Il ‘regalo’ di Ciampi alla Sicilia: la vera storia della fine del Banco di Sicilia
Giulio Ambrosetti
Questa mia inchiesta è stata censurata nel 2003. Era destinata al mensile Euromediterraneo della Fondazione Federico II . Presidente era il professore Carlo Dominici, docente universitario e protagonista di tante vicende legate al mondo del credito siciliano (come leggerete Dominici è stato amministratore del Banco di Sicilia) che apprezzò l’idea al punto di scriverne lui stesso una parte.
Siamo nel periodo in cui Tremonti era Ministro dell’Economia da un anno del Governo Berlusconi 2001-2006. E da Ministro appena insediato aveva affermato, con coraggio, di aver trovato uno scenario nel quale il Sud si ritrovava privato di un sistema creditizio di riferimento. Opera dei massoni della Banca d’Italia, che per salvare le banche del Centro Nord Italia non hanno esitato a sacrificare il sistema creditizio meridionale. Questa è storia che può essere ascritta a tre personaggi: in testa Carlo Azeglio Ciampi, poi Antonio Fazio e, in terza battuta, Mario Draghi.
Si va alla ‘chiusura’ del mensile che arriva pure in tipografia. Ma viene bloccato prima della distribuzione. A Totò Cuffaro, all’epoca dei fatti presidente della Regione, gli articoli sul Banco di Sicilia non erano andati giù. E non erano piaciuti nemmeno a Forza Italia. Il numero di Euromediterraneo venne bloccato.
Noi siamo riusciti a salvarne un copia. E, oggi, nel giorno in cui si è spento Carlo Azeglio Ciampi, ve la riproponiamo per amore della verità. Perché non condividiamo gli attacchi feroci contro Ciampi arrivati da Salvini, ma ancor meno condividiamo le sviolinate dei media e di alcuni siciliani ( vi raccontiamo tutto qua) che, forse, non sanno che stiamo parlando di uno dei principali responsabili dell’annullamento del sistema creditizio siciliano e della truffa della vendita del Banco di Sicilia.
Buona lettura a tutti.
“LO SCIPPO: così è stata svenduta la banca dei siciliani” (Marzo 2003)
Siamo nel periodo in cui Tremonti era Ministro dell’Economia da un anno del Governo Berlusconi 2001-2006. E da Ministro appena insediato aveva affermato, con coraggio, di aver trovato uno scenario nel quale il Sud si ritrovava privato di un sistema creditizio di riferimento. Opera dei massoni della Banca d’Italia, che per salvare le banche del Centro Nord Italia non hanno esitato a sacrificare il sistema creditizio meridionale. Questa è storia che può essere ascritta a tre personaggi: in testa Carlo Azeglio Ciampi, poi Antonio Fazio e, in terza battuta, Mario Draghi.
Si va alla ‘chiusura’ del mensile che arriva pure in tipografia. Ma viene bloccato prima della distribuzione. A Totò Cuffaro, all’epoca dei fatti presidente della Regione, gli articoli sul Banco di Sicilia non erano andati giù. E non erano piaciuti nemmeno a Forza Italia. Il numero di Euromediterraneo venne bloccato.
Noi siamo riusciti a salvarne un copia. E, oggi, nel giorno in cui si è spento Carlo Azeglio Ciampi, ve la riproponiamo per amore della verità. Perché non condividiamo gli attacchi feroci contro Ciampi arrivati da Salvini, ma ancor meno condividiamo le sviolinate dei media e di alcuni siciliani ( vi raccontiamo tutto qua) che, forse, non sanno che stiamo parlando di uno dei principali responsabili dell’annullamento del sistema creditizio siciliano e della truffa della vendita del Banco di Sicilia.
Buona lettura a tutti.
“LO SCIPPO: così è stata svenduta la banca dei siciliani” (Marzo 2003)
La denuncia è arrivata qualche mese fa dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti: il Sud d’Italia, ha affermato in sintesi il responsabile della politica economica del Governo, è rimasto privo di un sistema creditizio di riferimento. Non ci sono più banche con un forte radicamento nel Meridione, un’area del Paese che è stata ‘colonizzata’ dalle banche del Centro-Nord Italia. Si tratta, per lo più, di banche che rastrellano il denaro dei risparmiatori del Sud per andarlo ad impiegare in altre aree del Paese. La responsabilità di quanto accade ormai da anni, sempre secondo Tremonti, va ricercata nell’Italia della Prima Repubblica, e in particolare nella classe dirigente meridionale che non ha saputo tutelare il sistema creditizio del Mezzogiorno. In questo scenario si inseriscono le vicende, anzi, le vicissitudini del Banco di Sicilia, azienda di credito – un tempo gloria e vanto della nostra regione – che ormai fa capo ad una società quotata in Borsa, Capitalia, che poco o punto ha a che vedere con la Sicilia. Ma tant’è.
Il ‘caso’ Banco di Sicilia non manca di aspetti che, per certi versi, sono paradossali. Uno dei punti del programma dell’attuale Governo nazionale – è noto – è il rilancio della questione meridionale. Ed è altrettanto noto che nello stesso programma del Governo si punta alla realizzazione di grandi infrastrutture nel Sud, indispensabili, si dice, per avviare una politica di sviluppo in una zona nella quale, tradizionalmente, si concentra la disoccupazione. Questa è del resto la filosofia di Agenda 2000. Per la Sicilia si prevede una spesa pari a 18 mila miliardi e 600 milioni delle vecchie lire (quasi 10 milioni di euro) entro il 2006.
Ebbene, mentre si fa di tutto per dotare di infrastrutture il Sud, e in particolare l’Isola, nella nostra regione assistiamo al trasferimento a Roma dei centri decisionali del Banco di Sicilia. Operazione, questa, cominciata nei primi anni Novanta e in via di completamento proprio in questi mesi.
Sorgono spontanee alcune domande: il Banco di Sicilia, da sempre banca di riferimento per i siciliani, non è una infrastruttura fondamentale per una regione di oltre 5 milioni di abitanti? Anzi, non è una delle infrastrutture attorno alla quale dovrebbe ruotare la rinascita economica e sociale della Sicilia? E se è così, perché il BDS è stato sacrificato nell’interesse di altre banche?
Il ‘caso’ Banco di Sicilia non manca di aspetti che, per certi versi, sono paradossali. Uno dei punti del programma dell’attuale Governo nazionale – è noto – è il rilancio della questione meridionale. Ed è altrettanto noto che nello stesso programma del Governo si punta alla realizzazione di grandi infrastrutture nel Sud, indispensabili, si dice, per avviare una politica di sviluppo in una zona nella quale, tradizionalmente, si concentra la disoccupazione. Questa è del resto la filosofia di Agenda 2000. Per la Sicilia si prevede una spesa pari a 18 mila miliardi e 600 milioni delle vecchie lire (quasi 10 milioni di euro) entro il 2006.
Ebbene, mentre si fa di tutto per dotare di infrastrutture il Sud, e in particolare l’Isola, nella nostra regione assistiamo al trasferimento a Roma dei centri decisionali del Banco di Sicilia. Operazione, questa, cominciata nei primi anni Novanta e in via di completamento proprio in questi mesi.
Sorgono spontanee alcune domande: il Banco di Sicilia, da sempre banca di riferimento per i siciliani, non è una infrastruttura fondamentale per una regione di oltre 5 milioni di abitanti? Anzi, non è una delle infrastrutture attorno alla quale dovrebbe ruotare la rinascita economica e sociale della Sicilia? E se è così, perché il BDS è stato sacrificato nell’interesse di altre banche?
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