mercoledì 22 maggio 2013

Lettera vetusta, concetto tenace!!


A PIERO ho poi da dire quanto segue:

apprezzo ogni tua iniziativa volta a valorizzare il poetico fiorire racalmutese. Ora posso anche leggere missive di codesto giovane docente, relegato a Lampedusa, prof. Angelo Campanella. Non lo conosco di persona: ne apprezzo la scarna, elegante e sagacemente paratattica prosa. Ecco che nasce in questo lembo racalmutese uno che la penna in mano la tiene e trattasi di suadente penna leggiera.

Trovatosi un quadernetto ottocentesco di rime baciate, cerca di farcene partecipe con fondi comunali; ma il volpino ufficio non ci sente da questo orecchio. Allora mette mano al suo portafoglio  – che tanto gonfio non deve essere – e dà quei parti poetici alle stampe.

A me i poeti vanno un tantinello di traverso: mi fermo ai sommi e l’ultimo sommo per i miei gusti è spagnolo; morì fucilato a Viznav il 19 agosto del 1936; non so se i fucilieri erano anche siciliani; non so se c’entra per niente qualcuno che onoriamo con tanto di dedica viaria (lo escludo assolutamente): si chiamava GARCIA LORCA. Finché non leggo qualcosa che si avvicini a versi come questi, digrignerò sempre i denti.

La tirannia/del grande abuso/di questo Jehova/che vi incammina/per un sentiero,/che è sempre lo stesso,/mentre egli gode/in compagnia/di Donna Morte/che è la sua amante …

Ed anche se afrori erotici qualche giovincello di fine XIX secolo aveva, l’aver cosparso di viole il talamo della sua Donna Morte mi fa alquanto sorridere, sperando che non vi abbia congiunto spinose rose, perché quei piccoli  aculei gli spasimi d’amore avrebbe mutato in gridori di dolore. (Ciò ovviamente per fare anch’io rima allitterata). Sciascia mi pare giammai ebbe a scrivere versi con eguali sillabe finali tra versi pari e tra quelli dispari. Non fu poeta con la p minuscola insomma.

E questo nostro riscoperto poeta ottocentesco traballa persino nelle cantilene ritmiche. Anch’io da giovincello mi cimentai una volta (sì padre una sola volta) a far prosa ritmata: arrivai al quinto verso

Ho una tristezza illagrime/che reca il giono piovigginandola dalle nubi grigie:/Le pupille scorgono i fantasmi umani/e nelle ore di luce o fra le nebbie/la vita disperde i sogni della notte ..

E qui mi fermai: non avevo birra in corpo. Poi certi fulmini del Carducci (Piero ricordi? Il poeta vulgo ..) non mi hanno fatto più peccare.

Essendo sceso tu in campo, il volpino ufficio forse si sbragherà e provvederà. Non me ne adonterò, anche se giammai ho avuto provvidenze. Non ne ho tutto sommato bisogno. Giammai si sono sbragati con te (e dire una bella edizione dei tuoi sparsi lavori oltre che dilettevole sarebbe prossenetica nelle cosiddette vocazioni turistiche). Ma si sa così vanno le cose a Racalmuto.

Calogero Taverna

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