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DICE CICERONE
le città della Sicilia invece le abbiamo accolte nella nostra amicizia e prese sotto la nostra protezione, e si è stabilito che continuassero ad avere le leggi di prima e che obbedissero al popolo romano come prima obbedivano ai loro governanti. Pochissime città della Sicilia sono state sottomesse con la guerra dai nostri antenati; il loro territorio, benché divenuto in dominio del popolo romano, fu tuttavia restituito a loro; al solito la riscossione dell'imposta su questo terreno è data in appalto dai censori. Ci sono due città federate, non sottoposte di norma al sistema di aggiudicazione delle decime, Messina e Taormina, e inoltre cinque città che, seppur non essendo federate, sono anch'esse esenti da gravami e libere da imposte, Centuripe, Alesa, Segesta, Alicie, Palermo; tutto il resto del territorio delle città siciliane è sottoposto al versamento della decima, come era prima del dominio del popolo romano, per volontà dei Siciliani stessi e secondo le norme da loro stabilite. Osservate ora la saggezza dei nostri antenati, i quali, avendo fornito con l'annessione della Sicilia al nostro stato una fonte di rifornimenti così utile sia in guerra sia in pace, vollero proteggere e mantenersi fedeli i siciliani con tanta cura che non mutarono neppure la legge per l'aggiudicazione delle decime, né l'epoca o il luogo dell'aggiudicazione: questa avveniva in un determinato periodo dell'anno, avveniva sempre nel medesimo luogo in Sicilia, avveniva infine secondo la legge di Ierone. I nostri antenati vollero che fossero i Siciliani stessi a regolare una questione che li riguardava, e che fossero danneggiati non solo da una legge nuova, ma neppure da un nuovo nome imposto alla legge. Decisero dunque che le decime venissero sempre aggiudicate secondo la legge di Ierone, perché adempissero più volentieri a quell'obbligo, se di quel re che fu assai caro ai Siciliani si fossero conservati, pur nel mutamento di dominio, non solo le disposizioni ma persino il nome. I Siciliani si valsero sempre di questa legge prima del governo di Verre; questi fu il primo che osò sconvolgere e trasformare le disposizioni cui tutti si erano attenuti, la consuetudine trasmessaci dagli antenati, il patto d'amicizia e il diritto garantito dall'alleanza. E tu, Verre, dopo aver dato agli esattori delle decime, cioè ad Apronio, questa assoluta libertà di derubare i coltivatori, di pretendere quanto volevano e di portarsi via quanto avevano preteso, credevi di esserti preparato per il tuo processo un valido mezzo di difesa con l'editto in cui garantivi dei periti per il risarcimento dell’ottuplo? Per Ercole! quand'anche tu accordassi al coltivatore la possibilità non solo di ricusare, ma persino di scegliere i periti fra tutti quelli presneti nella circoscrizione di Siracusa, una quantità di persone illustrissime e degnissime, nessuno tuttavia potrebbe tollerare questo sopruso di nuovo genere: una volta che hai dato all'appaltatore delle imposte tutto il tuo raccolto e hai perduto, restando a mani vuote, la tua sostanza, solo allora puoi reclamare i tuoi beni, e intentare un'azione legale in tribunale. Nell'editto si parla di procedimento legale (si trattava invece in realtà di un'intesa dei membri del tuo seguito, gentaglia della peggior specie, con gli esattori delle decime, tuoi complici e anzi tuoi agenti): ma hai tu il coraggio di citare anche di uno solo di procedimenti legali? Tanto più che, se lo facessi, non sarebbe solo il mio discorso ma la realtà stessa a smentirti, dal momento che pur essendo stati così gravi i danni subiti dai coltivatori e cosi grandi i soprusi commessi dagli esattori, non risulta che, in conformità a codesto splendido editto, alcun procedimento legale sia stato non solo portato a termine ma tantomeno richiesto . E tuttavia, nei confronti dei coltivatori, Verre risulterà più mite di quanto non sembri. Infatti egli che nell'editto ha dichiarato che avrebbe dato corso al procedimento legale per il risarcimento dell'ottuplo contro gli esattori delle decime, ha anche dichiarato nell'editto che contro il coltivatore avrebbe dato corso ad azione legale soltanto per il quadruplo. Chi osa ancora sostenere che sia stato mal disposto verso i coltivatori, o loro nemico? quanto è più mite con il coltivatore che con l'appaltatore delle imposte! Ha stabilito nel suo editto che fosse un funzionario siciliano a esigere dal coltivatore ciò che l’esattore delle decime avesse dichiarato essergli dovuto. E allora, a quale procedimento legale contro il coltivatore si può ancora dar corso? «Non è male» dice «che questo timore sussista: una volta che il coltivatore sia stato costretto a pagare, rimane tuttavia ancora la paura del procedimento legale a tenerlo buono.» Se vuoi pretendere da me il pagamento con un'azione legale, togli il funzionario siciliano; se invece ti vali della sua autorità, che bisogno c'è di un'azione legale? Infine, chi non vi sarà che non preferisca dare ai tuoi esattori quanto chiederanno, piuttosto che farsi condannare dai tuoi galoppini a pagare il quadruplo? Ma ecco la parte finale dell'editto, quella in cui dichiara che per tutte le cause che sorgano fra coltivatore ed esattore egli designerà, a richiesta di una delle due parti, dei periti. In pruno luogo, che contesa mai può sorgere quando chi dovrebbe reclamare in giudizio porta via, e porta via non quanto gli è dovuto, ma quanto gli aggrada, e quello a cui è stato portato via non può in giudizio in nessun modo recuperare ciò che è suo? Poi il nostro uomo di melma si vanta di essere astuto, una vecchia volpe, scrivendo: se una delle parti lo vorrà chiamerò dei periti. Che elegante maniera di rubare pensa sia questa! All'una e all'altra parte egli accorda questa facoltà, ma non c'è differenza tra lo scrivere «se una delle due parti lo vorrà» e «se l'esattore delle decune lo vorrà»; codesti tuoi periti infatti il coltivatore non li' vorrà mai. Che dire poi degli editti di circostanza, emanati per suggerimento di Apronio? Quinto Setticio, cavaliere romano assai onorato, opponeva resistenza ad Apronio e dichiarava che non gli avrebbe dato più della decima: ecco allora saltar fuori a un tratto un editto su misura, che vieta di togliere il frumento dall'aia fino a che il coltivatore non abbia concluso la transazione con l'esattore. Setticio tollerava anche questa iniquità, lasciando che la pioggia rovinasse il frumento sull'aia, quand'ecco all'improvviso spunta quell'altro editto, fonte di guadagni assai abbondanti e cospicui, che ordina ai coltivatori di far trasportare tutte le decime sulla costà entro il primo agosto. Quale coltivatore, durante il tuo governo, ha versato una decima? Quale due? quale non ha ritenuto di aver ricevuto un enorme privilegio pagando tré decime invece di una, salvo alcuni che, complici dei tuoi furti, non hanno dato niente? Guarda le differenza fra la tua sfrontatezza e la rettitudine del senato! Il senato, quando le necessità dello stato gli impongono di decidere la requisizione di una seconda decima, stabilisce che queste seconde decime siano pagate in contanti ai coltivatori, sicché si ritiene comprato, non confiscato, tutto ciò che si prende in più del dovuto; tu, che requisivi e rapinavi tante decime non in ossequio a una decisione del senato, ma in forza dei tuoi editti senza precedenti e delle tue disposizioni scellerate, credi d'aver fatto gran cosa avendole appaltate a una cifra superiore a quella ottenuta da Lucio Ortensie, padre del qui presente Quinto Ortensie, da Gneo Pompeo, da Gaio Marcelle, che non si discostarono dal diritto, dalla legge, dalle disposizioni vigenti? Giunsi in Sicilia solo quattro anni dopo, ma mi si presentò nello stato in cui di solito sono ridotte le terre dove si è combattuta una guerra aspra e lunga. Quei colli e quei campi che in precedenza avevo veduto rigogliosissimi e verdissimi, ora mi si presentavano così devastati e desolati che la campagna stessa sembrava soffrire per la mancanza di chi la coltivasse e piangere la perdita del suo padrone. La campagna di Érbita, e quella di Enna, Murganzia, Assoro, Imàcara, Agìra, era per la maggior parte in tale stato di abbandono che invano cercavo con lo sguardo il gran numero non solo degli animali al lavoro ma anche dei proprietari di un tempo; la campagna attorno all'Etna, che era di solito intensamente coltivata, e la piana di Lentini, la capitale della produzione di frumento, che un tempo aveva un aspetto tale che al vederla coperta di spighe si cessava di temere la carestia, erano così squallide e brutte che cercavo invano la Sicilia nella parte più ferace della Sicilia; il penultimo anno infatti aveva già inferto ai coltivatori un duro colpo, ma l'ultimo li aveva completamente distrutti. E tu ancora osi parlare di decime? Tu, colpevole di tanta scelleratezza, di tanta crudeltà, di tanti e cosi gravi soprusi! La provincia della Sicilia si regge sulla coltivazione e sulle norme che la regolano: e tu, dopo aver completamente rovinato i coltivatori, dopo averli costretti ad abbandonare i campi, senza aver lasciato in una provincia così ricca e produttiva non dico un possesso ma neppure un po' di speranza a nessuno, riterrai di guadagnarti qualche popolarità dicendo di aver appaltato le decime a una cifra superiore che gli altri? Come se questa sia stata la volontà del popolo romano, questo il compito affidatoti dal senato: privare per il futuro il popolo romano di quel provento e della fornitura di frumento, facendo man bassa di tutti i beni dei coltivatori con il pretesto delle decime, e poi, con l'aggiunta al totale delle decime di una parte del tuo bottino, darti l'aria del benefattore dello stato e del popolo romano. E io parlo come se la colpa da lui commessa non consistesse che in questo: l'aver fatto uso, per desiderio di gloria, nell'intento di superare alcuni nella quantità totale di frumento ricavato dalla decima, di una legge più severa, di editti più inflessibili, respingendo l'autorevole esempio dei predecessori. Hai appaltato le decime a un prezzo alto. E se io dimostro che con la scusa delle decime hai stornato, portandotelo a casa, non meno di quanto hai inviato a Roma, che popolarità può ancora darti il tuo discorso, dal momento che da una provincia del popolo romano ti sei preso tanto quanto hai inviato al popolo romano? E se dimostro che ti sei portato via una quantità di frumento doppia di quella inviata al popolo romano? Dobbiamo credere che anche udendo questa imputazione il tuo difensore scuoterà graziosamente la testa, volgendosi al pubblico che ci circonda? Di queste cose, o giudici, voi avete sentito già parlare prima d'ora, ma nell'udirle avete forse pensato non meritassero più credito di quello che si accorda alle dicerie che corrono sulla bocca di tutti. Sappiate ora per certo dell'incalcolabile quantità di denaro che è stata sottratta prendendo a pretesto l'approvvigionamento di frumento: vi renderete contemporaneamente conto che corrisponde a verità anche quella infame dichiarazione di Verre, che sosteneva che con il solo guadagno ricavato dalle decime si sarebbe assicurato l’impunità in qualsiasi processo. L'abbiamo udito, o giudici, già da tempo; io sostengo che non c'è uno di voi che non abbia sentito dire che in questa impresa costui ebbe come suoi soci gli esattori delle decime. Ebbene, credo che nessuna delle affermazioni fatte contro Verre da coloro che avevano cattiva opinione di lui sia falsa, salvo proprio questa. Vanno considerati soci infatti coloro che all'impresa partecipano su un piano di parità; io affermo che invece tutta la sostanza, tutti i beni dei coltivatori erano in mano a costui, e che Apronio e gli schiavi di Venere (che costituirono durante il governo di Verre una nuova categoria di appaltatori delle imposte) e gli altri esattori delle decime non erano che agenti e mezzi dei suoi guadagni e delle sue rapine. “Come lo dimostri?” Come ho dimostrato che si approfittò da quell'appalto per le colonne; e precisamente, se non sbaglio, imponendo un contratto iniquo e senza precedenti. Chi mai si è accinto a trasformare tutte le norme, e la consuetudine seguita da tutti, per ricavarne solo biasimo senza un tornaconto? Voglio proseguire e spingermi oltre. Facevi un appalto iniquo già con la pretesa di una cifra più alta. Perché, dopo che era stata aggiudicata e assegnata ormai l'esazione delle decime, quando più nulla poteva aggiungersi al totale delle decime, molto invece al tuo profitto, venivano fuori d'un tratto e a seconda delle circostanze dei nuovi editti? Che si desse garanzia all'esattore di comparire in giudizio dovunque egli volesse, che il coltivatore non togliesse il frumento dall'aia se non dopo aver concluso la transazione con l'esattore, che facesse portare le decime entro il primo agosto: tutti io sostengo che tu hai emanato questi editti nel terzo anno del tuo governo, dopo che era avvenuta l'aggiudicazione delle decime; se si trattasse di disposizioni prese nell'interesse dello stato, tu le avresti rese note all'atto dell'aggiudicazione; poiché le prendevi nell'interesse tuo, hai recuperato, stimolato dall'occasione di guadagno, ciò che inavvertitamente ti eri lasciato sfuggire
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Caduta dell'Impero romano d'Occidente
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La caduta dell'Impero romano d'Occidente viene fissata formalmente dagli storici nel 476, anno in cui Odoacre depose l'ultimo imperatore romano d'Occidente, Romolo Augusto.
Comunque, da un punto di vista strettamente politico-militare, l'Impero romano d'Occidente cadde definitivamente dopo che nel V secolo fu invaso da vari popoli non romani e quindi privato del suo nucleo peninsulare per mano delle truppe germaniche in rivolta di Odoacre nel 476. Sia la storicità che le esatte date di questo avvenimento rimangono ancora incerte e alcuni storici negano che possa parlarsi di caduta dell'Impero. Rimangono divergenti perfino le opinioni sul fatto che tale caduta sia frutto di un singolo evento oppure di un lungo e graduale processo.
Quel che è certo è che l'Impero già prima del 476 si presentava rispetto ai secoli precedenti molto meno romanizzato e sempre più caratterizzato da una impronta germanica, soprattutto nell'esercito, che costituiva l'asse portante del potere imperiale. Anche se l'Occidente romano crollò sotto l'invasione dei Visigoti all'inizio del V secolo, il rovesciamento dell'ultimo imperatore, Romolo Augusto, non fu compiuto da truppe straniere, ma piuttosto da foederati germanici organici all'esercito romano. In questo senso, se non avesse rinunciato Odoacre al titolo di imperatore per dichiararsi invece Rex Italiae e "patrizio" dell'imperatore d'Oriente, l'impero avrebbe potuto perfino dirsi conservato, almeno nel nome, se non nella sua identità, da tempo profondamente mutata: non più esclusivamente romana e sempre più condizionata dalle popolazioni germaniche, che già prima del 476 si erano ritagliate ampi spazi di potere nell'esercito imperiale e di dominio in territori ormai solo formalmente soggetti all'imperatore. Nel V secolo, infatti, i popoli di ascendenza romana erano ormai stati "privati del loro ethos militare"[3], in quanto lo stesso esercito romano non era altro che un coacervo di truppe federate di Goti, Unni, Franchi e altri popoli barbarici che combattevano nel nome della gloria di Roma.
Oltre alle invasioni germaniche del V secolo e all'importanza sempre più incisiva dell'elemento barbarico nell'esercito romano, sono stati individuati anche altri aspetti per spiegare la lunga crisi e la caduta finale dell'Impero romano d'Occidente:
Tali nuove e fatali invasioni furono la conseguenza della migrazione degli Unni nella grande pianura ungherese. Il contributo degli Unni nelle invasioni barbariche si può dividere in tre fasi:[5]
Intorno al 395 i Visigoti, che si erano insediati come foederati in Mesia, si ribellarono.[6] Guidati da Alarico,[7] tentarono di prendere Costantinopoli[8], ma furono respinti e si diedero quindi a saccheggiare buona parte della Tracia e della Grecia settentrionale.[9] Nell'inverno del 401-402 Alarico, entrato in Italia, forse su istigazione dell'imperatore d'Oriente Arcadio, occupò parte della Regio X Venetia et Histria e, successivamente, assediò Mediolanum (402), sede dell'imperatore romano Onorio, difesa da truppe gotiche. L'arrivo di Stilicone con il suo esercito costrinse Alarico a togliere l'assedio e a dirigersi verso Hasta (Asti), dove Stilicone lo attaccò nella battaglia di Pollenzo,[10][11] conquistando l'accampamento di Alarico. Stilicone si offrì di restituire i prigionieri in cambio del ritorno dei Visigoti in Illyricum. Ma Alarico, giunto a Verona, arrestò la sua ritirata. Stilicone allora lo attaccò nuovamente nella battaglia di Verona (nel 403)[12] e sconfisse di nuovo Alarico,[13] costringendolo a ritirarsi dall'Italia. Dopo l'assassinio di Stilicone nel 408, i Visigoti invasero di nuovo l'Italia, saccheggiando Roma nel 410 e spostandosi poi, sotto re Ataulfo, in Gallia. Sconfitti dal generale romano Flavio Costanzo nel 415, i Visigoti accettarono di combattere per l'Impero in Spagna contro gli invasori del Reno, ottenendo in cambio il possesso della Gallia Aquitania come foederati dell'Impero (418).
Se la prima "crisi" provocata dagli Unni portò solo i Visigoti a penetrare e ad ottenere uno stanziamento permanente nell'Impero, lo spostamento degli Unni dal nord del Mar Nero alla grande pianura ungherese, avvenuta agli inizi del V secolo, portò a una "crisi" ben più grave: tra il 405 e il 408 l'Impero fu invaso dagli Unni di Uldino, dai Goti di Radagaiso (405) e da Vandali, Alani, Svevi (406) e Burgundi (409), spinti all'interno dell'Impero dalla migrazione unna. Se i Goti di Radagaiso (che invasero l'Italia) e gli Unni di Uldino (che colpirono l'Impero d'Oriente) furono respinti, non fu lo stesso per gli invasori del Reno del 406.
In quell'anno, un numero mai visto prima di tribù barbariche approfittò del gelo per attraversare in massa la superficie ghiacciata del Reno: Franchi, Alemanni, Vandali, Svevi, Alani e Burgundi sciamarono attraverso il fiume, incontrando una debole resistenza a Moguntiacum (Magonza) e a Treviri, che furono messe a sacco.[14] Le porte per la completa invasione della Gallia erano aperte. Nonostante questo grave pericolo, o forse proprio a causa di esso, l'Impero romano continuò ad essere dilaniato da lotte intestine, in una delle quali Stilicone, principale difensore di Roma in quel periodo, fu messo a morte.[15] Fu in un questo clima tormentato che, nonostante i rovesci subiti, Alarico tornò in Italia nel 408, riuscendo a mettere a segno il sacco di Roma due anni più tardi.[16][17][18] A quella data già da alcuni anni la capitale imperiale si era trasferita da Milano a Ravenna,[19] ma qualche storico candida il 410 quale possibile data per la caduta dell'impero romano.[20].
Privato di molte delle sue precedenti province, con un'impronta germanica sempre più spiccata, l'Impero romano degli anni successivi al 410 aveva davvero poco in comune con quello dei secoli precedenti. Nel 410 la Britannia era ormai quasi del tutto sguarnita di truppe romane[21][22] e già nel 425 non faceva ormai più parte dell'Impero, invasa com' era da Angli, Sassoni, Pitti e Scoti.[7] Gran parte dell'Europa occidentale era ormai messa alle strette "da ogni genere di calamità e disastri",[23] ed alla fine venne divisa fra i Regni romano-barbarici dei Vandali in Africa, degli Svevi nella Spagna nord occidentale, dei Visigoti in Spagna e nella Gallia meridionale, dei Burgundi tra la Svizzera e la Francia e dei Franchi nella Gallia settentrionale.[24]. Non si trattò, comunque, di una catastrofe subitanea, ma piuttosto di un lungo trapasso: infatti gli eserciti-popoli barbarici si insediarono nelle loro terre chiedendo però l'approvazione formale dell'imperatore d'Oriente, se non di quello d'Occidente.
Sotto Attila, poi, gli Unni divennero una grande minaccia per l'Impero. Nel 451 Attila invase la Gallia: Ezio guidò contro gli Unni di Attila un esercito composito, che includeva anche i precedenti nemici visigoti: grazie ad esso nella battaglia dei Campi Catalaunici,[29][30][31] inflisse agli Unni una sconfitta così sonora che essi in seguito, pur razziando ancora importanti città dell'Italia settentrionale come Aquileia, Concordia, Altinum, Patavium (Padova), Mediolanum[32] e Ticinum[32], non minacciarono mai più direttamente Roma. Pur essendo l'unico vero baluardo dell'impero, Ezio venne però assassinato dalla stessa mano dell'imperatore Valentiniano III, in un gesto che indusse Sidonio Apollinare a osservare: "Ignoro, o signore, le ragioni della vostra provocazione; so solo che avete agito come quell'uomo che mozzi la mano destra con la propria sinistra".[33]
Le incursioni unne, però, danneggiarono soprattutto indirettamente l'Impero, distogliendolo dalle lotte contro gli altri barbari penetrati all'interno dell'Impero nel 376-382 e nel 405-408, che in questo modo ne approfittarono per espandere ulteriormente la propria influenza.[34] Per esempio, le campagne balcaniche di Attila impedirono all'Impero d'Oriente di aiutare l'Impero d'Occidente in Africa contro i Vandali: una poderosa flotta romano-orientale di 1100 navi che era stata inviata in Sicilia per riconquistare Cartagine fu richiamata precitosamente perché Attila minacciava di conquistare persino Costantinopoli (442). Anche la Britannia, abbandonata definitivamente dai Romani attorno al 407-409, fu invasa, attorno alla metà del secolo da genti germaniche (Sassoni, Angli e Juti) che dettero vita a molte piccole entità territoriali autonome (Sussex, Anglia orientale, Kent ecc.), spesso in lotta fra di loro; il generale Ezio nel 446 ricevette un disperato appello dai romano-britanni contro i nuovi invasori, ma, non potendo distogliere forze dalla frontiera confinante con l'Impero unno, il generale declinò la richiesta. Ezio dovette rinunciare anche a inviare forze consistenti in Spagna contro gli Svevi, che, sotto re Rechila, avevano sottomesso quasi interamente la Spagna romana, ad eccezione della Tarraconense.
L'Impero romano d'Occidente fu dunque costretto a rinunciare al gettito fiscale della Spagna e soprattutto dell'Africa, con conseguenti minori risorse a disposizione per mantenere un esercito efficiente da utilizzare contro i Barbari. Man mano che le entrate fiscali diminuivano a causa delle invasioni, l'esercito romano si indeboliva sempre di più, agevolando un ulteriore espansione a scapito dei Romani da parte degli invasori. Nel 452 l'Impero d'Occidente aveva perso la Britannia, una parte della Gallia sud-occidentale ceduta ai Visigoti e una parte della Gallia sud-orientale ceduta ai Burgundi, quasi tutta la Spagna passata agli Svevi e le più prospere province dell'Africa, occupate dai Vandali; le province residue erano o infestate dai ribelli separatisti bagaudi o devastate dalle guerre del decennio precedente (ad esempio le campagne di Attila in Gallia e in Italia) e dunque non potevano più fornire un gettito fiscale paragonabile a quello precedente alle invasioni.[35] Si può concludere che gli Unni contribuirono alla caduta dell'Impero romano d'Occidente, non tanto direttamente (con le campagne di Attila), quanto indirettamente, giacché, causando la migrazione di Vandali, Visigoti, Burgundi e altre popolazioni all'interno dell'Impero, avevano danneggiato l'Impero romano d'Occidente molto più delle stesse campagne militari di Attila.
Un secondo problema conseguente a questa politica di accomodamento con i Barbari era che l'inclusione delle potenze barbare nella vita politica dell'Impero aumentava il numero di forze che dovevano riconoscere l'Imperatore, rendendo maggiore il rischio di instabilità interna: infatti, se prima di allora, le forze da cui l'Imperatore doveva ottenere il riconoscimento, erano le aristocrazie terriere di Italia e Gallia e gli eserciti campali di Italia, Gallia e Illirico, oltre all'Impero d'Oriente, ora l'Imperatore doveva ottenere il riconoscimento anche dei gruppi barbari incorporati nell'Impero (Visigoti, Burgundi ecc.), aumentando il rischio di instabilità politica.[36]
Il governo di Avito durò poco: approfittando dell'assenza dei Visigoti partiti per la Spagna, i generali dell'esercito italico Maggioriano e Ricimero deposero Avito. Il nuovo imperatore Maggioriano non ottenne però il riconoscimento in Gallia e in Ispania: Visigoti, Burgundi e proprietari terrieri, essendo seguaci di Avito, si rivoltarono infatti a Maggioriano. Il nuovo imperatore, reclutati forti contingenti di mercenari barbari, riuscì, con la forza del suo esercito, ad ottenere il riconoscimento di Visigoti, Burgundi e proprietari terrieri gallici, recuperando per l'Impero la Gallia e la Hispania. Il piano di Maggioriano era però recuperare l'Africa ai Vandali: era conscio, infatti che senza il gettito fiscale dell'Africa, l'Impero non avrebbe potuto riprendersi. A tal fine, allestì una potente flotta per invadere l'Africa, ma questa, ancorata nei porti della Spagna, fu distrutta dai Vandali con l'aiuto di traditori. Maggioriano dovette dunque rinunciare alla spedizione e, tornato in Italia, fu detronizzato per volere di Ricimero (461).
Ricimero impose come imperatore fantoccio Libio Severo, ma questi non fu riconosciuto né da Costantinopoli, né dai comandanti di Gallia e Illirico (rispettivamente Egidio e Marcellino). Per ottenere l'appoggio dei Visigoti e Burgundi contro Egidio, Ricimero dovette cedere ai Visigoti Narbona (462) e permettere ai Burgundi di occupare la valle del Rodano. Ben presto si rese conto dell'errore commesso eleggendo imperatore Severo e lo fece uccidere (465). La mancanza di stabilità politica a causa delle troppe forze in gioco stava portando a un deterioramento della situazione e a un rapido susseguirsi di imperatori; sarebbero dovute accadere tre cose per evitare la caduta finale dell'Impero:[37]
Antemio arrivò a Ravenna nel 467, e fu riconosciuto imperatore sia in Gallia che in Dalmazia. Il poeta romano-gallico Gaio Sollio Sidonio Apollinare gli dedicò un panegirico, in cui gli augurava il successo nella spedizione contro i Vandali. Nel 468, Leone scelse Basilisco come comandante in capo della spedizione militare contro Cartagine. Il piano fu elaborato in accordo tra l'imperatore d'Oriente Leone, l'imperatore d'Occidente Antemio e il generale Marcellino che godeva di una certa indipendenza nell'Illirico. Basilisco salpò direttamente per Cartagine, mentre Marcellino attaccò e conquistò la Sardegna e un terzo contingente, comandato da Eraclio di Edessa, sbarcò sulle coste libiche a est di Cartagine, avanzando rapidamente. La Sardegna e la Libia erano già state conquistate da Marcellino ed Eraclio, quando Basilisco gettò l'ancora al largo del promontorium Mercurii, oggi Capo Bon, a circa sessanta chilometri da Cartagine. Genserico chiese a Basilisco di concedergli cinque giorni per elaborare le condizioni per la pace.[38] Durante i negoziati, tuttavia, Genserico raccolse le proprie navi, ne riempì alcune di materiale combustibile e, durante la notte, attaccò all'improvviso la flotta imperiale, lanciando i brulotti contro le navi nemiche, non sorvegliate, che vennero distrutte. A seguito della perdita di gran parte della flotta, la spedizione fallì: Eraclio si ritirò attraverso il deserto nella Tripolitania, tenendo la posizione per due anni finché non venne richiamato; Marcellino si ritirò in Sicilia.
Il fallimento della spedizione determinò la rapida caduta dell'Impero romano d'Occidente nel giro di otto anni, giacché non solo il gettito fiscale dell'Impero non era più sufficiente per difenderlo dagli invasori, ma le grandi cifre spese mandarono in rosso il bilancio dell'Impero d'Oriente, impedendogli di aiutare ulteriormente quello d'Occidente.[39] A causa della carenza di soldi, lo stato, per esempio, non poté più garantire alle guarnigioni che difendevano il Norico una paga regolare né equipaggiamenti sufficienti a respingere con efficacia i predoni barbari, come narrato dalla Vita di San Severino; a un certo punto, con l'interruzione della paga, le guarnigioni del Norico sbandarono, anche se continuarono per qualche tempo a difendere la regione dai predoni come milizie cittadine.[40].
In Gallia, invece, il re visigoto Eurico, resosi conto dell'estrema debolezza dell'Impero e constatando che la spedizione contro i Vandali era fallita, tra il 469 e il 476 conquistò tutta la Gallia che ancora rimaneva ai Romani a Sud della Loira, sconfiggendo sia gli eserciti inviati dall'Italia da Antemio che le guarnigioni locali. Nel 475 l'Imperatore Giulio Nepote riconobbe i Visigoti come stato indipendente dall'Impero e tutte le conquiste di Eurico. Con l'Impero ridottosi alla sola Italia (con Dalmazia e Gallia settentrionale ancora romane ma secessioniste), il gettito fiscale si era ridotto a tal punto da non essere nemmeno sufficiente a pagare l'esercito romano d'Italia stesso, costituito ormai quasi totalmente da barbari provenienti da oltre Danubio e un tempo sudditi dell'Impero unno. Queste truppe di foederati germanici, guidati da Odoacre, erano state reclutate da Ricimero intorno al 465 ed avevano partecipato alla guerra civile tra Ricimero e Antemio, che si era conclusa con il sacco di Roma del 472. Queste truppe di foederati, avendo l'Impero ormai difficoltà a pagarle, si rivoltarono nel 476, determinando alla fine la caduta dell'Impero in Italia.
In ogni modo, se è vero che le invasioni provocarono un crollo del gettito fiscale, con inevitabili ripercussioni sulla qualità e quantità dell'esercito, questo fattore da solo non rende inevitabile la caduta finale di un impero: l'Impero romano d'Oriente affrontò una crisi analoga nel VII secolo, allorché perse il controllo di gran parte dei Balcani, invasi dagli Slavi, oltre alle floride province di Siria, Egitto, e Nord Africa, conquistate dagli Arabi. Nonostante la perdita di gran parte del suo gettito fiscale, l'Impero d'Oriente non crollò: anzi riuscì persino a riprendersi parzialmente nel corso dei secoli X e XI, sotto la dinastia macedone. Alla sopravvivenza dell'Impero d'Oriente contribuì certamente la posizione strategica della capitale, protetta sia dal mare che dalle possenti e quasi inespugnabili mura teodosiane; ma bisogna anche considerare il fatto che in Oriente l'Imperatore non aveva perso autorità a vantaggio dei capi barbari dell'esercito, al contrario del suo collega occidentale.
Se l'Imperatore d'Occidente fosse riuscito a preservare la sua effettiva autorità, non è da escludere che l'Impero d'Occidente sarebbe riuscito a sopravvivere, magari limitato alla sola Italia; in occidente invece l'Imperatore perse ogni potere a vantaggio dei capi dell'esercito di origine barbarica, come Ricimero e Gundobaldo. Odoacre non fece che legalizzare una situazione di fatto, cioè l'inutilità effettiva della figura dell'Imperatore, ormai solo un fantoccio nei mani dei generali romani di origine barbarica. Più che una caduta, la fine dell'Impero, almeno in Italia, può essere interpretata più come un cambio interno di regime in cui si poneva fine a un'istituzione ormai superata e che aveva perso ogni potere effettivo a vantaggio dei comandanti romano-barbarici. Odoacre stesso non era un nemico esterno ma un generale romano di origini barbariche, che rispettò e mantenne in vita le istituzioni romane, come il senato e il consolato, e continuava a governare l'Italia come funzionario dell'Imperatore d'Oriente, pur essendo di fatto indipendente.
Tutta l'Italia era in mano a Odoacre. Quest'ultimo, comunque, decise di non autoproclamarsi Imperatore romano, per non contrariare l'Imperatore d'Oriente Zenone, cui mandò invece le insegne Imperiali. Odoacre, quindi, pur essendo ricordato come il primo Re d'Italia (secondo l'anonimo Valesiano l'incoronazione avvenne il 23 agosto 476, dopo l'occupazione di Milano e Pavia, ma il Muratori ritiene più probabile che la sua incoronazione sia avvenuta quando depose Romolo Augusto e conquistò Roma)[43], non portò mai la porpora né altre insegne reali, né coniò mai monete in onor suo. Questo perché si era dichiarato formalmente subordinato all'Imperatore d'Oriente, per cui governava l'Italia in qualità di "patrizio".
La Dalmazia rimase, invece, in mano a Giulio Nepote, che era ancora formalmente imperatore romano d'Occidente. Tuttavia Nepote non ritornò mai dalla Dalmazia, anche se Odoacre fece coniare monete col suo nome: il 9 maggio del 480 Nepote venne infatti ucciso presso Salona dai conti Viatore e Ovida. Dopo la sua morte, Zenone rivendicò la Dalmazia per l'Oriente ma venne anticipato da Odoacre, che col pretesto di vendicare Nepote mosse guerra a Ovida per poi conquistare la regione. John Bagnell Bury considera questa la fine reale dell'Impero d'Occidente.
Le invasioni barbariche, quindi, furono sicuramente la principale causa esterna della caduta dell'Impero. Per lo storico francese André Piganiol (L'Empire Chrétien, 1947) esse furono, anzi, la causa esclusiva della rovina dell'Impero romano d'Occidente. Per lo storico italiano Santo Mazzarino (Fine del mondo antico, Rizzoli, 1988), invece, esse diedero solo la spallata finale a una struttura politica, economica e sociale ormai profondamente logora come quella della pars occidentalis. Infatti le province orientali dell'Impero, che per prime subirono l'urto dei barbari (i Visigoti alla fine del IV secolo dilagarono in Grecia e nei Balcani), non si disgregarono sotto quelle invasioni, ma furono capaci di respingerle ed inglobarle, per poi dirottarle verso la sezione occidentale, che invece sotto quell'urto si sfasciò del tutto.
Per Heather i "limiti interni" dello stato romano agevolarono il successo dei Barbari, ma senza le invasioni barbariche (e conseguenti forze centrifughe dovute ai loro stanziamenti) l'Impero non sarebbe mai caduto solamente per le cause interne:
Ma più che la divisione in sé, che finì per rovinare solo la parte occidentale, furono piuttosto i conflitti interni, le continue usurpazioni e lo strapotere politico dell'esercito, che dal III secolo in poi eleggeva e deponeva gli imperatori a proprio piacimento, a minare profondamente la stabilità interna dell'Impero. L'Impero romano d'Occidente, meno coeso socialmente e culturalmente, meno ricco economicamente, meno centralizzato e peggio organizzato politicamente dell'Impero romano d'Oriente, finì alla lunga per pagare questa instabilità di fondo. Fu quindi la mancanza di disciplina dell'esercito, più accentuata nella parte occidentale che in quella orientale, dove il potere centrale era più forte, a risultare una delle cause principali della rovina dell'impero.
La mancanza di disciplina, ovviamente, dipese anche dall'imbarbarimento dell'esercito, divenuto col tempo sempre meno romanizzato e sempre più costituito da soldati di provenienza germanica (anche per riempire i vuoti dovuti al calo demografico e alla resistenza alle coscrizioni da parte dei cittadini romani), integrati nell'esercito dapprima come mercenari a fianco delle legioni e poi, in forme sempre più massicce, come foederati che conservavano i loro modi nazionali di vivere e di fare la guerra. Il risultato fu un esercito romano nel nome, ma sempre più estraneo alla società che era chiamato a proteggere.
Questi fattori politici, che si innestavano su un'economia impoverita dallo spopolamento, dalla fuga dei coloni dalle campagne e dei borghesi dalle città, dei cittadini e dei contadini da un fisco spietato, contribuirono a portare la società romana in Italia e nelle province occidentali a un forte livello di instabilità. Il rigetto dell'autorità centrale si manifestava in una guerra di tutti contro tutti: l'antica aristocrazia romana contro i vertici di un esercito ormai barbarizzato, i proprietari terrieri contro i coloni che tentavano di sottrarsi alla servitù della gleba, i cittadini ed i contadini dal fisco[47]. L'Impero romano d'Occidente viveva quindi una situazione di anarchia endemica, che indebolì la resistenza dell'Impero alla rinnovata pressione dei barbari.
Secondo gli storici di scuola marxista, come Friedrich Engels, l'Impero romano cadde quando il modo di produzione schiavistico, non più alimentato dalle grandi guerre di conquista, cedette il passo al sistema economico feudale basato sul colonato e quindi sulla signoria fondiaria e sulla servitù della gleba tipiche dell'economia curtense del Medioevo.
L'economista e sociologo Max Weber sottolineò la regressione dall'economia monetaria all'economia naturale, conseguenza della svalutazione monetaria, dell'inflazione galoppante e della crisi dei commerci dovuta anche alla stagnazione produttiva ed alla crescente insicurezza dei traffici.
Per lo storico russo Mikhail Rostovtsev fu la ribellione delle masse contadine (fuga dalle campagne) alle élite cittadine a determinare la perdita della coesione sociale interna.
Per altri storici ancora, infine, fu la degenerazione burocratica, caratterizzata dall'endemica corruzione e dall'eccessivo peso fiscale sui ceti medi, a produrre quella profonda frattura sociale tra una ristretta casta di privilegiati (aristocratici latifondisti e vertici della gerarchia burocratica e militare) che vivevano nel lusso estremo e la grande massa dei contadini e dei proletari urbani costretti alla quotidiana sopravvivenza, che alla fine fece perdere all'Impero la compattezza necessaria per evitare il crollo del V secolo.
Recenti scavi archeologici (ad Antiochia) e rilevamenti aerei, tuttavia, hanno dimostrato, afferma Heather, che l'economia del Tardo Impero subì una netta ripresa nel IV secolo, sia in Occidente che in Oriente (anche se l'Oriente era più prospero).[48] Tuttavia, questa ripresa economica era limitata da un "tetto" piuttosto rigido oltre il quale la produzione non poteva crescere: nella maggior parte delle province i livelli di produzione erano già al massimo per le tecnologie dell'epoca.[49] Le finanze dell'Impero e la connessione tra il centro amministrativo e le varie realtà locali si basavano inoltre sulla protezione, con l'esercito e con le leggi, di una cerchia ristretta di proprietari terrieri, i quali ricambiavano l'Impero pagando le tasse. L'arrivo dei barbari portò a forze centrifughe che separarono le realtà locali dal centro dell'Impero. Quando i barbari occuparono le zone interne all'Impero, i proprietari terrieri - sentendosi indifesi e non potendo lasciare la zona occupata dal nemico perché la loro preminenza si basava sulle loro terre (beni immobili) che quindi non potevano abbandonare - si trovarono costretti ad appoggiare i nuovi padroni, nel tentativo di conservare le proprie terre scongiurando una possibile confisca.[50] Inoltre, i ceti inferiori - oppressi dal fiscalismo tardo-imperiale - appoggiarono gli invasori barbari.
Le invasioni barbariche del V secolo provocarono, conseguentemente, una crisi economica nella parte occidentale dell'Impero. La sottrazione di diversi territori al controllo dell'Impero da parte dei barbari e la momentanea devastazione di quelli solo momentaneamente occupati provocarono un repentino crollo del gettito fiscale (fino a 1/8 della quota normale) - dato che le province colpite dalle invasioni, con i campi devastati, non erano più in grado di versare le tasse ai livelli di prima. Nel 450 l'Impero aveva perso il 50% della sua base imponibile e per la carenza di denaro non poteva più schierare un esercito in grado di opporsi con successo alle spinte centrifughe dei foederati germanici, provocando la caduta finale dell'Impero e la formazione dei regni romano-barbarici.
Secondo Heather, per sedare le rivolte interne erano in genere sufficienti pochi reggimenti (il Conte Teodosio riuscì a sedare una rivolta in Britannia nel 368 con solo quattro reggimenti), quindi, senza un massiccio attacco esterno, le spinte autonomistiche non avrebbero mai potuto portare al crollo dell'Impero; solo se tutte le province dell'Impero si fossero rivoltate tutte insieme, un crollo di questo tipo sarebbe stato plausibile.[52]
Sembra però piuttosto azzardato concludere che una forza che agì nel senso della coesione nell'Impero romano d'Oriente abbia agito nel senso della disgregazione nella parte occidentale. Non bisogna dimenticare però che le ideologie formulate dagli intellettuali riguardo agli imperatori sono diverse da impero orientale a occidentale. L'Oriente fece propria l'ideologia formulata da Eusebio di Cesarea (basileus sacralizzato), l'Occidente invece quella di Ambrogio e Agostino (imperator pius e non divinizzato, sottoposto alla Chiesa del quale è garante). Non è un caso infatti che fu proprio in Occidente che Teodosio fu costretto a piegarsi supplice per ben due volte di fronte al semplice vescovo di Milano, Ambrogio appunto. È vero, ci sono le testimonianze di un'aperta esultanza di cristiani eminenti come Tertulliano o Salviano di Marsiglia, di fronte alle disfatte e alle invasioni. Ma ci sono altrettante testimonianze di dolore ed amarezza, come quella di san Girolamo. O persino le memorie documentate di vescovi che guidarono la resistenza armata ai barbari, sostituendosi alle milizie romane in fuga. Sant'Agostino rivendicava, invece, che la sola e vera patria dei cristiani era quella celeste e che le città degli uomini rovinavano non per colpa dei cristiani, ma per effetto delle nequizie dei loro reggitori. Sembra potersi dire, quindi, che nell'insieme i cristiani non combatterono i barbari (a differenza che in Oriente, dove il Cristianesimo costituì qualche cosa di simile a un movimento nazionale che si opponeva decisamente ai barbari), ma nemmeno sabotarono l'Impero[53].
Il ruolo del cristianesimo nell'aver partecipato - non determinato - al collasso dell'impero d'Occidente, dovrebbe essere oggi rivalutato, ponendo particolare attenzione: 1) alla disgregazione economica-sociale accelerata da donne e uomini di alto lignaggio (Priscilliano, le due Melanie, Paola...) che, abbandonando il secolo, vendettero intere proprietà; 2) ai contrasti tra funzionari imperiali e vescovi (ad esempio Oreste e Cirillo), e anche tra imperatori e vescovi (Giustina e Ambrogio); 3) agli ideali evangelici che spinsero gli uomini a fuggire il secolo (monaci), che spinsero le donne alla verginità, e quindi al calo della natalità, e a considerare il mondo un pellegrinaggio temporaneo (Agostino) e quindi, sostanzialmente, privo di importanza. Un ottimo campo di indagine per capire la forza corrosiva del cristianesimo è quello delle leggi di Maggiorano (una delle più famose proibì alle donne di farsi monache prima dei 40 anni, poiché, e l'imperatore lo aveva ben capito, questo stava causando una diminuzione delle nascite, in un momento in cui Roma aveva bisogno di tutte le spade possibili).
Il regno fu l'unica istituzione politica nuova elaborata dagli invasori, anche se ci furono importanti differenze all'interno dei popoli germanici. Schematizzando si può dire che il regno barbarico non conobbe la separazione dei poteri, concentrati tutti nelle mani del re che li aveva acquisiti per diritto di conquista, al punto che la cosa pubblica tendeva a confondersi con la sua proprietà personale e la stessa nozione di regno con la persona di chi esercitava il potere politico e assicurava la protezione militare dei sudditi, dai quali esigeva in cambio fedeltà. La monarchia dei popoli barbarici non fu territoriale bensì nazionale, ossia rappresentò chi era nato nella stessa tribù.
Nonostante il ruolo distruttivo che spesso i popoli invasori svolsero nelle terre invase, quasi tutti i nuovi regni furono a loro volta estremamente vulnerabili e in qualche caso anche molto piccoli. Alcuni, come quelli dei Burgundi nel bacino del Rodano o dei Suebi (Svevi) nella parte nord-occidentale della penisola iberica, vennero assimilati dai vicini; altri, come quelli dei Vandali o degli Ostrogoti, crollarono sotto l'offensiva di Bisanzio, che tentò di ricostruire l'unità dell'Impero. Quelli dei Visigoti in Spagna e dei Franchi nelle ex province galliche invece sopravvissero, sia per la rapida integrazione tra la popolazione residente e gli invasori, sia per la collaborazione con la Chiesa e con esponenti del mondo intellettuale latino.
A Bisanzio, però, dopo Zenone salì un imperatore, Giustiniano I, che si era prefisso come scopo supremo la riunificazione dell'antico Impero romano. Dopo avere incentivato la vecchia aristocrazia romana a non collaborare con Teodorico, gli eserciti bizantini invasero direttamente l'Italia. La "riconquista" imperiale dell'Italia, dopo una lunga guerra durata quasi vent'anni, rappresentò la rovina della penisola: le sue ricchezze e le sue città vennero devastate, la popolazione fu massacrata.
Il calo demografico toccò il suo apice proprio dopo la guerra gotica. I lunghi secoli di guerre, carestie e pestilenze avevano provocato il dimezzamento della popolazione italiana: dagli 8-10 milioni di abitanti dell'età augustea, dopo la guerra gotica l'Italia aveva non più di 4-5 milioni di abitanti[54].
La città di Roma, che aveva ancora tra i 600 000 ed il milione di abitanti nel IV secolo, era drammaticamente scesa a 100 000 abitanti all'inizio del regno di Teodorico, il quale, tutto preso dalla missione di restaurare le glorie romane, aveva disposto una serie di grandi opere nell'Urbe: mura, granai, acquedotti e lo stesso palazzo imperiale, abbandonato, sul Palatino. Il sogno di Teodorico, però, venne vanificato appunto dalla guerra gotica, durante la quale Roma venne assediata tre volte e due volte conquistata dagli eserciti avversari. Negli anni intorno al 540, dopo la riconquista di Totila, la città fu praticamente abbandonata e avviata alla desolazione: molti dei suoi dintorni si erano trasformati in paludi insalubri, la popolazione ormai non raggiungeva più di 20 000 abitanti, addensati per lo più attorno alla basilica di San Pietro. Una fine ingloriosa per la caput mundi che aveva dominato su molta parte del mondo conosciuto.
Con la vittoria bizantina nella guerra gotica l'Italia non ebbe, comunque, l'auspicata stabilità né venne riformato l'Impero romano d'Occidente: la penisola venne infatti invasa nel 568 da una nuova popolazione germanica, i Longobardi, che determinerà una profonda spaccatura storica del paese, diviso in aree sotto il dominio longobardo e territori ancora in mano bizantina. Si giunse così ad un'epoca in cui rimase in piedi il solo Impero romano d'Oriente, da allora definito dalla storiografia moderna come Impero bizantino più che come Impero romano d'Oriente.
L'impero romano d'Occidente rinacque de facto per un anno il 22 dicembre del 619, quando l'esarca eunuco di Ravenna, Eleuterio, si fece incoronare dalle sue truppe imperatore d'Occidente con il nome di Ismailius.[56]. Su consiglio dell'arcivescovo ravennate, Eleuterio decise di marciare su Roma per legittimare il proprio potere con la tradizionale ratifica da parte del senato. Questa sua idea di marciare su Roma, secondo lo storico Bertolini, «rivelava la consapevolezza di ciò che sempre rappresentava Roma, prima sede e culla dell'impero, come perenne custode dell'antica tradizione imperiale. Provava inoltre che a Roma esisteva sempre un senato e che ad esso si attribuiva ancora la prerogativa di essere il depositario del potere sovrano in concorrenza con gl'imperatori, e la capacità giuridica di convalidare la proclamazione di un nuovo imperatore. Al senato di Roma, infatti, e non al papa, ebbero certo la mente così l'arcivescovo di Ravenna come l'esarca ribelle.»[57] Tuttavia, giunto a Castrum Luceoli (presso l'odierna Cantiano), Eleuterio venne ucciso dai suoi soldati.
Escludendo questi tre ultimi Stati, che sostennero di essere successori dell'Impero, e dando per vera la data tradizionale della fondazione di Roma, lo Stato romano durò dal 753 a.C. al 1461, anno in cui cadde l'Impero di Trebisonda (ultimo frammento dell'Impero bizantino sfuggito alla conquista Ottomana nel 1453), per un totale di 2.214 anni.
Il Sacro Romano Impero conobbe il suo periodo di massimo splendore nell'XI secolo quando insieme al Papato era una delle due grandi potenze della società medioevale. Già sotto Federico Barbarossa e le vittorie dei Comuni l'Impero iniziò a declinare, perdendo il reale controllo del territorio, soprattutto in Italia, in favore delle varie autonomie locali. Comuni, signori e principati comunque continuarono a vedere l'Impero come un sacro ente sovrannazionale dal quale trarre legittimità formale del proprio potere, come testimoniano i numerosi diplomi imperiali concessi a caro prezzo. Nella sostanza, però, l'Imperatore non aveva alcun'autorità e la sua carica, se non ricoperta da individui di particolare forza e determinazione, era puramente simbolica.
Nel 1648 con la Pace di Vestfalia i principi feudali divennero praticamente indipendenti dall'Imperatore e il Sacro Romano Impero si ridusse a una semplice confederazione di Stati solo formalmente uniti, ma de facto indipendenti. Esso continuò comunque a esistere formalmente fino al 1806, quando l'imperatore francese Napoleone Bonaparte obbligò l'Imperatore Francesco II a sciogliere il Sacro Romano Impero e a diventare imperatore d'Austria.
Voltaire si prese gioco del Sacro Romano Impero con la celebre affermazione secondo cui non era «né sacro, né romano, né un impero».
Una lunga agonia finita nel 476[modifica | modifica wikitesto]
Comunque, da un punto di vista strettamente politico-militare, l'Impero romano d'Occidente cadde definitivamente dopo che nel V secolo fu invaso da vari popoli non romani e quindi privato del suo nucleo peninsulare per mano delle truppe germaniche in rivolta di Odoacre nel 476. Sia la storicità che le esatte date di questo avvenimento rimangono ancora incerte e alcuni storici negano che possa parlarsi di caduta dell'Impero. Rimangono divergenti perfino le opinioni sul fatto che tale caduta sia frutto di un singolo evento oppure di un lungo e graduale processo.
Quel che è certo è che l'Impero già prima del 476 si presentava rispetto ai secoli precedenti molto meno romanizzato e sempre più caratterizzato da una impronta germanica, soprattutto nell'esercito, che costituiva l'asse portante del potere imperiale. Anche se l'Occidente romano crollò sotto l'invasione dei Visigoti all'inizio del V secolo, il rovesciamento dell'ultimo imperatore, Romolo Augusto, non fu compiuto da truppe straniere, ma piuttosto da foederati germanici organici all'esercito romano. In questo senso, se non avesse rinunciato Odoacre al titolo di imperatore per dichiararsi invece Rex Italiae e "patrizio" dell'imperatore d'Oriente, l'impero avrebbe potuto perfino dirsi conservato, almeno nel nome, se non nella sua identità, da tempo profondamente mutata: non più esclusivamente romana e sempre più condizionata dalle popolazioni germaniche, che già prima del 476 si erano ritagliate ampi spazi di potere nell'esercito imperiale e di dominio in territori ormai solo formalmente soggetti all'imperatore. Nel V secolo, infatti, i popoli di ascendenza romana erano ormai stati "privati del loro ethos militare"[3], in quanto lo stesso esercito romano non era altro che un coacervo di truppe federate di Goti, Unni, Franchi e altri popoli barbarici che combattevano nel nome della gloria di Roma.
Oltre alle invasioni germaniche del V secolo e all'importanza sempre più incisiva dell'elemento barbarico nell'esercito romano, sono stati individuati anche altri aspetti per spiegare la lunga crisi e la caduta finale dell'Impero romano d'Occidente:
- il calo demografico dovuto non solo alle guerre ed alle carestie, ma anche alle epidemie che si diffondevano molto velocemente e causavano numerose vittime;
- la crisi economico-produttiva delle campagne unita al crollo dei traffici commerciali, all'inflazione galoppante e, quindi, al ritorno ai pagamenti in natura;
- la crisi e la fuga dalle città, a rischio non solo di saccheggio da parte degli eserciti barbarici, ma anche di malattie infettive per le disastrose condizioni igieniche;
- la perdita di coesione sociale, dovuta all'enorme squilibrio nella distribuzione della ricchezza: lusso eccessivo per pochissimi privilegiati e povertà estrema per la grande massa dei contadini e del proletariato urbano;
- la mancanza di consenso nei confronti del governo centrale, causata anche dalla degenerazione burocratica: da una parte corruzione sistematica, dall'altra eccessivo peso fiscale che finiva per gravare sui ceti meno abbienti;
- i difetti del sistema costituzionale, con il governo centrale condizionato dallo strapotere dell'esercito e sempre a rischio di usurpazione.
Invasioni barbariche del V secolo[modifica | modifica wikitesto]
Se la struttura politica, economica e sociale dell'Impero romano d'Occidente era già sgretolata e pericolante da secoli (almeno a partire dalla crisi del III secolo), a mandarla in frantumi del tutto con la spallata decisiva furono comunque le invasioni barbariche che imperversarono dalla fine del IV secolo.[4]Tali nuove e fatali invasioni furono la conseguenza della migrazione degli Unni nella grande pianura ungherese. Il contributo degli Unni nelle invasioni barbariche si può dividere in tre fasi:[5]
- gli Unni, migrando verso la pianura ungherese, spingono numerose popolazioni barbariche a invadere l'Impero (376-408).
- gli Unni, una volta terminata la migrazione, aiutano l'Impero a combattere i gruppi barbari entrati all'interno dell'Impero (410-439).
- gli Unni, sotto Attila, diventano nemici dell'Impero, e invadono dapprima l'Impero d'Oriente e poi quello d'Occidente (440-452).
Migrazione degli Unni e conseguenze: le crisi del 376-380 e 405-408[modifica | modifica wikitesto]
Inizialmente negli anni 370, mentre la maggior parte degli Unni era ancora concentrata a nord del Mar Nero, alcune bande isolate saccheggiatrici di Unni attaccarono i Visigoti a nord del Danubio, spingendoli a chiedere ospitalità all'Imperatore Valente. I Visigoti, suddivisi in due gruppi (Tervingi e Grutungi), furono ammessi in territorio romano-orientale, ma in seguito a maltrattamenti, si rivoltarono e inflissero una grave sconfitta all'Impero d'Oriente nella battaglia di Adrianopoli. Con il foedus del 382, ottennero di stanziarsi nell'Illirico orientale come foederati dell'Impero, con l'obbligo di fornire truppe mercenarie all'Imperatore Teodosio I.Intorno al 395 i Visigoti, che si erano insediati come foederati in Mesia, si ribellarono.[6] Guidati da Alarico,[7] tentarono di prendere Costantinopoli[8], ma furono respinti e si diedero quindi a saccheggiare buona parte della Tracia e della Grecia settentrionale.[9] Nell'inverno del 401-402 Alarico, entrato in Italia, forse su istigazione dell'imperatore d'Oriente Arcadio, occupò parte della Regio X Venetia et Histria e, successivamente, assediò Mediolanum (402), sede dell'imperatore romano Onorio, difesa da truppe gotiche. L'arrivo di Stilicone con il suo esercito costrinse Alarico a togliere l'assedio e a dirigersi verso Hasta (Asti), dove Stilicone lo attaccò nella battaglia di Pollenzo,[10][11] conquistando l'accampamento di Alarico. Stilicone si offrì di restituire i prigionieri in cambio del ritorno dei Visigoti in Illyricum. Ma Alarico, giunto a Verona, arrestò la sua ritirata. Stilicone allora lo attaccò nuovamente nella battaglia di Verona (nel 403)[12] e sconfisse di nuovo Alarico,[13] costringendolo a ritirarsi dall'Italia. Dopo l'assassinio di Stilicone nel 408, i Visigoti invasero di nuovo l'Italia, saccheggiando Roma nel 410 e spostandosi poi, sotto re Ataulfo, in Gallia. Sconfitti dal generale romano Flavio Costanzo nel 415, i Visigoti accettarono di combattere per l'Impero in Spagna contro gli invasori del Reno, ottenendo in cambio il possesso della Gallia Aquitania come foederati dell'Impero (418).
Sinistra: L'Impero romano d'Occidente nel 410 immediatamente dopo il sacco di Roma:
__ Impero d'Occidente (Onorio).
__ Area controllata da Costantino III (usurpatore).
__ Aree in rivolta.
__ Area controllata da Massimo (usurpatore).
__ Alani.
__ Visigoti.
Destra: L'Impero romano d'Occidente nel 421. Grazie alle prodezze di Flavio Costanzo, la Gallia e la Tarraconense erano tornate sotto il dominio di Onorio con la sconfitta degli usurpatori, mentre gli Alani erano stati scacciati con il supporto visigoto dalla Lusitania e dalla Cartaginense, e i Bagaudi nell'Armorica erano stati ricondotti all'obbedienza. I Visigoti ottennero, in cambio dei loro servigi in Hispania, la Gallia Aquitania come foederati dell'Impero. |
In quell'anno, un numero mai visto prima di tribù barbariche approfittò del gelo per attraversare in massa la superficie ghiacciata del Reno: Franchi, Alemanni, Vandali, Svevi, Alani e Burgundi sciamarono attraverso il fiume, incontrando una debole resistenza a Moguntiacum (Magonza) e a Treviri, che furono messe a sacco.[14] Le porte per la completa invasione della Gallia erano aperte. Nonostante questo grave pericolo, o forse proprio a causa di esso, l'Impero romano continuò ad essere dilaniato da lotte intestine, in una delle quali Stilicone, principale difensore di Roma in quel periodo, fu messo a morte.[15] Fu in un questo clima tormentato che, nonostante i rovesci subiti, Alarico tornò in Italia nel 408, riuscendo a mettere a segno il sacco di Roma due anni più tardi.[16][17][18] A quella data già da alcuni anni la capitale imperiale si era trasferita da Milano a Ravenna,[19] ma qualche storico candida il 410 quale possibile data per la caduta dell'impero romano.[20].
Privato di molte delle sue precedenti province, con un'impronta germanica sempre più spiccata, l'Impero romano degli anni successivi al 410 aveva davvero poco in comune con quello dei secoli precedenti. Nel 410 la Britannia era ormai quasi del tutto sguarnita di truppe romane[21][22] e già nel 425 non faceva ormai più parte dell'Impero, invasa com' era da Angli, Sassoni, Pitti e Scoti.[7] Gran parte dell'Europa occidentale era ormai messa alle strette "da ogni genere di calamità e disastri",[23] ed alla fine venne divisa fra i Regni romano-barbarici dei Vandali in Africa, degli Svevi nella Spagna nord occidentale, dei Visigoti in Spagna e nella Gallia meridionale, dei Burgundi tra la Svizzera e la Francia e dei Franchi nella Gallia settentrionale.[24]. Non si trattò, comunque, di una catastrofe subitanea, ma piuttosto di un lungo trapasso: infatti gli eserciti-popoli barbarici si insediarono nelle loro terre chiedendo però l'approvazione formale dell'imperatore d'Oriente, se non di quello d'Occidente.
Rapporti tra Unni e Impero[modifica | modifica wikitesto]
Dopo il 410 la difesa di quel che restava del territorio imperiale, se non dell'impronta romana, fu portata avanti dai magistri militum Flavio Costanzo (410-421) e Ezio (425-454), che riuscirono a fronteggiare efficacemente gli invasori barbarici facendoli combattere l'uno con l'altro. Costanzo riuscì a sconfiggere i vari usurpatori che si erano rivoltati contro l'imbelle Onorio e a rioccupare temporaneamente parte della Spagna spingendo i Visigoti di re Vallia a combattere per l'Impero contro Vandali, Alani e Svevi. Ezio, suo successore, dopo una lunga lotta per il potere, ottenne vari successi contro gli invasori barbari. Ai limitati successi di Costanzo ed Ezio contribuirono certamente gli Unni, lo stesso popolo che aveva provocato indirettamente le crisi del 376-382 e del 405-408. Infatti, gli Unni, ormai stanziati stabilmente in Ungheria, arrestarono il flusso migratorio ai danni dell'Impero, in quanto, volendo dei sudditi da sfruttare, impedirono ogni migrazione da parte delle popolazioni sottomesse. Inoltre aiutarono l'Impero d'Occidente a combattere i gruppi invasori: nel 410 alcuni mercenari unni furono inviati ad Onorio per sostenerlo contro Alarico, mentre Ezio dal 436 al 439 impiegò mercenari unni per sconfiggere in Gallia Burgundi, Bagaudi e Visigoti, ottenendo delle vittorie contro questi ultimi nella battaglia di Arles e nella battaglia di Narbona; poiché però nessuna delle minacce esterne fu annientata definitivamente nemmeno con il sostegno degli Unni, questo aiuto compensò solo minimamente gli effetti nefasti provocati dalle invasioni del 376-382 e del 405-408.[25] Nel 439, anzi, fu perduta Cartagine, seconda città dell'impero d'Occidente per grandezza, in favore dei Vandali, insieme a buona parte del Nordafrica.[26][27]"La lotta si trasformò in un corpo a corpo, fiero, selvaggio, confuso e senza il più piccolo respiro... Il sangue dei corpi caduti, da piccolo ruscello, fluiva in pianura in un fiume torrenziale. Quelli tormentati dalla sete per le ferite ricevute, bevevano acqua tanto frammista a sangue da apparir costretti, nella loro sofferenza, a bere di quello stesso sangue sgorgato dalle loro ferite". |
Giordane sulla Battaglia dei Campi Catalaunici[28] |
Le incursioni unne, però, danneggiarono soprattutto indirettamente l'Impero, distogliendolo dalle lotte contro gli altri barbari penetrati all'interno dell'Impero nel 376-382 e nel 405-408, che in questo modo ne approfittarono per espandere ulteriormente la propria influenza.[34] Per esempio, le campagne balcaniche di Attila impedirono all'Impero d'Oriente di aiutare l'Impero d'Occidente in Africa contro i Vandali: una poderosa flotta romano-orientale di 1100 navi che era stata inviata in Sicilia per riconquistare Cartagine fu richiamata precitosamente perché Attila minacciava di conquistare persino Costantinopoli (442). Anche la Britannia, abbandonata definitivamente dai Romani attorno al 407-409, fu invasa, attorno alla metà del secolo da genti germaniche (Sassoni, Angli e Juti) che dettero vita a molte piccole entità territoriali autonome (Sussex, Anglia orientale, Kent ecc.), spesso in lotta fra di loro; il generale Ezio nel 446 ricevette un disperato appello dai romano-britanni contro i nuovi invasori, ma, non potendo distogliere forze dalla frontiera confinante con l'Impero unno, il generale declinò la richiesta. Ezio dovette rinunciare anche a inviare forze consistenti in Spagna contro gli Svevi, che, sotto re Rechila, avevano sottomesso quasi interamente la Spagna romana, ad eccezione della Tarraconense.
L'Impero romano d'Occidente fu dunque costretto a rinunciare al gettito fiscale della Spagna e soprattutto dell'Africa, con conseguenti minori risorse a disposizione per mantenere un esercito efficiente da utilizzare contro i Barbari. Man mano che le entrate fiscali diminuivano a causa delle invasioni, l'esercito romano si indeboliva sempre di più, agevolando un ulteriore espansione a scapito dei Romani da parte degli invasori. Nel 452 l'Impero d'Occidente aveva perso la Britannia, una parte della Gallia sud-occidentale ceduta ai Visigoti e una parte della Gallia sud-orientale ceduta ai Burgundi, quasi tutta la Spagna passata agli Svevi e le più prospere province dell'Africa, occupate dai Vandali; le province residue erano o infestate dai ribelli separatisti bagaudi o devastate dalle guerre del decennio precedente (ad esempio le campagne di Attila in Gallia e in Italia) e dunque non potevano più fornire un gettito fiscale paragonabile a quello precedente alle invasioni.[35] Si può concludere che gli Unni contribuirono alla caduta dell'Impero romano d'Occidente, non tanto direttamente (con le campagne di Attila), quanto indirettamente, giacché, causando la migrazione di Vandali, Visigoti, Burgundi e altre popolazioni all'interno dell'Impero, avevano danneggiato l'Impero romano d'Occidente molto più delle stesse campagne militari di Attila.
L'ultimo ventennio dell'Impero (455-476)[modifica | modifica wikitesto]
Il rapido collasso dell'Impero unno dopo il decesso di Attila privò l'Impero di un possibile valido alleato (gli Unni), che tuttavia si poteva anche trasformare in una temibile minaccia, da contrapporre ai Barbari stanziati all'interno dell'Impero. Ezio aveva ottenuto le sue vittorie militari soprattutto grazie all'utilizzo degli Unni: senza il sostegno degli Unni, ora l'Impero era impossibilitato a combattere con efficacia i gruppi immigrati ed era dunque costretto a incorporarli nel governo romano. Il primo ad attuare questa politica fu l'Imperatore Avito che riuscì ad essere incoronato a imperatore proprio grazie al sostegno militare dei Visigoti; il re visigoto Teodorico II, però, pur essendo filo-romano, si attendeva qualcosa in cambio dell'appoggio ad Avito e ottenne quindi dal nuovo imperatore l'autorizzazione di condurre campagne in Spagna a danni degli Svevi; gli Svevi alla fine furono annientati ma la Spagna venne devastata dalle truppe visigote che ottennero quindi un ricco bottino.[36].Un secondo problema conseguente a questa politica di accomodamento con i Barbari era che l'inclusione delle potenze barbare nella vita politica dell'Impero aumentava il numero di forze che dovevano riconoscere l'Imperatore, rendendo maggiore il rischio di instabilità interna: infatti, se prima di allora, le forze da cui l'Imperatore doveva ottenere il riconoscimento, erano le aristocrazie terriere di Italia e Gallia e gli eserciti campali di Italia, Gallia e Illirico, oltre all'Impero d'Oriente, ora l'Imperatore doveva ottenere il riconoscimento anche dei gruppi barbari incorporati nell'Impero (Visigoti, Burgundi ecc.), aumentando il rischio di instabilità politica.[36]
Il governo di Avito durò poco: approfittando dell'assenza dei Visigoti partiti per la Spagna, i generali dell'esercito italico Maggioriano e Ricimero deposero Avito. Il nuovo imperatore Maggioriano non ottenne però il riconoscimento in Gallia e in Ispania: Visigoti, Burgundi e proprietari terrieri, essendo seguaci di Avito, si rivoltarono infatti a Maggioriano. Il nuovo imperatore, reclutati forti contingenti di mercenari barbari, riuscì, con la forza del suo esercito, ad ottenere il riconoscimento di Visigoti, Burgundi e proprietari terrieri gallici, recuperando per l'Impero la Gallia e la Hispania. Il piano di Maggioriano era però recuperare l'Africa ai Vandali: era conscio, infatti che senza il gettito fiscale dell'Africa, l'Impero non avrebbe potuto riprendersi. A tal fine, allestì una potente flotta per invadere l'Africa, ma questa, ancorata nei porti della Spagna, fu distrutta dai Vandali con l'aiuto di traditori. Maggioriano dovette dunque rinunciare alla spedizione e, tornato in Italia, fu detronizzato per volere di Ricimero (461).
Ricimero impose come imperatore fantoccio Libio Severo, ma questi non fu riconosciuto né da Costantinopoli, né dai comandanti di Gallia e Illirico (rispettivamente Egidio e Marcellino). Per ottenere l'appoggio dei Visigoti e Burgundi contro Egidio, Ricimero dovette cedere ai Visigoti Narbona (462) e permettere ai Burgundi di occupare la valle del Rodano. Ben presto si rese conto dell'errore commesso eleggendo imperatore Severo e lo fece uccidere (465). La mancanza di stabilità politica a causa delle troppe forze in gioco stava portando a un deterioramento della situazione e a un rapido susseguirsi di imperatori; sarebbero dovute accadere tre cose per evitare la caduta finale dell'Impero:[37]
- la restaurazione del potere legittimo
- la riduzione delle forze in gioco che qualsiasi nuovo regime avrebbe dovuto tenere in equilibrio
- la crescita del gettito fiscale
« Facciamo un po' di storia basata sui se. Una vittoria schiacciante su Genserico... avrebbe prodotto tutta una serie di effetti a catena. Una volta riuniti Italia e Nordafrica, anche la Spagna sarebbe tornata all'ovile:... infatti, gli Svevi rimasti nella penisola iberica non erano molto pericolosi. ... A questo punto, quando anche i tributi della Spagna avessero ricominciato ad affluire nelle casse dello stato, si sarebbe potuto avviare un ampio programma di ricostruzione della Gallia romana. Visigoti e Burgundi, infine, sarebbero stati rinchiusi in enclave d'influenza molto più piccole... Contrariamente a prima, il rinato impero romano d'Occidente sarebbe diventato in realtà una coalizione, con sfere d'influenza gote e burgunde... : non più dunque la coalizione unita e integrata del IV secolo. Ma il centro dell'Impero sarebbe stato comunque il partner dominante della coalizione... Nel giro di un ventennio, poi, anche i romano-britanni ... avrebbero potuto trarre giovamento da questi rivolgimenti. Tutto ciò, ovviamente, solo se le cose fossero andate sempre e soltanto per il meglio. » |
(Heather, op. cit., p. 477.) |
Il fallimento della spedizione determinò la rapida caduta dell'Impero romano d'Occidente nel giro di otto anni, giacché non solo il gettito fiscale dell'Impero non era più sufficiente per difenderlo dagli invasori, ma le grandi cifre spese mandarono in rosso il bilancio dell'Impero d'Oriente, impedendogli di aiutare ulteriormente quello d'Occidente.[39] A causa della carenza di soldi, lo stato, per esempio, non poté più garantire alle guarnigioni che difendevano il Norico una paga regolare né equipaggiamenti sufficienti a respingere con efficacia i predoni barbari, come narrato dalla Vita di San Severino; a un certo punto, con l'interruzione della paga, le guarnigioni del Norico sbandarono, anche se continuarono per qualche tempo a difendere la regione dai predoni come milizie cittadine.[40].
In Gallia, invece, il re visigoto Eurico, resosi conto dell'estrema debolezza dell'Impero e constatando che la spedizione contro i Vandali era fallita, tra il 469 e il 476 conquistò tutta la Gallia che ancora rimaneva ai Romani a Sud della Loira, sconfiggendo sia gli eserciti inviati dall'Italia da Antemio che le guarnigioni locali. Nel 475 l'Imperatore Giulio Nepote riconobbe i Visigoti come stato indipendente dall'Impero e tutte le conquiste di Eurico. Con l'Impero ridottosi alla sola Italia (con Dalmazia e Gallia settentrionale ancora romane ma secessioniste), il gettito fiscale si era ridotto a tal punto da non essere nemmeno sufficiente a pagare l'esercito romano d'Italia stesso, costituito ormai quasi totalmente da barbari provenienti da oltre Danubio e un tempo sudditi dell'Impero unno. Queste truppe di foederati germanici, guidati da Odoacre, erano state reclutate da Ricimero intorno al 465 ed avevano partecipato alla guerra civile tra Ricimero e Antemio, che si era conclusa con il sacco di Roma del 472. Queste truppe di foederati, avendo l'Impero ormai difficoltà a pagarle, si rivoltarono nel 476, determinando alla fine la caduta dell'Impero in Italia.
In ogni modo, se è vero che le invasioni provocarono un crollo del gettito fiscale, con inevitabili ripercussioni sulla qualità e quantità dell'esercito, questo fattore da solo non rende inevitabile la caduta finale di un impero: l'Impero romano d'Oriente affrontò una crisi analoga nel VII secolo, allorché perse il controllo di gran parte dei Balcani, invasi dagli Slavi, oltre alle floride province di Siria, Egitto, e Nord Africa, conquistate dagli Arabi. Nonostante la perdita di gran parte del suo gettito fiscale, l'Impero d'Oriente non crollò: anzi riuscì persino a riprendersi parzialmente nel corso dei secoli X e XI, sotto la dinastia macedone. Alla sopravvivenza dell'Impero d'Oriente contribuì certamente la posizione strategica della capitale, protetta sia dal mare che dalle possenti e quasi inespugnabili mura teodosiane; ma bisogna anche considerare il fatto che in Oriente l'Imperatore non aveva perso autorità a vantaggio dei capi barbari dell'esercito, al contrario del suo collega occidentale.
Se l'Imperatore d'Occidente fosse riuscito a preservare la sua effettiva autorità, non è da escludere che l'Impero d'Occidente sarebbe riuscito a sopravvivere, magari limitato alla sola Italia; in occidente invece l'Imperatore perse ogni potere a vantaggio dei capi dell'esercito di origine barbarica, come Ricimero e Gundobaldo. Odoacre non fece che legalizzare una situazione di fatto, cioè l'inutilità effettiva della figura dell'Imperatore, ormai solo un fantoccio nei mani dei generali romani di origine barbarica. Più che una caduta, la fine dell'Impero, almeno in Italia, può essere interpretata più come un cambio interno di regime in cui si poneva fine a un'istituzione ormai superata e che aveva perso ogni potere effettivo a vantaggio dei comandanti romano-barbarici. Odoacre stesso non era un nemico esterno ma un generale romano di origini barbariche, che rispettò e mantenne in vita le istituzioni romane, come il senato e il consolato, e continuava a governare l'Italia come funzionario dell'Imperatore d'Oriente, pur essendo di fatto indipendente.
476: l'atto finale[modifica | modifica wikitesto]
L'anno 476 viene di solito indicato come fine dell'Impero d'Occidente: in quell'anno le milizie mercenarie germaniche dell'Impero, capeggiate dal barbaro Odoacre, si rivoltarono contro l'autorità imperiale e deposero l'ultimo imperatore d'Occidente, Romolo Augusto (anche se quest'ultimo era solo un imperatore fantoccio manovrato dal padre Oreste); i motivi della rivolta erano il rifiuto da parte imperiale di cedere ai mercenari barbari un terzo delle terre italiche.[41] Odoacre, alla testa di un'orda di Eruli, Turcilingi, Rugi, Sciri, si diresse quindi verso Milano; Oreste, vista la gravità della rivolta, si rifugiò a Pavia, che venne però assediata ed espugnata dai ribelli; Oreste venne catturato e, portato a Piacenza, giustiziato (28 agosto 476). Dopodiché Odoacre si diresse verso Ravenna: nella pineta fuori Classe (il porto di Ravenna) catturò e fece uccidere Paolo, il fratello di Oreste (4 settembre 476); Odoacre occupò in seguito Ravenna[42], dove catturò l'Imperatore Romolo Augusto che non poté far altro che abdicare e sottomettersi a Odoacre.[41] Odoacre, tuttavia, essendo stato amico del padre Oreste, decise di risparmiargli la vita, relegandolo in un castello della Campania, detto Luculliano (a Napoli, dove sorge l'attuale Castel dell'Ovo), e concedendogli una pensione annua di 6.000 soldi d'oro[43].Tutta l'Italia era in mano a Odoacre. Quest'ultimo, comunque, decise di non autoproclamarsi Imperatore romano, per non contrariare l'Imperatore d'Oriente Zenone, cui mandò invece le insegne Imperiali. Odoacre, quindi, pur essendo ricordato come il primo Re d'Italia (secondo l'anonimo Valesiano l'incoronazione avvenne il 23 agosto 476, dopo l'occupazione di Milano e Pavia, ma il Muratori ritiene più probabile che la sua incoronazione sia avvenuta quando depose Romolo Augusto e conquistò Roma)[43], non portò mai la porpora né altre insegne reali, né coniò mai monete in onor suo. Questo perché si era dichiarato formalmente subordinato all'Imperatore d'Oriente, per cui governava l'Italia in qualità di "patrizio".
La Dalmazia rimase, invece, in mano a Giulio Nepote, che era ancora formalmente imperatore romano d'Occidente. Tuttavia Nepote non ritornò mai dalla Dalmazia, anche se Odoacre fece coniare monete col suo nome: il 9 maggio del 480 Nepote venne infatti ucciso presso Salona dai conti Viatore e Ovida. Dopo la sua morte, Zenone rivendicò la Dalmazia per l'Oriente ma venne anticipato da Odoacre, che col pretesto di vendicare Nepote mosse guerra a Ovida per poi conquistare la regione. John Bagnell Bury considera questa la fine reale dell'Impero d'Occidente.
Cause[modifica | modifica wikitesto]
Alcuni storici hanno individuato nelle invasioni o migrazioni barbariche (in una causa, quindi, esterna) la ragione principale del crollo finale dell'Impero romano d'Occidente, pur riconoscendo i limiti interni dello stato romano che agevolarono la caduta.[44] La maggioranza degli studiosi, invece, ha ritenuto che la decadenza e la rovina della pars occidentalis sia dipesa da cause interne, ovvero dalle grandi correnti profonde del mutamento sociale che investirono le strutture economico-sociali e le istituzioni politiche del Tardo Impero romano, fino a provocarne la caduta; tuttavia, secondo alcuni studiosi, ciò non spiegherebbe perché l'Impero romano d'Oriente, pur avendo gli stessi problemi interni di quello d'Occidente (fiscalismo opprimente, cristianesimo, dispotismo), sia riuscito a sopravvivere fino al XV secolo.[45] Altri studiosi ancora (come Peter Brown) hanno, invece, negato il declino ed il crollo dell'Impero, affermando che più che una caduta era avvenuta una grande trasformazione, iniziata con le invasioni barbariche e proseguita dopo la conclusione formale dell'Impero d'Occidente con i regni romano-barbarici. Brown ha sostenuto che tale trasformazione sarebbe avvenuta senza rotture brusche, in un clima di sostanziale continuità. Tale tesi è sostenuta attualmente da numerosi storici, tra cui Walter Goffart.Esterne[modifica | modifica wikitesto]
Invasioni barbariche[modifica | modifica wikitesto]
La fase delle invasioni barbariche che contribuì alla caduta finale dell'Impero romano d'Occidente ebbe inizio nel tardo IV secolo, quando gli spostamenti degli Unni verso l'Europa orientale finirono per spingere altre popolazioni barbariche a invadere i confini dell'Impero per non cadere sotto il giogo unno. La prima avvisaglia della maggiore pericolosità strategica delle invasioni barbariche del V secolo rispetto a quelle dei secoli precedenti si ebbe quando i Goti inflissero una memorabile sconfitta all'esercito romano nella battaglia di Adrianopoli (378), nella quale morì addirittura l'imperatore Valente. Da quel momento in poi i barbari vennero fermati sempre più difficilmente, fino a dilagare del tutto nella parte occidentale dell'Impero nel V secolo.Le invasioni barbariche, quindi, furono sicuramente la principale causa esterna della caduta dell'Impero. Per lo storico francese André Piganiol (L'Empire Chrétien, 1947) esse furono, anzi, la causa esclusiva della rovina dell'Impero romano d'Occidente. Per lo storico italiano Santo Mazzarino (Fine del mondo antico, Rizzoli, 1988), invece, esse diedero solo la spallata finale a una struttura politica, economica e sociale ormai profondamente logora come quella della pars occidentalis. Infatti le province orientali dell'Impero, che per prime subirono l'urto dei barbari (i Visigoti alla fine del IV secolo dilagarono in Grecia e nei Balcani), non si disgregarono sotto quelle invasioni, ma furono capaci di respingerle ed inglobarle, per poi dirottarle verso la sezione occidentale, che invece sotto quell'urto si sfasciò del tutto.
Per Heather i "limiti interni" dello stato romano agevolarono il successo dei Barbari, ma senza le invasioni barbariche (e conseguenti forze centrifughe dovute ai loro stanziamenti) l'Impero non sarebbe mai caduto solamente per le cause interne:
« Ai limiti interni bisogna dunque dare il giusto peso. Tuttavia, chiunque intenda sostenere che abbiano giocato un ruolo primario nel crollo dell'Impero e che i barbari abbiano solo accelerato il processo deve spiegare in che modo l'edificio imperiale abbia potuto collassare senza un massiccio attacco militare dall'esterno... A mio parere, invece di parlare delle presunte "debolezze" interne al sistema romano che lo avrebbero fatalmente predestinato al crollo, almeno per quanto riguarda la sua metà occidentale, ha più senso parlare dei "limiti" - militari, economici e politici - che gli impedirono di affrontare la particolarissima crisi del V secolo. Limiti interni che indubbiamente dovevano esserci, se l'Impero si dissolse; ma che per di sé non erano sufficienti. Senza i barbari, non ci sono prove del fatto che nel V secolo l'Impero avrebbe comunque cessato di esistere. » |
(Heather, La caduta dell'Impero romano, pp. 538-540.) |
Interne[modifica | modifica wikitesto]
Divisione dell'Impero, guerre civili ed imbarbarimento dell'esercito[modifica | modifica wikitesto]
Secondo diversi storici l'estensione spropositata dell'Impero lo rese ingovernabile dal centro e la conseguente divisione in una pars occidentalis e una pars orientalis non fece altro che accelerarne la rovina, favorendo i barbari invasori. Lo storico inglese illuminista Gibbon sostenne che a causare il definitivo crollo dell'Impero furono i figli e i nipoti di Teodosio: con la loro debolezza, essi abbandonarono il governo agli eunuchi, la Chiesa ai vescovi e l'Impero ai barbari.Ma più che la divisione in sé, che finì per rovinare solo la parte occidentale, furono piuttosto i conflitti interni, le continue usurpazioni e lo strapotere politico dell'esercito, che dal III secolo in poi eleggeva e deponeva gli imperatori a proprio piacimento, a minare profondamente la stabilità interna dell'Impero. L'Impero romano d'Occidente, meno coeso socialmente e culturalmente, meno ricco economicamente, meno centralizzato e peggio organizzato politicamente dell'Impero romano d'Oriente, finì alla lunga per pagare questa instabilità di fondo. Fu quindi la mancanza di disciplina dell'esercito, più accentuata nella parte occidentale che in quella orientale, dove il potere centrale era più forte, a risultare una delle cause principali della rovina dell'impero.
La mancanza di disciplina, ovviamente, dipese anche dall'imbarbarimento dell'esercito, divenuto col tempo sempre meno romanizzato e sempre più costituito da soldati di provenienza germanica (anche per riempire i vuoti dovuti al calo demografico e alla resistenza alle coscrizioni da parte dei cittadini romani), integrati nell'esercito dapprima come mercenari a fianco delle legioni e poi, in forme sempre più massicce, come foederati che conservavano i loro modi nazionali di vivere e di fare la guerra. Il risultato fu un esercito romano nel nome, ma sempre più estraneo alla società che era chiamato a proteggere.
Anarchia endemica nella pars occidentalis[modifica | modifica wikitesto]
Un brillante studioso, Angelo Fusari[46], ha individuato nell'incapacità dell'economia romana di evolvere in un'economia dinamica durante il Principato, nonostante le strutture politiche decentrate e leggere di quel periodo, il difetto che porterà alla decadenza romana. Il ristagno della tecnica, l'assenza di nuovi mercati, la mancanza di una cultura "borghese" impedirono alla classe equestre, attiva nei commerci e nell'industria, di anticipare i tempi di uno sviluppo "capitalistico" dell'economia romana. Tale finestra si chiuse con l'instaurazione del Dominato, che salvò l'Impero dalla disgregazione e dalla crisi economica e politica del III secolo, ma nello stesso tempo si caratterizzerà per il dirigismo economico, la centralizzazione amministrativa e l'irregimentazione sociale. Ebbene, mentre nella pars orientalis il totalitarismo del Dominato venne accolto senza problemi, anche per l'identificazione della Chiesa bizantina con il potere imperiale, la deferenza dell'aristocrazia locale e la millenaria tradizione del dispotismo orientale, nella pars occidentalis l'antica aristocrazia romana e la Chiesa di Roma si misero frequentemente di traverso al potere imperiale, spesso lontano dall'Urbe (sedi imperiali a Milano, Treviri e poi Ravenna) nonostante Roma fosse ancora la città più popolata dell'Impero.Questi fattori politici, che si innestavano su un'economia impoverita dallo spopolamento, dalla fuga dei coloni dalle campagne e dei borghesi dalle città, dei cittadini e dei contadini da un fisco spietato, contribuirono a portare la società romana in Italia e nelle province occidentali a un forte livello di instabilità. Il rigetto dell'autorità centrale si manifestava in una guerra di tutti contro tutti: l'antica aristocrazia romana contro i vertici di un esercito ormai barbarizzato, i proprietari terrieri contro i coloni che tentavano di sottrarsi alla servitù della gleba, i cittadini ed i contadini dal fisco[47]. L'Impero romano d'Occidente viveva quindi una situazione di anarchia endemica, che indebolì la resistenza dell'Impero alla rinnovata pressione dei barbari.
Declino economico-sociale[modifica | modifica wikitesto]
La storiografia del XIX e del XX secolo ha posto l'accento, invece, sulle profonde questioni di tipo economico-sociale che dal III secolo in poi portarono al progressivo declino della produzione agricola, alla crisi dei commerci e delle città, alla degenerazione burocratica ed alle profonde disuguaglianze sociali, facendo perdere ricchezza e coesione interna all'Impero romano, in particolare alla pars occidentalis, fino alla sua caduta finale nel V secolo. Fu la crisi economico-sociale, insomma, che alla lunga finì per indebolire fatalmente la struttura politico-militare dell'Impero romano d'Occidente, che, già dilaniato dalle guerre intestine (vedi sopra) e devastato da frequenti carestie ed epidemie (allo stesso tempo causa e conseguenza della crisi economica e dell'instabilità politica), alla fine non seppe più resistere con successo alle invasioni barbariche provenienti dall'esterno.Secondo gli storici di scuola marxista, come Friedrich Engels, l'Impero romano cadde quando il modo di produzione schiavistico, non più alimentato dalle grandi guerre di conquista, cedette il passo al sistema economico feudale basato sul colonato e quindi sulla signoria fondiaria e sulla servitù della gleba tipiche dell'economia curtense del Medioevo.
L'economista e sociologo Max Weber sottolineò la regressione dall'economia monetaria all'economia naturale, conseguenza della svalutazione monetaria, dell'inflazione galoppante e della crisi dei commerci dovuta anche alla stagnazione produttiva ed alla crescente insicurezza dei traffici.
Per lo storico russo Mikhail Rostovtsev fu la ribellione delle masse contadine (fuga dalle campagne) alle élite cittadine a determinare la perdita della coesione sociale interna.
Per altri storici ancora, infine, fu la degenerazione burocratica, caratterizzata dall'endemica corruzione e dall'eccessivo peso fiscale sui ceti medi, a produrre quella profonda frattura sociale tra una ristretta casta di privilegiati (aristocratici latifondisti e vertici della gerarchia burocratica e militare) che vivevano nel lusso estremo e la grande massa dei contadini e dei proletari urbani costretti alla quotidiana sopravvivenza, che alla fine fece perdere all'Impero la compattezza necessaria per evitare il crollo del V secolo.
Recenti scavi archeologici (ad Antiochia) e rilevamenti aerei, tuttavia, hanno dimostrato, afferma Heather, che l'economia del Tardo Impero subì una netta ripresa nel IV secolo, sia in Occidente che in Oriente (anche se l'Oriente era più prospero).[48] Tuttavia, questa ripresa economica era limitata da un "tetto" piuttosto rigido oltre il quale la produzione non poteva crescere: nella maggior parte delle province i livelli di produzione erano già al massimo per le tecnologie dell'epoca.[49] Le finanze dell'Impero e la connessione tra il centro amministrativo e le varie realtà locali si basavano inoltre sulla protezione, con l'esercito e con le leggi, di una cerchia ristretta di proprietari terrieri, i quali ricambiavano l'Impero pagando le tasse. L'arrivo dei barbari portò a forze centrifughe che separarono le realtà locali dal centro dell'Impero. Quando i barbari occuparono le zone interne all'Impero, i proprietari terrieri - sentendosi indifesi e non potendo lasciare la zona occupata dal nemico perché la loro preminenza si basava sulle loro terre (beni immobili) che quindi non potevano abbandonare - si trovarono costretti ad appoggiare i nuovi padroni, nel tentativo di conservare le proprie terre scongiurando una possibile confisca.[50] Inoltre, i ceti inferiori - oppressi dal fiscalismo tardo-imperiale - appoggiarono gli invasori barbari.
Le invasioni barbariche del V secolo provocarono, conseguentemente, una crisi economica nella parte occidentale dell'Impero. La sottrazione di diversi territori al controllo dell'Impero da parte dei barbari e la momentanea devastazione di quelli solo momentaneamente occupati provocarono un repentino crollo del gettito fiscale (fino a 1/8 della quota normale) - dato che le province colpite dalle invasioni, con i campi devastati, non erano più in grado di versare le tasse ai livelli di prima. Nel 450 l'Impero aveva perso il 50% della sua base imponibile e per la carenza di denaro non poteva più schierare un esercito in grado di opporsi con successo alle spinte centrifughe dei foederati germanici, provocando la caduta finale dell'Impero e la formazione dei regni romano-barbarici.
Separatismo provinciale[modifica | modifica wikitesto]
Un'ipotesi interessante è quella prospettata dallo storico Santo Mazzarino e ripresa dall'economista Giorgio Ruffolo[51]: sotto la superficie apparentemente omogenea della civiltà ellenistico-romana, in realtà emersero progressivamente le antiche nazionalità compresse. Gli effetti di questa spinta si sarebbero manifestati soprattutto nel V secolo in Occidente (in Gallia, in Spagna, in Africa) e soltanto nel VII secolo in Oriente (in Siria ed in Egitto). In questo modo si spiegherebbe la facilità con cui le popolazioni romanizzate si fusero con i conquistatori germanici in Occidente e con i conquistatori arabi in Oriente.Secondo Heather, per sedare le rivolte interne erano in genere sufficienti pochi reggimenti (il Conte Teodosio riuscì a sedare una rivolta in Britannia nel 368 con solo quattro reggimenti), quindi, senza un massiccio attacco esterno, le spinte autonomistiche non avrebbero mai potuto portare al crollo dell'Impero; solo se tutte le province dell'Impero si fossero rivoltate tutte insieme, un crollo di questo tipo sarebbe stato plausibile.[52]
Cristianesimo[modifica | modifica wikitesto]
Il cristianesimo viene considerato da alcuni storici e filosofi (soprattutto gli illuministi del XVIII secolo: Montesquieu, Voltaire, Edward Gibbon) la causa principale della caduta dell'Impero romano d'Occidente. Secondo le loro tesi il Cristianesimo avrebbe reso più deboli militarmente i Romani, in quanto incoraggiando una vita contemplativa e di preghiere e contestando i tradizionali miti e culti pagani, li aveva privati dell'antico spirito combattivo, lasciandoli in balia dei barbari (Voltaire sosteneva che l'Impero aveva ormai più monaci che soldati). Inoltre la diffusione del Cristianesimo aveva scatenato dispute religiose, che alla fine resero l'Impero meno coeso, accelerandone la rovina.Sembra però piuttosto azzardato concludere che una forza che agì nel senso della coesione nell'Impero romano d'Oriente abbia agito nel senso della disgregazione nella parte occidentale. Non bisogna dimenticare però che le ideologie formulate dagli intellettuali riguardo agli imperatori sono diverse da impero orientale a occidentale. L'Oriente fece propria l'ideologia formulata da Eusebio di Cesarea (basileus sacralizzato), l'Occidente invece quella di Ambrogio e Agostino (imperator pius e non divinizzato, sottoposto alla Chiesa del quale è garante). Non è un caso infatti che fu proprio in Occidente che Teodosio fu costretto a piegarsi supplice per ben due volte di fronte al semplice vescovo di Milano, Ambrogio appunto. È vero, ci sono le testimonianze di un'aperta esultanza di cristiani eminenti come Tertulliano o Salviano di Marsiglia, di fronte alle disfatte e alle invasioni. Ma ci sono altrettante testimonianze di dolore ed amarezza, come quella di san Girolamo. O persino le memorie documentate di vescovi che guidarono la resistenza armata ai barbari, sostituendosi alle milizie romane in fuga. Sant'Agostino rivendicava, invece, che la sola e vera patria dei cristiani era quella celeste e che le città degli uomini rovinavano non per colpa dei cristiani, ma per effetto delle nequizie dei loro reggitori. Sembra potersi dire, quindi, che nell'insieme i cristiani non combatterono i barbari (a differenza che in Oriente, dove il Cristianesimo costituì qualche cosa di simile a un movimento nazionale che si opponeva decisamente ai barbari), ma nemmeno sabotarono l'Impero[53].
Il ruolo del cristianesimo nell'aver partecipato - non determinato - al collasso dell'impero d'Occidente, dovrebbe essere oggi rivalutato, ponendo particolare attenzione: 1) alla disgregazione economica-sociale accelerata da donne e uomini di alto lignaggio (Priscilliano, le due Melanie, Paola...) che, abbandonando il secolo, vendettero intere proprietà; 2) ai contrasti tra funzionari imperiali e vescovi (ad esempio Oreste e Cirillo), e anche tra imperatori e vescovi (Giustina e Ambrogio); 3) agli ideali evangelici che spinsero gli uomini a fuggire il secolo (monaci), che spinsero le donne alla verginità, e quindi al calo della natalità, e a considerare il mondo un pellegrinaggio temporaneo (Agostino) e quindi, sostanzialmente, privo di importanza. Un ottimo campo di indagine per capire la forza corrosiva del cristianesimo è quello delle leggi di Maggiorano (una delle più famose proibì alle donne di farsi monache prima dei 40 anni, poiché, e l'imperatore lo aveva ben capito, questo stava causando una diminuzione delle nascite, in un momento in cui Roma aveva bisogno di tutte le spade possibili).
Decadenza del Mos maiorum e dispotismo[modifica | modifica wikitesto]
Anche la corruzione e l'abbandono degli antichi costumi repubblicani, che avevano reso grande Roma, oltre al dispotismo degli imperatori, ebbero un notevole influsso, secondo alcuni storici, sul declino e la caduta finale di Roma. Secondo Montesquieu ed altri storici, a causa dell'influenza dei molli e corrotti costumi orientali, la società romana finì per abbandonare le tradizionali virtù repubblicane che avevano contribuito all'espansionismo e alla solidità dell'Impero. Le prime avvisaglie della decadenza, quindi, si sarebbero avute già nel I secolo d.C., con la tirannia di imperatori come Nerone, Caligola, Commodo e Domiziano. Una visione che la storiografia romana di ideologia repubblicana, vicina al Senato o tradizionalista (Publio Cornelio Tacito, Cassio Dione Cocceiano, Ammiano Marcellino), aveva interesse a diffondere. Tuttavia, anche in questo caso non si spiega perché il dispotico e greco-orientale Impero bizantino riuscì a resistere benissimo alle invasioni barbariche, a differenza dell'Impero d'Occidente.[45]Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]
Regni romano-barbarici[modifica | modifica wikitesto]
Il periodo successivo alla deposizione dell'ultimo imperatore Romolo Augusto e alla fine dell'Impero romano d'Occidente del 476 d.C. vide lo stabilizzarsi di nuovi regni (detti regni latino-germanici o romano-barbarici), che si erano andati formando nelle ex province romane a partire dalle invasioni del V secolo e che, inizialmente, erano stati formalmente dipendenti dall'Impero.Il regno fu l'unica istituzione politica nuova elaborata dagli invasori, anche se ci furono importanti differenze all'interno dei popoli germanici. Schematizzando si può dire che il regno barbarico non conobbe la separazione dei poteri, concentrati tutti nelle mani del re che li aveva acquisiti per diritto di conquista, al punto che la cosa pubblica tendeva a confondersi con la sua proprietà personale e la stessa nozione di regno con la persona di chi esercitava il potere politico e assicurava la protezione militare dei sudditi, dai quali esigeva in cambio fedeltà. La monarchia dei popoli barbarici non fu territoriale bensì nazionale, ossia rappresentò chi era nato nella stessa tribù.
Nonostante il ruolo distruttivo che spesso i popoli invasori svolsero nelle terre invase, quasi tutti i nuovi regni furono a loro volta estremamente vulnerabili e in qualche caso anche molto piccoli. Alcuni, come quelli dei Burgundi nel bacino del Rodano o dei Suebi (Svevi) nella parte nord-occidentale della penisola iberica, vennero assimilati dai vicini; altri, come quelli dei Vandali o degli Ostrogoti, crollarono sotto l'offensiva di Bisanzio, che tentò di ricostruire l'unità dell'Impero. Quelli dei Visigoti in Spagna e dei Franchi nelle ex province galliche invece sopravvissero, sia per la rapida integrazione tra la popolazione residente e gli invasori, sia per la collaborazione con la Chiesa e con esponenti del mondo intellettuale latino.
Rovina dell'Italia[modifica | modifica wikitesto]
Negli anni successivi, l'imperatore d'Oriente Zenone inviò in Italia, per liberarsi della sua scomoda presenza, proprio come si era fatto con Alarico, Teodorico, re degli Ostrogoti, perché soppiantasse l'usurpatore Odoacre e reggesse la penisola per conto dell'Impero bizantino. Anche in Italia, quindi, si formò un regno romano-barbarico come in Gallia, in Spagna e in Africa. Teodorico mostrò di volere e sembrò capace di realizzare la fusione tra la minoranza germanica con la maggioranza italica: riunì tutta l'Italia e anche le isole sotto la propria sovranità, acquistò rispetto e prestigio internazionali, cercò e in parte ottenne la cooperazione da parte dell'aristocrazia, mantenendo la struttura dell'amministrazione romana; inoltre, pur essendo ariano, strinse rapporti rispettosi con la Chiesa di Roma.A Bisanzio, però, dopo Zenone salì un imperatore, Giustiniano I, che si era prefisso come scopo supremo la riunificazione dell'antico Impero romano. Dopo avere incentivato la vecchia aristocrazia romana a non collaborare con Teodorico, gli eserciti bizantini invasero direttamente l'Italia. La "riconquista" imperiale dell'Italia, dopo una lunga guerra durata quasi vent'anni, rappresentò la rovina della penisola: le sue ricchezze e le sue città vennero devastate, la popolazione fu massacrata.
Il calo demografico toccò il suo apice proprio dopo la guerra gotica. I lunghi secoli di guerre, carestie e pestilenze avevano provocato il dimezzamento della popolazione italiana: dagli 8-10 milioni di abitanti dell'età augustea, dopo la guerra gotica l'Italia aveva non più di 4-5 milioni di abitanti[54].
La città di Roma, che aveva ancora tra i 600 000 ed il milione di abitanti nel IV secolo, era drammaticamente scesa a 100 000 abitanti all'inizio del regno di Teodorico, il quale, tutto preso dalla missione di restaurare le glorie romane, aveva disposto una serie di grandi opere nell'Urbe: mura, granai, acquedotti e lo stesso palazzo imperiale, abbandonato, sul Palatino. Il sogno di Teodorico, però, venne vanificato appunto dalla guerra gotica, durante la quale Roma venne assediata tre volte e due volte conquistata dagli eserciti avversari. Negli anni intorno al 540, dopo la riconquista di Totila, la città fu praticamente abbandonata e avviata alla desolazione: molti dei suoi dintorni si erano trasformati in paludi insalubri, la popolazione ormai non raggiungeva più di 20 000 abitanti, addensati per lo più attorno alla basilica di San Pietro. Una fine ingloriosa per la caput mundi che aveva dominato su molta parte del mondo conosciuto.
Con la vittoria bizantina nella guerra gotica l'Italia non ebbe, comunque, l'auspicata stabilità né venne riformato l'Impero romano d'Occidente: la penisola venne infatti invasa nel 568 da una nuova popolazione germanica, i Longobardi, che determinerà una profonda spaccatura storica del paese, diviso in aree sotto il dominio longobardo e territori ancora in mano bizantina. Si giunse così ad un'epoca in cui rimase in piedi il solo Impero romano d'Oriente, da allora definito dalla storiografia moderna come Impero bizantino più che come Impero romano d'Oriente.
Lotta per l'eredità[modifica | modifica wikitesto]
Tentativi bizantini di ricostituzione dell'Impero d'Occidente[modifica | modifica wikitesto]
Nel 527 venne incoronato Imperatore d'Oriente Giustiniano I. Egli riuscì a riconquistare nel corso del suo lungo regno gran parte dell'Impero d'Occidente, Roma compresa: tolse l'Italia agli Ostrogoti, l'Africa settentrionale ai Vandali e la Spagna meridionale ai Visigoti. Il mar Mediterraneo tornava a essere così il mare nostrum dei Romani. Ma solo per poco: le conquiste di Giustiniano si rivelarono infatti effimere, a causa della comparsa di nuovi nemici (Longobardi, Avari, Arabi, Bulgari). L'Impero romano d'Occidente, comunque, rischiò di rinascere nel corso del VI secolo. Infatti gli imperatori d'Oriente Tiberio II, prima, e Maurizio, poi, ebbero il progetto di dividere l'Impero in due parti: una occidentale, con Roma capitale, e una parte orientale, con Costantinopoli capitale. Tiberio II ci ripensò e nominò unico successore il generale Maurizio. Lo stesso Maurizio, che aveva espresso nel suo testamento l'intenzione di lasciare in eredità la parte occidentale al figlio Tiberio, mentre la parte orientale sarebbe andata al primogenito Teodosio, venne ucciso insieme alla sua famiglia da una ribellione.[55]L'impero romano d'Occidente rinacque de facto per un anno il 22 dicembre del 619, quando l'esarca eunuco di Ravenna, Eleuterio, si fece incoronare dalle sue truppe imperatore d'Occidente con il nome di Ismailius.[56]. Su consiglio dell'arcivescovo ravennate, Eleuterio decise di marciare su Roma per legittimare il proprio potere con la tradizionale ratifica da parte del senato. Questa sua idea di marciare su Roma, secondo lo storico Bertolini, «rivelava la consapevolezza di ciò che sempre rappresentava Roma, prima sede e culla dell'impero, come perenne custode dell'antica tradizione imperiale. Provava inoltre che a Roma esisteva sempre un senato e che ad esso si attribuiva ancora la prerogativa di essere il depositario del potere sovrano in concorrenza con gl'imperatori, e la capacità giuridica di convalidare la proclamazione di un nuovo imperatore. Al senato di Roma, infatti, e non al papa, ebbero certo la mente così l'arcivescovo di Ravenna come l'esarca ribelle.»[57] Tuttavia, giunto a Castrum Luceoli (presso l'odierna Cantiano), Eleuterio venne ucciso dai suoi soldati.
Franchi, Ottomani e Russi[modifica | modifica wikitesto]
Oltre all'Impero bizantino, unico e legittimo successore dell'Impero romano dopo la caduta della sua parte occidentale, altre tre entità statuali ne rivendicarono l'eredità. La prima fu l'Impero carolingio, che mirava esplicitamente a un grande progetto di ricostituzione dell'Impero in Occidente: simbolo di questa aspirazione fu il giorno di Natale dell'800 l'incoronazione a "Imperatore dei Romani" da parte del papa Leone III del re dei Franchi Carlo Magno. La seconda fu l'Impero ottomano: quando gli Ottomani, che basarono il loro stato sul modello bizantino, conquistarono Costantinopoli nel 1453, Maometto II stabilì nella città la propria capitale e si proclamò Imperatore romano. Maometto II compì anche un tentativo di impossessarsi dell'Italia in modo da "riunificare l'impero", ma gli eserciti papali e napoletani fermarono l'avanzata turca verso Roma a Otranto nel 1480. Il terzo a proclamarsi erede dell'Impero dei Cesari fu l'Impero russo, che nel XVI secolo ribattezzò Mosca, centro del potere zarista, la "Terza Roma" (essendo Costantinopoli considerata la seconda).Escludendo questi tre ultimi Stati, che sostennero di essere successori dell'Impero, e dando per vera la data tradizionale della fondazione di Roma, lo Stato romano durò dal 753 a.C. al 1461, anno in cui cadde l'Impero di Trebisonda (ultimo frammento dell'Impero bizantino sfuggito alla conquista Ottomana nel 1453), per un totale di 2.214 anni.
Sacro Romano Impero[modifica | modifica wikitesto]
Nel natale dell'800 l'imperatore dei Franchi Carlo Magno venne incoronato "Imperatore dei Romani" dal Papa Leone III. In seguito Ottone I di Sassonia, nel X secolo, trasformò una parte del vecchio impero carolingio nel Sacro Romano Impero. I Sacri Romani Imperatori si consideravano, come i bizantini, i successori dell'Impero romano, grazie all'incoronazione papale, anche se da un punto di vista strettamente giuridico l'incoronazione non aveva basi nel diritto di allora. I bizantini erano, però, governati allora dall'Imperatrice Irene, illegittima agli occhi degli occidentali[58]. Inoltre Bisanzio non aveva alcun mezzo militare, né un reale interesse, per far valere le proprie ragioni.Il Sacro Romano Impero conobbe il suo periodo di massimo splendore nell'XI secolo quando insieme al Papato era una delle due grandi potenze della società medioevale. Già sotto Federico Barbarossa e le vittorie dei Comuni l'Impero iniziò a declinare, perdendo il reale controllo del territorio, soprattutto in Italia, in favore delle varie autonomie locali. Comuni, signori e principati comunque continuarono a vedere l'Impero come un sacro ente sovrannazionale dal quale trarre legittimità formale del proprio potere, come testimoniano i numerosi diplomi imperiali concessi a caro prezzo. Nella sostanza, però, l'Imperatore non aveva alcun'autorità e la sua carica, se non ricoperta da individui di particolare forza e determinazione, era puramente simbolica.
Nel 1648 con la Pace di Vestfalia i principi feudali divennero praticamente indipendenti dall'Imperatore e il Sacro Romano Impero si ridusse a una semplice confederazione di Stati solo formalmente uniti, ma de facto indipendenti. Esso continuò comunque a esistere formalmente fino al 1806, quando l'imperatore francese Napoleone Bonaparte obbligò l'Imperatore Francesco II a sciogliere il Sacro Romano Impero e a diventare imperatore d'Austria.
Voltaire si prese gioco del Sacro Romano Impero con la celebre affermazione secondo cui non era «né sacro, né romano, né un impero».
Note[modifica | modifica wikitesto]
- ^ Goldsworthy, In the Name of Rome, p. 361
- ^ Matyszak, The Enemies of Rome, p. 231
- ^ Matyszak, The Enemies of Rome, p. 285
- ^ Celebre la sentenza finale dello storico Santo Mazzarino: certo, sono stati i barbari a travolgere l'Impero romano, ma «solo le strutture cigolanti cadono sotto l'urto che le colpisce con violenza» (Santo Mazzarino, Fine del mondo antico, Rizzoli, 1988)
- ^ Heather, pp. 414-415.
- ^ Giordane, 147
- ^ a b Procopio, Storia delle guerre di Giustiniano, III.1.2
- ^ Gibbon, The Decline and Fall of the Roman Empire, p. 551
- ^ Matyszak, The Enemies of Rome, p. 260
- ^ Gibbon, The Decline and Fall of the Roman Empire, p. 563
- ^ Giordane, 154
- ^ Gibbon, The Decline and Fall of the Roman Empire, p. 565
- ^ Matyszak, The Enemies of Rome, p. 263
- ^ Grant, The History of Rome, p. 324
- ^ Grant, The History of Rome, p. 327
- ^ Matyszak, The Enemies of Rome, p. 267
- ^ Gibbon, The Decline and Fall of the Roman Empire, p. 589
- ^ Giordane, 156
- ^ Gibbon, The Decline and Fall of the Roman Empire, p. 587
- ^ Wood, In Search of the First Civilizations, p. 177
- ^ Gibbon, The Decline and Fall of the Roman Empire, p. 560
- ^ Churchill, A History of the English-Speaking Peoples, p. 16
- ^ Churchill, A History of the English-Speaking Peoples, p. 17
- ^ Santosuosso, Storming the Heavens, p. 187
- ^ Heather, p. 415.
- ^ Gibbon, The Decline and Fall of the Roman Empire, p. 618
- ^ Procopio, Storia delle guerre di Giustiniano, III.1.4
- ^ Giordane, 207
- ^ Matyszak, The Enemies of Rome, p. 276
- ^ Gibbon, The Decline and Fall of the Roman Empire, p. 489
- ^ Giordane, 197
- ^ a b Giordane, 222
- ^ Gibbon, The Decline and Fall of the Roman Empire, ch. 35
- ^ Heather, p. 416.
- ^ Heather, p. 420.
- ^ a b Heather, pp. 458-459.
- ^ Heather, p. 471.
- ^ Procopio suggerisce che Genserico accompagnò la propria richiesta di tregua con una offerta in denaro.
- ^ Heather, pp. 488-489.
- ^ Heather, p. 495.
- ^ a b Gibbon, cap. 36
- ^ Muratori, VII, p. 285
- ^ a b Muratori, VII, p. 286
- ^ Cfr. ad esempio Heather 2005, pp. 537-540.
- ^ a b Heather 2005, p. 532.
- ^ Angelo Fusari, L'avventura umana, Seam, 2000
- ^ Ruffolo cita la secessione dei contadini della Pannonia, che per sottrarsi alla rapacità del fisco uscirono dai confini dell'Impero attraverso il Danubio per aggregarsi ai barbari (Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, p. 165)
- ^ Heather 2005, p. 533.
- ^ Heather 2005, p. 537.
- ^ Heather 2005, p. 538.
- ^ Santo Mazzarino, Fine del mondo antico, Rizzoli, 1988 e Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004
- ^ Heather 2005, p. 539.
- ^ Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, p. 161
- ^ Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, p. 174.
- ^ Treadgold, History of the Byzantine State and Society, pag. 226-227; Smith, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, pag. 978
- ^ http://www.porphyra.it/Porphyra12.pdf
- ^ Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio…, p. 302
- ^ Irene per impossessarsi del potere e regnare da sola aveva ucciso il figlio Costantino. Questo è il motivo per cui Irene era illegittima agli occhi degli occidentali.
Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]
- Arnaldo Momigliano, La caduta senza rumore di un impero, in Sesto contributo alla storia degli studi classici, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1980, pp. 159–165.
- Ramsay MacMullen, La corruzione e il declino di Roma, Collana Biblioteca Storica, Bologna, Il Mulino, 1991, ISBN 978-88-15-03265-2.
- Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Torino, Einaudi, 2004. ISBN 88-06-16804-5.
- Peter Heather, La caduta dell'impero romano : una nuova storia, Milano, Garzanti, 2006. ISBN 88-11-69402-7.
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