 - E.mail: info@urse.org |
· up. 6 ottobre 2008
· Equi ed Equicoli
·
· Gli Equi
·
· Gli equi ebbero le origini da colonie sicule; sono
annoverati tra i popoli più antichi d'Italia; ebbero fama di gran gente, giusta
li decanta anche Cicerone, e sostennero sanguinose guerre, con i vicini
aborigeni, rimanendone sempre vincitori. Senonchè fu loro tolta una buona parte
del territorio, allorquando gli indicati aborigeni, si collegarono con i
sopravvenuti pelasgi. Gli storici antichi non sono concordi sull'epoca della
venuta pelasgica in Italia; il Cliton, seguito dai più, la fissa a 1750 anni
avanti Cristo. Gli aborigeni avevano bene accetta quella gente, nella loro
giurisdizione, per resistere e porre un argine alle invasioni e guerre con i
vicini equi, o equicolani, denominati posteriormente in parte Cicoli, dagli
originari sicoli o siculi.
· I sicoli, siculi o sicani appartenevano a un
antichissimo popolo iberico, situato tra il Caucaso e il mar Nero, che passò prima
nella Saturnia e poi dall'Etruria alla Sicilia, a cui diede il nome. I pelasgi,
a testimonianza di quanto scrissero Varrone e Dionisio di Alicarnasso, dopo
aver avuta una dominazione, anche nella nostra regione, di circa
duecentosessanta anni, furono cacciati dall'Italia, con aspri e sanguinosi
combattimenti, dalla prima impresa d'indipendenza, sorta con la fraterna lega
del sabelli, equi, osci, etruschi e umbri. Virgilio racconta che le schiere del
popoli d'Italia, nel 1184 avanti Cristo, marciassero contro Enea, sotto la
direzione e comando di Ufente, valoroso capitano equo e di Messapo e Marenzo,
provetti condotticri etruschi.
· Tito Livio, che fu il principe del narratoni latini,
poi rocconta categoricamente le lunghe e aspre guerre, combattute dagli equi
contro Roma, dai tempi di Tarquinio il Superbo, alla loro completa disfatta.
· Nel 260 Coriolano, alla testa di un esercito di equi e
di volsci, aveva affamato la città di Roma, saccheggiandone il territorio, non
le armi, ma le sole preghiere di sua madre Vetruria e di Volummia sua moglie,
lo indussero ad abbandonare l'assedio della trepidante città. Nel 290, il
proconsole T. Quinzio fu sollecito a intervenire in sostegno dell'esercito
condotto da Fuso Furio, che era stato assediato dagli equi, nei suoi
accampamenti. Il proconsole salvò l'esercito romano da distruzione certa, ma, a
testimonianza di Valerio Anziate, ebbe la perdita di 5300 uomini.
· Nel 295, con le armi, gli equi avevano conquistata
Rocca Tuscolana, ove assediati, si arresero per fame e non per forza.
· Nel 296, Cincinnato riuscì a liberare il console
Minuccio, dall'assedio di Gracco Clelio, condottiero e imperatore degli equi.
Nel 297, costoro distrussero la guarnigione romana a Corbione, loro città
dovuta cedere l'anno innanzi a Cincinnato. Nel 305, ottennero grande vittoria
sui romani, presso Algido.
· Nel 323, corsero in aiuto del volsci, contro Roma, ma
ne rimasero vinti, benchè causassero gravi perdite all'esercito avversario. Nel
337, disfecero l'esercito romano, condotto da Lucio Sergio Fidena e da Marco
Papirio Magellano; nel 341, annientarono e fecero a pezzi il presidio romano,
rimpossessandosi della loro città Bola e nel 396 invasero Rocca Caventana e ne
uccisero la guarnigione. Stretta alleanza con i volsci, combatterono guerre
sanguinosissime contro Roma, negli anni 260, 266, 279, 283, 285, 290, 291, 292,
293, 305, 308, 323, 345, 346, e 366; con i sabini negli anni 260, 296, 297, e
304; con i lavicani nel 337 e con i latini, ernici ed etruschi nel 366.
· I sanniti, che sostennero contro i romani, con varia
fortuna, lotte feroci, furono aiutati dagli equi dal 429 sino alla loro fine.
· Quindi l'ardimento della confederazione equa, giunse
al punto di minacciare di saccheggio e di assedio, sin sotto le mura, la futura
dominatrice del mondo,
· Senonchè nel 449, dinanzi a un compatto e poderoso esercito,
capitanato dai consoli Saverrione e Sobo, gli equi, temendo la sconfitta, notte
tempo abbandonavano il campo, con la intenzione di difendere ognuno i propri
luoghi.
· Grave fu l'errore, perchè se uniti erano stati
invincibili e potevano sperare la vittoria sui romani, divisi, ne divennero
facile preda. Infatti in soli cinquanta giorni, furono dalle schiere romane
espugnate ed oppresse ben quarantuno loro città, tra le quali Oricola.
Insorsero gli equi nel 451, per riconquistare la perduta città di Albe, e in
Roma destarono grande apprensione, ma creato dittatore Caio Bruto Balbutto,
rimasero da questi soprafatti. Nel 452 ripresero le armi contro i romani, ma
anche questa volta non sortì buon effetto la loro sollevazione, poichè furono
affranti da Marco Valerio e può dirsi che venissero a scomparire dalla storia.
· La confederazione equa era formata da città
indipendenti le une dalle altre. Si conoscono i nomi di cinque loro capitali:
Trebe (Trevi), Carseoli, Nersae, Vetellia (Bellegra), e Albe, l'ultima delle
quali è controverso negli storici, se fosse equa o marsa. Tito Livio, Strabone
e Dion Cassio, portano Albe come cittá equa, mentre Festo, Silio Italico e
Tolomeo la dicono marsa. I primi però sono più attendibili, tanto per la
prevalente loro autoritá storiografa, quanto perchè i secondi sono più recenti
e possono riferirsi a cambiamenti di circoscrizioni posteriormente avvenuti.
Infatti, senza questa logica interpretazione, non potrebbe spiegarsi il
tentativo degli equi, nel 451, di ricuperare la città di Albe Fucense. Tali
capitali erano costituite solo come centri di luconomie (sic!) e come luoghi
destinati alla discussione degli affari della speciale repubblica e non con
dominio assoluto sulle altre città.
· Dagli storici antichi, gli equi venivano rappresentati
come espertissimi nell'arte delle guerra, come istitutori delle leggi feciale e
sacrata e come quelli che diedero agli altri popoli le nozioni del diritto
pubblico.
· Secondo le norme feciali, in questo popolo, ravvisiamo
la sua indole basata sulla equità e giustizia, inquantochè inspirate nel
rispetto della vita e della proprietà altrui, nonchè sulla indissolubilità
della famiglia e della Patria. Per le disposizioni della legge sacrata il
carattere eminentemente bellico della stirpe era statuito sul dovere di
difendere la terra natale, con la vittoria o con la morte. Nè può toglierne
l'importanza morale, la descrizione che ci viene tramandata dall'Eneide, libro
VIII, quando gli equi ci vengono ricordati usì a guadagnare la vita con la
caccia e con la rapina. L'espressione al vivere rapto va intesa non come furto,
scorreria e saccheggio, tanto comuni in quelle epoche primitive, ma come
conquista di guerra.
· Al par degli altri popoli, anche gli equi ebbero dei
re, il primo del quali fu Settimio Modio e il secondo Sertorio Resio, che fu
dichiarato istitutore della legge feciale, quando Anco Marzio la fece adottare
in Roma. Successivamente, nel 296, ebbero l'imperatore Gracco Clelio, che dopo
aver cinto di assedio l'esercito romano, condotto dal console Minucio, fu fatto
prigioniero da Cincinnato, accorso in aiuto del predetto console. A
testimonianza poi di una epigrafe, rinvenuta nel Cicolano e
riportata dal Longini, con il N. 34, in un tempo gli equi erano governati da un
medixtuticus, per le cose religiose, civili e militari. Detto supremo
magistrato aveva le stesse mansioni che esplicavano il dittatore nel Lazio,
l'imperatore nella Sabina e il luconome (sic!) nell'Etruria. Ovidio nei versi,
dal 689 al 711 del Fasti, libro IV, ci enumera le occupazioni di questo popolo,
quando narra che l'uomo era intento alla coltura del suo terrenuccio con
l'aratro, bidente e falce e la donna a racimolare con il rastrello le erbe del
prati, a porre in cova le uova, a raccogliere gli erbaggi e i funghi, a
riaccendere il fuoco già spento e a tessere la tela.
· Virgilio poi ci narra che gli equi rozzi, gagliardi e
forti, erano soliti a coltivare armati il proprio campicello. Fra le loro armi
si annoveravano le frecce di selce e di bronzo, la fionda e lo sparo, che era
una specie di chiavellotto (sic!) micidialissimo, somigliante al pilo delle
romane legioni. Silio Itatico narra che le armi da loro preferite erano nodosi
bastoni, spade con punte corte ed elmi di bronzo con superbe creste. Virgilio,
nel IX libro dell'Eneide, descrive gli equi belli nelle armature: Continuo
Quercens et pulcher Equicolus armis. Quindi la loro vita poteva racchiudersi
nel bimonio (sic!) economia domestica e guerra nella quale ultima ponevano ogni
impegno e costanza. Nei concili nazionali come in genere i popoli antichi,
d'Italia, si adunavano in un determinato luogo, nell'ambìto del proprio
territorio, per discutere gli affari più importanti e specialmente se dovevano
o no dichiarare una guerra, per la quale se ne eleggevano i supremi capitani.
· Detti concili cessarono, dopo la loro soggiogazione a
Roma e li troviamo ripristinati durante la guerra sociale, nella importante
Corfinio, presso Pentina nel Sannio, che fu destinata a Capitale, con il
cambiamento di nome in quello di Italica. Ebbero corporazioni
politico-religiose, tra cui le Augustali di origine romana. A capo degli
Augustali, che erano ì ministri del lari di Augusto, vi era un collegio di sei
magistrati chiamati Lari. Da qui ebbero origine i giuochi augustali, istituiti
da Tiberio, nel 14 dopo Cristo, le cui feste in onore dell'Imperatore, si
celebravano dai 5 agli 11 ottobre. I Lari rappresentarono i genii tutelari
delle famiglie, costituiti da statuette, che venivano collocate in specie di
tempi, chiamati lararium. Gli equi professavano, come quasi tutti i popoli
primitivi, la religione monoteistica e conoscevano in origine solo il loro
Giano. Con l'immigrazione pelasgica fu introdotto il politeismo e si ebbe un
culto speciale per Marte Ultore, giusta l'epigrafe N. 45, rinvenuta in Carseoli
e riportata dal Garrucci nel bollettino archeologico napoletano. Si venerarono
inoltre Giove, Giunone, Vesta, Diana, Sole, Serapide e Minerva, a testimonianza
delle iscrizioni epigrafíche, elencate nell'opera del ripetuto Longini, sulle
Memorie Storiche sulla Regione Equicolana.
· Restano memorie che S. Pietro Apostolo si recasse
personalmente in questi luoghi per evangelizzarne gli abitanti. Anzi giusta
riferisce il Pierantoni nel suo Diario Sacro del Lazio, a pag. 126, S. Pietro
Apostolo, reduce dalla inaugurazione dell'emissario del Fucino, ove aveva
accompagnato i cristiani, che presero parte al finto combattimento navale,
chiamato naumachia, indetto dall'Imperatore Claudio, fu ospite gradito in
Carseoli, e per parecchi giorni, del centurione Cornelio, da lui convertito in
Palestina. Sappiamo che gli equi, in Roma, furono tenuti in gran prestigio, ma,
avvenuta la fusione con quel popolo, non li troviamo più accennati nella
storia. Solo il rinvenimento di monete delle varie epoche, ci dimostra che
questa regione fu sempre abitata.
· Gli equi vennero dai romani, ripartiti in quattro
tribù: Fabia, Aniense, Terentina, e Claudia. La nostra Carseoli e adiacenze,
nel 453 di Roma, andò a far parte della tribù Aniense.
· Ai tempi dell'imperatore Augusto, l'Italia venne
divisa in undici regioni e gli equi fecero parte della quarta. Durante l'impero
di Adriano, passarono a far parte della tredicesima provincia, mentre andarono
a formarne la quattordicesima, all'epoca di Costantino. Ai tempi poi di Onorio,
della provincia del Sannio, di cui gli equi facevano parte, si disgregò una
zona per costituire la provincia Valeria, la quale fu la tredicesima ed era
costituita di equi, sabini, peligni e vestini. Con i continui cambiamenti di
circoscrizione, gli equi vennero a confondersi con i popoli vicini ed è perciò
che rimane difficile fissarne la primitiva ubicazione: essi andarono a
ingrandire le regioni del Lazio, della Sabina e della Marsica.
· Della lingua parlata dagli Equi prima della conquista
romana non abbiamo annotazione; ma poiché i Marsi, che vivevano subito ad est,
parlavano nel III secolo a.C. un dialetto molto analogo al Latino e poiché gli
Ernici, i loro vicini a sud-ovest, facevano lo stesso, non abbiamo basi per
separare qualcuna di queste tribù dal gruppo dei Latini. Se potessimo essere
sicuri dell'origine della q nel loro nome e del rapporto fra la forma più corta
e quella più lunga (nota che la i di Aequiculus è lunga -- Virgilio, Aen. VII.
744 -- il che sembra collegarla con il locative del aequum "una
pianura", in modo che significhi "gli abitanti nella pianura";
ma in periodo storico certamente hanno vissuto principalmente nelle colline), dovremmo
sapere se dovevano essere raggruppati con i dialetti con del q o con i dialetti
del p, cioè, con da una parte con il Latino, che ha conservato un originale q o
dall'altra con il dialetto di Velitrae, comunemente denominato Volsco (e i
Volsci erano costanti alleati degli Equi), in cui, come nei dialetti Iguvini e
Sanniti, un q originale è cambiato in p.
· Non c'è evidenza decisiva per mostrare se il q Latino
di aequus rappresenti una q indoeuropea come nel Latino quis, cioè
l'Umbro-Volsco pis, o un indoeuropeo k + u come in equus, Umbro ekvo -.
L'aggettivo derivativo Aequicus potrebbe essere preso per metterli con i Volsci
piuttosto che con i Sabini, ma non è chiaro se questo aggettivo sia mai stato
usato come un reale etnico; il nome della tribù è sempre Aequi, o Aequicoli.
· Alla fine del periodo repubblicano gli Equi appaiono,
sotto il nome di Aequiculi o di Aequicoli, organizzati come un municipium, il
cui territorio sembra che abbia compreso la parte superiore della valle del
Salto, ancora conosciuta come Cicolano. È probabile, tuttavia, che abbiano
continuato a vivere nei loro villaggi come prima. Di questi Nersae presso
Nesce, una frazione di Pescorocchiano, era il più considerevole. Le mura
poligonali che esistono in considerevole quantità nel distretto, rappresentano
una notevole testimonianza della loro cultura.
·
· Gli Equicoli
·
· L'alta valle del Salto, denominata Cicolano, deriva il suo nome dagli equicoli che un tempo
l'abitavano. Fin dalla tarda età Repubblicana, le popolazioni stanziate nella
nostra Valle furono identificate con questo nome. Gli Equicoli, appartenenti al
gruppo linguistico tosco-umbro, occupavano la valle dell'Aniene la zona intorno
al Fucino, la pianura Carsolana e la Valle del Salto che costituiva la
principale via di comunicazione tra le popolazioni del Fucino, la Valle
dell'Aniene, e della Pianura Reatina. Con il termine equicoli (Aequiculi
/Aequicoli), entrano in uso nella letteratura e nell' epigrafia soltanto a
partire dalla tarda età repubblicana (II/I sec. a.C.), si definivano le genti
distribuiti lungo la, residuo dell' antica nazione degli Equi, il cui
territorio, originariamente ben piu' vasto, dopo la conquista romana (fine IV- inizi
III sec. a.C.) venne circoscritto in quest' area nel cuore dell' Appennino
centrale, probabilmente corrispondente alla sua sede primitiva. La tradizione
letteraria ci parla di due re degli Equicoli, Septimus Modius e Ferter Resius.
Al secondo viene attribuita l' introduzione a Roma, al tempo del re Numa od
Anco Marzio, dello ius fetiale (diritto dei feziali), attraverso il quale
venivano nominati dei sacerdoti, i feziali, il cui compito era quello di
regolare i rapporti con le popolazioni confinanti, tanto nei trattati di pace
quando nelle dichiarazioni di guerra. Questa notizia viene riportata anche da
un' iscrizione a Roma sul colle Palatino (CIL VI 1302), e conservato nell'
omonimo museo: In generale gli Equicoli nelle fonti letterarie greche e latine
sono descritti come un fiero popolo bellicoso, che vive di guerre e di
saccheggi, ma anche di caccia, praticabile nei rigogliosi boschi della Valle
del Salto, ed anche di agricoltura, per quello che l' asperità del territorio
consentiva. Emblematica è la loro descrizione fatta da Virgilio nell' Eneide
(Aen. VII 744-749) : In seguito alla sconfitta patita dai romani nel 304 a.C. ,
la popolazione degli Equi venne in gran parte sterminata, e quello che ne
rimase venne concentrato proprio nel territorio della Valle del Salto, che
assunse appunto il nome di ager Aequiculanus.
· Dal 1984 la Soprintendenza Archeologica del Lazio sta
portando avanti una serie di campagne di scavo, indagini archeoligiche e
ricerche di superficie atte a determinare i principali momenti degli
insediamenti nella Valle del Salto, ad individuare le possibili forme di
utilizzazione del suolo ed a delineare alcuni aspetti che caratterizzavano la
società locale. E' stata condotta un'interessante campagna di scavo
archeologico, finalizzata al recupero di una necropoli di tombe databili tra il
VI e la prima metà del V secolo a.C.
· I primi insediamenti sono caratterizzati da alcuni
villaggi all'interno della piana di Corvaro che sembrano resistere fino alla
prima Età Imperiale. Nella stessa area si hanno le testimonianze più numerose
di resti archeologici di notevole importanza relativi all'età del Bronzo. Con
la costituzione nel 1927 della provincia di Rieti, il Cicolano, fino ad allora
parte della regione Abruzzo, venne incluso nel territorio della nuova
Provincia.
· Ne
fanno parte i Comuni di Borgorose, Petrella Salto, Pescorocchiano e Fiamignano.
Questa zona, il cui passaggio è caratterizzato dalla presenza di numerosi
terrazzamenti di incerta attribuzione, attirarono l'interesse di alcuni
studiosi del secolo scorso. Antichi municipi di quest'area furono Cliternia
(l'attuale Capradosso), più vicina all'area sabina e la Res Pubblica
Aequiculanorum che costituiva il Municipio territoriale mantenente l'antico
aspetto pagano che aveva in Nersae il suo maggior centro ricordato da Virgilio
e da Plinio: era L'età Augustea.
Allo stato
dell'arte questo è quanto può rintracciarsi tra i mass-media. E' tanto, non è
troppo ma manco possiamo dire adeguato all'importanza di certi siti
archeologici soprattitto medievali (ma una epigrafia di prim'ordine romana
potrà sconcolgere tanti luogh comuni assodati ma falsi). Abbiamo ad esempio un
unicum quale è il pendio sotto il castrum di Poggio Poponesco, qui mi pare
manco accennato. Ci ripromettiamo di supplire, con le nostre modeste forze.
Speriamo che possa essere per lo meno il seme per il doveroso rilancio
archeologico di una plag a ridorro della Roma Antica davvero unica nel suo
genere.
Gli Equicoli
erano un popolo dell' Italia antica, limitati nel Cicolano,residuo dell'
antica nazione degli Equi dopo la conquista romana(fine IV- inizi III
sec. a.C.)...
...Questa notizia viene riportata anche da un' iscrizione a Roma sul colle Palatino (CIL VI 1302), e conservato nell' omonimo museo:
...Questa notizia viene riportata anche da un' iscrizione a Roma sul colle Palatino (CIL VI 1302), e conservato nell' omonimo museo:
§Ferter Resius / rex Aequeicolus / is preimus / ius
fetiale paravit / inde p(opulus) R(omanus) discipleinam excepit.
Nel
Cicolano, nella frazione di Corvaro,
sono stati rinvenuti tre tumuli degli Equicoli. Il primo tumulo e stato
rinvenuto in località Cartore, il secondo ed il terzo nella piana di
Corvaro, in località Montariolo.
Il sito
archeologico sicuramente più importante e più articolato relativo agli antichi Equi
(la separazione tra Equi ed Equicoli è ancora da definire e non
tutti gli studiosi la riconoscono come tale) è, senza dubbio, il grande
tumulo di Corvaro di Borgorose. Una struttura
funeraria assai complessa, che affascina soprattutto per la sua monumentalità e
perché non ne esistono di uguali in tutta la penisola........continua
Concesso dalla rivista Aequa.
Concesso dalla rivista Aequa.
Ultimo
importante ritrovamento archeologico nel tumulo degli Equicoli nella località Montariolo in
Corvaro, e lo scheletro integro di un cavallo. L'
eccezionale scoperta archeologica ......
Ringraziamenti
particolari al :
Prof. Enzo Di Marco (per il lungo e duro lavoro che svolge),
Rivista Aequa, per la concessione dell' Articolo sul Tumulo degli Equicoli in località Corvaro,
scritto dalla Dott.ssa Giovanna Alvino.
Prof. Enzo Di Marco (per il lungo e duro lavoro che svolge),
Rivista Aequa, per la concessione dell' Articolo sul Tumulo degli Equicoli in località Corvaro,
scritto dalla Dott.ssa Giovanna Alvino.
Contatti : info@equicoli.com
Equi
Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Gli Equi nel Lazio
Gli Equi (Lat. Aequi) erano una
antica popolazione, che occupava un'area oggi compresa fra il Lazio e l'Abruzzo, in Italia, costantemente citata nella prima decade di Livio come ostile a Roma nei primi tre secoli dell'esistenza della
città.
Indice
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|
Occupavano l'estensione superiori delle valli del
fiume Anio (Aniene),
affluente del Tevere, Tolenus (Turano), Himella (Imele) e Saltus
(Salto), che scorrono verso nord e confluiscono nel fiumeNera. Il loro centro principale sarebbe stato conquistato
una prima volta dai Romani verso il 484 a.C. [1] e di nuovo circa novanta anni più tardi [2], ma non furono sottomessi definitivamente che alla
fine della Seconda guerra sannitica [3], quando sembra che abbiano ricevuto una forma
limitata di libertà [4].
Tutto ciò che sappiamo della loro successiva
situazione politica è che dopo la guerra sociale le
popolazioni di Nersae
(quest'ultima oggi nel comune di Pescorocchiano)
sembrano unite in una res publica Aequiculorum, che era un municipium
di tipo ordinario [5] insieme a Cliternia
(probabilmente oggi Petrella Salto). Le colonie latine di Alba
Fucens (304 a.C.) e Carsoli (298 a.C.) dovevano aver diffuso l'uso del Latino (o di una variante di esso) per tutto il distretto.
Il territorio era attraversato dall'itinerario verso Lucera e l'Italia meridionale (via Valeria). Sicuro insediamento di questo popolo fu anche un
villaggio dove oggi sorge Marano
Equo, situato nella valle dell'Aniene, nel cui territorio sono presenti, delle sorgenti di
acque minerali di 7 tipi diversi, di eccezionale qualità; altra città
ricondotta agli Equi è Tora.
Della lingua parlata dagli Equi prima della conquista
romana non abbiamo notizie: poiché le popolazioni confinanti dei Marsi, che vivevano
subito ad est, e degli Ernici, loro vicini a sud-ovest, erano di sicura etnia osco-umbra, si può ipotizzare che anche gli Equi facesso parte
dello stesso ceppo.
Alla loro lingua originaria doveva appartenere il nome
stesso della popolazione, ricordato come Aequi o Aequiculi (con
la "i" lunga)[6]. In particolare la forma più lunga del loro nome
sembrerebbe collegata ad un locativo derivante dal termine aequum (con il significato
di "pianura"), indicando quindi gli "abitanti della
pianura": in epoca storica tuttavia furono stanziati in un territorio
prevalentemente collinoso.
La presenza della "q" nel nome potrebbe
derivare da una "q" indoeuropea:
in questo caso si confermerebbe l'appartenenza al gruppo latino, che conserva
infatti la "q" indoeuropea originaria, mentre questa diviene una
"p" nei dialetti volsci umbri e sanniti (il latino quis corrisponde all'umbro-volsco pis).
La "q" del nome potrebbe tuttavia derivare anche da un originario
termine indoeuropeo con "k" + "u" (come nel latino equus,
corrispondente all'umbro-volsco ekvo). L'aggettivo derivativo Aequicus
potrebbe indicare una parentela con i Volsci o i Sabini, ma il termine non sembra essere mai
stato usato come un realeetnico.
Per approfondire, vedi la voce Res
publica Aequiculorum.
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Panoramica del Cicolano
Alla fine del periodo repubblicano gli Equi appaiono,
sotto il nome di Aequiculi o di Aequicoli, organizzati come un municipium,
il cui territorio sembra che abbia compreso la parte superiore della valle del Salto, ancora conosciuta come Cicolano. È
probabile, tuttavia, che abbiano continuato a vivere nei loro villaggi come
prima. Di questi Nersae
presso Nesce, una frazione di Pescorocchiano,
era il più considerevole. Le mura poligonali
che esistono in considerevole quantità nel distretto, rappresentano una
notevole testimonianza della loro cultura.
§Il Cicolano, gli
Equicoli ed il tumulo di Corvaro Il
Tumulo monumentale di Corvaro.
§Acheologia Lazio: gli Equicoli insediamenti umani nel Cicolano.
§Rivista trimestrale di studi, ricerche ed indagini storico
-culturali sul territorio degli Equi
Con diversi articoli su questo popolo.
·Equi
Continuiamo il nostro percorso sugli etnonimi
ciociari seguendo gli insegnamenti del linguista Giovanni Semerano. Partiamo
dagli EQUI, che non hanno nulla a che vedere con il mondo equino.
Virgilio nell’Eneide disegnò l’indole aggressiva e selvaggia del popolo degli
Equi che abitavano i monti dell’alta Ciociaria dall’alta Valle dell’Aniene
all’Imelia fino al lago Fucino. Ai tempi della Roma monarchica gli Equi, come
ricorda più volte nella sua opera lo storico Livio, confinavano con i Marsi,
i Volsci, gli Ernici e i Sabini. Il Fiume Licenza, affluente di destra
dell’Aniene, doveva probabilmente segnare il confine con i Sabini, mentre la
dorsale sud-est dei Monti Simbruini dagli Altipiani di Arcinazzo e il
territorio di Trevi li divideva dagli Ernici. Come per gli altri eponimi che
mostrano un substrato linguistico comune risalente a basi sumerico accadiche,
il nome EQUI, richiamando l’antico accadico EQLUM, sta ad
indicare semplicemente "TERRA, REGIONE", gli Equicoli quindi
sono gli "ABITANTI DELLA REGIONE".
Passiamo al "Potente popolo italico dei
sassi", gli ERNICI. Da Virgilio sappiamo che erano abilissimi nel
lanciare frecce, che andavano in guerra con il piede sinistro nudo e il
destro coperto da un calzare, mentre Ovidio ci tramanda che presso il popolo
ernico il mese di marzo sarebbe stato il sesto, quindi per loro l’anno
iniziava nel mese di ottobre, come per gli Spartani ed i Fenici. Lo storico
Tito Livio nella sua monumentale opera finalizzata all’esaltazione di Roma,
nella Prima Decade racconta diversi episodi di guerra tra Romani ed Ernici
dal punto di vista dei vincitori, che comunque per quasi due secoli si
scontrarono con questa popolazione italica, riunita nella Lega Ernica.
Si tratterebbe di popolazione montana, confinante
con i Volsci e i Sanniti a sud e con gli Equi ed i Marsi a nord, genti che
abitavano il territorio compreso tra i Monti Prenestini ed Albani fino al
fiume Liri, come precisato nel pregevole Latium di Athanasius Kircher attivo
a Roma nella seconda metà del Seicento ("Hernica regio comprehendit
illos populos qui Praenestinorum, Albanorumque montium dorso utrimque ad
Lirim usque fluvium inhabitant"). Alatri, Anagni,
Ferentino,Veroli furono i loro oppia principali, che vissero di
vita propria prima della conquista romana, circondate da quelle mura
pelasgiche di costruzione precedente forse all’ insediamento ernico, che
hanno destato stupore e meraviglia ai numerosi viaggiatori e studiosi dell’
Ottocento, se Gregorovius, di fronte alle mura di Alatri poteva affermare: "Allorquando
mi trovai dinanzi a quella nera costruzione titanica, conservata in ottimo
stato, quasi non contasse secoli e secoli, ma soltanto anni, provai
un’ammirazione per la forza umana assai maggiore di quella, che mi aveva
ispirata la vista del Colosseo". "Hernici dicti a saxis
quae Marsi herna dicunt", con queste parole il grammatico latino
Festo denomina gli Ernici, la popolazione latina di razza sabina che deriva
il nome dalla stessa base di Carnia, Carniche, Carnaro, accadico QARNU
(punta, letteralmente corno), quindi l’etnonimo sta ad indicare: IL POPOLO
DEI SASSI.
EQUI = ABITANTI DELLA REGIONE
ERNICI = IL POPOLO DEI SASSI
31.1.08
|
|
U.R.S.E. Unione Regioni Storiche Europee
Villa Cristina – Via del Vecchio Casale - 03010 ALTIPIANI DI ARCINAZZO - PIGLIO FR - ITALIA Tel. 347.6326361 – Tel.Fax. 0775.598011 - E.mail: info@urse.org |
·up. 6 ottobre 2008
·Equi ed Equicoli
·
·Gli Equi
·
·Gli equi ebbero le origini da colonie sicule; sono
annoverati tra i popoli più antichi d'Italia; ebbero fama di gran gente, giusta
li decanta anche Cicerone, e sostennero sanguinose guerre, con i vicini
aborigeni, rimanendone sempre vincitori. Senonchè fu loro tolta una buona parte
del territorio, allorquando gli indicati aborigeni, si collegarono con i
sopravvenuti pelasgi. Gli storici antichi non sono concordi sull'epoca della
venuta pelasgica in Italia; il Cliton, seguito dai più, la fissa a 1750 anni
avanti Cristo. Gli aborigeni avevano bene accetta quella gente, nella loro
giurisdizione, per resistere e porre un argine alle invasioni e guerre con i
vicini equi, o equicolani, denominati posteriormente in parte Cicoli, dagli
originari sicoli o siculi.
· I sicoli, siculi o sicani appartenevano a un
antichissimo popolo iberico, situato tra il Caucaso e il mar Nero, che passò
prima nella Saturnia e poi dall'Etruria alla Sicilia, a cui diede il nome. I
pelasgi, a testimonianza di quanto scrissero Varrone e Dionisio di Alicarnasso,
dopo aver avuta una dominazione, anche nella nostra regione, di circa
duecentosessanta anni, furono cacciati dall'Italia, con aspri e sanguinosi
combattimenti, dalla prima impresa d'indipendenza, sorta con la fraterna lega
del sabelli, equi, osci, etruschi e umbri. Virgilio racconta che le schiere del
popoli d'Italia, nel 1184 avanti Cristo, marciassero contro Enea, sotto la
direzione e comando di Ufente, valoroso capitano equo e di Messapo e Marenzo,
provetti condotticri etruschi.
·Tito Livio, che fu il principe del narratoni latini,
poi rocconta categoricamente le lunghe e aspre guerre, combattute dagli equi
contro Roma, dai tempi di Tarquinio il Superbo, alla loro completa disfatta.
·Nel 260 Coriolano, alla testa di un esercito di equi e
di volsci, aveva affamato la città di Roma, saccheggiandone il territorio, non
le armi, ma le sole preghiere di sua madre Vetruria e di Volummia sua moglie,
lo indussero ad abbandonare l'assedio della trepidante città. Nel 290, il
proconsole T. Quinzio fu sollecito a intervenire in sostegno dell'esercito
condotto da Fuso Furio, che era stato assediato dagli equi, nei suoi
accampamenti. Il proconsole salvò l'esercito romano da distruzione certa, ma, a
testimonianza di Valerio Anziate, ebbe la perdita di 5300 uomini.
·Nel 295, con le armi, gli equi avevano conquistata
Rocca Tuscolana, ove assediati, si arresero per fame e non per forza.
·Nel 296, Cincinnato riuscì a liberare il console
Minuccio, dall'assedio di Gracco Clelio, condottiero e imperatore degli equi.
Nel 297, costoro distrussero la guarnigione romana a Corbione, loro città
dovuta cedere l'anno innanzi a Cincinnato. Nel 305, ottennero grande vittoria
sui romani, presso Algido.
·Nel 323, corsero in aiuto del volsci, contro Roma, ma
ne rimasero vinti, benchè causassero gravi perdite all'esercito avversario. Nel
337, disfecero l'esercito romano, condotto da Lucio Sergio Fidena e da Marco
Papirio Magellano; nel 341, annientarono e fecero a pezzi il presidio romano,
rimpossessandosi della loro città Bola e nel 396 invasero Rocca Caventana e ne
uccisero la guarnigione. Stretta alleanza con i volsci, combatterono guerre
sanguinosissime contro Roma, negli anni 260, 266, 279, 283, 285, 290, 291, 292,
293, 305, 308, 323, 345, 346, e 366; con i sabini negli anni 260, 296, 297, e
304; con i lavicani nel 337 e con i latini, ernici ed etruschi nel 366.
·I sanniti, che sostennero contro i romani, con varia
fortuna, lotte feroci, furono aiutati dagli equi dal 429 sino alla loro fine.
·Quindi l'ardimento della confederazione equa, giunse
al punto di minacciare di saccheggio e di assedio, sin sotto le mura, la futura
dominatrice del mondo,
·Senonchè nel 449, dinanzi a un compatto e poderoso esercito,
capitanato dai consoli Saverrione e Sobo, gli equi, temendo la sconfitta, notte
tempo abbandonavano il campo, con la intenzione di difendere ognuno i propri
luoghi.
·Grave fu l'errore, perchè se uniti erano stati
invincibili e potevano sperare la vittoria sui romani, divisi, ne divennero
facile preda. Infatti in soli cinquanta giorni, furono dalle schiere romane
espugnate ed oppresse ben quarantuno loro città, tra le quali Oricola.
Insorsero gli equi nel 451, per riconquistare la perduta città di Albe, e in
Roma destarono grande apprensione, ma creato dittatore Caio Bruto Balbutto,
rimasero da questi soprafatti. Nel 452 ripresero le armi contro i romani, ma
anche questa volta non sortì buon effetto la loro sollevazione, poichè furono
affranti da Marco Valerio e può dirsi che venissero a scomparire dalla storia.
·La confederazione equa era formata da città
indipendenti le une dalle altre. Si conoscono i nomi di cinque loro capitali:
Trebe (Trevi), Carseoli, Nersae, Vetellia (Bellegra), e Albe, l'ultima delle
quali è controverso negli storici, se fosse equa o marsa. Tito Livio, Strabone
e Dion Cassio, portano Albe come cittá equa, mentre Festo, Silio Italico e
Tolomeo la dicono marsa. I primi però sono più attendibili, tanto per la
prevalente loro autoritá storiografa, quanto perchè i secondi sono più recenti
e possono riferirsi a cambiamenti di circoscrizioni posteriormente avvenuti.
Infatti, senza questa logica interpretazione, non potrebbe spiegarsi il
tentativo degli equi, nel 451, di ricuperare la città di Albe Fucense. Tali
capitali erano costituite solo come centri di luconomie (sic!) e come luoghi
destinati alla discussione degli affari della speciale repubblica e non con
dominio assoluto sulle altre città.
·Dagli storici antichi, gli equi venivano rappresentati
come espertissimi nell'arte delle guerra, come istitutori delle leggi feciale e
sacrata e come quelli che diedero agli altri popoli le nozioni del diritto
pubblico.
·Secondo le norme feciali, in questo popolo, ravvisiamo
la sua indole basata sulla equità e giustizia, inquantochè inspirate nel
rispetto della vita e della proprietà altrui, nonchè sulla indissolubilità
della famiglia e della Patria. Per le disposizioni della legge sacrata il
carattere eminentemente bellico della stirpe era statuito sul dovere di
difendere la terra natale, con la vittoria o con la morte. Nè può toglierne
l'importanza morale, la descrizione che ci viene tramandata dall'Eneide, libro
VIII, quando gli equi ci vengono ricordati usì a guadagnare la vita con la caccia
e con la rapina. L'espressione al vivere rapto va intesa non come furto,
scorreria e saccheggio, tanto comuni in quelle epoche primitive, ma come
conquista di guerra.
·Al par degli altri popoli, anche gli equi ebbero dei
re, il primo del quali fu Settimio Modio e il secondo Sertorio Resio, che fu
dichiarato istitutore della legge feciale, quando Anco Marzio la fece adottare
in Roma. Successivamente, nel 296, ebbero l'imperatore Gracco Clelio, che dopo
aver cinto di assedio l'esercito romano, condotto dal console Minucio, fu fatto
prigioniero da Cincinnato, accorso in aiuto del predetto console. A
testimonianza poi di una epigrafe, rinvenuta nel Cicolano e
riportata dal Longini, con il N. 34, in un tempo gli equi erano governati da un
medixtuticus, per le cose religiose, civili e militari. Detto supremo
magistrato aveva le stesse mansioni che esplicavano il dittatore nel Lazio,
l'imperatore nella Sabina e il luconome (sic!) nell'Etruria. Ovidio nei versi,
dal 689 al 711 del Fasti, libro IV, ci enumera le occupazioni di questo popolo,
quando narra che l'uomo era intento alla coltura del suo terrenuccio con
l'aratro, bidente e falce e la donna a racimolare con il rastrello le erbe del
prati, a porre in cova le uova, a raccogliere gli erbaggi e i funghi, a
riaccendere il fuoco già spento e a tessere la tela.
·Virgilio poi ci narra che gli equi rozzi, gagliardi e
forti, erano soliti a coltivare armati il proprio campicello. Fra le loro armi
si annoveravano le frecce di selce e di bronzo, la fionda e lo sparo, che era
una specie di chiavellotto (sic!) micidialissimo, somigliante al pilo delle
romane legioni. Silio Itatico narra che le armi da loro preferite erano nodosi
bastoni, spade con punte corte ed elmi di bronzo con superbe creste. Virgilio,
nel IX libro dell'Eneide, descrive gli equi belli nelle armature: Continuo
Quercens et pulcher Equicolus armis. Quindi la loro vita poteva racchiudersi
nel bimonio (sic!) economia domestica e guerra nella quale ultima ponevano ogni
impegno e costanza. Nei concili nazionali come in genere i popoli antichi,
d'Italia, si adunavano in un determinato luogo, nell'ambìto del proprio
territorio, per discutere gli affari più importanti e specialmente se dovevano
o no dichiarare una guerra, per la quale se ne eleggevano i supremi capitani.
·Detti concili cessarono, dopo la loro soggiogazione a
Roma e li troviamo ripristinati durante la guerra sociale, nella importante
Corfinio, presso Pentina nel Sannio, che fu destinata a Capitale, con il
cambiamento di nome in quello di Italica. Ebbero corporazioni
politico-religiose, tra cui le Augustali di origine romana. A capo degli
Augustali, che erano ì ministri del lari di Augusto, vi era un collegio di sei
magistrati chiamati Lari. Da qui ebbero origine i giuochi augustali, istituiti
da Tiberio, nel 14 dopo Cristo, le cui feste in onore dell'Imperatore, si
celebravano dai 5 agli 11 ottobre. I Lari rappresentarono i genii tutelari
delle famiglie, costituiti da statuette, che venivano collocate in specie di
tempi, chiamati lararium. Gli equi professavano, come quasi tutti i popoli
primitivi, la religione monoteistica e conoscevano in origine solo il loro
Giano. Con l'immigrazione pelasgica fu introdotto il politeismo e si ebbe un
culto speciale per Marte Ultore, giusta l'epigrafe N. 45, rinvenuta in Carseoli
e riportata dal Garrucci nel bollettino archeologico napoletano. Si venerarono
inoltre Giove, Giunone, Vesta, Diana, Sole, Serapide e Minerva, a testimonianza
delle iscrizioni epigrafíche, elencate nell'opera del ripetuto Longini, sulle
Memorie Storiche sulla Regione Equicolana.
·Restano memorie che S. Pietro Apostolo si recasse
personalmente in questi luoghi per evangelizzarne gli abitanti. Anzi giusta riferisce
il Pierantoni nel suo Diario Sacro del Lazio, a pag. 126, S. Pietro Apostolo,
reduce dalla inaugurazione dell'emissario del Fucino, ove aveva accompagnato i
cristiani, che presero parte al finto combattimento navale, chiamato naumachia,
indetto dall'Imperatore Claudio, fu ospite gradito in Carseoli, e per parecchi
giorni, del centurione Cornelio, da lui convertito in Palestina. Sappiamo che
gli equi, in Roma, furono tenuti in gran prestigio, ma, avvenuta la fusione con
quel popolo, non li troviamo più accennati nella storia. Solo il rinvenimento
di monete delle varie epoche, ci dimostra che questa regione fu sempre abitata.
·Gli equi vennero dai romani, ripartiti in quattro
tribù: Fabia, Aniense, Terentina, e Claudia. La nostra Carseoli e adiacenze,
nel 453 di Roma, andò a far parte della tribù Aniense.
·Ai tempi dell'imperatore Augusto, l'Italia venne
divisa in undici regioni e gli equi fecero parte della quarta. Durante l'impero
di Adriano, passarono a far parte della tredicesima provincia, mentre andarono
a formarne la quattordicesima, all'epoca di Costantino. Ai tempi poi di Onorio,
della provincia del Sannio, di cui gli equi facevano parte, si disgregò una
zona per costituire la provincia Valeria, la quale fu la tredicesima ed era
costituita di equi, sabini, peligni e vestini. Con i continui cambiamenti di
circoscrizione, gli equi vennero a confondersi con i popoli vicini ed è perciò
che rimane difficile fissarne la primitiva ubicazione: essi andarono a
ingrandire le regioni del Lazio, della Sabina e della Marsica.
·Della lingua parlata dagli Equi prima della conquista
romana non abbiamo annotazione; ma poiché i Marsi, che vivevano subito ad est,
parlavano nel III secolo a.C. un dialetto molto analogo al Latino e poiché gli
Ernici, i loro vicini a sud-ovest, facevano lo stesso, non abbiamo basi per
separare qualcuna di queste tribù dal gruppo dei Latini. Se potessimo essere
sicuri dell'origine della q nel loro nome e del rapporto fra la forma più corta
e quella più lunga (nota che la i di Aequiculus è lunga -- Virgilio, Aen. VII.
744 -- il che sembra collegarla con il locative del aequum "una
pianura", in modo che significhi "gli abitanti nella pianura";
ma in periodo storico certamente hanno vissuto principalmente nelle colline),
dovremmo sapere se dovevano essere raggruppati con i dialetti con del q o con i
dialetti del p, cioè, con da una parte con il Latino, che ha conservato un
originale q o dall'altra con il dialetto di Velitrae, comunemente denominato
Volsco (e i Volsci erano costanti alleati degli Equi), in cui, come nei
dialetti Iguvini e Sanniti, un q originale è cambiato in p.
·Non c'è evidenza decisiva per mostrare se il q Latino
di aequus rappresenti una q indoeuropea come nel Latino quis, cioè
l'Umbro-Volsco pis, o un indoeuropeo k + u come in equus, Umbro ekvo -.
L'aggettivo derivativo Aequicus potrebbe essere preso per metterli con i Volsci
piuttosto che con i Sabini, ma non è chiaro se questo aggettivo sia mai stato
usato come un reale etnico; il nome della tribù è sempre Aequi, o Aequicoli.
·Alla fine del periodo repubblicano gli Equi appaiono,
sotto il nome di Aequiculi o di Aequicoli, organizzati come un municipium, il
cui territorio sembra che abbia compreso la parte superiore della valle del
Salto, ancora conosciuta come Cicolano. È probabile, tuttavia, che abbiano
continuato a vivere nei loro villaggi come prima. Di questi Nersae presso
Nesce, una frazione di Pescorocchiano, era il più considerevole. Le mura
poligonali che esistono in considerevole quantità nel distretto, rappresentano
una notevole testimonianza della loro cultura.
·
·Gli Equicoli
·
·L'alta valle del Salto, denominata Cicolano, deriva il suo nome dagli equicoli che un tempo
l'abitavano. Fin dalla tarda età Repubblicana, le popolazioni stanziate nella
nostra Valle furono identificate con questo nome. Gli Equicoli, appartenenti al
gruppo linguistico tosco-umbro, occupavano la valle dell'Aniene la zona intorno
al Fucino, la pianura Carsolana e la Valle del Salto che costituiva la
principale via di comunicazione tra le popolazioni del Fucino, la Valle
dell'Aniene, e della Pianura Reatina. Con il termine equicoli (Aequiculi
/Aequicoli), entrano in uso nella letteratura e nell' epigrafia soltanto a
partire dalla tarda età repubblicana (II/I sec. a.C.), si definivano le genti
distribuiti lungo la, residuo dell' antica nazione degli Equi, il cui
territorio, originariamente ben piu' vasto, dopo la conquista romana (fine IV-
inizi III sec. a.C.) venne circoscritto in quest' area nel cuore dell'
Appennino centrale, probabilmente corrispondente alla sua sede primitiva. La
tradizione letteraria ci parla di due re degli Equicoli, Septimus Modius e
Ferter Resius. Al secondo viene attribuita l' introduzione a Roma, al tempo del
re Numa od Anco Marzio, dello ius fetiale (diritto dei feziali), attraverso il
quale venivano nominati dei sacerdoti, i feziali, il cui compito era quello di
regolare i rapporti con le popolazioni confinanti, tanto nei trattati di pace
quando nelle dichiarazioni di guerra. Questa notizia viene riportata anche da
un' iscrizione a Roma sul colle Palatino (CIL VI 1302), e conservato nell'
omonimo museo: In generale gli Equicoli nelle fonti letterarie greche e latine
sono descritti come un fiero popolo bellicoso, che vive di guerre e di
saccheggi, ma anche di caccia, praticabile nei rigogliosi boschi della Valle
del Salto, ed anche di agricoltura, per quello che l' asperità del territorio
consentiva. Emblematica è la loro descrizione fatta da Virgilio nell' Eneide
(Aen. VII 744-749) : In seguito alla sconfitta patita dai romani nel 304 a.C. ,
la popolazione degli Equi venne in gran parte sterminata, e quello che ne
rimase venne concentrato proprio nel territorio della Valle del Salto, che
assunse appunto il nome di ager Aequiculanus.
·Dal 1984 la Soprintendenza Archeologica del Lazio sta
portando avanti una serie di campagne di scavo, indagini archeoligiche e
ricerche di superficie atte a determinare i principali momenti degli insediamenti
nella Valle del Salto, ad individuare le possibili forme di utilizzazione del
suolo ed a delineare alcuni aspetti che caratterizzavano la società locale. E'
stata condotta un'interessante campagna di scavo archeologico, finalizzata al
recupero di una necropoli di tombe databili tra il VI e la prima metà del V
secolo a.C.
·I primi insediamenti sono caratterizzati da alcuni
villaggi all'interno della piana di Corvaro che sembrano resistere fino alla
prima Età Imperiale. Nella stessa area si hanno le testimonianze più numerose
di resti archeologici di notevole importanza relativi all'età del Bronzo. Con
la costituzione nel 1927 della provincia di Rieti, il Cicolano, fino ad allora
parte della regione Abruzzo, venne incluso nel territorio della nuova
Provincia.
·Ne
fanno parte i Comuni di Borgorose, Petrella Salto, Pescorocchiano e Fiamignano.
Questa zona, il cui passaggio è caratterizzato dalla presenza di numerosi
terrazzamenti di incerta attribuzione, attirarono l'interesse di alcuni
studiosi del secolo scorso. Antichi municipi di quest'area furono Cliternia
(l'attuale Capradosso), più vicina all'area sabina e la Res Pubblica
Aequiculanorum che costituiva il Municipio territoriale mantenente l'antico
aspetto pagano che aveva in Nersae il suo maggior centro ricordato da Virgilio
e da Plinio: era L'età Augustea.
Allo stato
dell'arte questo è quanto può rintracciarsi tra i mass-media. E' tanto, non è
troppo ma manco possiamo dire adeguato all'importanza di certi siti
archeologici soprattitto medievali (ma una epigrafia di prim'ordine romana
potrà sconcolgere tanti luogh comuni assodati ma falsi). Abbiamo ad esempio un
unicum quale è il pendio sotto il castrum di Poggio Poponesco, qui mi pare
manco accennato. Ci ripromettiamo di supplire, con le nostre modeste forze.
Speriamo che possa essere per lo meno il seme per il doveroso rilancio
archeologico di una plag a ridorro della Roma Antica davvero unica nel suo
genere.
Gli Equicoli
erano un popolo dell' Italia antica, limitati nel Cicolano,residuo dell'
antica nazione degli Equi dopo la conquista romana(fine IV- inizi III
sec. a.C.)...
...Questa notizia viene riportata anche da un' iscrizione a Roma sul colle Palatino (CIL VI 1302), e conservato nell' omonimo museo:
...Questa notizia viene riportata anche da un' iscrizione a Roma sul colle Palatino (CIL VI 1302), e conservato nell' omonimo museo:
§Ferter Resius / rex Aequeicolus / is preimus / ius
fetiale paravit / inde p(opulus) R(omanus) discipleinam excepit.
Nel
Cicolano, nella frazione di Corvaro,
sono stati rinvenuti tre tumuli degli Equicoli. Il primo tumulo e stato
rinvenuto in località Cartore, il secondo ed il terzo nella piana di
Corvaro, in località Montariolo.
Il sito
archeologico sicuramente più importante e più articolato relativo agli antichi Equi
(la separazione tra Equi ed Equicoli è ancora da definire e non
tutti gli studiosi la riconoscono come tale) è, senza dubbio, il grande
tumulo di Corvaro di Borgorose. Una struttura
funeraria assai complessa, che affascina soprattutto per la sua monumentalità e
perché non ne esistono di uguali in tutta la penisola........continua
Concesso dalla rivista Aequa.
Concesso dalla rivista Aequa.
Ultimo
importante ritrovamento archeologico nel tumulo degli Equicoli nella località Montariolo in
Corvaro, e lo scheletro integro di un cavallo. L'
eccezionale scoperta archeologica ......
Ringraziamenti
particolari al :
Prof. Enzo Di Marco (per il lungo e duro lavoro che svolge),
Rivista Aequa, per la concessione dell' Articolo sul Tumulo degli Equicoli in località Corvaro,
scritto dalla Dott.ssa Giovanna Alvino.
Prof. Enzo Di Marco (per il lungo e duro lavoro che svolge),
Rivista Aequa, per la concessione dell' Articolo sul Tumulo degli Equicoli in località Corvaro,
scritto dalla Dott.ssa Giovanna Alvino.
Contatti : info@equicoli.com
Equi
Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Gli Equi nel Lazio
Gli Equi (Lat. Aequi) erano una
antica popolazione, che occupava un'area oggi compresa fra il Lazio e l'Abruzzo, in Italia, costantemente citata nella prima decade di Livio come ostile a Roma nei primi tre secoli dell'esistenza della
città.
Indice
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|
Occupavano l'estensione superiori delle valli del
fiume Anio (Aniene),
affluente del Tevere, Tolenus (Turano), Himella (Imele) e Saltus
(Salto), che scorrono verso nord e confluiscono nel fiumeNera. Il loro centro principale sarebbe stato conquistato
una prima volta dai Romani verso il 484 a.C. [1] e di nuovo circa novanta anni più tardi [2], ma non furono sottomessi definitivamente che alla
fine della Seconda guerra sannitica [3], quando sembra che abbiano ricevuto una forma
limitata di libertà [4].
Tutto ciò che sappiamo della loro successiva
situazione politica è che dopo la guerra sociale le
popolazioni di Nersae
(quest'ultima oggi nel comune di Pescorocchiano)
sembrano unite in una res publica Aequiculorum, che era un municipium
di tipo ordinario [5] insieme a Cliternia
(probabilmente oggi Petrella Salto). Le colonie latine di Alba
Fucens (304 a.C.) e Carsoli (298 a.C.) dovevano aver diffuso l'uso del Latino (o di una variante di esso) per tutto il distretto.
Il territorio era attraversato dall'itinerario verso Lucera e l'Italia meridionale (via Valeria). Sicuro insediamento di questo popolo fu anche un
villaggio dove oggi sorge Marano
Equo, situato nella valle dell'Aniene, nel cui territorio sono presenti, delle sorgenti di
acque minerali di 7 tipi diversi, di eccezionale qualità; altra città
ricondotta agli Equi è Tora.
Della lingua parlata dagli Equi prima della conquista
romana non abbiamo notizie: poiché le popolazioni confinanti dei Marsi, che vivevano
subito ad est, e degli Ernici, loro vicini a sud-ovest, erano di sicura etnia osco-umbra, si può ipotizzare che anche gli Equi facesso parte
dello stesso ceppo.
Alla loro lingua originaria doveva appartenere il nome
stesso della popolazione, ricordato come Aequi o Aequiculi (con
la "i" lunga)[6]. In particolare la forma più lunga del loro nome
sembrerebbe collegata ad un locativo derivante dal termine aequum (con il
significato di "pianura"), indicando quindi gli "abitanti della
pianura": in epoca storica tuttavia furono stanziati in un territorio
prevalentemente collinoso.
La presenza della "q" nel nome potrebbe
derivare da una "q" indoeuropea:
in questo caso si confermerebbe l'appartenenza al gruppo latino, che conserva
infatti la "q" indoeuropea originaria, mentre questa diviene una
"p" nei dialetti volsci umbri e sanniti (il latino quis corrisponde all'umbro-volsco pis).
La "q" del nome potrebbe tuttavia derivare anche da un originario
termine indoeuropeo con "k" + "u" (come nel latino equus,
corrispondente all'umbro-volsco ekvo). L'aggettivo derivativo Aequicus
potrebbe indicare una parentela con i Volsci o i Sabini, ma il termine non sembra essere mai
stato usato come un realeetnico.
Per approfondire, vedi la voce Res
publica Aequiculorum.
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Panoramica del Cicolano
Alla fine del periodo repubblicano gli Equi appaiono,
sotto il nome di Aequiculi o di Aequicoli, organizzati come un municipium,
il cui territorio sembra che abbia compreso la parte superiore della valle del Salto, ancora conosciuta come Cicolano. È
probabile, tuttavia, che abbiano continuato a vivere nei loro villaggi come
prima. Di questi Nersae
presso Nesce, una frazione di Pescorocchiano,
era il più considerevole. Le mura poligonali
che esistono in considerevole quantità nel distretto, rappresentano una
notevole testimonianza della loro cultura.
§Il Cicolano, gli
Equicoli ed il tumulo di Corvaro Il
Tumulo monumentale di Corvaro.
§Acheologia Lazio: gli Equicoli insediamenti umani nel Cicolano.
§Rivista trimestrale di studi, ricerche ed indagini storico
-culturali sul territorio degli Equi
Con diversi articoli su questo popolo.
·Equi
Continuiamo il nostro percorso sugli etnonimi
ciociari seguendo gli insegnamenti del linguista Giovanni Semerano. Partiamo
dagli EQUI, che non hanno nulla a che vedere con il mondo equino.
Virgilio nell’Eneide disegnò l’indole aggressiva e selvaggia del popolo degli
Equi che abitavano i monti dell’alta Ciociaria dall’alta Valle dell’Aniene
all’Imelia fino al lago Fucino. Ai tempi della Roma monarchica gli Equi, come
ricorda più volte nella sua opera lo storico Livio, confinavano con i Marsi,
i Volsci, gli Ernici e i Sabini. Il Fiume Licenza, affluente di destra
dell’Aniene, doveva probabilmente segnare il confine con i Sabini, mentre la
dorsale sud-est dei Monti Simbruini dagli Altipiani di Arcinazzo e il
territorio di Trevi li divideva dagli Ernici. Come per gli altri eponimi che
mostrano un substrato linguistico comune risalente a basi sumerico accadiche,
il nome EQUI, richiamando l’antico accadico EQLUM, sta ad
indicare semplicemente "TERRA, REGIONE", gli Equicoli quindi
sono gli "ABITANTI DELLA REGIONE".
Passiamo al "Potente popolo italico dei
sassi", gli ERNICI. Da Virgilio sappiamo che erano abilissimi nel
lanciare frecce, che andavano in guerra con il piede sinistro nudo e il
destro coperto da un calzare, mentre Ovidio ci tramanda che presso il popolo
ernico il mese di marzo sarebbe stato il sesto, quindi per loro l’anno
iniziava nel mese di ottobre, come per gli Spartani ed i Fenici. Lo storico
Tito Livio nella sua monumentale opera finalizzata all’esaltazione di Roma,
nella Prima Decade racconta diversi episodi di guerra tra Romani ed Ernici
dal punto di vista dei vincitori, che comunque per quasi due secoli si
scontrarono con questa popolazione italica, riunita nella Lega Ernica.
Si tratterebbe di popolazione montana, confinante
con i Volsci e i Sanniti a sud e con gli Equi ed i Marsi a nord, genti che
abitavano il territorio compreso tra i Monti Prenestini ed Albani fino al
fiume Liri, come precisato nel pregevole Latium di Athanasius Kircher attivo
a Roma nella seconda metà del Seicento ("Hernica regio comprehendit
illos populos qui Praenestinorum, Albanorumque montium dorso utrimque ad
Lirim usque fluvium inhabitant"). Alatri, Anagni,
Ferentino,Veroli furono i loro oppia principali, che vissero di
vita propria prima della conquista romana, circondate da quelle mura
pelasgiche di costruzione precedente forse all’ insediamento ernico, che
hanno destato stupore e meraviglia ai numerosi viaggiatori e studiosi dell’
Ottocento, se Gregorovius, di fronte alle mura di Alatri poteva affermare: "Allorquando
mi trovai dinanzi a quella nera costruzione titanica, conservata in ottimo
stato, quasi non contasse secoli e secoli, ma soltanto anni, provai
un’ammirazione per la forza umana assai maggiore di quella, che mi aveva
ispirata la vista del Colosseo". "Hernici dicti a saxis
quae Marsi herna dicunt", con queste parole il grammatico latino
Festo denomina gli Ernici, la popolazione latina di razza sabina che deriva
il nome dalla stessa base di Carnia, Carniche, Carnaro, accadico QARNU
(punta, letteralmente corno), quindi l’etnonimo sta ad indicare: IL POPOLO
DEI SASSI.
EQUI = ABITANTI DELLA REGIONE
ERNICI = IL POPOLO DEI SASSI
31.1.08
|
|
U.R.S.E. Unione Regioni Storiche Europee
Villa Cristina – Via del Vecchio Casale - 03010 ALTIPIANI DI ARCINAZZO - PIGLIO FR - ITALIA Tel. 347.6326361 – Tel.Fax. 0775.598011 - E.mail: info@urse.org |
·up. 6 ottobre 2008
·Equi ed Equicoli
·
·Gli Equi
·
·Gli equi ebbero le origini da colonie sicule; sono
annoverati tra i popoli più antichi d'Italia; ebbero fama di gran gente, giusta
li decanta anche Cicerone, e sostennero sanguinose guerre, con i vicini
aborigeni, rimanendone sempre vincitori. Senonchè fu loro tolta una buona parte
del territorio, allorquando gli indicati aborigeni, si collegarono con i
sopravvenuti pelasgi. Gli storici antichi non sono concordi sull'epoca della
venuta pelasgica in Italia; il Cliton, seguito dai più, la fissa a 1750 anni
avanti Cristo. Gli aborigeni avevano bene accetta quella gente, nella loro
giurisdizione, per resistere e porre un argine alle invasioni e guerre con i
vicini equi, o equicolani, denominati posteriormente in parte Cicoli, dagli
originari sicoli o siculi.
· I sicoli, siculi o sicani appartenevano a un
antichissimo popolo iberico, situato tra il Caucaso e il mar Nero, che passò
prima nella Saturnia e poi dall'Etruria alla Sicilia, a cui diede il nome. I
pelasgi, a testimonianza di quanto scrissero Varrone e Dionisio di Alicarnasso,
dopo aver avuta una dominazione, anche nella nostra regione, di circa
duecentosessanta anni, furono cacciati dall'Italia, con aspri e sanguinosi
combattimenti, dalla prima impresa d'indipendenza, sorta con la fraterna lega
del sabelli, equi, osci, etruschi e umbri. Virgilio racconta che le schiere del
popoli d'Italia, nel 1184 avanti Cristo, marciassero contro Enea, sotto la
direzione e comando di Ufente, valoroso capitano equo e di Messapo e Marenzo,
provetti condotticri etruschi.
·Tito Livio, che fu il principe del narratoni latini,
poi rocconta categoricamente le lunghe e aspre guerre, combattute dagli equi
contro Roma, dai tempi di Tarquinio il Superbo, alla loro completa disfatta.
·Nel 260 Coriolano, alla testa di un esercito di equi e
di volsci, aveva affamato la città di Roma, saccheggiandone il territorio, non
le armi, ma le sole preghiere di sua madre Vetruria e di Volummia sua moglie,
lo indussero ad abbandonare l'assedio della trepidante città. Nel 290, il
proconsole T. Quinzio fu sollecito a intervenire in sostegno dell'esercito
condotto da Fuso Furio, che era stato assediato dagli equi, nei suoi
accampamenti. Il proconsole salvò l'esercito romano da distruzione certa, ma, a
testimonianza di Valerio Anziate, ebbe la perdita di 5300 uomini.
·Nel 295, con le armi, gli equi avevano conquistata
Rocca Tuscolana, ove assediati, si arresero per fame e non per forza.
·Nel 296, Cincinnato riuscì a liberare il console
Minuccio, dall'assedio di Gracco Clelio, condottiero e imperatore degli equi.
Nel 297, costoro distrussero la guarnigione romana a Corbione, loro città
dovuta cedere l'anno innanzi a Cincinnato. Nel 305, ottennero grande vittoria
sui romani, presso Algido.
·Nel 323, corsero in aiuto del volsci, contro Roma, ma
ne rimasero vinti, benchè causassero gravi perdite all'esercito avversario. Nel
337, disfecero l'esercito romano, condotto da Lucio Sergio Fidena e da Marco
Papirio Magellano; nel 341, annientarono e fecero a pezzi il presidio romano,
rimpossessandosi della loro città Bola e nel 396 invasero Rocca Caventana e ne
uccisero la guarnigione. Stretta alleanza con i volsci, combatterono guerre
sanguinosissime contro Roma, negli anni 260, 266, 279, 283, 285, 290, 291, 292,
293, 305, 308, 323, 345, 346, e 366; con i sabini negli anni 260, 296, 297, e
304; con i lavicani nel 337 e con i latini, ernici ed etruschi nel 366.
·I sanniti, che sostennero contro i romani, con varia
fortuna, lotte feroci, furono aiutati dagli equi dal 429 sino alla loro fine.
·Quindi l'ardimento della confederazione equa, giunse
al punto di minacciare di saccheggio e di assedio, sin sotto le mura, la futura
dominatrice del mondo,
·Senonchè nel 449, dinanzi a un compatto e poderoso esercito,
capitanato dai consoli Saverrione e Sobo, gli equi, temendo la sconfitta, notte
tempo abbandonavano il campo, con la intenzione di difendere ognuno i propri
luoghi.
·Grave fu l'errore, perchè se uniti erano stati
invincibili e potevano sperare la vittoria sui romani, divisi, ne divennero
facile preda. Infatti in soli cinquanta giorni, furono dalle schiere romane
espugnate ed oppresse ben quarantuno loro città, tra le quali Oricola.
Insorsero gli equi nel 451, per riconquistare la perduta città di Albe, e in
Roma destarono grande apprensione, ma creato dittatore Caio Bruto Balbutto,
rimasero da questi soprafatti. Nel 452 ripresero le armi contro i romani, ma
anche questa volta non sortì buon effetto la loro sollevazione, poichè furono
affranti da Marco Valerio e può dirsi che venissero a scomparire dalla storia.
·La confederazione equa era formata da città
indipendenti le une dalle altre. Si conoscono i nomi di cinque loro capitali:
Trebe (Trevi), Carseoli, Nersae, Vetellia (Bellegra), e Albe, l'ultima delle
quali è controverso negli storici, se fosse equa o marsa. Tito Livio, Strabone
e Dion Cassio, portano Albe come cittá equa, mentre Festo, Silio Italico e
Tolomeo la dicono marsa. I primi però sono più attendibili, tanto per la
prevalente loro autoritá storiografa, quanto perchè i secondi sono più recenti
e possono riferirsi a cambiamenti di circoscrizioni posteriormente avvenuti.
Infatti, senza questa logica interpretazione, non potrebbe spiegarsi il
tentativo degli equi, nel 451, di ricuperare la città di Albe Fucense. Tali
capitali erano costituite solo come centri di luconomie (sic!) e come luoghi
destinati alla discussione degli affari della speciale repubblica e non con
dominio assoluto sulle altre città.
·Dagli storici antichi, gli equi venivano rappresentati
come espertissimi nell'arte delle guerra, come istitutori delle leggi feciale e
sacrata e come quelli che diedero agli altri popoli le nozioni del diritto
pubblico.
·Secondo le norme feciali, in questo popolo, ravvisiamo
la sua indole basata sulla equità e giustizia, inquantochè inspirate nel
rispetto della vita e della proprietà altrui, nonchè sulla indissolubilità
della famiglia e della Patria. Per le disposizioni della legge sacrata il
carattere eminentemente bellico della stirpe era statuito sul dovere di
difendere la terra natale, con la vittoria o con la morte. Nè può toglierne
l'importanza morale, la descrizione che ci viene tramandata dall'Eneide, libro
VIII, quando gli equi ci vengono ricordati usì a guadagnare la vita con la caccia
e con la rapina. L'espressione al vivere rapto va intesa non come furto,
scorreria e saccheggio, tanto comuni in quelle epoche primitive, ma come
conquista di guerra.
·Al par degli altri popoli, anche gli equi ebbero dei
re, il primo del quali fu Settimio Modio e il secondo Sertorio Resio, che fu
dichiarato istitutore della legge feciale, quando Anco Marzio la fece adottare
in Roma. Successivamente, nel 296, ebbero l'imperatore Gracco Clelio, che dopo
aver cinto di assedio l'esercito romano, condotto dal console Minucio, fu fatto
prigioniero da Cincinnato, accorso in aiuto del predetto console. A
testimonianza poi di una epigrafe, rinvenuta nel Cicolano e
riportata dal Longini, con il N. 34, in un tempo gli equi erano governati da un
medixtuticus, per le cose religiose, civili e militari. Detto supremo
magistrato aveva le stesse mansioni che esplicavano il dittatore nel Lazio,
l'imperatore nella Sabina e il luconome (sic!) nell'Etruria. Ovidio nei versi,
dal 689 al 711 del Fasti, libro IV, ci enumera le occupazioni di questo popolo,
quando narra che l'uomo era intento alla coltura del suo terrenuccio con
l'aratro, bidente e falce e la donna a racimolare con il rastrello le erbe del
prati, a porre in cova le uova, a raccogliere gli erbaggi e i funghi, a
riaccendere il fuoco già spento e a tessere la tela.
·Virgilio poi ci narra che gli equi rozzi, gagliardi e
forti, erano soliti a coltivare armati il proprio campicello. Fra le loro armi
si annoveravano le frecce di selce e di bronzo, la fionda e lo sparo, che era
una specie di chiavellotto (sic!) micidialissimo, somigliante al pilo delle
romane legioni. Silio Itatico narra che le armi da loro preferite erano nodosi
bastoni, spade con punte corte ed elmi di bronzo con superbe creste. Virgilio,
nel IX libro dell'Eneide, descrive gli equi belli nelle armature: Continuo
Quercens et pulcher Equicolus armis. Quindi la loro vita poteva racchiudersi
nel bimonio (sic!) economia domestica e guerra nella quale ultima ponevano ogni
impegno e costanza. Nei concili nazionali come in genere i popoli antichi,
d'Italia, si adunavano in un determinato luogo, nell'ambìto del proprio
territorio, per discutere gli affari più importanti e specialmente se dovevano
o no dichiarare una guerra, per la quale se ne eleggevano i supremi capitani.
·Detti concili cessarono, dopo la loro soggiogazione a
Roma e li troviamo ripristinati durante la guerra sociale, nella importante
Corfinio, presso Pentina nel Sannio, che fu destinata a Capitale, con il
cambiamento di nome in quello di Italica. Ebbero corporazioni
politico-religiose, tra cui le Augustali di origine romana. A capo degli
Augustali, che erano ì ministri del lari di Augusto, vi era un collegio di sei
magistrati chiamati Lari. Da qui ebbero origine i giuochi augustali, istituiti
da Tiberio, nel 14 dopo Cristo, le cui feste in onore dell'Imperatore, si
celebravano dai 5 agli 11 ottobre. I Lari rappresentarono i genii tutelari
delle famiglie, costituiti da statuette, che venivano collocate in specie di
tempi, chiamati lararium. Gli equi professavano, come quasi tutti i popoli
primitivi, la religione monoteistica e conoscevano in origine solo il loro
Giano. Con l'immigrazione pelasgica fu introdotto il politeismo e si ebbe un
culto speciale per Marte Ultore, giusta l'epigrafe N. 45, rinvenuta in Carseoli
e riportata dal Garrucci nel bollettino archeologico napoletano. Si venerarono
inoltre Giove, Giunone, Vesta, Diana, Sole, Serapide e Minerva, a testimonianza
delle iscrizioni epigrafíche, elencate nell'opera del ripetuto Longini, sulle
Memorie Storiche sulla Regione Equicolana.
·Restano memorie che S. Pietro Apostolo si recasse
personalmente in questi luoghi per evangelizzarne gli abitanti. Anzi giusta riferisce
il Pierantoni nel suo Diario Sacro del Lazio, a pag. 126, S. Pietro Apostolo,
reduce dalla inaugurazione dell'emissario del Fucino, ove aveva accompagnato i
cristiani, che presero parte al finto combattimento navale, chiamato naumachia,
indetto dall'Imperatore Claudio, fu ospite gradito in Carseoli, e per parecchi
giorni, del centurione Cornelio, da lui convertito in Palestina. Sappiamo che
gli equi, in Roma, furono tenuti in gran prestigio, ma, avvenuta la fusione con
quel popolo, non li troviamo più accennati nella storia. Solo il rinvenimento
di monete delle varie epoche, ci dimostra che questa regione fu sempre abitata.
·Gli equi vennero dai romani, ripartiti in quattro
tribù: Fabia, Aniense, Terentina, e Claudia. La nostra Carseoli e adiacenze,
nel 453 di Roma, andò a far parte della tribù Aniense.
·Ai tempi dell'imperatore Augusto, l'Italia venne
divisa in undici regioni e gli equi fecero parte della quarta. Durante l'impero
di Adriano, passarono a far parte della tredicesima provincia, mentre andarono
a formarne la quattordicesima, all'epoca di Costantino. Ai tempi poi di Onorio,
della provincia del Sannio, di cui gli equi facevano parte, si disgregò una
zona per costituire la provincia Valeria, la quale fu la tredicesima ed era
costituita di equi, sabini, peligni e vestini. Con i continui cambiamenti di
circoscrizione, gli equi vennero a confondersi con i popoli vicini ed è perciò
che rimane difficile fissarne la primitiva ubicazione: essi andarono a
ingrandire le regioni del Lazio, della Sabina e della Marsica.
·Della lingua parlata dagli Equi prima della conquista
romana non abbiamo annotazione; ma poiché i Marsi, che vivevano subito ad est,
parlavano nel III secolo a.C. un dialetto molto analogo al Latino e poiché gli
Ernici, i loro vicini a sud-ovest, facevano lo stesso, non abbiamo basi per
separare qualcuna di queste tribù dal gruppo dei Latini. Se potessimo essere
sicuri dell'origine della q nel loro nome e del rapporto fra la forma più corta
e quella più lunga (nota che la i di Aequiculus è lunga -- Virgilio, Aen. VII.
744 -- il che sembra collegarla con il locative del aequum "una
pianura", in modo che significhi "gli abitanti nella pianura";
ma in periodo storico certamente hanno vissuto principalmente nelle colline),
dovremmo sapere se dovevano essere raggruppati con i dialetti con del q o con i
dialetti del p, cioè, con da una parte con il Latino, che ha conservato un
originale q o dall'altra con il dialetto di Velitrae, comunemente denominato
Volsco (e i Volsci erano costanti alleati degli Equi), in cui, come nei
dialetti Iguvini e Sanniti, un q originale è cambiato in p.
·Non c'è evidenza decisiva per mostrare se il q Latino
di aequus rappresenti una q indoeuropea come nel Latino quis, cioè
l'Umbro-Volsco pis, o un indoeuropeo k + u come in equus, Umbro ekvo -.
L'aggettivo derivativo Aequicus potrebbe essere preso per metterli con i Volsci
piuttosto che con i Sabini, ma non è chiaro se questo aggettivo sia mai stato
usato come un reale etnico; il nome della tribù è sempre Aequi, o Aequicoli.
·Alla fine del periodo repubblicano gli Equi appaiono,
sotto il nome di Aequiculi o di Aequicoli, organizzati come un municipium, il
cui territorio sembra che abbia compreso la parte superiore della valle del
Salto, ancora conosciuta come Cicolano. È probabile, tuttavia, che abbiano
continuato a vivere nei loro villaggi come prima. Di questi Nersae presso
Nesce, una frazione di Pescorocchiano, era il più considerevole. Le mura
poligonali che esistono in considerevole quantità nel distretto, rappresentano
una notevole testimonianza della loro cultura.
·
·Gli Equicoli
·
·L'alta valle del Salto, denominata Cicolano, deriva il suo nome dagli equicoli che un tempo
l'abitavano. Fin dalla tarda età Repubblicana, le popolazioni stanziate nella
nostra Valle furono identificate con questo nome. Gli Equicoli, appartenenti al
gruppo linguistico tosco-umbro, occupavano la valle dell'Aniene la zona intorno
al Fucino, la pianura Carsolana e la Valle del Salto che costituiva la
principale via di comunicazione tra le popolazioni del Fucino, la Valle
dell'Aniene, e della Pianura Reatina. Con il termine equicoli (Aequiculi
/Aequicoli), entrano in uso nella letteratura e nell' epigrafia soltanto a
partire dalla tarda età repubblicana (II/I sec. a.C.), si definivano le genti
distribuiti lungo la, residuo dell' antica nazione degli Equi, il cui
territorio, originariamente ben piu' vasto, dopo la conquista romana (fine IV-
inizi III sec. a.C.) venne circoscritto in quest' area nel cuore dell'
Appennino centrale, probabilmente corrispondente alla sua sede primitiva. La
tradizione letteraria ci parla di due re degli Equicoli, Septimus Modius e
Ferter Resius. Al secondo viene attribuita l' introduzione a Roma, al tempo del
re Numa od Anco Marzio, dello ius fetiale (diritto dei feziali), attraverso il
quale venivano nominati dei sacerdoti, i feziali, il cui compito era quello di
regolare i rapporti con le popolazioni confinanti, tanto nei trattati di pace
quando nelle dichiarazioni di guerra. Questa notizia viene riportata anche da
un' iscrizione a Roma sul colle Palatino (CIL VI 1302), e conservato nell'
omonimo museo: In generale gli Equicoli nelle fonti letterarie greche e latine
sono descritti come un fiero popolo bellicoso, che vive di guerre e di
saccheggi, ma anche di caccia, praticabile nei rigogliosi boschi della Valle
del Salto, ed anche di agricoltura, per quello che l' asperità del territorio
consentiva. Emblematica è la loro descrizione fatta da Virgilio nell' Eneide
(Aen. VII 744-749) : In seguito alla sconfitta patita dai romani nel 304 a.C. ,
la popolazione degli Equi venne in gran parte sterminata, e quello che ne
rimase venne concentrato proprio nel territorio della Valle del Salto, che
assunse appunto il nome di ager Aequiculanus.
·Dal 1984 la Soprintendenza Archeologica del Lazio sta
portando avanti una serie di campagne di scavo, indagini archeoligiche e
ricerche di superficie atte a determinare i principali momenti degli insediamenti
nella Valle del Salto, ad individuare le possibili forme di utilizzazione del
suolo ed a delineare alcuni aspetti che caratterizzavano la società locale. E'
stata condotta un'interessante campagna di scavo archeologico, finalizzata al
recupero di una necropoli di tombe databili tra il VI e la prima metà del V
secolo a.C.
·I primi insediamenti sono caratterizzati da alcuni
villaggi all'interno della piana di Corvaro che sembrano resistere fino alla
prima Età Imperiale. Nella stessa area si hanno le testimonianze più numerose
di resti archeologici di notevole importanza relativi all'età del Bronzo. Con
la costituzione nel 1927 della provincia di Rieti, il Cicolano, fino ad allora
parte della regione Abruzzo, venne incluso nel territorio della nuova
Provincia.
·Ne
fanno parte i Comuni di Borgorose, Petrella Salto, Pescorocchiano e Fiamignano.
Questa zona, il cui passaggio è caratterizzato dalla presenza di numerosi
terrazzamenti di incerta attribuzione, attirarono l'interesse di alcuni
studiosi del secolo scorso. Antichi municipi di quest'area furono Cliternia
(l'attuale Capradosso), più vicina all'area sabina e la Res Pubblica
Aequiculanorum che costituiva il Municipio territoriale mantenente l'antico
aspetto pagano che aveva in Nersae il suo maggior centro ricordato da Virgilio
e da Plinio: era L'età Augustea.
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