Repubblica Nazionale 2014-11-23
la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 23 NOVEMBRE 2014 34
eonardo Sciascia, il titolo del suo libro, Il
giorno della civetta, risulta un po’ strano.
Lo storico Mack Smith si è chiesto se gli
italiani stessi possano capirlo, anche se
l’epigrafe è tratta dall’Enrico VI. Come
spiega lei quel titolo?
«Quando uno ha difficoltà a trovare un titolo può aprire
a caso o la Bibbia o Shakespeare, e lo trova. Io ho fatto
l’operazione con Shakespeare ed è venuta fuori questa
frase: “come la civetta quando il giorno compare”».
PARIGI 1979,
LEONARDO SCIASCIA
CONCEDE
UNA LUNGA INTERVISTA
A UN SUO AMMIRATORE
DOCENTE DI ITALIANO
A LONDRA.
CHE SOLO ORA,
A VENTICINQUE ANNI
DALLA MORTE
DELLO SCRITTORE,
PERMETTE
CHE SIA PUBBLICATA.
ECCOLA
THOMAS BALDWIN
«La civetta è un animale notturno, invece questa specie di società
segreta che è la mafia, una società diciamo notturna, in Sicilia
agisce di giorno».
Il titolo è quindi una chiave di lettura? Un titolo importante?
«I titoli sono sempre importanti, e questo mi pare che dia anche
misteriosamente e ambiguamente il senso del libro. La civetta,
animale notturno, diventa animale diurno, in Sicilia: una
metafora. Il giorno della civetta coglie la mafia nel trapasso, da
mafia di campagna, mafia rurale, a mafia urbana. È stato scritto
nel momento in cui la mafia attraversava questa evoluzione. Ora
l’evoluzione c’è già stata: il tipo don Mariano Arena-Genco Russo,
non esiste più. Oggi il capomafia è una specie di burocrate».
Se lei dovesse aggiungere qualcosa, diciannove anni dopo
aver scritto il libro, cosa aggiungerebbe?
«Non aggiungerei nulla, non cambierei assolutamente nulla
di quello che ho scritto allora, perché la mafia esiste ancora con
la stessa struttura di allora: anzi il fenomeno si è allargato ed è arrivato
al Nord Italia. Il sistema mafioso ormai vige in tutta Italia».
Non c’era allora la speranza che le cose, in Sicilia, fossero cambiate
dopo il tentativo di repressione da parte di Mori?
«Sotto il fascismo la repressione di Mori funzionò perché due
mafie non potevano convivere. Il fascismo è una specie di mafia,
una mafia “grande” non poteva tollerare la minore. Con la caduta
del fascismo e con l’arrivo degli americani, la mafia è risorta».
La mafia riuscirà a sopravvivere?
«Mah, fino ad oggi, sopravvive».
Nelle sue opere lei insiste sulla storia, e mette molta cura nel
verificare i fatti attraverso i documenti del tempo. La storia come
tema non è ancora presente nel Giorno della civetta.
«Non è un libro propriamente storico. Però è un libro in cui si
raccoglie tanta storia, insomma. È un presente che è spiegato da
tanto passato. Si muove sulla cronaca, direi. Però anche la cronaca
è destinata a diventare storia. La cronaca è storia in potenza,
in fieri. Domani sarà storia la cronaca di oggi».
Pensa ai riferimenti al fascismo, al prefetto Mori, al separatismo
e a ciò che rappresentava a quel tempo?
«Sì, ci sono riferimenti alla storia recente della Sicilia, che va
dal fascismo al dopoguerra, al rinascere dei partiti, all’aggregazione,
dentro questi partiti, della mafia, che prima era stata separatista,
e poi è diventata democristiana. E la mafia che prima
puntò sul separatismo e poi puntò sulla Democrazia cristiana,
capì che l’avvenire sarebbe stato della Dc, del partito dei cattolici.
Dapprima la mafia, con la protezione degli Stati Uniti, pensò
che la Sicilia si potesse separare dall’Italia e quindi fu separatista.
Quando invece, dopo l’arresto dei due leader del separatismo, la
mafia si accorse che lo Stato italiano viveva ancora, e che era il
vecchio Stato unitario, allora passò alla Dc».
Lei scrive che la Sicilia “è tutta una fantastica dimensione: e
come ci si può star dentro senza fantasia”. Quale senso hanno
le parole fantasia e fantastico legate alla sua isola?
«Nel senso che è una realtà difficile ad afferrarsi, difficile a porsi
in termini reali. C’è come una follia e ne ha parlato anche Lampedusa,
di questa follia. La Sicilia è inverosimile, in un certo senso:
è vera, ma è inverosimile».
Ma di quali verifiche dispone lei?
«Nella vita stessa siciliana, nel modo come si è svolta la stessa
storia siciliana per secoli c’è dell’inverosimiglianza. È inverosimile
la sopravvivenza di questo popolo, con tutto quello che ha
subito. Eppure sopravvive, è sempre vivo».
È per questo che ha scelto di contrapporre il capitano Bellodi
ai vari rappresentanti della mafia?
«Sì, Bellodi rappresenta per me il simbolo dell’Italia che esce
dal fascismo con una coscienza antifascista, con la coscienza di
volersi rinnovare, rappresenta il simbolo della Resistenza».
E perché Bellodi è un carabiniere dell’Italia settentrionale?
«Era un’idea, un’idea di Parma, molto antifascista, molto resistenziale.
Non è un personaggio, è un’idea».
Lei condivide l’idea che alla fine niente si può cambiare?
«Difatti non è cambiato niente dal 1961 ad oggi. Nel 1973 hanno
pubblicato gli atti della Commissione parlamentare antimafia
che sono un esercizio di filologia».
Il giorno della civetta è un giallo?
«Sì, e l’adopero naturalmente questa tecnica. Amo uno scrittore
come Graham Greene perché adopera sempre questa tecnica
del giallo, anche quando parla di drammi interiori. Ma l’adopera
anche Dostoevskij. Praticamente tutti gli scrittori che si
fanno leggere hanno, in certo modo, adottato la tecnica del giallo.
Io l’ho fatto sempre».
È anche un giallo impossibile?
«Lei vuol dire un giallo senza soluzione? Poiché il giallo comporta
sempre una soluzione. Invece nei miei non ce n’è. Sul piano
dell’intelletto sono soddisfacenti e insoddisfacenti
al tempo stesso. Lì ci vuole anche un po’ di ironia,
perché il giallo, in effetti, quando si arriva alla fine
dà soddisfazione. Però al tempo stesso si rimane insoddisfatti
perché cessa con la soluzione l’interesse:
è finito. Il giallo senza soluzione poi è insoddisfacente
del tutto perché ci lascia nel dubbio. Come
andrà a finire? Però questo è un libro che serve
ancora per il fatto stesso che non esiste soluzione».
Nel Giorno della civetta chi ha commesso il delitto
lo si sa abbastanza presto. Continuare il
racconto è una questione di tecnica, quindi?
«Ho continuato con la tecnica del poliziesco. Solo
che non finisce con
la soddisfazione di assicurare
il colpevole
alla giustizia».
In questo senso si
potrebbe parlare
di pessimismo?
«Sì, questa è una
forma di pessimismo.
Il giallo si segue con
interesse perché si vuole sapere come va a finire. Nei gialli – diciamo
così – che scrivo io non si va a finire».
Dalla descrizione dell’ambiente locale si può allargare il discorso
del potere alla corruzione nazionale o internazionale?
«In quel momento a me interessava dare una rappresentazione
della mafia siciliana per un motivo di polemica, di denuncia,
di dovere civile, da cittadino siciliano che vuole reagire a questo
fenomeno e ne fa una denuncia. Ma con gli anni questo è diventato
metafora del potere. Per me è difficile dire cosa io intendessi,
diciannove anni fa, quando lo scrissi, direi al di fuori della denuncia.
Ma ora vedo che il libro può essere letto in una chiave in
cui si può riconoscere un francese, un inglese, e magari un americano.
Allora, per me quello che era un problema limitato alla
realtà siciliana con gli anni è diventato un’altra cosa. Questa è la
sorte di tutti i libri. Per parlare di un grande esempio credo che effettivamente
Cervantes quando scrisse il Don Chisciotte intendesse
fare la satira di questo mondo che si infatuava delle storie
cavalleresche. Ma con gli anni quello è diventato il libro dell’anima
spagnola, ed è diventato una favola, un emblema di un mondo
ideale. Il chisciottismo è diventato come una persecuzione,
una ricerca di idealità. Ho fatto il paragone per dire che cosa è un
libro, e che cosa diventa al di là delle intenzioni dell’autore».
Il giorno
della civetta
ediMr.Baldwin
L’ANNIVERSARIO E LE IMMAGINI
IN OCCASIONE DEL VENTICINQUENNALE
DELLA MORTE DI LEONARDO SCIASCIA
(RACALMUTO 1921-PALERMO 1989)
ADELPHI PUBBLICA IL TOMO I
(“INQUISIZIONI E MEMORIE”) DEL VOLUME II
DELLE SUE OPERE (A CURA DI PAOLO
SQUILLACIOTI, 1432 PAGINE, 75 EURO).
ENTRAMBE LE FOTOGRAFIE DI QUESTE
PAGINE SONO DI FERDINANDO SCIANNA:
IN QUELLA GRANDE SCIASCIA È RITRATTO
NEL GIARDINO DELLA SUA CASA
DI RACALMUTO; IN QUELLA PICCOLA,
È INSIEME A TOM BALDWIN, A PARIGI,
IL 19 MAGGIO 1979 PRIMA DELL’INTERVISTA
CHE QUI PUBBLICHIAMO
© RIPRODUZION
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