Spettacolo colto coltissimo. Idoneo a trasformare il banale in una raffinatissima rievocazione. Tante tantissime sfaccettature. Tanti arditi excursus. Quasi una enciclopedia della storia del costume degli umori dei malumori della fame della miseria ed anche del sesso a pagamento per soli uomini. Una memoria storica trepida e consapevole. la rievocazione di come si sognava si cantava si spettegolava si amava e ci si ripudiava in periodo antico ma ancora vivido nel ricordo di taluni di noi vecchi ad oltranza.
In tempi di oscurantismo di montalbanismo imperativo di giochi con grette frontiere della limitatezza della moderna mente umana un 'teatro' così didattico ma non pedante va diffuso direi imposto.
Quanto mi piacerebbe vedere la Masi e compagni e quegli inattingibili cinque grandi musicisti calcare i palcoscenici della provincia, i maestosi teatri dell'agrigentino del paese di Sciascia del Nisseno, quello dell'obliato indecorosamente Piermaria Rosso di San secondo più bravo di Pirandello se non altro più originale.
E girare quest'estate per i vari tavolati occasionali adattati a scene e rappresentazioni dell'intero paradisiaco CICOLANO.
Brainstorming Culturale Magazine
Il movimento circolare della cultura
Bagliori d’avanspettacolo: vita, morte e miracoli di una compagnia di provincia
Atmosfere felliniane in scena
Caleidoscopio di emozioni, di storie, di racconti di vita vissuta e desiderata. Coacervo di anime e un destino comune; tornare a calcare il palcoscenico. L’Avanspettacolo e i suoi bagliori sono lo spunto che ci conducono attraverso una profonda riflessione sul mestiere dell’artista.
La Compagnia Bolero diretta da Patrizia Masi riporta in auge le avventure di una variopinta comitiva di teatranti agli albori del varietà tra risate, ricordi e nostalgia.
Il mondo dello spettacolo ha un fascino tutto suo: luci, costumi, musiche, danza e recitazione sono da sempre, nell’immaginario collettivo, gli elementi di un universo meraviglioso ed irraggiungibile in cui gli artisti sono padroni assoluti del palcoscenico. Una continua ed estenuante gavetta fatta d’impegno fisico, tecnica, leggerezza e grande maestria alla ricerca delle luci della ribalta. Qualcosa che, con il passare dei decenni, si è inevitabilmente perso, ma che nonostante la nascita di nuove forme d’intrattenimento, vive negli angoli della memoria tra l’oblio e il rimpianto.
La trasposizione scenica dell’omonimo cortometraggio di Patrizia Masi e Mimmo Appetiti, in scena al Teatro dell’Orologio dal 16 al 20 marzo 2016, è un caleidoscopio di emozioni, di storie, di racconti di vita vissuta e desiderata, un coacervo di anime messe lì quasi per caso ma con un destino comune: tornare a calcare gloriosamente il palcoscenico per godere di quella seconda chance che solo il teatro concede all’artista nel suo essere contemporaneamente persona e personaggio. Poco importa se la paga non sarà sufficiente o se dalla platea, regno incontrastato del pubblico sovrano, si leveranno i fischi.
La storia s’intuisce a poco a poco, complici anche i dialoghi costruiti in modo da introdurre il racconto in medias res; su una terrazza di una qualunque zona di Roma, tra le bombe e la paura di una guerra imminente, Egizia Flammant ( Patrizia Masi ) rievoca il suo passato di artista con un nugolo di fedeli compagni di avventure tra panni stesi ad asciugare e ricordi sbiaditi.
Tra un’audizione e l’altra, tra ricordi, desideri e sguardi ammiccanti, la comitiva decide che è arrivato il momento di rimettersi in cammino alla ricerca della ribalta. Sul carrozzone salgono tutti, vecchie glorie del passato e giovani soubrette alla loro prima esperienza. Si chiudono i bauli, s’indossano boa e piume di struzzo, il viso è truccato al meglio, il sorriso è onnipresente su ogni bocca. Inizia il viaggio.
Dal punto di vista drammaturgico l’atmosfera che si respira è molto densa e concentrata, a volte anche in maniera eccessiva, quasi felliniana; le scenografie, curate in ogni dettaglio da Cristina Costantini, predominano all’interno dello spazio teatrale e se ne impossessano con forza. Oggetti e personaggi sono costantemente onnipresenti sulla scena e in continuo movimento per quasi tre ore di spettacolo, in una continua passerella che gioca tra il macchiettistico e il caricaturale.
Pasquale Citera gioca molto bene con i suoni di scena ed il disegno luci, che risulta sempre misurato e mai eccessivo; Juliette Bercham per i costumi e Cocolemocò per le acconciature vintage conferiscono a ciascun protagonista un’aura d’altri tempi assolutamente perfetta e pienamente in stile, valorizzando l’aspetto estetico di ogni artista in un gioco di equilibri tra il malizioso e il grottesco. Delizioso con i suoi numeri di giocoleria anche Paolo Mele, artista buffo e taciturno che interagisce con gli attori rimanendo sempre in silenzio, memoria di un cinema muto ormai superato con l’avvento del sonoro.
L’Orchestrina Gran Bazar è il vero fiore all’occhiello dello spettacolo: Vincenzo De Filippo ( pianoforte e trombone da canto ), Pasquale Lancuba ( bayan) , Luca Cipriano ( clarinetto ), Andrea Filippucci ( chitarra ) e Giovanni Campanella ( batteria e percussioni ) accompagnano gli attori in continuo movimento sulle coreografie di Antonella Usai, destreggiandosi con grande maestria tra una Macariolita e una Titina, tra un Maramao, perché sei morto? e un Sassolino nella scarpa, e inserendo con grande nonchalance delle citazioni colte tratte da Satie, Bizet e Reinhardt debitamente riarrangiate.
L’Avanspettacolo e i suoi bagliori sono lo spunto grazie al quale Patrizia Masi ci conduce attraverso una profonda riflessione sul mestiere dell’artista, prendendo in esame un particolare tipo di varietà in voga durante la Seconda Guerra Mondiale. Era sicuramente una realtà finta, artefatta, tutta lacrime, sudore e fatica. Tanta fame, poca fama. Gli artisti come funamboli hanno giocato in equilibrio sul filo di un’esistenza a tratti drammatica senza tuttavia dimenticare di sorridere e ringraziare per gli applausi ed i fischi – oppure gli ortaggi – ricevuti.
Il teatro, quindi, come metafora grottesca dell’esistenza umana. Mai come nella finzione scenica la maschera subisce la sua reale catarsi, tra la paura di sbagliare e il coraggio di provare a strappare ancora un applauso, per sentirsi ancora una volta vivi nell’essere uomini, artisti, messaggeri di illusioni e di sogni.
Elena D’Elia
Foto: Sergio Battista
Quest’ opera di
https://brainstormingculturale.wordpress.com/è concesso in licenza sotto la
Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Unported
Based on a work at brainstormingculturale.wordpress.com
Caleidoscopio di emozioni, di storie, di racconti di vita vissuta e desiderata. Coacervo di anime e un destino comune; tornare a calcare il palcoscenico. L’Avanspettacolo e i suoi bagliori sono lo spunto che ci conducono attraverso una profonda riflessione sul mestiere dell’artista.
La Compagnia Bolero diretta da Patrizia Masi riporta in auge le avventure di una variopinta comitiva di teatranti agli albori del varietà tra risate, ricordi e nostalgia.
Il mondo dello spettacolo ha un fascino tutto suo: luci, costumi, musiche, danza e recitazione sono da sempre, nell’immaginario collettivo, gli elementi di un universo meraviglioso ed irraggiungibile in cui gli artisti sono padroni assoluti del palcoscenico. Una continua ed estenuante gavetta fatta d’impegno fisico, tecnica, leggerezza e grande maestria alla ricerca delle luci della ribalta. Qualcosa che, con il passare dei decenni, si è inevitabilmente perso, ma che nonostante la nascita di nuove forme d’intrattenimento, vive negli angoli della memoria tra l’oblio e il rimpianto.
La trasposizione scenica dell’omonimo cortometraggio di Patrizia Masi e Mimmo Appetiti, in scena al Teatro dell’Orologio dal 16 al 20 marzo 2016, è un caleidoscopio di emozioni, di storie, di racconti di vita vissuta e desiderata, un coacervo di anime messe lì quasi per caso ma con un destino comune: tornare a calcare gloriosamente il palcoscenico per godere di quella seconda chance che solo il teatro concede all’artista nel suo essere contemporaneamente persona e personaggio. Poco importa se la paga non sarà sufficiente o se dalla platea, regno incontrastato del pubblico sovrano, si leveranno i fischi.
La storia s’intuisce a poco a poco, complici anche i dialoghi costruiti in modo da introdurre il racconto in medias res; su una terrazza di una qualunque zona di Roma, tra le bombe e la paura di una guerra imminente, Egizia Flammant ( Patrizia Masi ) rievoca il suo passato di artista con un nugolo di fedeli compagni di avventure tra panni stesi ad asciugare e ricordi sbiaditi.
Tra un’audizione e l’altra, tra ricordi, desideri e sguardi ammiccanti, la comitiva decide che è arrivato il momento di rimettersi in cammino alla ricerca della ribalta. Sul carrozzone salgono tutti, vecchie glorie del passato e giovani soubrette alla loro prima esperienza. Si chiudono i bauli, s’indossano boa e piume di struzzo, il viso è truccato al meglio, il sorriso è onnipresente su ogni bocca. Inizia il viaggio.
Dal punto di vista drammaturgico l’atmosfera che si respira è molto densa e concentrata, a volte anche in maniera eccessiva, quasi felliniana; le scenografie, curate in ogni dettaglio da Cristina Costantini, predominano all’interno dello spazio teatrale e se ne impossessano con forza. Oggetti e personaggi sono costantemente onnipresenti sulla scena e in continuo movimento per quasi tre ore di spettacolo, in una continua passerella che gioca tra il macchiettistico e il caricaturale.
Pasquale Citera gioca molto bene con i suoni di scena ed il disegno luci, che risulta sempre misurato e mai eccessivo; Juliette Bercham per i costumi e Cocolemocò per le acconciature vintage conferiscono a ciascun protagonista un’aura d’altri tempi assolutamente perfetta e pienamente in stile, valorizzando l’aspetto estetico di ogni artista in un gioco di equilibri tra il malizioso e il grottesco. Delizioso con i suoi numeri di giocoleria anche Paolo Mele, artista buffo e taciturno che interagisce con gli attori rimanendo sempre in silenzio, memoria di un cinema muto ormai superato con l’avvento del sonoro.
L’Orchestrina Gran Bazar è il vero fiore all’occhiello dello spettacolo: Vincenzo De Filippo ( pianoforte e trombone da canto ), Pasquale Lancuba ( bayan) , Luca Cipriano ( clarinetto ), Andrea Filippucci ( chitarra ) e Giovanni Campanella ( batteria e percussioni ) accompagnano gli attori in continuo movimento sulle coreografie di Antonella Usai, destreggiandosi con grande maestria tra una Macariolita e una Titina, tra un Maramao, perché sei morto? e un Sassolino nella scarpa, e inserendo con grande nonchalance delle citazioni colte tratte da Satie, Bizet e Reinhardt debitamente riarrangiate.
L’Avanspettacolo e i suoi bagliori sono lo spunto grazie al quale Patrizia Masi ci conduce attraverso una profonda riflessione sul mestiere dell’artista, prendendo in esame un particolare tipo di varietà in voga durante la Seconda Guerra Mondiale. Era sicuramente una realtà finta, artefatta, tutta lacrime, sudore e fatica. Tanta fame, poca fama. Gli artisti come funamboli hanno giocato in equilibrio sul filo di un’esistenza a tratti drammatica senza tuttavia dimenticare di sorridere e ringraziare per gli applausi ed i fischi – oppure gli ortaggi – ricevuti.
Il teatro, quindi, come metafora grottesca dell’esistenza umana. Mai come nella finzione scenica la maschera subisce la sua reale catarsi, tra la paura di sbagliare e il coraggio di provare a strappare ancora un applauso, per sentirsi ancora una volta vivi nell’essere uomini, artisti, messaggeri di illusioni e di sogni.
Elena D’Elia
Foto: Sergio Battista
Quest’ opera di
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