Il “paragio”.
Tra tutti primeggiavano gli obblighi di “paragio”.
Il “paragio” fu un pernicioso istituto feudale siciliano in base al quale il feudatario era obbligato a dotare figlie, sorelle, zie, e nipoti femmine (ma per queste ultime solo nel caso che il genitore non vi potesse provvedere per indisponibilità economica) in misura adeguata al loro rango.
Simpatico o meno che sia il sanguigno Giovanni del Carretto di fine ’500, è certo che sul poveraccio cadde addosso una caterva di sorelle fameliche di ‘paragio’, due fratelli che non scherzavano in fatto di pretese economiche, una figlia ‘spuria’ da dotare bene per farla sposare dal nobile Russo - forse un parente della prima moglie -, un figlio infelice avuto tardivamente da una discendente della arrogante e burbanzosa famiglia Tagliavia-Aragona della vicina Favara.
E per di più le disgrazie giudiziarie: soldi per i crimini del fratello Giuseppe (‘multa di mille fiorini’) e per quelli suoi propri (condanna ad onze mille, da pagarsi alla moglie del defunto, ed onze duecento al fisco).
Sbuca poi un Vincenzo del Carretto che le carte della curia agrigentina danno come arciprete di Racalmuto al tempo di Girolamo del Carretto nel primo trentennio del ‘600.
Risulta da vari documenti [14] un fratello dell’infelice conte di Racalmuto, quello ‘ucciso dal servo’ nel 1622.
Se è così, fu un altro figlio di Giovanni del Carretto (e nel caso un figlio illegittimo) da dotare se non altro per costituire il debito ‘patrimonio’ voluto dal Concilio di Trento per gli ecclesiastici.
I ‘paragi’ delle sorelle e dei fratelli buttano il germe di un tracollo finanziario dei del Carretto che avrà il suo patetico epilogo nel ‘700 (assisteremo persino ad acrimonie giudiziarie tra padre e figlio e cioè tra l’ultimo Girolamo del Carretto e suo figlio Giuseppe - chiamato così anche se il nonno si chiamava Giovanni, e forse per la perdurante vergogna della esecuzione di quel Carretto per alto tradimento nel 1650).
Racalmuto - questo feudo dei del Carretto - ne subì i danni? Tutto lo fa pensare.
Donna Aldonza del Carretto
Un saggio della pretenziosità delle sorelle di Giovanni del Carretto ce lo fornisce la terribile virago Donna Aldonza del Carretto - sì, proprio quella che dota il convento di S. Chiara a Racalmuto - la quale pure sul letto di morte non resiste nel suo testamento dal dare sfogo al suo astio verso il fratello primogenito.
Lo esclude, innanzi tutto, dal nutrito numero dei suoi eredi universali, [15] che invece limita alle sorelle donna Diana, donna Ippolita, donna Giovanna, donna Eumilia e donna Margherita del Carretto «...eius sorores pro equali portione, salvis tamen legatis, fidei commissis, dispositionibus praedictis et infrascriptis».
Dopo aver fatto alcuni lasciti per la sua anima ed aver dato le disposizioni per l’erezione del convento di Santa Chiara, si ricorda del non amato fratello maggiore Giovanni in questi termini:
«..et perché a detta D. Aldonza ci competiscono li doti di paraggio sopra lo stato di Racalmuto et beni di detto quondam suo Padre una con li frutti di essi doti, pertanto essa D. Aldonza testatrici declara volere detti doti di paraggio una con li detti frutti di essi et volersi letari di quelli, in virtù di tutti e qualsivoglia leggi et altri ragioni in suo favore dittarsi et disponersi, non obstante si potesse pretendere in contrario, in virtù di qualsivoglia testamento et dispositione, delle quali leggi in suo favore disponenti, essa voli et intendi servirsi et usari in juditiarij et extra, sempre in suo favore, conforme alle leggi et ragione di essa testatrice tiene, le quali doti di paraggio, una con li frutti di quelle, siano et s’intendano instituti heredi universali per equale porzione atteso che di li frutti detti doti ni lassao et lassa à D. Gio: lo Carretto conte di Racalmuto suo frate onze duecento una volta tantum pro bono amore et pro omni et quocumque jure eidem Don Joanni quemlibet competenti et competituro et non aliter.
«Item dicta testatrice vole et comanda che della liti la quale have fatto di conseguitare la sua legittima che non ni possa consequire più di onze 600, oltra di quelli li quali essa D. Aldonza testatrici si ritrova havere havuto; li quali onze 600 essa testatrice lassao et lassa à d. Gio: Battista et D. Eumilia del Carretto soi soro oltre della loro portione [parte corrosa, n.d.r.] [di cui alla] presente heredità modo quo supra fatta et hoc pro bono amore et non aliter..»
Ma non tutte le sorelle erano eguali per la terribile donna Aldonza.
E solo dopo un paio di nipoti che si ricorda di avere un’altra sorella. A questa solo un legato di 200 once così condizionato:
«Item ipsa tetatrix legavit et legat D. Mariae Valguarnera comitissae Asari, eius sorori, uncias ducentas in pecunia semel tantum solvendas per supradictos heredes universales infra terminum annorum quatuor numerandorum a die mensis [mortis] ipsius testatricis et hoc pro bono amore».
Uguale trattamento per il fratello Aleramo:
«Item essa testatrice lassao e lassa à D. Aleramo del Carretto suo fratello, conte di Gagliano, onzi ducento della somma di quelle denari che essa testatrici pagao à Giuseppe Platamone per esso D. Aleramo delli quali detto D. Aleramo è debitori di essa testatrici et hoc pro bono amore et pro omni et quocumque jure eiusdem D. Aleramo competenti et competituro.
«Item essa testatrice declarao et declara che della legittima quale detto Don Aleramo divi pagando onsi secento tutto lo resto di detta legittima essa testatrice la lassao e lassa a detto D. Aleramo pro bono amore».
Nel testamento non troviamo alcunché che ricordi anche il fratello Giuseppe. Forse perché già morto?
Ma non basta. Se ci si addentra nei processi per investitura dei del Carretto, sbuca fuori un’altra sorella: Beatrice del Carretto, [16] morta nel settembre del 1592.
Racalmuto secondo il rivelo del 1593.
I beni ecclesiastici di Racalmuto.
Il singolare vescovo di Agrigento Horozco, con cui già ci siamo imbattuti, ebbe modo d’interessarsi delle finanze ecclesiastiche concernenti Racalmuto nella seconda “Relatio ad limina” della diocesi di Agrigento, datata 1599 (la prima è del 14 settembre, VIII^ ind. 1599[17]). Il vescovo dichiarava di essere affetto dalla sciatica «per la quale gli fù bisogno andare alli bagni » e pertanto non «hà possuto venire personalmente a baciar i piedi di Nostro Signore e visitare li santi Apostoli». Non era più suo fiduciario l’arciprete di Racalmuto don Alessandro Capoccio. Al suo posto aveva prescelto come suo mandatario per la visita tridentina al Papa Giovanni Chimia. Lo stato di infermità del vescovo veniva certificato da un appartenente all’odiata famiglia dei del Carretto, appunto da quel don Cesare del Carretto, preso di mira dall’Horozco nel libello prima cennato. Non si poteva evitare: il 17 di agosto 1598 il potente (e prepotente) don Cesare era “juratus civitatis Agrigenti” [cfr. Relatio cit. f.15].
Dalla documentazione vaticana risulta che la “Ecclesia Cathedralis Agrigentina” era in grado di “ingabellare” 9.500 onze di rendita diocesana. In via diretta o indiretta, Racalmuto è così chiamato in causa:
al 15° posto risulta censita la “prebenda di Racalmuto che vale di Mensa onze 130”;
tra i “Beneficij semplici de Mensa”, al n.° 3 viene rubricata “la prebenda Teologale [che] si dà al Teologo quale eligino il Vescovo ed il Capitulo: è titulo di Sta Agata [che sappiamo di Racalmuto, come sappiamo che talora il vescovo la utilizzava non per remunerare teologi ma il fratello di un letterato, per come abbiamo sopra visto, n.d.r]: [vale] onze 100;
l’arcipretura di Racalmuto è segnata al n° 12 e “vale de mensa onze 250”.
Tirando le somme, i racalmutesi a fine secolo XV erano chiamati per decime religiose e tasse episcopali a qualcosa come onze 480, senza naturalmente includervi tutti gli oneri di battesimo, matrimonio morte e simili, da conteggiare a parte. Era un gravame misurabile in tarì 3 e 5 grana annui pro-capite.
Ma, allora - come del resto anche oggi - le pubbliche autorità, civili e religiose, non amavano riscuotere direttamente le loro tasse: le davano in appalto (in gabella, recita il documento) e gli aggi esattoriali Dio solo sa a quanto ascendessero. Pensare ad un 25% d’aggravio è forse da ottimisti.
ARCIPRETI E SACERDOTI NELLA SECONDA META’ DEL CINQUECENTO
Don Aloysio (Lisi) Provenzano
Questo sacerdote traspare dai registri di battesimo e di matrimonio della Matrice. Il suo ministero sembra discontinuo. Nel biennio 1575-1576 dovette avere funzioni di cappellano ed il suo nome si alterna con quello di don Vincenzo d’Averna negli atti di battesimo. Ancora nel 1581 è uno degli officianti della Matrice ed il 19 settembre 1581 battezza Paolino d’Asaro, fratello del pittore e futuro sacerdote racalmutese.
In tale veste compare sino al 1584, dopo subentrano altri cappellani come don Paolino Paladino e don Francesco Nicastro. Don Lisi Provenzano riappare successivamente nei documenti della Matrice, ma come teste nella celebrazione di matrimoni (ad es. il 28 settembre 1586) o come semplice padrino in battesimi (come quello di Francesco Castellana del 3.10.1587 ).
La sua presenza a Racalmuto è attestata sino al 1593 come dal seguente atto di matrimonio, da cui però risulta che il Provenzano non è più cappellano della Matrice.
La figura di d. Lisi Provinzano emerge invero da un documento dell’Archivio Vescovile di Agrigento che risale al 31 ottobre 1556. Se ne ricavano alcuni tratti biografici. Ma soprattutto è la vita paesana a metà del XVI secolo che traspare. Val quindi la pena di riportarne alcuni brani.
Siamo stati supplicati da parte del Rev. presti Aloysio Crapanzano (ma trattasi di Provenzano) ... del tenor seguente: .. da parte del rev. presti Aloisio Provenzano della terra di Racalmuto, subdito della giusridizione di V.S. ... In tempi passati venendo a morte lo condam ... di Salvo della ditta terra, fece il suo testamento agli atti dell’egregio condam notaro Vito Jandardoni et per quello inter alia capitula legao all’esponente pro Deo et eius anima et in satisfatione de suoi peccati tarì dudici anno quolibet sopra tutti li soi beni hereditari durante la vita di esso esponente per una missa da dovirisi diri in die lunae cuiusvis hebdomadis .. in ecclesia Sancti Francisci dictae terrae per ipse esponente. Et mancando, che tali tarì dudici li havissero li frati di ditto convento durante la vita di esso esponente, si como per ditto legato appare in ditto testamento fatto ni li atti de ditto notaro Vito 21 novembre iiij ind. 1545. Et perché lo esponente si trovao absenti da ditta terra alla morte del ditto testatore, che havea stato in Palermo et ad altri parti per soi negotij et non habbi mai notitia di tale legato et li frati di ditto convento quello si exigero con diri che ipsi voleano dire tali missa.
Appena saputa la faccenda del legato, il sacerdote si dichiara disponibile alla celebrazione della messa per l’anima del di Salvo. Ma i frati sono riluttanti e non consentono al Provenzano di celebrare quella messa nella chiesa del loro convento. Quindi il sacerdote si trova nell’impossibilità di adempiere all’obbligo nelle modalità volute dal testatore. Egli non può celebrare
ditta missa per la repugnantia di ditti frati in la loro ecclesia; pertanto supplica V.S. sia servita provvedere et comandare che ipso exponente possa satisfare la volontà di ditto defunto in diri la missa ogni lune cuiusvis hebdomadis in alcuna altra ecclesia in ditta terra di Racalmuto ben vista a V.S. Rev.da et comandare alli heredi di ditto defunto che di ditti tarì dudici anno quolibet staiono de rispondere et quelli dari allo esponente con la conditione ordinata e fatta per lo defunto che quando mancasse per sua colpa e defetto recada al ditto convento di santo Francesco. Et ita petit et supplicat. ..
Il vicario generale dell’epoca don Rainaldo dei Rainallis dà quindi disposizioni al vicario del luogo perché faccia un’inchiesta e ragguagli il vescovado.
Quel che emerge con chiarezza è dunque la vita piuttosto girovaga di questo nostro prete del Cinquecento che per affari si reca a Palermo ed in altre località ed è tanto affaccendato da non sapere neppure di un legato in suo favore. Non meraviglia certo che il di Salvo s’induca a lasciare a favore di questo sacerdote, durante vita, un legato di dodici tarì per una messa la settimana, il giorno di Lunedì, da celebrarsi nella chiesa di S. Francesco. Le disposizioni testamentarie pro Deo et anima in remissione dei propri peccati investivano i vari strati della popolazione. Non sorprende che i frati siano riluttanti a concedere il permesso di celebrare nella loro chiesa a sacerdoti secolari. Se messe di suffragio sono da dire, possono benissimo essere loro ad adempiere ogni volontà testamentaria al riguardo. Ovviamente percependone le elemosine. A chi abbia dato ragione il Vicario Generale, se ai frati o a d. Lisi Provenzano non sappiamo, ma propendiamo a credere che sia stato quest’ultimo a venire favorito. Non per nulla, qualche anno dopo il sacerdote si stabilisce a Racalmuto e qui svolge funzioni da cappellano.
Il documento è comunque importante perché ci fornisce qualche dato sul convento e sulla chiesa di S. Francesco. L’uno e l’altra erano dunque operanti da prima del 1545. Stanziano a Racalmuto padri francescani che dispongono della chiesa ed erano sottratti alla giurisdizione del vescovo agrigentino. Nella visita pastorale del 1540-43, il vescovo Tagliavia omette ogni riferimento ai francescani. Eppure abbiamo motivo di ritenere che essi fossero già insediati. Nel 1548 il convento possedeva una bottega in piazza e ciò risulta dalla bolla di riconoscimento della confraternita di S. Maria di Juso datata 21 maggio 1548 ( A.C.V.A. - Registro Vescovi 1547-48, p. 142).
Con i padri dell’Ordine dei Minori Conventuali di S. Francesco, ebbe dunque a confliggere don Lisi Provenzano attorno al 1556 per un legato del 1545. Il convento francescano precede quindi di almeno 15 anni il 1560, data ritenuta di fondazione dal Tossiniano. Al 1560 risale, invero, il testamento di Giovanni del Carretto che accenna alla chiesa di S. Francesco ed al convento ma in questi termini:
Del pari lo stesso spettabile Testatore volle e diede mandato al predetto d. Girolamo del Carretto, suo figlio primogenito ed erede particolare, di far celebrare delle messe nel convento di S. Francesco di detta terra. Inoltre dispone che sia costruita una cappella in un luogo da scegliersi in detta chiesa dal suddetto erede particolare ed a tal fine saranno da spendere 100 onze entro due anni dalla morte del testatore. La Cappella è da fabbricarsi per l’anima del predetto testatore e dei suoi predecessori.
Inoltre decide di venire sepolto nella chiesa di S. Francesco con l’abito francescano:
Item elegit eius corpus sepelliri in Ecclesia Sancti Francisci dictae Terrae indutus ordinis ditti Sancti Francisci et ita voluit, et mandavit.
Anche da qui emerge che S. Francesco esisteva da tempo.
Il Sac. Lisi Provenzano visse, dunque, gli anni del suo sacerdozio tra Palermo, altri luoghi e Racalmuto. Ordinato già nel 1545, all’epoca cioè del testamento del di Salvo, nacque a Racalmuto qualche tempo prima del 1520. Morì attorno al 1597.
Nel 1584 fa una donazione alla chiesa di S. Maria Inferiore (di Gesù) di tt. 6 annui, cedendo un censo annuo su una casa una volta appartenuta a Violante Petruzzella:
Actus donationis o. - 6.
Pro ven: Eccl. Sanctae Marie inferioris - cum p.ro Aloisio Provenzano.
Die xxiiij° septembris xiij^ ind. 1584
Reverendus presbiter Aloisius Provenzano de Racalmuto coram nobis mihi notario cognitus pro anima sua titulo donationis et omni alio meliori modo sponte cessit et cedit ven: Eccl. Sanctae Mariae Inferioris dictae terrae per eum Mattheo La Paxuta rettore mihi cognito omnia jura quae et quas habuit et habet in et super tt. 6 census quolibet anno solvendi contra magistrum Joseph Cachiatore super domo olim Violantis Petrocella virtute contractus facti in actis meis die etc.
Testes m.j Joseph Lomia et Jacobus de Poma.
Arciprete Gerlando D’Averna
Con bolla pontificia del 13 novembre 1561 ( Archivio Segreto Vaticano - Registri Vaticano - Bolla n.° 1911 - f. 211 e ss.), Pio IV nomina arciprete di Racalmuto don Gerlando D’Averna (chiamato nel documento Giurlando de Averna). La bolla viene indirizzata al diletto figlio, arciprete e rettore della chiesa di S. Antonio di Racalmuto, diocesi di Agrigento.
Pius episcopus servus servorum Dei. Dilecto filio Giurlando de Averna rectori archipresbitero nuncupato parrochialis ecclesiae archipresbiteratus nuncupatae Sancti Antonij terrae Rachalmuti Agrigentinae diocesis, salutem et apostolicam benedictionem.
E’ del tutto rituale l’apprezzamento che giustifica la concessione papale del lontano beneficio dell’arcipretura racalmutese, ma è pur sempre un riconoscimento di meriti:
Vitae ac morum honestas aliaque laudabilia probitatis et virtutum merita, super quibus apud nos fide digno commendaris testimonio, nos inducunt ut tibi reddamur ad gratiam liberalem.
Ci appare oggi strano come una prebenda così striminzita fosse di concessione pontificia. All’epoca era invece una consuetudine ed il papa mostra di esserne un custode geloso et attento. Ne fa accenno nel corpo della stessa bolla, dichiarando illegittima ogni usurpazione da parte di qualsiasi autorità:
Dudum siquidem omnia beneficia ecclesiastica cum cura et sine cura apud Sedem apostolicam tunc vacantia et in antea vacatura collationi et dispositioni nostrae reservavimus, decernentes ex tunc irritum et inane si secus super hijs a quacumque quavis auctoritate scienter vel ingnoranter contingeret attemptari.
In un siffatto quadro giuridico si colloca, dunque, il beneficio di Racalmuto, un beneficio che, comunque, tal Sallustio - già rettore ed arciprete di Racalmuto - non ha reputato utile mantenere e l’ha restituito nelle mani del Papa.
Et de inde parrochiali ecclesia archipresbiteratus nuncupata Sancti Antonij terrae Rachalmuti Agrigentinae diocesis per liberam resignationem dilecti filij Salustij humilissimi nuper ipsius ecclesiae rectoris archipresbiteri nuncupati, de illa quam tunc obtinebat in manibus nostris sponte factam et per nos admissam apud Sedem predictam vacantem.
L’arcipretura di Racalmuto, cui rinuncia anche il chierico Cesare, viene alla fine assegnata al D’Averna per i suoi meriti:.
Noi, quindi vogliamo concederti una speciale grazia per i tuoi premessi meriti, e assolvendoti da ogni eventuale censura, disponiamo che tu ottenga tutti i singoli benefici ecclesiastici con cura e senza cura (d’anime) e tutto quanto ti compete in qualsiasi modo, comunque e per qualsiasi quantità; ed in particolare gli annessi frutti, redditi e proventi che costituiscono una pensione annua di 24 scudi d’oro italiani secondo la ricognizione fatta dalla Santa Sede quando ebbe ad accordarla al predetto Sallustio, pensione che in ogni caso non supera i sessanta ducati d’oro come tu stesso affermi.
E vogliamo ciò anche se sussiste una qualche riforma insita nel corpo delle leggi visto che la predetta chiesa è riservata alla disponibilità apostolica in forma speciale e generale.
Pertanto ti conferiamo il beneficio con l’autorità apostolica che ci compete, giudicando irrituale ed inefficace ogni altra contraria decisione di qualsiasi autorità che abbia ritenuto di poterne disporre, scientemente o per ignoranza. E ciò vale anche verso chi tenterà in futuro di arrogarsi poteri dispositivi.
Intorno a quanto precede, diamo mandato per iscritto ai venerabili fratelli nostri, i vescovi Amerin/ e Muran/ nonché al diletto Vicario del venerabile fratello nostro, il vescovo di Agrigento, affinché loro due o uno di loro, direttamente o per il tramite di qualcuno introducano Te o un tuo procuratore nel materiale possesso della chiesa parrocchiale e degli annessi diritti e pertinenze e lo facciano per la nostra autorità. Non manchino, altresì, di difenderti, dopo avere rimosso qualsiasi altro detentore, facendoti dare integro il resoconto della chiesa parrocchiale e degli annessi frutti, redditi, proventi e doti. A ciò non osti qualsiasi contraria costituzione di papa Bonifacio Ottavo, di pia memoria, nostro predecessore, né ogni altra decisione apostolica. Del pari, nessuno può richiedere per sé o per il proprio legato un qualche diritto di omaggio o un qualunque beneficio ecclesiastico in base a lettere o in forma speciale o generale, anche nel caso in cui vi sia stato un processo e sia stato emesso decreto riformatore.
Vogliamo che tu comunque entri in possesso di detta chiesa parrocchiale, senza pregiudizio alcuno degli annessi benefici. Se qualcuno dovesse tentare presso il venerabile fratello nostro, il vescovo di Agrigento o presso chiunque altro che sia stato dalla Sede apostolica dotato in comunione o frazionatamente nei beni della chiesa, non gli si accordi costrizione o interdetto o sospensione o scomunica. Resta ribadito che quanto ad omaggi, benefici ecclesiastici, relativa collazione, provvisione, presentazione e qualsivoglia altra disposizione, sia congiuntamente che separatamente, non può provvedersi per lettera apostolica che non faccia piena ed espressa menzione, parola per parola, alla presente, la quale ha forza di annullare qualsiasi altra indulgenza, generale e speciale, di qualsiasi tenore della Sede apostolica.
La complessità della bolla invero illumina poco sulle peculiarità parrocchiali della Matrice del tempo. V’è un rigonfiamento di formule curiali, del tutto sproporzionato alla esiguità dell’affare.
L’arc. D’Averna non pare essere racalmutese. Sembra venire da Agrigento. E’ un po' nepotista. Con lui si sistema a Racalmuto il sac. d. Vincenzo d’Averna che è anche cappellano. Appare un vicario a nome don Giuseppe d’Averna. Fa capolino un chierico: Orlando d’Averna.
Come arciprete, lo riscontriamo con una certa assiduità negli atti di battesimo dal 12.11.1570 sino al 5.7.1571; poi appare sporadicamente. Non abbiamo, però, serie complete di atti di battesimo: il primo quinterno è incerto se si riferisce al 1554 o al 1564. Si salta, poi al 1570-71-72 e quindi al 1575-1576. Quindi il vuoto sino al 1584.
L’arc. Gerlando d’Averna figura ancora il 24 di maggio 1576 in questo atto di battesimo - ed è l’ultima testimonianza di cui disponiamo:
24 5 1576 Joannella figlia di Barbarino Vella (di)e diPalma;
madrina: Juannella di Rotulu;officiante: Don Gerlando di Averna.
Va, quindi, fugato il sospetto che, ricevuto il beneficio dal papa, egli abbia soltanto percepito i proventi della sua arcipretura e per il resto se ne sia stato lontano. La sua arcipretura sembra durare oltre 18 anni: è, infatti, nel 1579 che subentra l’arc. Michele Romano.
Don Vincenzo D’Averna
Ci sembra un parente dell’arciprete d. Gerlando D’Averna, ma non abbiamo prova alcuna ove si eccettui una qualche singolare coincidenza. Sicuramente non era racalmutese. E’ cappellano della matrice a partire dal luglio del 1571. I salti della documentazione parrocchiale ci impediscono di sapere sino a quando operò assiduamente. Comunque, stando agli atti di battesimo disponibili, nel successivo periodo che decorre dal 6.11.1575 sino al 21.5.1576 è il sacerdote officiante in n.° 76 funzioni battesimali. Dopo quella data non lo s’incontra più, ma vanno tenute presenti le interruzioni che si riscontrano per quel periodo nell’archivio della matrice. Don Vincenzo D’Averna non appare nel “liber” della parrocchia: ovviamente già nel 1636 si era perso il ricordo di quel cappellano.
Don Giuseppe D’Averna
Appare per la prima volta in un atto notarile della confraternita di S. Maria Inferiore del 31 agosto 1578:
Terrae Racalmuti Die xxxi° augusti vj ind. 1578. - Notum facimus et testamur quod Reverendus pater Joseph d’Averna cappellanus, Antoninus de Acquista; Jo Grillo et Vincentius Macalusio rectores venerabilis ecclesiae Sanctae Mariae Inferioris ...
Nel 1580 fa da padrino di battesimo a Vincenza Stincuni:
14 2 1580 Vincentia di Gerlando Stincuni e Angela; lo q. don Joseph di Averna la q. Betta la Carretta'.
E’ poi assiduo come cappellano sino alla data della sua morte che il ‘Liber’ segna sotto la data del 26 ottobre del 1600 (Liber in quo adnotata .. cit. col. 1. n.° 13). Una malcerta annotazione sembra indicarlo come Vicario Foraneo, ma è indizio troppo dubbio per essere certi che abbia ricoperto tale importante carica. Comunque è presente nei battesimi dei figli degli ottimati locali come quello di
3 7 1598 Margarita donna di Geronimo don Russo e di donna Elisabetta del Carretto, per don Gioseppe d'Averna; patrini Vinc. Piamontese et soro Gioanna Piamontese
Elisabetta del Carretto era figlia di Giovanni del Carretto, conte di Racalmuto e di donna Caterina de Silvestro. Ella fu legittimata il 12 novembre del 1587.
Giovanni del Carretto, fa sposare la figlia, attorno al 1590, con il nobile Girolamo Russo. Costui figura come governatore del castello di Racalmuto nell’ultimo scorcio del secolo. Un’eco affiora in certo carteggio scambiato tra il vescovo di Agrigento Horozco Covarruvias e la Santa Sede, come si è visto nello stralcio di un documento vaticano sopra richiamato.
Clerico Blasi Averna
Tra il 1579 ed il 1581fa capolino negli atti parrocchiali tal Clerico Blasi Averna. Di lui non fa menzione il “Liber”: era dunque sparito persino dal ricordo nel 1636. Nel rivelo del 1593 figura tal Blasi Averna, ma è un ragazzo di 22 anni che vive con la madre Vincenza nel quartiere di S. Giuliano: non ha dunque nulla a che vedere con il chierico in questione. Costui sposerà nel gennaio del 1601 Agata Mastrosimone, come da seguente trascrizione della Matrice:
7 1 1601 Averna Blasi di Antonino q.am e di Vicenza q.am con Mastro Simuni Gatuzza di Nicolao q.am e di Francesca; testi: Muntiliuni cl. Jac. e Gulpi Antonino: Benedice il sac.Macaluso Jo:
Don Monserrato d’Agrò.
Compare come cappellano della Matrice attorno al 1579, agli esordi dell’arcipretura Romano, e la sua missione sacerdotale, in subordine all’arciprete, dura sino al 1594. Sotto la data del 30 aprile 1595 lo incontriamo negli atti della chiesa di S. Maria di Gesù, di cui è divenuto cappellano. Nel coevo atto di assegnazione di un’onza di reddito da parte dei fratelli Vincenzo e Giacomo d’Agrò per avere in cambio la concessione di sepoltura nella medesima chiesa, don Monserrato d’Agrò fornisce il suo benestare nella cennata veste di cappellano:
Praesente ad haec omnia et singula praesbyter Monserrato de Agrò, mihi etiam notario cognito et stipulante pro dicta ecclesia uti eius cappellano et se contentante de praesente attu et omnibus in eo contractis et declaratis et non aliter.
Ma negli ultimi giorni di agosto dell’anno successivo è già infermo e si accinge a fare testamento. Il suo attaccamento alla chiesa di S. Maria di Gesù è tale da presceglierla quale luogo della sua tumulazione. A tal fine assegna una rendita annua di un’onza e 3 tarì.
In un atto della chiesa del 12 settembre 1596 viene formalizzato il contratto di concessione in termini che sono uno spaccato del vivere civile e religioso dei racalmutesi dell’epoca.
Sappiamo dal rivelo del 1593 che a quel tempo il sacerdote aveva 45 anni. Era nato dunque attorno al 1548. Muore giovane, all’età di 48 anni. Abitava, apparentemente da solo, nel quartiere della Fontana come da questa nota del rivelo del 1593:
3 149 AGRO' (DI) PRESTI MONSERRATO [Sac:] CAPO DI CASA DI ANNI 45
La cappella desiderata da don Monserrato sorse nella chiesa di S. Maria vicino a quella di S. Maria dell’Itria e di fronte all’altra ove era raffigurata l’immagine di S. Francesco di Paola (intus dictam ecclesiam Sanctae Mariae Majoris prope Cappellam Sanctae Mariae Itriae in frontispicio cappellae Imaginis Sancti Francisci de Paula...). Risulta che questa fu dedicata a S. Michele Arcangelo ( nell’atto del 1604 si parla, infatti della dote Cappellae Sancti Michaelis Arcangeli condam presbiteri Monserrati de Agrò).
Per quel che ci dice il Rollo della confraternita di S. Maria di Gesù, don Monserrato aveva almeno quattro nipoti di cui si ricorda nel testamento:
Est sciendum quod inter alia capitula donationis causa mortis facta per condam don Monserrato de Agrò Paulino, Natali, Joseph et Joannelle de Agrò eius nepotibus est infrascriptum capitulum tenoris ....
Il nipote Paolino d’Agrò risulta figlio di quel Simone d’Agrò che approvò la transazione feudale con il conte Girolamo del Carretto nel 1581 (è il 229° dei presenti nella chiesa maggiore di Racalmuto che diedero l’assenso il giorno 15 gennaio 1581). Don Monserrato si limiterà ad apporre la sua firma come teste.
I primi cappellani:
don Vincenzo Colichia;
don Antonino La Matina;
don Dionisi Lombardo;
don Antonio Castagna.
Il più antico quinterno di atti battesimali della Matrice è composto di n.° 26 colonne. In alcune parti è indicata la data del 1554 (ad esempio 24 di augusto 1554 o die Xbris 1554) in altre 1563 (adi 9 januarii 1563) ed in altre ancora 1564 (junii VII ind. 1564). Non è facile districarvisi. A noi comunque sembra che le date sia apocrife, aggiunte successivamente. In effetti il fascicolo dovrebbe essere datato 1563-64, settima indizione anticipata.
Vi vengono segnati i sacerdoti che celebrano il battesimo. Sono costoro i cappellani della Matrice (operante nella chiesa di S. Antonio). Non riscontriamo mai la presenza dell’arciprete (né don Gerlando d’Averna, né quello che si considera il suo predecessore, don Tommaso Sciarrabba (“Arciprete e canonico della cattedrale di Girgenti anno 1553”, annota il Liber citato, c. 1 n.° 2).
I cappellani officianti risultano:
don Vincenzo Colichia;
don Antonino La Matina;
don Dionisi Lombardo;
don Antonio Castagna.
La maggior frequenza si registra per don Vincenzo Colichia e per don Dionisi Lombardo. Entrambi vengono segnati con il titolo di “presti” (prete). Di nessuno di loro si fa il più vago cenno nel “Liber”. Nella successiva documentazione del 1570/71, riappare soltanto il cappellano don Antonino La Matina.
I cappellani del periodo successivo (1570/1571):
Don Vincenzo d’Averna;
Don Jo Cacciatore;
Don Antonino D’Auria;
Don Giuseppe Garambula;
Don Antonino La Matina;
Don Filippo Macina.
E’ il periodo centrale dell’arcipretura di don Gerlando D’Averna che spesso presiede alla funzione battesimale. Su don Vincenzo d’Averna ci siamo già abbondantemente soffermati. Abbiamo pure accennato a don Antonino La Matina, presente negli atti del periodo precedente del 1564 (o giù di lì). Sul D’Auria, Cacciatore e Garambula non disponiamo di altri dati. Fra tutti questi cappellani, il solo ricordato dal Liber è don Filippo Macina (c. 1 n.° 8). Stando ai cognomi, il D’Auria, il La Matina e Jo Cacciatore possono essere stati benissimo indigeni. Il Macina ed il Garambula appaiono oriundi.
I cappellani del periodo 1575/76
Don Vincenzo d’Averna;
don Lisi Provenzano.
I salti della documentazione disponibile ci portano a questa quarta indizione anticipata (1575/76). I battesimi vengono ora suddivisi solo tra il d’Averna ed il Provenzano. Su entrambi ci siamo dilungati in precedenza. Arciprete di Racalmuto è ancora don Gerlando d’Averna
I cappellani del periodo 1579/1582:
Don Michele Abate;
Don Monserrato d’Agrò;
Don Lisi Provenzano;
Don Giuseppe d’Averna.
Nei fascicoli dei battesimi del 1579 appare segnato come arciprete Don Michele Romano, dottore in sacra teologia (S.T.D.). Nel Liber vengono citati Abbate (n.° 24), Monserrato d’Agrò (n.° 7) , Giuseppe d’Averna (n.° 13) e naturalmente l’arc. Romano ( n.° 4). Il Provenzano è segnato come diacono (n.° 18) non si sa se per errore o perché c’era veramente un diacono Luigi Provenzano morto il 20 luglio 1600.
I cappellani del periodo 1583/84:
Don Monserrato d’Agrò;
Don Francesco Nicastro;
Don Paolino Paladino;
Don Lisi Provenzano.
Arciprete del tempo è don Michele Romano che appare in qualche battesimo. Rispetto al precedente periodo appaiono per la prima volta don Francesco Nicastro e don Paolino Paladino: entrambi sono annotati nel Liber, ma senza alcun altro dato all’infuori del nome e cognome.
Don Giuseppe Romano
Annotato nel Liber (c. 1 n.° 17) si riscontra solamente in questa nota a margine del libro parrocchiale delle trascrizioni dei matrimoni 1582-1600:
Die 24 ottobris Xa ind.s 1597, mi detti lu cunto don Leonardo Spalletta delli sponczalicii a mia don Joseppi Romano come procuraturi di mons.r ill.mo.
L’arc. don Michele Romano era morto solo da poco tempo (28 luglio 1597). Che vi sia un qualche vincolo di parentela, è congetturabile.
Arciprete Michele Romano
Ha tutta l’aria di essere il primo arciprete d’origine racalmutese. Insediatosi attorno al 1579, succede a don Gerlando d’Averna. Muore il 28 luglio 1597, prossimo al suo ventennio di arcipretura. Ebbe forse ad acquisire un discreto patrimonio, fatto sta che il vescovo Horozco intenta una lite al conte del Carretto per rivendicare i beni successori del defunto arciprete Romano. Il Vescovo ne fa cenno in una sua difesa inviata al Vaticano, ove fra l’altro si legge:
« [.....]Il detto Conte di Raxhalmuto per respetto che s’ha voluto occupare la spoglia[18] del arciprete morto di detta sua terra facendoci far certi testamenti et atti fittitij, falsi et litigiosi, per levar la detta spoglia toccante à detta Ecclesia, per la qual causa, trovandosi esso Conte debitore di detto condam Arciprete per diverse partite et parti delli vassalli di esso Conte, per occuparseli esso conte, come se l’have occupato, et per non pagare ne lassar quello che si deve per conto di detta spoglia, usao tal termino che per la gran Corte di detto Regno fece destinare un delegato seculare sotto nome di persone sue confidenti per far privare ad esso exponente della possessione di detta spoglia, come in effetto ni lo fece privare, con intento di far mettere in condentione la giurisditione ecclesiastica con lo regitor di detto Regno. »
A distanza di secoli non è facile sapere chi avesse ragione. Di certo, il Romano durante la sua vita non si mostra contrario ai Del Carretto. Sul punto di morte è persino propenso a favorire il conte facendogli - a dire del vescovo - «certi testamenti et atti fittizij, falsi e litigiosi».
L’arciprete Romano deve vedersela con il primo conte di Racalmuto, Girolamo del Carretto - divenuto tale nel 1576 - e, dopo il 9 agosto 1583, con il successore, l’avventuroso Giovanni del Carretto, che finirà trucidato a Palermo il 5 maggio 1608. Entrambi furono però signori di Racalmuto che amarono starsene a Palermo. L’arciprete Romano ebbe a che fare più con gli amministratori comitali, quali Cesare del Carretto e Girolamo Russo, che non con gli altezzosi titolari. E l’intesa sembra essere stata buona, anche quando si trattò di stabilire, nel 1581, oneri e tributi di vassallaggio.
Quando scende a Racalmuto un parente dei del Carretto per battezzare il figlio di un personaggio eccellente, in quel tempo operante nella contea, l’arc. Romano è ovviamente presente:
“Adi 9 marzo VIe Indiz. 1593 Diego figlio del s.or Gioseppi e Caterina di VUO fu batt.o per me don Michele Romano archipr.te - il Compare fu l'Ill'S.or Don Baldassaro del CARRETTO - la Conbare l'Ill'S.ora Donna Maria del Carretto''
In ogni caso, nei raduni del popolo, chiamato ad avallare gravami tributari, l’arciprete si mantiene, almeno formalmente, al di sopra delle parti e non appare neppure come teste.
Arciprete Alessandro Capoccio
Il Vescovo Horozco lo nominò arciprete di Racalmuto nell’estate del 1598. Il Capoccio aveva vari incarichi presso la Curia Vescovile di Agrigento e non aveva tempo di raggiungere la sede dell’arcipretura: mandò due suoi rappresentanti, muniti di formalissimi atti notarili. Presso la Matrice può leggersi questa nota apposta al margine di un atto matrimoniale:
«DIE 16 Julii XIe Indi.nis 1598: ''Pigliao la possessioni don Vito BELLISGUARDI et don Antonino d'AMATO (?) procuratori di don Lexandro Capozza p. l'arcipretato di Racalmuto come appare per atto plubico''.» (cfr. Atti della Matrice: STATO DI FAMIGLIA - M A T R I M O N I - 1582-1600 )
Tre anni prima, don Alexandro Capocho era stato inviato a Roma, al posto del Covarruvias, per presentare la prima relazione 'ad limina' dei Vescovi di Agrigento al Papa[19]. Nell'atto di delega del 12 settembre 1595 "Don Alexandro Cappocio' viene indicato come "Sacrae theologie professor eiusque [del vescovo] Secretarius”.
In Vaticano si conserva il processo concistoriale di quel vescovo (Archivio Vaticano Segreto - Processus Concistorialis - anno 1594 - vol. I - (Agrigento) - ff. 30-62.). La testimonianza del Capoccio è, a dire il vero, schietta e per niente compiacente (f. 36v e 37).
Sintetizzando e traducendo dallo spagnolo ricaviamo questi dati:
«Depone il dottor Don Alexandro Capocho, suddiacono naturale del Regno di Napoli e residente per il momento in questa corte. Egli testimonia che conosce il detto signor Don Juan de Horoczo y Covarruvias di vista e solo da due mesi, poco più poco meno, e di non essere né familiare né parente dell’ Horozco».
Salta quindi ben dodici domande che attenevano alle origini ed alla vita del futuro vescovo. La sua testimonianza è quindi molto minuziosa sulla Cattedrale di Agrigento (circostanza che non ci pare qui conferente). ‘Conosceva piuttosto bene Agrigento per esservi stato due anni, poco più poco meno’.
Per quanto tempo il Capoccio sia stato arciprete di Racalmuto, s’ignora. Sappiamo che subentrò l'Argumento, nominato nel marzo del 1600.[20] Quel che appare sicuro è che l’arciprete Capoccio non fu presente in alcun atto di battesimo o nella celebrazione di un qualsiasi matrimonio nella parrocchia racalmutese di cui per un biennio fu titolare. A sostituirlo nelle incombenze pastorali fu di certo don Leonardo Spalletta, il cappellano di cui gli atti parrocchiali testimoniano zelo ed assidua presenza.
I CONVENTI DI RACALMUTO NEL ‘500
CENNI INTRODUTTIVI
Non crediamo che vi siano stati conventi a Racalmuto nei primi quarant’anni del ‘500: solo attorno al 1545 è di sicuro operante il convento di S. Francesco, ove erano insediati i padri francescani dell’Ordine dei Minori Conventuali. In certi documenti vescovili che riguardano il sac. don Lisi Provenzano abbiamo rinvenuto elementi tali da suffragare questa antica datazione del convento. L’altro cenobio che appare alla fine del secolo, quello dei carmelitani, sorge all’incirca verso il 1575 se diamo credito alla lapide dell’avello del primo priore padre Paolo Fanara, quale ancora si legge nella chiesa del Carmelo (la chiesa sembra invece essere esistita già dal tempo della visita del Tagliavia nel 1540 ed è citata nel testamento del barone Giovanni del Carretto).
Giovan Luca Barberi parla di un convento benedettino presso Racalmuto, ma gli ereduti locali negli ultimi tempi sono propensi a ritenere che il chiostro fosse quello di S. Benedetto, in territorio di Favara.
Quanto all’altro convento francescano, quello dei Minori di Regolare Osservanza, esso, seppure se ne parla già nel 1598, inizia la sua attività nei primi anni del ‘600.
Per tutto il Cinquecento non vi sono conventi femminili a Racalmuto. Il primo - quello di S. Chiara - comincerà ad operare verso il 1645.
Convento di S. Francesco.
Sappiamo con certezza che il 21 novembre 1545 il convento di S. Francesco era operante. Noi pensiamo che sin dagli esordi furono i padri minori conventuali ad occupare il convento, sotto l’egida di Giovanni del Carretto. Pietro Rodolfo Tossiniano, vescovo di Senigallia, accenna a questo convento racalmutese nel libro 2° della sua Historia Serafica. Il maltese Filippo Cagliola nel 1644, fa un discorso un poco più articolato e, descrivendo le “Almae sicilienses Provinciae ordinis Minorum Conventualium S. Francisci”, prende in considerazione anche Racalmuto in questi termini:
LOCUS RACALMUTI [custodia agrigentina]. suae fondationis certam non habet notam, cum scripturas omnes grassantis pestis insumpserit lues. Quam ob rem annus 1576 a THOSSINIANO inscriptus, ad reparationem Ecclesiae, post eliminatum languorem, non ad fundationem referendus; pugnaret siquidem secum Auctor, qui a Comite Ioanne, certam pecuniam pro Ecclesia reparatione, legatam asserit, anno 1560. Ecclesia denuo excitata, imperfecta iacet, locus iuxta arcem a Friderico Claramontano constructa, situs amoenus, qui fabricis non spernendis incrementa suscepit. Ecclesia Divo Francisco dicata.[21]
Dunque non era nota la data di fondazione, per la distruzione dell’archivio nel tempo della grande peste del 1576. Questo stesso anno viene indicato dal Tossiniano come data di fondazione, subito dopo la cessazione del flagello. Ma questi cade in contraddizione con se stesso, dato che afferma che il conte Giovanni [invero era barone] ebbe a lasciare una certa somma nel 1560 per riparare la chiesa. La chiesa, invero, di nuovo eretta, giace ora incompleta vicino al castello edificato da Federico Chiaramonte, in un luogo ameno e con un notevole chiostro. Essa è dedicata a S. Francesco.
Il barone Giovanni del Carretto, a dire il vero non aveva tanto pensato alla chiesa ma alla sua tomba. Egli lasciò cento onze per la sua cappella tombale. Ed altri mezzi per la celebrazione di messe in Conventu Sancti Francisci dictae Terrae, che dunque nel 1560 era attivo.
Francescani conventuali nel 1593
Da una ricerca del prof. Giuseppe Nalbone risulta che nel 1593 stanziassero a S. Francesco i seguenti religiosi:
1
|
1593
|
COLA ANDREA
|
GAITANO
|
PADRE PRIORE
|
2
|
1593
|
GIOVANNIANTONIO
|
TODISCO
|
FRA
|
3
|
1593
|
SEBASTIANO
|
D ' ALAIMO
|
FRA
|
4
|
1593
|
FRANCESCO
|
BARBERIO
|
FRA
|
5
|
1593
|
GIO
|
BARBA
|
FRA
|
6
|
1593
|
LODOVICO
|
DI SALVO
|
FRA
|
7
|
1593
|
GIUSEPPE
|
LA MATINA
|
FRA
|
Francamente non conosciamo granché di tutti questi francescani: abbiamo, ad esempio, alcuni accenni nell’atto di donazione di quel singolare personaggio che fu Antonella Morreale, rimasta vedova piuttosto giovane di Leonardo La Licata. Il rogito è datato 9 gennaio 1596 e ad un certo punto stabilisce:
Et voluit et mandavit ditta donatrix quod dittus Jacobus donatarius ...debeat ac teneatur supra dicto ut supra donato solvere uncias decem po: ge: in pecunia fratri Lodovico de Salvo ordinis Sancti Francisci, filio magistri Rogerij consanguineo dittae donatricis infra annos duos cursuros et numerandos a die mortis dittae donatricis in antea hoc est anno quolibet in fine unc. unam in pacem pro vestito ispius Lodovici pro Deo et eius anima ipsius donatricis et solutis dictis unc. 10 ut supra dictus Jacobus de Poma donatarius per se et successores teneatur et debat pro dittis unc. decem anno quolibet in perpetuum solvere unciam unam redditus supra dicto loco de supra donato dicto ven.li conventui Sancti Francisci dictae Terrae Racalmuti eiusque guardiano mentionato pro eo et successoribus in ipso conventu in perpetuum legitime stipulante in quolibet ultimo die mensis augusti cuiuslibet anni incipiendo solvere anno quolibet in perpetuum pro Deo et eius anima ipsius donatricis pro celebratione tot missarum celebrandarum per fratres dicti ven. conventus
Fra Ludovico de Salvo era dunque un consanguineo della Morreale. Nella donazione si parla di sussidi per il suo vestiario. Per le messe v’è un altro legato di un’oncia annua in favore del padre guardiano.
Il guardiano padre Cola Andrea Gaitano
La Morreale si ricorda di questo priore anche a proposito della sistemazione della non chiara vicenda del lascito da parte del marito di un vestito appartenente a don Cesare del Carretto. In dialetto, ella dispone piuttosto prolissamente che:
Item ipsa donatrix pro Deo et eius anima ac pro anima ditti condam Leonardi olim eius viri titulo donationis preditte post mortem ipsius donatricis ... donavit et donat ditto ven. conventui Sancti Francisci ditte terre uti dicitur: una robba di donna di villuto russo chiaro con li soi passamanu di oro, quali robba ditta donatrichi teni in potiri suo in pegno del sig. don Cesaro il Carretto, la somma dello quali pignorationi ipsa donatrici non si recorda, per tanto essa donatrici voli chè si il detto del Carretto paghira ditto conventu seu suo guardiano la reali summa per la quali robba fui inpignorata, chè in tali casu lu guardiano di detto convento chè tunc forte serra sia tenuto restituiri ditta robba a ditto del Carretto et casu chè il detto del Carretto non si recapitassi detta robba oyvero non declarira la summa per la quali detta robba sta pignorata voli la detta donatrichi chè lu guardiano di detto convento habbia di obtenere lettere di executione et per quella somma chè serra revelato il detto guardiano debbea detta robba per detta somma ad altri personi inpignorarla et quelli denari convertirli et expenderli in subsidio et bisogno di detto conventi et fari diri tanti missi per l’anima di detta donatrici et il ditto condam Leonardo per li frati di detto convento et quoniam sic voluit ditta donatrix et non aliter nec alio modo.
Il nome del padre guardiano doveva essere padre Cola Andrea Gaitano: non è certamente racalmutese, mentre originari del paese appaiono tutti gli altri sei fraticelli.
Fra Ludovico de Salvo
La famiglia cui apparteneva fra Ludovico Salvo è così censita nel rivelo del 1593:
36
|
360
|
Salvo (de) Mg. Ruggero, soldato anni 45
|
Nora de Salvo moglie; Santo anni 14; Ludovico 11; Francesco 7; Ivella; Caterina; Vincenza
|
confina con La Lattuca Paulino
|
abita al Monte
|
Nel 1602 consegue i quattro ordini minori e pare che non sia andato oltre. Un’annotazione del vescovo Bonincontro del 1608 farebbe pensare che fra Ludovico abbia lasciato il convento e si sia secolarizzato. Lo troviamo infatti fra i chierici sottoposti alla giurisdizione dell’ordinario diocesano:
Ludovico di Salvo an 26 cons. ad 4 m. ord. die 23 martii 1602 ... S. Francisci
Fra Ludovico era nato a Racalmuto nel 1581 come da questo atto di battesimo:
19
|
7
|
1581
|
Lodovico
|
Rogieri m.o
|
Salvo
|
Nora
|
Fra Sebastiano d’Alaimo
Semplice frate nel 1593 ricevette sicuramente gli ordini sacerdotali. Nella visita del 1608 viene autorizzato alle confessioni per sei mesi:
Frater Sebastianus de Alaimo ordinis S.ti Francisci Convent. ad sex menses
Risulta dai Rolli di S. Maria quale teste in un atto del 28 ottobre 1597. Null’altro ci è dato di sapere su questo francescano, sicuramente racalmutese.
Il Convento del Carmine.
Per il Pirro questo convento è nobile ed antico ed ai suoi tempi (1540) contava 10 religiosi con 108 onze di reddito. Ne era stato solerte priore per 46 anni il racalmutese fra Paolo Fanara. La lapide del suo sepolcro fornisce questi dati biografici:
Paolo Fanara innalzò, accrebbe e decorò, dotandolo d’immagini, questo tempio; curò l’edificazione del convento con somma operosità. Visse 71 anni e nell’anno della salvezza 1621, dopo 41 anni di priorato, morì nella pace sel Signore.
Fra Paolo Fanara nacque dunque nel 1550; nel 1575 diviene priore del cenobio carmelitano di cui è fondatore a Racalmuto. Il convento viene edificato accanto alla chiesa periferica del Carmelo, che stando ai documenti disponibili sorgeva invero da tempo, a dir poco dal 1540.
La chiesa, invero, sembra in costruzione al tempo della morte del barone Giovanni del Carretto che così ne accenna nel suo testamento:
Item praefatus Dominus Testator dixit expendisse unceas centum triginta in emptione lignaminum et tabularum facta per Magistrum Paulum Monreale, et per Magistrum Jacobum de Valenti, de quibus dominus Testator consequutus fuit nonnullas tabulas, et lignamina; voluit propterea, et mandavit quod debeat fieri computum per dictum spectabilem D. Hieronymum heredem particularem, et faciendo bonas uncias viginti septem solutas Ecclesiae Sanctae Mariae de Jesu, et uncias undecim solutas pro raubis; de residuo tabularum et lignaminum compleri debeat tectum Ecclesiae Sanctae Mariae di lu Carminu dictae Terrae Racalmuti, et voluit quod debeat expendere unceas quindecim in pecunia in dicto tecto, et ita voluit, et mandavit, et hoc infra terminum annorum trium.
Nel 1560, dunque, la chiesa di Santa Maria del Carmelo era a buon punto e doveva soltanto completarsi il tetto, cosa che andava fatta entro tre anni. Non è attendibile quindi quel che dice l’avello del p. Fanara, quanto alla chiesa. Certo dopo il 1575 fra Paolo non mancò di farvi fare opere murarie e migliorie ed a ciò è da pensare che si riferisca l’iscrizione della lapide.
I carmelitani racalmutesi del secolo XVI
Nel rivelo del 1593, questo era l’orrganico del cenobio carmelitano racalmutese:
1
|
1593
|
PAULO
|
FANARA
|
PADRE PRIORE
|
2
|
1593
|
RUBERTO
|
COSTA
|
PADRE
|
3
|
1593
|
SALVATORE
|
RICCIO
|
FRA
|
4
|
1593
|
FRANCESCO
|
SFERRAZZA
|
FRA
|
5
|
1593
|
ANGELO
|
CASUCHIO
|
FRA
|
6
|
1593
|
GEREMIA
|
RUSSO
|
FRA
|
7
|
1593
|
GIUSEPPI
|
RAGUSA
|
FRA
|
8
|
1593
|
ZACCARIA
|
RICCIO
|
FRA
|
Fra Paolo Fanara
Nella visita del Bonincontro del 1608 il priore del carmelo è ricardato fugacemente come confessore approvatoed indicato semplicemente come “fra Paulo di Racalmuto padre giardiano del Carmine”.
Fra Paolo fu molto attivo anche nelle faccende sociali. Lo incontriamo in un documento del 1614[22] in cui si briga per consentire una “fera franca” in occasione della festività della Madonna del Carmine.
«Ill.mo Signor Conte di questa terra. Fra Paulo Fanara priore del Convento del Carmine di questa terra, dice a V.S. Ill.ma che per devotione et decoro della festività della Madonna del Carmine quali viene alla terza domenica di giugnetto [luglio] resti servita V.S. Ill.ma concedere ché ogn’anno per otto giorni cioe quattro inanti detta festa et quattro poi, si possa inanti detto convento farci la fera franca di quella di Santa Margarita la quale si transportao in lo conventu di Santa Maria di Giesu per lo decoro della detta festa et della terra di V.S. Ill.ma ché li sarà gratia particolare ultra il merito che per tal causa haverà ut altissimus etc. - Racalmuti Die XX° octobris XIII^ ind. 1614.»[23]
Nel 1596 lo incontriamo come teste in un paio di atti della confraternita di S. Maria di Gesù. Non spesso, ma qualche volta assiste pure alla celebrazione del matrimonio di qualche racalmutese in vista.
Fra Salvatore Riccio di Racalmuto
Dalla solita visita del 1608 sappiamo che èsacerdote ed è autorizzato alle confessioni per sei mesi:
Frater Salvator Riccius Carmelitanus ad sex menses.
A dire la verità abbiamo dubbi sulla correttezza della grafia del cognome. Se Racalmutese, ebbe forse a chiamarsi fra Salvatore Rizzo.
Fra Zaccaria Riccio
Anche in questo caso, il cognome è forse da correggere in Rizzo. Un chierico a nome Zaccaria Rizzo è presente in vari atti di battesimo ed in atti di trascrizione matrimoniali della Matrice dal 1598 in poi. Costui è anche citato nella nota visita del 1608:
cl: Zaccaria Rizzo an. 25 cons. ad p. t. die 19 decembris 1597 alias vocatus Leonardus
Tratterebbesi di un racalmutese nato nel 1581 come da seguente atto di battesimo:
5
|
9
|
1581
|
Rizzo
|
Leonardo
|
Martino
|
Norella
|
Ma resta pur sempre da appurare se v’è identità fra il fraticello carmelitano ed il chierico che s’incontra negli atti della matrice e della curia vescovile di Agrigento.
Fra Angelo Casuccio
Nel 1608 lo ritroviamo fra i confessori:
P. Angelo Casuchia
Stando al Liber in quo .. sarebbe morto il 4 febbraio 1636 (c. 2 n.° 45). Certo sorge il dubbio che tra il frate carmelitano del 1593 ed il sacerdote che del 1608 vi sia identità di persona. Noi siamo per la tesi affermativa e pensiamo ad una secolarizzazione del giovane fraticello del Carmine. Il Casuccio che s’incontra in Matrice è chierico tra il 1598 ed il 1600 e figura come diacono in un atto di battesimo del 30 agosto 1600. Il 12 gennaio 1601 è già stato, comunque, ordinato sacerdote.
Fra Francesco Sferrazza
Analogo dubbio sorge per questo fraticello, visto che negli atti della Matrice figura un omonimo che però viene indicato nel Liber (c. 2 n.° 38) come don Francesco Sferrazza Fasciotta (ma rectius Falciotta).
A quest’ultimo di certo si riferiscono gli atti della visita del 1608, ove è reiteramente citato. Vengono forniti alcuni dati anagrafici:
D. Franciscus Sferrazza an. 27 cons. ad sacerd. die 17 decembris 1605 Panorm ... quas dixit amisisse
Costui era già protagonista a quell’epoca, come emerge dai seguenti passi di quella relazione episcopale a proposito di S. Giuliano:
Sequitur Cappella transfigurationis S.mi Dni Nostri Iesu Xristi, quae fuit constructa a Don Francisco Sferrazza propriis expensis. et adhuc non est completa. Altare d.e Cappellae est decenter ornatum super quo est Scena trasfigurationis praedictae cum multis imaginibus aliorum sanctorum, est bene depicta et pulchra, est dotata uncias duas redditus relictus a q. Antonino praedicti de Sferrazza pro celebratione unius missae qualibet hebdomada quae celebratur a Cappellano Ecclesiae
Habet etiam dicta Cappella incias X pro maritaggio inius orfanae consanguineae, pariter relictus iure legati a d.o Antonino Sferrazza.
Da altri elementi risulta che trattasi di un membro dell’importante famiglia degli Sferrazza Falciotta. Sembrerebbe quindi che si debba escludere l’identità con l’umile fraticello del Carmelo. D. Francesco Sferrazza Falciotta fu peraltro anche Commissario del Tribunale del S. Officio e morì il 7 maggio 1630.
Se fra Francesco Sferrazza, carmelitano nel 1593, fu persona diversa, come sembra, nulla sappiamo all’infuori di quella citazione del rivelo.
Fra Giuseppe d’Antinoro
Dalle brume documentali dell’archivio parrocchiale dell’ultimo scorcio del ‘500 affiorano alcune figure di religiosi racalmutesi o, comunque, operanti a Racalmuto: uno di questi è fra Giuseppe d’Antinoro, sicuramente un carmelitano, che l’11 settembre 1584 è presente nel matrimonio insolitamente celebrato nella chiesa del Carmine. Per questa inusuale celebrazione era occorso il benestare del vescovo agrigentino. Il matrimonio era avvenuto tra certo La Licata Paolo di Paolo e La Matina Antonella di Pietro e di Vincenza. Benedisse le nozze l’arc. Romano. Ne furono testimoni il noto fra Paolo Fanara ed il citato fra Giuseppe d’Antinoro. Ne trascriviamo qui l’atto che si conserva nella matrice.
11 9 1584 La Licata Paolo di Paolo e di Angela con La Matina Antonella di Petro e di Vincenza.= Sacerdote benedicente:Romano Michele arciprete. Testi: Fanara r. fra Paolo ed D'Antinoro frate Gioseppe. Nota: foro benedetti nella chiesa del Carmine ex concessione Ill.mi et rev.mi n. Epi. Agrigentini
Due religiosi di fine secolo:
fra Antonino Amato;
fra Pasquale Di Liberto
gli atti di matrimonio di fine secolo restituiscono alla memoria questi due monaci, di cui però s’ignora tutto: dall’ordine d’appartenenza ad un qualsiasi altro dato biografico. Quel che conosciamo è tutto contenuto in queste annotazioni d’archivio:
1 9 1588 Gibbardo Berto Vincenzo con Savarino Francesca di Joanne Benedice le nozze: Amato frati Antonino. Testi: Todisco Pietro e Rotulo Pietro
30 9 1596 Mendola (la) Leonardo di Angilo e Paolina con Aucello Antonella di Paolo e Minichella. Benedice le nozze: Spalletta don Nardo. Testi: Mulioto Giuseppe e Di Liberto frati Pasquali.
Nella visita del 1608 è invero ricordato un francescano a none fra Antonino Amato: che si tratti dello stesso monaco del 1588, non abbiamo elementi per affermarlo. Questi comunque non figura nel rivelo del 1593. Nella relazione episcopale del 1608 è indicato in questo stringato modo:
Notamento di confessori di S.to Francisci: il p.re guardiano - fra. Antonio di Amato.
Giurati a Racalmuto a fine ’500
I giurati di Racalmuto allo spirare del secolo XVI sono:
Nicolò Macaluso: ha 45 anni; abita nel centro del paese, al 159° fuoco del quartiere di S. Giuliano; la moglie si chiama Francesca ed è coadiuvata nei servizi di casa da Dora una “citella di casa”; non ha figli che coabitano con lui;
Giuseppe Cacciatore: ha 42 anni e viene fregiato con il titolo di “magnifico”; abita al quartiere Fontana al 226° fuoco; la moglie si chiama Giovannella: convivono con lui quattro figli: Giuseppe di anni 11 e le femminucce Caterina, Franceschella e Contessella;
Giuseppe Vilardo: ha 30 anni ed anche lui viene fregiato con il titolo di “magnifico”; abita al quartiere Fontana al 76° fuoco; la moglie si chiama Giovannella: convivono con lui sei figli: Giuseppe di anni 9 e le femminucce Franceschella, Costanza, Innocenza, Angela e Fania [Epifania];
il notaio Giuseppe Sauro e Grillo: ha solo 25 anni ed è sposato con Antonella: non ha figli; professionalmente si affermerà molto; frattanto abita al quartiere di S. Giuliano al 167° fuoco; si era sposato a Racalmuto il 20 settembre 1592 appunto con Antonella Magaluso e le nozze erano state benedette da don Francesco Nicastro: compari, il sac. don Paolino Paladino e il maggiorente Giovan Francesco d’Amella. Abbiamo l’impressione che il Sauro e Grillo non fosse racalmutese: il matrimonio con una locale gli poteva consentire di installarsi nel feudo dei del Carretto per una esplosiva carriera ed una fortunata professione notarile.
Sono chiamati a fungere da delegati per il Rivelo:
per il principale e più popoloso quartiere di Santa Margaritella:
Martino di Messina: ha 35 anni circa; abita al quartiere Fontana al 29° fuoco; la moglie si chiama Catherinella ed ha un figlio di otto anni;
Vincenzo di Amella Pridicaturi: ha 40 anni; abita al quartiere Santa Margaritella al 369° fuoco; la moglie si chiama Biatricella; ha tre figli maschi: Giuliano di anni 9, Giuseppe di 6 e Diego di un anno, ed una femminuccia, Jurla [Gerlanda];
per il quartiere di San Giuliano:
Giovanni Antonio Sferrazza: secondo noi risiedeva al quartiere Monte di cui, come detto, non abbiamo il quinterno di dati demografici;
e per il quartiere della Fontana:
Giovan Cola Capoblanco;
Natale Castrogiovanni;
Pietro Bellomo.
Di questi tre personaggi non abbiamo notizie certe: dovrebbero tutti e tre abitare al quartiere Monte.
Chiese, quartieri e facoltà nel rivelo del 1593
I ponderosi volumi del rivelo del 1593 non possono essere tutti minuziosamente setacciati, se non da una squadra di studiosi e con rilevanti mezzi economici. Dobbiamo quindi accontentarci di alcuni sommari cenni.
A quell’epoca la terra di Racalmuto era idealmente segnata da un sistema di assi cartesiani in cui l’ascissa era una linea ideale che dalla Guardia andava al Padre Eterno e l’ordinata (che all’atto pratico era una sequela di strade tortuose) partiva dal Carmine per giungere alla Fontana. Nel mezzo vi era di sicuro la chiesa di Santa Rosalia (sicuramente in prossimità dell’attuale Collegio, ma a quale punto non sembra che si possa individuare con certezza). In tale sistema la parte sud-ovest costituiva il popoloso quartiere di S. Margaritella; quella di sud-est il quartiere di S. Giuliano; l’altra di nord-est era la Fontana ed infine il quartiere del Monte occupava la sezione di nord-ovest.
All’interno vi erano località di spicco che negli atti ufficiali servivano per l’individuazione di case e beni: faceva spicco il rione di Santa Rosalia che in effetti risultava inglobato prevalentemente nel quartiere di San Giuliano ma una minima parte debordava in quello di S. Margaritella. Santa Rosalia - che talora veniva chiamata S. Rosana o S. Rosanna o S. Rosaria, non si capisce bene se per errata trascrizione o per omonimia popolare o per la presenza nella chiesa di qualche altra immagine della celeberrima Vergine Sinibaldi - ospitava tanti personaggi cospicui. Esclusivo appare anche il rione di S. Agata.
[1] ) (a) [Pirri, Sic. Sacr. Agrig. f. 758, c. 1]
[2] ) (b) [R. Cancell. ann. 1577. f. 476]
[3] ) (a) [DI GIOVANNI, Palermo Ristor. lib. 4. f. 242 retr.]
[4] ) (a) [Lapidi Senatorie che si veggono a porta di VICARI, e porta di MACQUEDA]
[5] ) Leonardo Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra - Morte dell’Inquisitore, Bari 1982, pag. 17
[6] ) PALAGONIA . N.° 709 ANNI 1613-1749 - N.° 2
[7]) Archivio di Stato di Agrigento - Fondo 46 - vol. 509 - f. 52-55.
[8]) Vincenzo Di Giovanni - Palermo Restaurato - Palermo 1989, pag. 334-335. Trattasi della ripubblicazione di un testo manoscritto del 1627 (una trentina d’anni dunque dopo la conclusione degli eventi).
[9]) C.A. Garufi - Fatti e Personaggi dell’Inquisizione di Sicilia - Edizione Sellerio, Palermo 1978, pag. 255; 260; 260 e 262-263
[11]) Nel libro dei Morti della Matrice di Racalmuto del 1614 alla colonna n. 83, n.ro d'ordine 17, leggesi:
«2 dicto [maggio 1622] il Ill.mo D. Ger.o [Geronimo] del Carretto fu morto e sepp.[llito] nella ecclesia di S.to Francesco per lo clero». Dai processi d’investitura sappiamo che era morto il giorno prima 1° maggio 1622.
[13]) Archivio di Stato di Palermo - Protonotaro del Regno - Processi d’investiture - Busta n. 3542 - Contea, terra e castello di Racalmuto - del Carretto Francesco (così erroneamente indicato, ma trattasi di Giovanni del Carretto)
[14]) Archivio di Stato di Agrigento - Fondo 46 - vol. 506 - f. 204:
«ex actis meis notarii Angeli Castro Joanne Racalmuti -
«Est sciendum qualiter inter alia capitula testamenti solemnis et in scriptis quondam don Vincentij del Carretto sacerdotis, ultimi sub quo decessit, facti in actis meis notarii infrascripti die XV° augusti VII ind. proximae praeteritae 1624, aperti et publicati in eisdem actis meis sub die XVIII presentis mensis septembris VIII^ inditionis instantis, extat capitulus ut infra:
«“Item dictus testator legavit et legat de summa illarum unciarum quadraginta novem redditus supra statu et baronia Ciramis vigore contractuum superius expressatorum uncias duodecim redditus Ven: Conventui Sanctae Mariae de Monte Carmelo terrae Racalmuti pro celebratione unius missae de requie pro anima Ill.i Don Hieronimi del Carretto comitis Racalmuti eius fratris.”»
Se ne ha la riprova nell’atto di donazione del 10 luglio, IIIJ^ Ind. 1621 (ASP - Protonotaro Regno - Investiture - Busta n.° 1569 - Processo n. 4074 - 1621 - f. 10) che recita:
«.. Don Vincentius del Carretto frater ipsius Don Hironimi comitis et avunculus dictorum Don Joannis et Donnae Dorotheae...»
[15]) vedi testamento reperibile in Archivio di Stato di Agrigento - Fondo 46 - vol. 501.
[16]) Archivio di Stato di Palermo - Fondo: Conservatoria Registro - Serie Investiture - Busta n.° 141- Anni 1636-48 - f. 118.
[17]) Archivio Segreto Vaticano - Relationes ad limina - 18A - f. 5. La relazione economica è al f. 16 e ss.
[18]) Ciò che alla morte del prelato ricade nel dominio del Governo durante la sede vacante: spoglio.
[19]) Archivio Segreto Vaticano - Relationes ad Limina - 18A - f. 1.
In spagnolo, il Covarruvias così presentava il Capocho alla Sacra Congregazione competente:
«Quando no veniera negocios en esta Corte a que embiar a Don Alexandro Capocho mi secretario, me diera contento embiarlo a hacer riverencia a V.S.Ill.a y darle cuenta de las cosas de por aca, como lo hara Don Alexandro ...el obispo de Girgento».
[20]) Cfr. Atti Matrice: STATO DI FAMIGLIA - M A T R I M O N I - 1582-1600. E’ ivi annotato: «Di la maiori ecclesia di Racalmuto pigliao possisioni don Andria Argumento a li 7 di marzo XIII ind.1600».
[21]) ALMAE SICILIENSES PROVINCIAE - ORDINIS MINORUM CONVENTUALIUM S.FRANCISCI - a patre magistro Philippo CAGLIOLA - a MILITA.
"Sicilia francescana secoli XIII-XVIII a cura di Filippo ROTOLO" Venetiis, MDCXLIV - Officina di Studi Medievvali - Via del Parlamento, 32 - 90133 PALERMO - 1984. pag. 108 [Petrus Rodulfus THOSSINIANUS, Episcopus Senegallensis ordinis nostri, in Historia Serafica - v. per RACHALMUTUM lib. 2] .
[22]) Archivio di Stato di Agrigento - Fondo 46 - vol. 506 - f. 1.
[23]) Il prosieguo del documento è in latino e recita:
«Cons. Ref., eodem, Ad relationem U.J.D. Francisci la Rizza fuit provisum quod concedatur petitio et fiat actus in curia juratorum, Joannes Gulielmus secretarius etc.».
Più complesso il seguito che trascriviamo per gli eventuali cultori della lingua latina in uso nella curia racalmutese del primo Seicento:
«Die XXI ottobris XIII^ Ind. 1614:
«fuit provisum et mandatum per Ill.mum Dominum Comitem Don Hyeronimum del Carretto Comitem huius terrae et Comitatus Racalmuti ad relationem U.J.D. Francisci la Rizza consultoris, vigore provisionis fattae in dorso memorialis venerabilis fratris Pauli Fanara prioris venerabilis conventus Sanctae Mariae de Monte Carmelo, eiusdem terrae, sub die 20 praesentis mensis
«quod otto de numero dierum sexdecim nundinarum quae antiquitus fiebant in hac praeditta terra et in festivitate Divae Margharitae et postea translatae in festivitate divae Mariae Jesu, eiusdem terrae solitae fieri in die in die secundo mensis Julij cuiuslibet anni cum illis franchitijs pro ut hactenus servatum fuerat.
«Intelligantur et sint concessae ditto venerabili conventui Sanctae Mariae de Monte Carmelo pro ut vi praesentis actus perpetuo valituri, spectabilis ill.mus Comes per se et suos etc. tribuit et concessit eidem ven: conventui Virginis de Monte Carmelo eiusdem terrae nundinas praedittas pro maiori decoro et devotione festivitatis dittae Beatae Mariae Virginis de Monte Carmelo celebrandae in dominica tertia cuius libet mensis Julij cuiuslibet anni in perpetuum fiendas ante eccelsiam et conventum praedittum per dies quatuor ante et dies quatuor postea dittum festum
«et hoc cum omnibus et singulis franchitijs et alijs pro ut dittae nundinae gaudunt et sunt exemptae ab omnibus gabellis ditti ill.mi domini comitis ut supra dittum est et non aliter.
«Remanentibus tamen de numero dierum sexdecim nundinarum praedittarum divae Margharitae alijs diebus octo pro ditta ecclesia et Conventu Sanctae Mariae Jesu eiusdem terrae fiendarum quoque antea dittam ecclesiam et conventum dittae Sanctae Mariae de Jesu pro ut hucusque servatum est, in festivitate dittae Beatae Mariae Virginis de Jesu quae celebratur in die secundo cuiuslibet mensis Julij in perpetuum,
« hoc est pro diebus quatuor antea et diebus quatuor postea dittam festivitatem et cum franchitijs et aliis ut supra dittum est e non aliter nec alio modo etc.
«Unde ut in futurum appareat fattus est praesens actum in curia juratorum huius terrae praedittae juxta ordinem et provisionem praeditti ill.mi D. Comitis suis die loco et tempore valitures etc.
«Unde etc. -
«Ex actis Curiae Juratorum huius terrae et Comitatus Racalmuti, extratta est praesens copia - Coll. Sal. - Sanctus Poma, magister notarius.»
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