domenica 22 ottobre 2017



Roberto Caballero, giornalista cinquantenne, racalmutese, ancora alla cronaca regionale, si era attirata la simpatia di Cavalieri senza merito alcuno, per un empito umano dell’affermato scrittore, segno di unapietas che non sai mai perché finisce per far capolino nei cuori più induriti .. e quello di Meluccio era molto arido … non duro ma impermeabile ... o così pensava lui..







Giunse a notte fonda, strombazzando, come a svegliarlo. “Sono sveglio … sta’ calmo che arrivo”. In vestaglia aprì il portoncino metallico, accese la luce esterna. Roberto si precipitò dentro, sciatto come sempre, barba lunga jeans vecchi e malandati, niente concessione all’andazzo di portare falsi jeans provocatoriamente laceri: quelli di Roberto erano semplicemente indecenti. Apparteneva ad una cospicua famiglia racalmutese, notai sin dal Settecento, quando erano piombati predoni e saccenti da chissà dove; Aurelio, ricercatore imbattibile della locale microstoria, diceva da Assoro. Al Circolo Unione si spettegolava che i Caballero stessero sempre sopra uno scalino … qualche volta scendevano, quando avevano bisogno … diventavano umili, sussiegosi, supplici … poi finito lo stato di necessità, eccoli subito salire su due scalini, più in alto, più ingrati, altezzosi in odiosa supponenza. Roberto, però si distingueva … intelligentissimo, stravagante, caustico di parola e di penna, aveva preso dalla mamma, non racalmutese, finissima donna che suo padre aveva fatto morire di crepacuore e di stenti, intento a ficcarsi nei talami altrui. Pare che vi riuscisse. La Sicilia cambiava: essere cornuti cominciava a divenire un fregio nobiliare, come i nobili di un tempo, solo che ora anche la plebe si nobilitava.







Ebbe tempo di mirare lo spettacolo del cielo stellato, Meluccio Cavalieri. Gli sovvenne una pagine di Aurelio, letta nell’attesa di Roberto. Non gli era sembrata spregevole, la memoria ora agghindava ancor di più il pezzo letterario. Risorgeva l’antica Grecia. Anche a Racalmuto, anche a Bovo. «….. Pindaro esaltava, a pagamento, Agrigento come la più bella città dei mortali. Racalmuto doveva fornire grano e tributi per consentire ai tiranni agrigentini di equipaggiare le costosissime corse dei carri a quattro cavalli nei giochi olimpici della lontana Grecia. Dopo, chi vinceva commissionava le famose odi a Pindaro, statue a scultori greci e profondeva doni ai santuari di Olimpia.







A Racalmuto, sulla cui economia agricola quegli eventi ebbero a pesare, giunse, sì e no, una flebile eco, se qualche signorotto di Agrigento ebbe a recarsi nelle proprie terre per refrigerarsi in qualche sua villa sulle pendici del Serrone durante la canicola estiva. Alcuni versi delle Olimpiche di Pindaro su quella vittoria col carro di Terone nel 476 a. C. ebbero ad incantare qualche nostro antenato, incolto ma sensibile all'alta poesia.: “certo per i mortali non sta/ fissa una soglia di morte,/ né quando un giorno figlio del sole/ s'acquieterà alla fine in pura felicità:/ flutti diversi, momenti alterni/ di gioia e d'affanno vengono agli uomini” eran poi versi da avvincere anche l'animo del contadino greco, intento a riverire il suo padrone, specie se questi li recita mirando le stelle cadenti del cielo senza fine dell'estate racalmutese. »







“Bisognava tornare all’antica Grecia, alle mirabili origini di una Sicilia colta e libera, della Sicania civilissima e soave, stellare, senza diritto romano, senza terrori cristiani, senza cupi preti, senza Bossi, senza Berlusconi, senza magistrati stranieri, senza capitani in giallo venuti da Arcore …”







- Ma che cazzo sussurri? ghignò Roberto.







- Va ‘ffa ‘nculo. Ti do un caffè di quelli fatti da me, ricetta di Gennarino … così mi stai sveglio.







Sorbitosi il caffè, Roberto andò a stravaccarsi sul rustico divano color senape. Si concesse una sigaretta, infastidendo Meluccio che da accanito fumatore pentito inforcava ora le cuspidi di tutte le campagne contro il fumo, anche se passivo, e si offrì in olocausto ai furenti sfoghi del suo amico scrittore.







- Dunque, che è successo?







- Hanno arrestato Vitazza.







- Tutto qua?







- … è innocente ..







- non è il primo né sarà l’ultimo.







- Qualche responsabilità c’è l’ho pure io







- L’hai denunciato?







- Ci mancherebbe altro … se lo reputo innocente?







- Pur di scriverci un libro, non saresti capace?







- Strunzu!







Con varie interiezioni, digressioni, sberleffi, contumelie, Meluccio ricostruì gli eventi dei due giorni passati. Roberto alla fine s’impazientì:







- questo Vitazza, non so se è innocente o colpevole. E come faccio a scrivere un pezzo innocentista?







- Perché è innocente!







- Sei sicuro? Sputa fuori allora la verità … secca, senza fronzoli, giornalistica …







- Dimmi pure evangelica?







- In che senso?







- Non dice Gesù di Nazareth: “il vostro parlare sia: sì, sì … no, no”







- Vorrà dire che domani scriverò: “Vitazza da Racalmuto è innocente? Rispondiamo: sì”, sai che successo giornalistico.







- Non mi imbrogliare ora tu le carte.







- E tu dammi le carte giuste ed essenziali.







- Aurelio La Matina Calello viene dunque trovato morto avvelenato il giorno dopo; i medici stabiliscono che il decesso era da retrocedere di dodici quindici ore. La morte sarebbe avvenuta dunque nelle prime ore della sera del giorno precedente, quando a Racalmuto diluviava. Fu sera da tregenda, tutti se lo ricordano qui in paese. Continuava per altre quattro cinque ore, avremmo avuto il diluvio universale; sarebbe stato il momento della verità con tutte quelle manomissioni del sottosuolo del paese, a cominciare dalla Matrice. Vi erano le carnarie, ora non vi è più nulla: le colate di cemento sospinte dalla pressione a 10/15 atmosfere sono state sbattute contro le occlusioni di piazza Castello. Quando torneranno le grandi piogge, dell’intensità di quella sera ma più continue, avremo un grande sifone a «lu chianu castieddu»; con quanti morti?







- Stringi







- Nel primo pomeriggio si era recata da Aurelio la giornalista israeliana, accompagnata da Vitazza, che subito però tornò in paese. La giornalista si accomiatava da Aurelio per il suo ritorno in patria. Aurelio era stato prezioso nel fornire dettagli e letture inusuali sugli ebrei di Sicilia e su quelli di Racalmuto.







- Fino a che ora vi è stata da Aurelio?







- Non più di un’ora. Il tempo era ancora buono. La giornalista telefonò allora alla sua amica, l’accompagnatrice turistica racalmutese. Questa si precipitò subito a Bovo. Non entrò neppure in casa. L’israeliana l’attendeva all’imbocco della stradetta. Si fece accompagnare in gran fretta a Canicattì a prendere l’autobus per l’aeroporto di Catania delle ore 17. Non riuscirà a prendere l’aereo per Roma da Catania: le grandi piogge impedirono il decollo. La giornalista si fece accompagnare in taxi in un albergo delle vicinanze. Tutti questi movimenti sono stati ricostruiti con diligenza da romanzo giallo dalla dottoressa Mangoni. Aurelio sino a sera era vivo: lo dicono i medici. La giornalista ha un alibi di ferro. Vitazza, dopo avere portato la giornalista da Aurelio, s’incontra con Bastiano Saldì, quello latitante. Sono amici da vecchia data. Il Vitazza viene invitato dal Saldì a fargli compagnia ed in macchina se lo porta allo Zaccanello. Si godono lo spettacolo della tempesta a mare. Non succede nulla. A tarda ora, i due se ne tornano a Racalmuto, quando Aurelio era morto da almeno due tre ore.







- Non è che l’ispettore bankitalia sia morto ad opera di spiriti maligni, scesi sulla terra di Bovo in quella notte da tregenda? Se fossi inglese, ci scriverei un libro di magia nera.







- Non scherzare. Non spiriti vennero a Bovo quella sera, ma uno strano cingolato creò un casino forsennato rompendo il muretto dell’ingresso, lasciando orme che neppure le grandi piogge riuscirono a levare. A guidare quel cingolato doveva essere un solo individuo, non colto e tuttavia amico di Aurelio, che ebbe ad aprirgli in quell’ora insolita senza sospetto. Gli offrì persino un caffè.







- E questo è certo?







- No, questo si suppone … ragionevolmente.







- Il cingolato è stato rinvenuto?







- Non se ne sa niente. Nessun mezzo che possa giustificare il tipo delle orme è stato rinvenuto. Si pensa ad un mezzo straniero. Dopo la morte della Mangoni, la polizia sta tentando connessioni con il mezzo che uccise la poliziotta. Ma senza risultato alcuno … almeno per quello che mi si dice. Io del colonnello Micciché mi fido ciecamente. Perché mi dovrebbe imbrogliare?







- Siamo quindi di fronte ad un assassinio senza omicida?







- Sino a quando il capitano della finanza non ha creduto di essere l’inviato del Signore che in quattro e quattr’otto ti svela l’arcano.







- E questo non ti sfagiola, non foss’altro per questione di prestigio professionale.







- Me ne sbatto le palle del prestigio … è l’innocenza di Vitazza che mi sta a cuore.







- Non è che mi hai convinto proprio tanto su questa conclamata innocenza …







- Non sono solo io ad esserne convinto … anche il colonnello Micciché ne è sicuro .. nell’incontro di oggi mi ha svelato piccoli segreti che hanno fatto chiarezza anche a me … tanti lati oscuri mi si sono chiariti. Pensavo cose inesatte, facevo confusione … Micciché ha fatto luce … il verdetto è indubitabile: non colpevole.







- Andiamo, dunque, dal giudice e con l’autorevolezza che tutti ti riconoscono, con la testimonianza di Micciché e con i flash dei miei fotografi tiriamo fuori quest’angelo dalle patrie carceri.







- Fosse facile!







- Cosa lo impedisce?







- Il capitano della finanza Bonadies.







- E’ così potente?







- È impotente e per questo è imbattibile: l’imbecillità, la testardaggine, la ruggine fra i corpi militari dello stato, la voglia di carriera, il sentirsi infallibile è un intruglio che a noi semplici mortali suona idiozia, per i militari si chiama senso dell’onore.







- Protervi!







- Domani, anzi stanotte, tu scrivi un bell’articolo, lo pubblichi e vedrai che le acque si smuovono.







- E che scrivo?







- Scrivi che ti sei incontrato con Meluccio etc., che ti ha confidato i segreti più ghiotti sulla morte dell’ispettore della bankitalia, che li ha desunti dalle carte dell’ispettore e da quelli della polizia. Un granchio prende la Finanza: non sa leggere i bilanci delle società sotto verifica e vuole leggere nei misteri dei servizi segreti …







- Come? Come?







- Servizi segreti, sì: l’omicidio di Aurelio La Matina Calello è un omicidio commissionato all’estero, da uno stato estero ed eseguito dal servizio segreto di quello stato.







- Tu vuoi scherzare?







- No, no … scrivilo … scrivi che te l’ho detto io. Scrivi che sono pronto a riferire al ministro degli interni italiano … quello è un grassone ma è un cervellone … mi è amico … ha stima .. ed io di lui .. anche se è di destra, anzi è passato a destra; mi stava meglio quando scriveva a Lotta Continua … allora non aveva capito niente ma stava dalla parte giusta … ora capisce tutto, ma gli piace stare dalla parte sbagliata .. controcorrente: è nel suo stile (e forse anche nel mio).







- Tu mi mandi dritto, dritto in galera.







- Ti farebbe bene: così rinsavisci un po’







- Anche a te farebbe bene; pure tu hai bisogno di un po’ di saggezza.







- Spiacente, per limiti di età non sono più carcerabile.







- Eseguirò a puntino. Resto, però, sicuro del fatto che Vitazza, stinco di santo non è. Amico e .. compare di Bastiano Saldì: mafia, droga, stiddara, stragi







- Contiguo? E chi non è contiguo di questi tempi? Io, tu, i reprobi ed i santi, i preti ed i malandrini, lo stato ed i magistrati, i militari ed i politici …







- Quante denunce per calunnia, oltraggio alle istituzioni, vilipendi ..debbo prenotarmi?







- Nessuna .. perché sai scrivere e queste cose le sai dire senza farti cogliere in fallo. Complimenti.







- … violazioni del segreto istruttorio, d’ufficio …







- quelle non le escludo … e ci metto anche violazione dei segreti di stato .. anzi di stati esteri … suona meglio.







- A la faccia?







- Non per nulla sei giornalista … devi rischiare ..







- E’ una vita che rischio. Il risultato? Capo cronaca di una periferica regione, di un giornale milanese che della Sicilia gliene frega un cazzo.







- Ma è il primo giornale d’Italia.







- Appunto.







- Là c’è un computer, c’è il modem .. datti da fare e subito. Dai la stura alla tua fantasia … usa il paravento: il noto scrittore Meluccio Cavalieri da Giorgenti … scrivi sempre “da Giorgenti” … ci tengo … ognuno ha le sue fissazioni … la mia tutto sommato è veniale. Sì: il noto scrittore ci confida; sostiene; ci ha svelato; contesta; è sicuro … e via di questo passo. Puoi anche sostenere che il papa è stato sodomizzato da un asino in erezione … fa ancora effetto, sai.







- Vitazza esce ed io entro, ho capito.







- Finalmente giustizia è fatta.







Roberto, sigaretta in bocca, si chinò sulla tastiera del computer e di getto scrisse i tre o quattro fogli dell’articolo. Inviò l’e-mail; si alzò, un gugno di saluto a Meluccio ed andò a buttarsi sul primo lettino che gli sembrò di potere usare. Quasi di colpo cominciò a russare. Meluccio non volle disturbarlo, spense le luci e cercò di addormentarsi anche lui. Non fu facile.















* * *







In prima battuta, la corrispondenza finì nel foglio regionale. In tarda mattinata, però, vi fu un’edizione straordinaria. L’articolo apparve in prima pagina con un titolo mirabolante, inusuale per un giornale tanto compassato come il Corriere della Sera: «Omicidio ex ispettore bankitalia – La GdiF di Agrigento depista – Certo lo zampino di un servizio segreto estero».







- Titoli così sono sospetti, disse Roberto.







- Articoli così sono pugni nello stomaco; bisogna saperli sferrare, ed il Corriere il mestieraccio suo lo sa fare, rimbeccò Meluccio.







Trillò il telefono. Segreterie particolari. Interrogatori. “Sì, lo scrittore Meluccio Cavalieri da Giorgenti, in carne ed ossa”. “Attenda, Le passo il signor ministro degli interni”.







- Ah Melu’, che mi combini – e giù una risata chiassosa, veramente divertita.







- Se il ministro della polizia si disturba, l’avrò fatta veramente grossa.







- Guarda che sono stato io ad imporre l’edizione straordinaria al Corrierone; anche il titolo ho dettato. Come ex giornalista, sono licenze che mi posso permettere.







- Come ministro degli interni .. che come giornalista il Corrierone ti mandava a fare in culo.







- Come sei volgare?







- Mai quanto un ministro di mia conoscenza. Ma a che gioco stai giocando?







- Al tuo Melu’ … al tuo …







- Dannato di un uomo … il mio è solo voglia di rimettere in libertà un mio amico di Racalmuto, un tale di nome Vitazza. Ti dice qualcosa questo nome?







- Nulla di nulla ..







- Allora dimmi quale è il tuo gioco …







- Quello che tu hai fatto sbandierare a quel povero ragazzo …







- Chi?







- Il giornalista ..







- Ma quello ha cinquant’anni.







- Sempre ragazzo per noi Melu’ .. Non so se la storia dei servizi segreti tu la conosca davvero o è stata una tua stronzata. Credo che hai inventato .. non dal nulla, però .. avrai letto qualcosa nelle carte che ho detto di consegnarti. Tu non sai e parli .. io so e non posso parlare. Ci completiamo. Bella trinità, visto che entrambi ci serviamo del cinquantenne giornalista. Polizia, letteratura e giornalismo: giustizia sarà fatta. Speriamo, almeno. Approfondisci Melu’, approfondisci .. spero davvero in te.







Ed era la seconda volta che nel volgere di 24 ore due diversi esponenti della polizia di stato gli affidavano il sovrumano incarico di fare giustizia, con la forza della penna, con la magia della fantasia. Non c’era più religione.







Nella tarda mattinata del giorno dopo, quando Roberto si decise ad alzarsi, Meluccio si accinse a fare una scappatina a casa sua, ad Agrigento. Teneva abitazione avanti la curia vescovile. Occupava la magione che era stata dei Del Carretto. Le carte di Aurelio parlavano di un palazzetto del 1300. Era detto in un atto notarile esibito ai Martino nel 1400, in un processo d’investitura. La contea della sciasciana Racalmuto nasce da un baratto fra due fratelli, Gerardo e Matteo del Carretto: a Matteo finisce “lu cannuni” ma non solo quello: questo sedicente nobile genovese in effetti si insedia a Giorgenti, vicino al vescovo naturalmente, «in quoddam hospitio magno existente in civitate Agrigenti iuxta hospitium magnifici Aloysio de Monteaperto ex parte meridiei, ecclesiam S.cti Mathei ex parte orientis, casalina heredum quondam domini Frederici de Aloysio ex parte orientis/, viam publicam ex parte occidentis et alios confines.» I grandi predoni di Agrigento stavano tutti lì. “Ed ora vi sto io” si sussurrò tra il compiaciuto e lo stomacato Meluccio. Veramente, stava al solo secondo piano: stanzoni enormi, oscenità pittoriche del Sozzi consunte, gelo d’inverno … ma d’estate c’era gradevolissima frescura, meglio qui che a San Leone. Solo che da qualche mese si era fissato per Bovo di Racalmuto: tutto l’opposto. Sperava di farsi vendere quell’anodina casetta dell’avvelenato Aurelio. Gli eredi, prima o poi, gliel’avrebbero ceduta. Non era questione di soldi. Meluccio pensò al suo antenato vescovo e botanico: forse per questo propendeva per gli orti di Bovo: Veramente, lì orti non ce n’erano: ma un progetto bolliva in pentola. Per un intuito di Aurelio si era costituita a Racalmuto una strana associazione che si denominava “IDESAM” come dire “istituto dissalatori acqua del mare”. Dal vicino Mar Mediterraneo si doveva portare l’acqua dissalata. Scavalcando politici e faccendieri, la cosa stava andando avanti. Prodi in persona se ne era interessato. I fondi comunitari stavano per arrivare. Un invaso agli sprofondi di Sacchitello era più che un progetto. Da lì acqua dappertutto, anche a Bovo, per orti, agricoltura intensiva, primaticci. Meluccio vi stava dando l’anima perché il sogno di un mare d’acqua sulla terra di Sicilia si avverasse. Ostacolavano, e di brutto, gli acquaroli di Canicattì, non mafiosi si diceva eppure molto somiglianti, con il Lasagne come loro occulto protettore sotto sembianze di verde irriducibile. “Il dissalatore inquina l’aria. Le condutture distruggono l’ambiente.” il suo slogan ad effetto. Un mare di voti lo subissava ad ogni elezione. Frotte di autobotti pompavano acqua dallo Zaccanello di Racalmuto e la portavano nei vigneti di Canicattì; si deprimeva sempre più il livello di quella falda acquifera; c’erano voluti diversi milioni d’anni per formarsi, dal pleistocene; in dieci anni, dicevano pozzaroli incolti ma esperti, il livello era sceso di sei metri. Prossimo il prosciugamento totale; incombente il fenomeno dello zubbio: volte in gesso che si erodono per reazioni chimiche e sprofondano; addio scorrimento veloce, addio terre ubertose della Menta e dintorni; povera incolumità pubblica.




Nessun commento: