Roma 1° febbraio 1995
Rev.mo Mons. De De Gregorio,
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come monomaniaco della storia del mio paese (Racalmuto), mi rivolgo a Lei per avere lumi e consigli in un campo in cui dire che Ella è l’indiscusso Maestro è dire poco.
Da ultimo, ho studiato il periodo del Vescovo Giovanni Horozco de Covarruvias de Leyva. Il Suo lavoro in “Miscellanea in onor di Mons. Noto ..” non poteva che essere illuminante ed imprescindibile.
Nel Suo studio si accenna, pure, alle vicende del chierico Giacomo Vella e dei contrasti del vescovo con il conte Giovanni del Carretto a proposito delle spoglie dell’arciprete Michele Romano (pag. 73). Ne ho trovato riscontro nell’Archivio Segreto Vaticano, presso il fondo della Sacra Congregazione dei Vescovi e dei Regolari. Trattasi di una fonte che non mi pare adeguatamente sfruttata per la storia della diocesi agrigentina. Qualche acenno è rinvenibile in RaffaeleManduca: Il sinodo di Giovanni Horozco (Girgenti 1600-1603) ([3]): il valente studioso - cui va attribuito il merito di avere rintracciato la fonte vaticana - appare piuttosto distolto dall’oggetto della sua ricerca sui sinodi ed ha tralasciato i tanti documenti di rimarchevole portata per la storia della diocesi di Agrigento.
Ne scrivo, ora qui, a Lei perché nel fondo vaticano trovasi del tutto svelato l’incidente del vescovo spagnolo relativo al libro messogli all’indice, e bruciatogli pubblicamente. Con grande acume, Ella osserva (pag.91): «Non sembra che possa trattarsi dell’edizione agrigentina degli Emblemi...». Ed infatti è così: causa della traversia di cui parla il Pirri fu un libercolo intitolato «De Rebus suis» ([4]). Incautamente il vescovo si era lasciato andare, sia pure sotto forma allusiva, al disvelamento dell’inchiesta papale sui suoi contrasti con i nobili locali, e con i Lo Porto in particolare. Il libro destò l’irrefrenabile ira di papa Clemente VIII, che ne volle la messa all’indice. Ecco perché il volume - come dice Manduca - «non si trova nella stessa busta..» [ASV-SCRV, Positiones 1602 G-M]. Da lì ebbero inizio i veri guai del vescovo spagnolo che ad un certo punto non seppe far di meglio che ritornarsene in Spagna, sia pure con rilutannza del Papa, presso cui interpose i suoi buoni uffici l’ambasciatore spagnolo a Roma il Duca di Sessa.
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Quella lettera fece effetto sul pontefice: v’è apposta una annotazione che senza dubbio è di pugno di Clemente VIII. Recita: «tradatur congregationi Indicis ut prohibeatur». Quindi i fatti accennati dal Pirri che Lei richiama alle pagine 90 e 91 (resoconto quello del Pirri che mi pare però abbia bisogno di qualche rettifica).
Gliene sto scrivendo perché credo che quel libro tornerebbe particolarmente utile alla storia di quel periodo di vita agrigentina. E’ possibile che presso le biblioteche agrigentine (la Lucchesiana, quella del Seminario, oppure presso gli archivi delle grandi famiglie agrigentine) non ne sia rimasta traccia? Forse la copia inviata dal Lo Porto al Papa è stata conservata dalla Congregazione dell’Indice. Per quanto ne sappia, gli archivi dell’Indice non sono, però, messi a disposizione degli studiosi non accreditati, quale è il sottoscritto. Forse Lei potrebbe avervi accesso, sempreché ovviamente la questione Le interessi.
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[1]) Lo indico con questo titolo, dato che così lo chiama il Vescovo nella sua lettera del 13 settembre 1595, inviata a Roma per accreditarlo nella ‘Visita ad Limina’. «Quando no venira negocios en essa Corte aque embiar a Don Alexandro Capocho mi secretario, me diera contento embiarle ...” (Archivio Segreto Vaticano -Relationes ad limina - Agrig. 18/A f. 1)
[2]) Vedasi ARCHIVIO PARROCCHIALE DELLA MATRICE DI RACALMUTO - atti di matrimonio - 1582-1600. Le annotazioni, a margine degli atti, sono: 'DIE 16 Julii XI ind.nis 1598: Pigliau la possessioni don Vito Belloguardo e don Antonio d'Amato procuratori di don Lexandro CAPOZZA per l'arcipretato di Racalmuto come appare per atto plubico'.
'DIE 14 agusti XIIe ind.nis 1599 - Pigliao la possessioni don Vito BELGUARDO canonico di Gergenti et don Maziotta di la magiore ecclesia di Racalmuto per don Lexandro Capocia';
[3]) in Archivio Storico per la Sicilia Orientale 1991 - anno LXXXVII - fasc. I-III - pagg. 242-296.
[4]) Ne fa cenno il Manduca, ma, o per svista tipografica o per erronea trascrizione, lo indica col titolo «deribus suis» (op. cit. pag. 260 n. 42).
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