La
confraternita della “Mastranza” alla fine del Settecento.
Stralciamo
dalla documentazione che ancora (ma fino a quando?) si conserva nella chiesetta
dell’Itria alcuni spunti che ci illuminano non solo sulla solita attività della
buona morte che ogni confraternita si propone – e si proponeva, in ispecie, a
Racalmuto – ma, e soprattutto, sul risveglio dei “mastri” e cioè di questo
piccolo ceto medio della società contadina, sempre solerte e significativo nel
nostro paese.
Desumiamo
dagli archivi parrocchiali dati che ci ragguagliano sui matrimoni più
significativi del secolo: ecco come già allora le migliori famiglie non amavano
inquinarsi ma circoscrivevano nel loro stretto ambito gli intrecci nuziali per
non disperdere le loro ricchezze accumulate non sempre onestamente, quasi
sempre con un pizzico di pratica usuraia. La chiesa, indulgente, perdonava e
benediceva; del resto al sacerdozio si poteva accedere se si era facoltosi, se
si apparteneva dunque alle schiatte egemoni del paese.
Il
beneficio del Crocifisso.
La
vicenda del beneficio del Crocifisso è lunga, tortuosa ed intrigante ed ha dato
adito ad almeno un paio di complicate vertenze giudiziarie. Leggiamo nella
bolla che si tratta dei seguenti beni:
in oppido praedicto reperiatur Ecclesia Sancti Antonij jam
diruta cum Immagine SS.mi Crucifixi quae detinet salmas tres et tumulos quatuor
terrarum in pheudo Mentae Status Racalmuti cum onere proprietatis unciae 1.6.
aliam clausuram terrarum salmae unius tumulorum quatuordecem et quarti unius
cum dimidio in dicto Statu et pheudo Racalmuti et contrata di Garozza cum onere
proprietatis unciae 1.6.7.3. et tarinorum viginti quatuor Conventui Sancti
Francisci de Assisia dictae Terrae.
Negli
atti giudiziari dell’arciprete Tirone avverso i coniugi Giuseppe Savatteri e
Concetta Matrona abbiamo la
ricostruzione della provenienza di tali beni. Come risulta da un atto del 3
settembre 1659, la Confraternita del SS. Crocifisso di Racalmuto aveva diritto ad un canone di proprietà
«primitivo veluti jus pheudi et
proprietatis su terre della Menta e Culmitella». Trattavasi, in base a quel che
si desume da altri atti, di un fondo di quattro salme e tumoli sei di terre
ubicate nel feudo Menta, contrada Fico Amara, detta - secondo l’arc. Tirone -
«in quei tempi Mercanti». Del resto
aggiunge l’arciprete che «il nome di contrada fico amara e Mercanti andiede in
disuso. Questa contrada prese nome di SS. Crocifisso.»
Non
essendo stato pagato tale canone per più di un triennio, ed essendo state le
suddette terre abbandonate, la confraternita del SS. Crocifisso esperì il diritto domenicale di avocazione del
fondo per distruzione di migliorie, mancata corresponsione del canone ed
abbandono delle terre dell’enfiteuta che era tal Giaimo Lo Brutto. Essa, pertanto, fu immessa
nel pieno possesso delle cennate terre della Menta secondo il rito del tempo con atto notarile
del 3 settembre 1659, redatto innanzi a
quattro testimoni.
Gli
atti giudiziari tacciono sulle vicende che intercorsero tra il 1659 ed il 1767,
un intervallo di tempo in cui si colloca la dotazione dell’Oratorio Filippino.
Intanto non so su che cosa basi l’arc. Tirone il ruolo sostenuto dalla
Confraternita del SS. Crocifisso. Di questa conosco il vago
accenno contenuto nell’elenco della Giuliana della Curia Vescovile - voce
Racalmuto, pag. 205 - che riguarda la
«conferma della Conf.ta del SS. Crocifisso - reg.tro 1669-70, pag. 488». Ma qualche chiarimento lo troviamo in
quest’atto del 10 ottobre 1648 del notaio Michelangelo Morreale. Trattasi della «recognitio
pro Archiconfraternitate SS.mi Crucifixi contra Donnam Vittoriam del Carretto e Morreale». In esso la Del Carretto (del ramo
collaterale dei locali conti) si obbliga di corrispondere al «Rev. D. Joseph Thodaro .. uti procuratori
venerabilis Archiconfraternitatis SS.mi Crucifixi fundatae in Ecclesia Sancti
Antonii huius terrae Racalmuti .. uncias quinque red. ann. cens. et red.bus
dictae Archiconfraternitatis cession. nomine Petri Piamontesio et alijs
nominibus in scripturis debitas, et anno quolibet solvendas supra loco qui olim
erat dicti quondam de Monteleone vigore contractus emphiteuci celebrati in
actis notarij Nicolai Monteleone die XXIIIJ Maij XII ind. 1584 et contractus solutionis
donationis et assignationis in actis
not. Simonis de Arnone die 31 aug. 1605 et aliorum contractum in eis calendatorum.» inoltre «supradicta
Donna Victoria .. solvere promisit .. seque sollemniter obligavit et obligat
eidem de Thodaro dicto nomine pro se et pro successoribus in dicta
Archiconfraternitate in perpetuum uncias centum quatraginta una p.g. tempore
annorum decem in decem equalibus solutionibus et partitis anno quolibet facere
numerando et cursuro a die date literarum Civitatis Agrigenti ... Et sunt
uncias 141 in totalem complimentum omnium censuum decursorum annorum
retropreteritorum enumerandorum ab anno 1608 usque et per annum presentem
inclusive , ratione d. unc. quinque anno dictae Archiconfraternitate debitae
super dicta vinea.»
Quell’arcicofraternita
era dunque operante dentro la chiesa di S. Antonio e siamo nel 1648. Ne è procuratore il sac. d.
Giuseppe Todaro che muore il 7 maggio 1650.[1]Successivamente
alla morte del sacerdote Todaro, si rinviene l’atto del 3 settembre 1659 di cui
sopra; dopo dell’arciconfraternita si perdono le tracce e tutto fa pensare che
si sia estinta: si spiega forse così perché in un primo tempo i benefici di
quel sodalizio finirono all’Oratorio di S. Filippo Neri, per volere del Vescovo
Rini.
Nel
1767 il vescovo Lucchesi Palli si ritrova vacanti quei beni
dell’Arciconfraternita del SS. Crocifisso e con bolla dell’8 luglio 1767 li assegna al sac. D.
Francesco Busuito. La ricostruzione di un successivo beneficiario, il sac. Don
Calogero Matrona, fatta il 15 giugno 1870, è particolarmente vivace ed
intrigante.
«Con
Bolla di erezione in titolo dell’8 luglio 1767 - vi si legge fra l’altro - da
Monsignor Lucchesi fu eretto nella Cappella del SS.mo Crocifisso dentro la Chiesa Madre di Racalmuto un beneficio semplice in adjutorium Parochi di libera collazione da conferirsi a
concorso ai naturali di Racalmuto con le obbligazioni di coadiuvare il Parroco
nell’esercizio della sua cura, di celebrare in diverse solennità dell’anno
nell’anzidetta Cappella numero trenta Messe, costituendosi in dote del
beneficio taluni beni, che esistevano nella Chiesa senza alcuna destinazione,
dandosene anche l’amministrazione allo stesso Beneficiale. Riserbavasi però il
Vescovo fondatore il diritto di conferire la prima volta il beneficio, di cui
si tratta, senza la legge e forma del concorso in persona di un soggetto a di
lui piacimento.
«In
seguito di che con bolla di elezione del 10 luglio 1767 dallo stesso
Monsignor Lucchesi fu eletto per primo Beneficiale il Sac. Don Francesco
Busuito di Racalmuto, allora Rettore del Seminario di Girgenti dispensandolo dall’obbligo del concorso, e
dalla residenza, e facoltandolo ad un tempo a sostituire a di lui arbitrio un
Ecclesiastico, per adempire in di lui vece le obbligazioni e pesi tutti al
beneficio inerenti.
«Appena
verificatasi tale elezione, come risulta da un avviso dato dal Parroco locale
di quel tempo, dal Sac. Don Giuseppe Savatteri qual uno degli eredi e
successori di D. Giaimo Lo Brutto di Racalmuto impugnavasi la fondazione e ricorrendo al
Tribunale della Reggia Gran Corte Civile, otteneva lettere citatoriali contro
il detto Reverendo Busuito, affine di rivendicare i
fondi constituiti come sopra in dote al beneficio come appartenenti al suddetto
Lo Brutto. Sostenevasi dal Savatteri che la Confraternita del SS.mo Crocifisso dentro la suaccennata Chiesa Madre percepiva
onze cinque annue per ragion di canone enfiteutico sopra quattro salme di terre
esistenti nello Stato di Racalmuto contrada Menta dotate alla moglie del suddetto D. Giaimo Lo
Brutto dalla di lei zia D. Vittoria del Carretto, annuo canone destinato per
legato di maritaggio di un orfana. Nel 1659 i Rettori della cennata
Confraternita per attrarsi di pagamento del canone anzidetto e per deterioramenti
avvenuti nei suddivisati fondi, unitamente all’Arciprete e Deputati dei Luoghi
Pii senza figura di giudizio e senza le debite formalità giudiziarie
s’impossessavano di quei fondi e melioramenti in essi fatti dal predetto Lo
Brutto. Si credettero autorizzati a far ciò senza ricorrere alle procedure
giudiziarie da un patto enfiteuco solito apporsi in simili contratti, in cui
espressavasi, che venendo meno il pagamento o deteriorandosi il fondo fosse
lecito all’Enfiteuta di propria autorità ripigliarsi il fondo enfiteuco, come
tutto rilevasi dagli atti di possesso presso Notar Michelangelo Morreale di Racalmuto sotto il 3 settembre 13 Ind.
1659. Così postasi la Chiesa in possesso dei fondi, conosciutosi che pagate le
onze cinque per legato di maritaggio ed i pesi efficienti, il resto delle
fruttificazioni rimaneva senza destinazione, pensavasi dal Vescovo Monsignor
Lucchesi per di esse fondare il beneficio anzidetto, che indi conferivasi al
sopra indicato Sac. Busuito. Impugnavasi questo fatto dal sac. Savatteri e
facevalo come sopra citare a fin di chiarirsi nulla la suddivisata fondazione.
Ma il beneficiale frapposti buoni amici persuase il Savatteri a rimettere tutto
al saggio arbitrio di S.E. Rev.ma Monsignor Vescovo di Girgenti, il quale tutto riponendo
sotto lo esame dell’Assessore Canonico d. Nicolò A. Longe, fattesi varie
sessioni inanzi a lui con l’intervento dell’arciprete di Racalmuto per parte
del Beneficiale e di altra persona per parte del contendente Savatteri,
dichiaravasi dall’Assessore nullo l’impossessamento dei fondi e riconosciuta
evidentemente la usurpazione dei fondi fatta dalla Chiesa. Ma protrattosi a
lungo l’affare, pria di definirsi pubblicavasi la prammatica della prescrizione
del 22 settembre 1798, quindi il Beneficiale avvalendosi di tal legge non volle
più fare ulteriori trattamenti della causa, né arrendersi alle pretensioni del
Savatteri.
«Morto
però il Beneficiale, il cennato Savatteri fece ricorso al Re e dalla Segreteria
Reale abbassavasi biglietto alla Giunta dei Presidenti e Consultori per
informare. Moriva intanto il Savatteri ed il di costui erede Don Pietro
Cavallaro e Savatteri agendo con più di moderazione
pensava di mettere l’affare in mano del Vescovo Monsignor Granata, e
desiderandosi dal ricorrente che il beneficio rimanesse, si contentava soltanto
che divenisse patrimoniale e proprio della di lui famiglia e suoi discendenti.
«Il
Vescovo conosciuta la validità delle ragioni e la pienezza del diritto del
ricorrente, perché fondato il beneficio sopra beni proprii di D. Giaimo Lo
Brutto di lui autore, a vista della patente
usurpazione fattasi dalla Chiesa, della non ecclesiasticità del beneficio,
perché fondato senza la volontà del padrone dei fondi, pensò accordarne la
prelazione ai discendenti della famiglia Brutto. Quindi perché conobbe la
verità delle cose per conscienzioso temperamento pensò conferire anche in
minore età quel beneficio ad un chierico erede dei beni, che è l’attuale
investito Cavallaro. Ed infatti il conferì con
decisione del 16 giugno 1804. [...] Ottenne per ciò pria dispensa della Santa
Sede, perché al detto chierico avesse potuto conferire il beneficio nella
minore età di anni 14, lo dispensò dalla legge del concorso e dell’obbligo
della coadiuvazione del Parroco nello adempimento degli offici parrocchiali
sino all’età del sacerdozio e gli diede l’amministrazione dei beni dotalizii
[...]»
Al
beneficiale don Ignazio Cavallaro succede il nipote (figlio della sorella) don
Calogero Matrona, con bolla di Monsignor Domenico Turano del 1° marzo
1875. Ma non fu una successione pacifica. Vi si rivoltò contro Giuseppe
Savatteri, unitamente alla moglie donna Concetta Matrona, con cause, ricorsi,
appelli che durarono decenni. Eugenio Messana, nello scrivere le sue
memorie su Racalmuto, risente ancora di quel
clima infuocato che in proposito si respirava ancora nella sua famiglia.
Il
beneficio del Crocifisso è quindi oggetto di una bolla di collazione nel 1902 (cfr. reg. Vescovi 1902
pag. 703). Viene poi assegnato al padre Farrauto, per passare nelle mani di
padre Arrigo. Attualmente è accentrato presso la Curia vescovile di Agrigento.
Racalmuto coinvolto nella controversia
liparitana del 1713
L’eredità
arcipretale del Lo Brutto tocca a Fabrizio Signorino: su di lui cade la
tegola dell’interdetto. Senza ricorrere al Mongitore, sappiamo dai libri della
matrice che:
eodem die 2 settembre
1713 VII ind. die 3 settembre 1713 VII Ind.Vigilia Sanctae Rosaliae hora
vigesima fuit affixum interdictum generale locale in hac terra Racalmuti.
Si dovette affiggere la bolla episcopale di interdetto generale il
3 settembre 1713, nel giorno di Santa Rosalia: forse fu anche per questo che
dopo meno di un secolo decadde a Racalmuto il culto di Santa Rosalia, prima egemone ed a
carico della universitas. L’ordine è
quello di approfittare della notte (hora vigesima, per aggirare e raggirare le
autorità civili).
Le sepolture, dal giorno dopo, non possono farsi in chiesa, ma in
un luogo a ciò “deputato” dal signor arciprete. Il primo a
farne il piccolo di pochi mesi Santo Bordonaro, figlio del chierico coniugato
con tale Ninfa:
4/9/1713 – SANCTUS F. CL. CONIUG. STEFANI ET NINFAE BORDONARO; IN LOCO DEPUTATO A
REV.DO ARCH.
L’esordio è duro e sembra che non si guardi in faccia a nessuno.
Dopo, data la legge, trovato l’inganno: basta una bolla a pagamento di
sovvenzione delle crociate per avere cristiana sepoltura in chiesa.
Certo,
scatta ora il dramma della regolare somministrazione dell’estrema unzione:
quest’atto ne lascia traccia:
5/9/1713
- AGOSTINA F. DI M° STEFANI ET CATARINAE RIZZO
di anni 11; sepolta IN UNA EX FOVEIS
DEPUTATA A REV. ARCH. IN VIA S. GREGORII
- GRATIS PRO DEO - ROBORATA ANTE
OFFICIUM INTERDECTI.
La
fanciulletta, undicenne, figlia di mastro Stefano e Caterina Rizzo, viene tumulata
- con quale strazio, è facile intuire - nelle fosse comuni prescelte (e
benedette) dall’arciprete Signorino, degradanti nella scoscese contrada di S.
Gregorio (S. Grigoli). E’ povera ed il funerale è avvenuto gratis pro Deo; era
stata “roborata” - confortata e temprata alla morte - secondo i sacri canoni,
alcuni giorni prima, quando non era scattato l’ Officium interdecti.
Ma
ora muore un notabile, un Romano: non può certo venire esposto all’inclemenza
del clima e di altro:
7/9/1713 - SALVATORE ROMANO VIR JOSEPHAE
ROMANO di anni 45; sepolto in MATRICE, PER PRIVILEGIUM BULLAE SANC. CRUCIATE e
pure GRATIS PRO DEO.
Le
note dell’atto funerario svelano parecchi aspetti religiosi ma anche sociali ed
economici della Racalmuto del tempo. Il Romano muore a 45 anni, ad un’età che pur supera di
molto l’età media della mortalità del secolo dei lumi in quel di Racalmuto.
Appartiene ad una delle più prestigiose famiglie del luogo, ma è caduto in
miseria e per i suoi funerali non può corrispondere i diritti ecclesiastici dei
c.d. festuarii. Supplisce la carità
dei preti, che il funerale lo fanno lo stesso, gratis pro Deo. Il settecento fu
a Racalmuto, come altrove in Sicilia, misero, in crisi economica profonda, con
punte di grande fame per tutti. A fine secolo, i sacerdoti racalmutesi
ottengono l’autorizzazione dell’Ordinario ad impegnare gli arredi sacri per
approvvigionare l’Universitas di grano per la pubblica fornitura del pane
quotidiano. Lo studio del Valenti (cfr. Calogero Valenti - Ricchezza e povertà in Sicilia nel secondo settecento) può
estendersi anche al primo settecento e le considerazione sulla povertà di
Grotte si attagliano appieno pure a Racalmuto.
Ciò
nonostante il buon Romano ha
sepoltura nella Matrice: aveva la bolla
della santa crociata: un privilegio che scavalca il rigore dell’interdetto del
Ramirez, comminato per
la difesa dei beni materiali del ricco vescovo di Catania.
Desta
pietà la fine di questa neonata racalmutese: muore a soli quindi giorni: una “gloria”; potrebbe trovarsi un cantuccio
nelle carnaie delle chiese; ma è
povera ed è illegittima: finisce - sia pure gratis pro Deo - nel nuovo pauroso
cimitero all’aperto, che l’arciprete ha degnato dell’acqua benedetta:
11/9/1713 - ANTONINA F. JULIAE VIRTULINO
INZIONE PATRE IGNOTO VIRTULINO 15 GIORNI - IN FOVEA NON BENEDICTA DEPUTATA A
REV.DO ARCH. IN VIA S. GREGORII OB INTERDICTUM - GRATIS PRO DEO.
Frattanto
la miseria genera violenza: mastro Stefano Savatteri viene folgorato dalla
lupara all’età di 44 anni. E’ povero ed i funerali avvengono gratis pro Deo. Ma
è anche mastro: appartiene alla confraternita del Tau. La su sepoltura deve
avvenire nell’oratorio della confraternita - interdetto o non interdetto:
16/9/1713 - STEFANUS MAG. VIR PAULAE
SAVATTERI - 44 - IN ORATORIO TAU ET SOLUM FUIT ROBBORATUS SACRO OLIO UNCTIONIS
OB MORTEM VIOLENTAM GRATIS PRO DEO.
Quando
a morire è un “galantuomo”, l’imbarazzo del cappellano detentore dei libri della Matrice è evidente; il suo latino si ingarbuglia,
comunque la sepoltura avviene in chiesa, nonostante l’interdetto:
5/10/1713 – FRANCISCUS
DON VIR MARIAE PUMO - 45 IN
ECCLESIA S. JOSEPH PER PRIVILEGIUM BULLAE SS.ME CRUCIATAE OB INTERDICTUM
Le
annotazioni sparse qua e là nel libro dei morti contengono queste altre
notizie:
A 28 AGOSTO 1713 -
L'INTERDETTO IMPOSTO DELL'ILL.MO E REV.MO SIGNOR FRA D. FRANCESCO RAMIREZ
ARCIVESCOVO E VESCOVO DI GIRGENTI - CON IL CONSENSO DELLA S. SEDE NELLA CHIESA
CATTEDRALE DI GIRGENTI, ET IN TUTTA LA SUA DIOCESE - FU' RIMOSSO; E PROSCIOLTO
DOMENICA - 27 AGOSTO 1719 AD HORAM 22 - DAL REV.MO SIGNOR DR. DON GIUSEPPE PANCUCCI
CA. TES., E VIC. GENERALE APOSTOLICO CON L'ACTORITA' DELLA S. SEDE PER VIA
DELLA SAC: CONGREGATIONE DELL'IMMUNITA'
Li bro dei MORTI 1714-1724
A 28 AGOSTO 1713 -
L'INTERDITTO FU IMPOSTO DELL'ILL.MO E REV.MO SIGNOR D. FRANCESCO REMIRENZ
ARCIVESCOVO E VESCOVO DI GIRGENTI CON IL CONSENSO DELLA S. SEDE NELLA CHIESA
CATTEDRALE DI GIRGENTI, ET IN TUTTA LA SUA DIOCESE
L’interdetto durò poco meno di sei anni e - forse anzi tempo - fu
revocato il 27 agosto 1719, stando alle precisazioni dei libri parrocchiali:
FU' SCIOLTO
DOMENICA QUARTA D'AGOSTO AL DI' 27 DELL'ORA VIGIGESIMA SECUNDA 1719 -
DAL REV.MO SIGNOR DR. DON GIUSEPPE PANCUCCI CA. TES., E VIC. GENERALE
APOSTOLICO CON L'ACTORITA' DELLA S. SEDE.
[1])
Secondo l’elenco della Matrice sarebbe invero deceduto il 7 aprile 1650 a 52
anni (cfr. col. 3 n.° 62). Si rilevano però due inesattezze. Nessun dubbio
sulla data di morte può sorgere stante il seguente atto della Matrice:
7
|
5
|
1650
|
Todaro
|
Giuseppe
Sacerdote
|
sepolto
nella chiesa di S. Maria del Monte
|
gratis
|
Sull’età del
Sacerdote Todaro è da precisare che era già chierico nel 1598 come
risulta del tuo elenco:
4
|
1598
|
GIUSEPPE
|
TODARO
|
CHIERICO
|
12
|
1600
|
GIUSEPPE
|
TODARO
|
CHIERICO
|
9
|
1632
|
GIUSEPPE
|
TODARO
|
|
4
|
1634
|
GIUSEPPE
|
TODARO
|
|
e nella visita del 1608 è già sacerdote abilitato alle
confessioni. Sono portato a pensare che il sacerdote sia morto settantenne e
questo potrebbe essere il suo atto di battesimo:
26
|
12
|
1580
|
Todaro
|
Joseppi
|
Vincenzo
Mastro
|
Violanti
|
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