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Inizio conversazione in chat
55 minuti fa
Quanto all'avvocato : …..i che ti debbo dire? finito
macilento nella vita, rimasto puerile nel verseggiare. Non era mestiere suo.
Le sue arrancanti composizioni lasciavano il tempo che trovavano. Facevano
forse più presa gli inani sforzi poetici di un Fofò la Galla, o di un Liddru
M…. talora persino il Riddilio di la chiazza e magari qualcuno che credeva di
essere un gran poeta perché era riuscito a far baciare minchia cun ca
t'inchia-
Fofo' la Galla?
Farrauto?
Nenti era e nenti torna, fu gran parto poetico di quello
strano "galantuomo", acido, malevolo, ed altro che fu il medico
Dottore Vinci. Personaggio da psicanalizzare. Racchiudeva tutta la grintosa malevolenza
racalmutese: sfotte persino la sorella. Mi dice Guglielmo delle sue terribili
sorelle non potutesi sposare perché la donna che si laureava o diplomava
diveniva per ciò stesso svergognata, non più nubenda; quelle arpie costrinsero anche il fratello a
fare lo zitello. Come humus poetico non c'è male. Ma anche come giornalista
(corrispondente del Giornale di Sicilia) ci sapeva fare.
Sì, Farrauto- Ma non scordiamo Totò Marchese, terribile,
graffiante, cattivo, inesorabile: "Ca lu dissi iddru chiaru, ca li
frosci vannu a paru" Ecco perché E.N. Messana di questo suo parente (mi
pare) non dice niente.
Ovvio da aggiunre Giovanni Salvo, corrucciato, ma anche
petrarchesco. Ironico ma computo, contraddittorio ma acuto, sibillino eppure
limpido. Lingua colta defluente in un vernacolo della più bella tradizione
siciliana (abate Meli o DomenicoTtempio?). Dillo tu. Ma guai se non mi dai
del tu.
Io scimmiotto e mi diverto...una tradizione vissuta da
bambino poiche' Scime' faceva recapitare a mio padre tutte le poesie
"anonime" nella cassetta della posta. E da li pomeriggi a
commentare tutte le magagne scoperchiate dalle rime, che io mai mi sogno di
uguagliare.
Non sapevo di Marchese, dunque storicamente possiamo
affermare che le rime hanno fatto parte della comunicazione della politica
locale.
Non credo che Fofò avesse veri empiti sociali. Le vicende
del padre quand'era fanciullo lo segnarono per tutta la vita.
Fracassandogiela.
Quando potremmo datare le prime pasquinate..
ne trovo nelle carte dell'Ottocento racalmutese. Dilatando
un po' il concetto: anche Marco Antonio Alaimo immettendo una sconcia sestina
del Veneziano in vernacolo siciliano nel bel mezzo di quello che lui riteneva
un gran trattato di medicina non pensi che facesse una pasquinata
"racalmutese"?
Pensi sia una "storia" tutta nostra?
Stando a Roma ti devo dire di no. Ma certo che noi
racalmutesi abbiamo un DNA di sapido irridere che molto ci contraddistingue.
e penso alla MOSCA NEL PIATTO di Leonardo Sciascia, altro che nostro beffardo
modo di esistere ci trovo. E qui Sciascia ci rispecchia.
La mosca nel piatto? Mette a nudo la mia ignoranza.
Quando Sciascia era giovanissimo poetava. Una di queste
poesie molto brevi era. Ho citato in modo molto sintetico e quindi errato.
Dunque Sciascia
nella “Sicilia e il suo cuore” tra i ‘foglietti di diario’ annota:
AD UN AMICO
S'io cerco nelle tue pupille/
quel che di me ti fa diverso/
il tuo sguardo mi tocca d'odio,sfuggendo,/
In fondo ai tuoi
occhi, come un ucciso/
in un pozzo, la
malizia avvelena/
misere cose che
senza memoria nascondi./
Così il cane
sotterra frenetico/
l'osso rubato - e all'istante dimentica.//
E vivi soltanto per
questo:/
che ad un momento – io distratto - /
tu possa nel mio
piatto povero/
mettere lo schifo di una mosca morta.
Fine della conversazione in chat
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