venerdì 13 ottobre 2017
Cesare Battisti (1954)
Cesare Battisti (Cisterna di Latina, 18 dicembre 1954[1]) è un ex terrorista e scrittoreitaliano.[2][3][4]
È noto principalmente per un caso giudiziario internazionale. Già membro del gruppo Proletari Armati per il Comunismo, è stato condannato in contumacia all'ergastolo[5], con sentenze passate in giudicato, per quattro omicidi, due commessi materialmente, due in concorso con altri (concorso materiale in un caso, morale nell'altro), secondo la legislazione d'emergenza degli anni di piombo, oltre che per vari reati legati alla lotta armata e al terrorismo. Egli afferma la propria innocenza per quanto riguarda gli omicidi, oltre ad aver richiesto una soluzione di amnistia per il periodo 1969-1990.[6]
Dagli anni '90 si è dedicato alla letteratura, ottenendo un discreto successo con romanzi noir e ispirazione autobiografica. Trascorse la prima fase della sua latitanza in Messico e in Francia, dove beneficiò a lungo della dottrina Mitterrand e dove ottenne la naturalizzazione[7], poi revocata, infine in Brasile dal 2004. Arrestato nel paese sudamericano nel 2007, Battisti fu detenuto in carcere a Brasilia fino al 9 giugno 2011. Ha scontato in totale circa sette anni di carcere. Inizialmente gli fu concesso lo status di rifugiato, poi revocato. Il 31 dicembre 2010 il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva annunciò il rifiuto dell'estradizione in Italia e concedendo il diritto d'asilo e il visto permanente. Della questione tuttavia fu investita la Corte costituzionale brasiliana, su sollecito della nuova presidente del Brasile Dilma Rousseff, che l'8 giugno 2011 negò definitivamente l'estradizione, con la motivazione che avrebbe potuto subire "persecuzioni a cause delle sue idee". Battisti fu quindi scarcerato[8], dopo aver scontato la pena per ingresso illegale tramite documenti falsi, e rimase in libertà fino al 12 marzo 2015, giorno in cui viene nuovamente arrestato dalle autorità brasiliane in seguito all'annullamento del permesso di soggiorno[9], ma rilasciato quasi subito. Nell'ottobre 2017 fu di nuovo tratto in arresto al confine con la Bolivia, ma scarcerato poco dopo.
Secondo la legge della Repubblica Federale del Brasile i crimini commessi da Battisti sarebbero caduti in prescrizione nel 2013[10], ed è inoltre sposato con una cittadina brasiliana dal 2015, con la quale ha una figlia. Contro l'estradizione si sono schierati molti intellettuali, come Gabriel García Márquez, Bernard-Henri Lévy, Valerio Evangelisti e anche - a titolo personale - alcuni esponenti sudamericani di Amnesty International.[11][12][13][14]
Indice
[nascondi]- 1Biografia
- 2La solidarietà a Cesare Battisti
- 3Le reazioni alla mancata estradizione
- 4Cinema
- 5Opere
- 6Note
- 7Bibliografia
- 8Voci correlate
- 9Altri progetti
- 10Collegamenti esterni
Biografia[modifica | modifica wikitesto]
L'adolescenza nell'illegalità[modifica | modifica wikitesto]
Cesare Battisti nacque a Cisterna di Latina, ma crebbe nella vicina Sermoneta[15]; la sua era una famiglia di estrazione contadina e operaia[16], con tradizioni comuniste; suoi fratelli sono Vincenzo, Domenico, Assunta, Rita e Giorgio (morto nel 1980).[17][18]
Da adolescente si iscrisse al Partito Comunista Italiano e fece parte della FGCI, il gruppo giovanile del PCI, ma ne uscì poco dopo.[19] Nel 1968 si iscrisse al liceo classico, ma già nel 1971 abbandonò la scuola[20]. Fu quindi protagonista di una fase giovanile piuttosto burrascosa, segnata da atti di teppismo e di piccola delinquenza[21][22], che lo segnalarono più volte all'attenzione delle forze dell'ordine; venne infatti arrestato due volte per rapina.
Battisti fu per la prima volta arrestato nel 1972, per una rapina compiuta a Frascati[21]. Nel 1974 venne nuovamente tratto in arresto per una rapina con sequestro di persona compiuta a Sabaudia ma non scontò la pena[21]. Venne denunciato anche per essere scappato in albergo con due ragazze di 16 e 13 anni (lui all'epoca ne aveva 20), ma non venne condannato.[17]
Nel 1977 fu arrestato per aver aggredito un Sottufficiale dell'Esercito[23] mentre svolgeva il servizio militare, e quindi rinchiuso nel carcere di Udine dove entrò in contatto con Arrigo Cavallina, ideologo dei Proletari Armati per il Comunismo, che lo accolse nell'organizzazione; nei PAC era presente anche Pietro Mutti, futuro aderente a Prima Linea, poi collaboratore di giustizia e principale accusatore di Battisti e di altri, e sulla cui testimonianza si basa la quasi totalità delle condanne comminate.[21][22]
In base a questa sua politicizzazione, descrisse le rapine precedenti come espropri proletari, compiute secondo la prassi e l'ideologia dei gruppi armati dell'epoca.[19]
A tal proposito, Battisti ha sempre sostenuto di aver militato già prima di conoscere Cavallina in un gruppo armato, il Fronte Largo[19], oltre che in Lotta Continua e nell'Autonomia Operaia.[24] In un'intervista del 2014, Battisti ha altresì negato di essere mai stato un rapinatore o un delinquente abituale, e ha sostenuto di aver effettuato solo alcuni furti, sempre qualificandoli come espropri proletari, anche durante la sua prima militanza nella sinistra extraparlamentare, e di essere sempre stato comunista fin da ragazzino, in quanto figlio di militanti del PCI (suo fratello fu candidato alle elezioni locali), negando la qualifica di "malavitoso convertito alla politica" attribuitagli da Cavallina.[24] Battisti raccontò così in una lettera ai magistrati brasiliani la sua entrata nei PAC:
« In prigione ho incontrato un uomo più anziano, Arrigo Cavallina, appartenente ad un gruppo di lotta armata, i Pac. Non mi piaceva la sua personalità fredda e al tempo stesso febbrile ma mi impressionavano la sua cultura e le sue teorie rivoluzionarie anche se non capivo tutto ciò che diceva. Quando sono stato liberato nel 1976, sono tornato alla mia comunità: si era trasformata in un deserto. Alcuni compagni erano morti, morti per mano della polizia nelle manifestazioni. Gli altri erano devastati dalle droghe. A quell’epoca grandi quantità di droga a buon mercato furono distribuite massicciamente in tutte le grandi città per distruggere il movimento di rivolta. Immediatamente le consegne vennero sospese e tutti i giovani che erano caduti nella trappola dell’”eroina” si erano trasformati in fantasmi, in stato di “necessità”, preoccupati solo di trovare la droga e non più votati all’azione politica. Amareggiato da questo spettacolo feci il grande errore della mia vita: presi un treno per Milano ed entrai nel gruppo armato dei Pac. Senza comprendere a quel tempo che, anche là, sarei caduto in una trappola fatale.[16] » |
Gli anni dell'eversione e il primo arresto per terrorismo[modifica | modifica wikitesto]
Trasferitosi a Milano, cominciò a partecipare alle azioni del gruppo eversivo "Proletari Armati per il Comunismo", responsabile prima di varie rapine a banche[25] e supermercati nel quadro di quelli che all'epoca venivano definiti negli ambienti eversivi "espropri proletari"[26](come riconosciuto da Battisti stesso in una lettera del 2009 indirizzata ai giudici della Corte suprema del Brasile)[27], e successivamente anche di alcuni omicidi di commercianti e appartenenti alle forze dell'ordine.[28][29] Battisti tuttavia, pur riconoscendo la sua precedente militanza nella lotta armata, fatto da cui non si è mai dissociato o pentito[24], nel 2009 dichiarò la sua estraneità a essi, e affermò di non avere mai sparato a nessuno.[28]
In un'altra intervista dichiarò che già nel 1978 si era distaccato dai PAC, con cui, sempre secondo quanto dichiarò, collaborava solo al giornale Senza galere.[19] Precisò successivamente, nel 2014, di detenere armi, ma di non averle mai usate se non per la caccia o per sparare contro alberi.[24] L'abbandono della lotta armata, secondo sue dichiarazioni, fu dovuto al disgusto per l'assassinio di Aldo Moro, rapito e ucciso dalle Brigate Rosse.[16]
Avrebbe lasciato i PAC per sempre, sempre secondo la sua versione espressa ai giudici brasiliani, poco dopo l'omicidio Santoro, di cui si dichiara innocente, in quanto avrebbe sostenuto che le armi dovevano essere usate solo per difesa, in conseguenza del delitto Moro.[16]
Si unì poi a "un collettivo di gruppi territoriali", descritti da lui come "ugualmente armati ma non offensivi. Vivevo come molti altri clandestini in un vecchio edificio di Milano".[16]
A sua difesa afferma di avere cercato di dissuadere l'ex amico Mutti, che lo considerava "un traditore", dal continuare gli attentati, ritenendo sbagliati gli obiettivi dei PAC (commercianti che avevano sparato a rapinatori e semplici poliziotti), e di non aver condiviso né partecipato ai quattro omicidi per cui è stato condannato.[16]
Secondo le sentenze, invece, sarebbe rimasto fino al 1979 nei PAC, quando, nell'ambito di un'operazione antiterrorismo di vaste proporzioni, Battisti venne arrestato, detenuto nel carcere di Frosinone e condannato inizialmente, in primo grado (unico processo in cui non fu contumace) a 12 anni per possesso illegale di armi da fuoco e banda armata con aggravante di associazione sovversiva[30], nell'ambito del processo per l'omicidio del gioielliere Pierluigi Torregiani, ucciso nel febbraio 1979, processo poi esteso anche agli altri omicidi dei PAC[20].
Il carcere e l'evasione[modifica | modifica wikitesto]
Durante la carcerazione morì suo fratello Giorgio in un incidente sul lavoro, ma lo venne a sapere solo dopo tre mesi a causa della censura nella corrispondenza e il divieto degli incontri con i famigliari.[16]
Il 4 ottobre 1981 Battisti, che affermò di temere per la propria incolumità in prigione[16], riuscì a evadere e a fuggire in Francia. Sarà condannato in contumacia nel 1985 (sentenza confermata dalla Cassazione nel 1991) perché giudicato responsabile di quattro omicidi e di vari altri reati[20]. Viene altresì condannato all'ergastolo con sentenza della Corte d'assise d'appello di Milano nel 1988 (sentenza divenuta definitiva in Cassazione nel 1993), per omicidio plurimo, oltre che per i reati di banda armata, rapina e detenzione di armi. Negli anni, sette processi ne hanno dichiarato la colpevolezza[31]. Una volta evaso, avrebbe rifiutato la proposta dello stesso Pietro Mutti di entrare a far parte di Prima Linea.[32] L'evasione di Battisti avvenne grazie a due suoi compagni travestiti da Carabinieri che penetrarono e uscirono dal carcere di Frosinone senza sparare colpi.
La difesa di Battisti[modifica | modifica wikitesto]
Battisti sostiene di non aver mai ucciso nessuno e di non aver «mai voluto uccidere nessuno».[6] Coloro che sostengono l'innocenza di Battisti (e Battisti stesso) affermano che il processo sia stato condotto senza garanzie giuridiche, con l'uso di confessioni estorte con la violenza[33] e di "pentiti" da essi non ritenuti attendibili (poiché in cambio della testimonianza contro l'assente Battisti furono scarcerati dopo pochi anni, nonostante fossero accusati di numerosi omicidi e di attività terroristica) e contraddittori, come Pietro Mutti[33]; nei casi Sabbadin, Santoro e Campagna, Battisti fu condannato principalmente sulla base della sua testimonianza.[33][34]
- Le presunte contraddizioni del pentito
L'accusa contro Battisti si basò principalmente sulle dichiarazioni di Pietro Mutti, collaboratore di giustizia. Testimoni secondari furono i dissociati Arrigo Cavallina e l'ex compagna giovanile di Battisti, Maria Cecilia Barbetta, le cui dichiarazioni furono confrontate con quelle del pentito.[35] Secondo lo scrittore Valerio Evangelisti, le contraddizioni sarebbero molte; Mutti avrebbe anche cambiato spesso versione in cui il ruolo di Battisti è diverso e confondendo gli omicidi Santoro e Campagna nelle interviste.[16][33] Secondo Evangelisti, Battisti non avrebbe avuto altro modo per difendersi che praticare quello che definisce il "diritto all'evasione" e fuggire.[36]
La stessa Cassazione affermò che «Questo pentito è uno specialista nei giochi di prestigio tra i suoi diversi complici, come quando introduce Battisti nella rapina di viale Fulvio Testi per salvare Falcone (…) o ancora Lavazza o Bergamin in luogo di Marco Masala in due rapine veronesi. Del resto, Pietro Mutti utilizza l'arma della menzogna anche a proprio favore, come quando nega di avere partecipato, con l'impiego di armi da fuoco, al ferimento di Rossanigo o all'omicidio Santoro; per il quale era d'altra parte stato denunciato dalla DIGOS di Milano e dai CC di Udine. Ecco perché le sue confessioni non possono essere considerate spontanee».[37]
Riassumendo le contraddizioni nella testimonianza del pentito, che non affrontò comunque un contro-interrogatorio in aula; in particolare si troverebbero scarsi elementi per l'accusa in tre omicidi (Campagna, Sabbadin e specialmente Torregiani) ed elementi con molte incongruenze nell'omicidio Santoro:
- Mutti affermò, cosa ripresa dalla sentenza, che l'agente Santoro era stato ucciso da Enrica Migliorati (precedentemente accusò Giuseppe Memeo e un'altra donna, ma poi cambiò versione) e da Battisti, ma in un altro verbale afferma invece di essere stato lui, in un altro è coinvolto anche Diego Giacomin[33]; affermò di averlo visto, ma non ricorda se direttamente o dentro lo specchietto retrovisore.[38]
« Io e un altro compagno, Claudio Lavazza, operaio come me, abbiamo osservato tutto dall’auto in cui li attendevamo. Non mi ricordo se ho girato la testa o se ho osservato la scena dallo specchietto retrovisore della nostra Simca 1300. Ma l’ho visto mentre sparava. » |
(Pietro Mutti[38]) |
- Mutti affermò prima che Battisti avesse ucciso Sabbadin di persona, ma dopo la confessione di un altro militante, Diego Giacomin, sostenne invece di averlo ucciso lui stesso assieme a Giacomin, mentre Battisti faceva da copertura armata, guidando l'auto; Battisti afferma che l'autista fosse invece una donna (senza farne il nome; un'altra complice, Paola Filippi[39], ebbe l'ergastolo per concorso ma riparò in Francia[33]), adducendo altre testimonianze.[16]
- Lo stesso Mutti attribuì a Battisti l'omicidio di Campagna, adducendo come prova il fatto che Battisti glielo avrebbe rivelato in confidenza.[33] In una delle versioni una testimone inizialmente parlò anche qua di un uomo alto 1,90, versione ripresa da Mutti (talvolta scambiandola con l'omicidio Santoro[33]) e poi abbandonata: un complice che lui non riconobbe avrebbe agito con Memeo (o con una donna), ed egli lo descrisse come biondo, con la barba e alto 1,90 m[33]; l'uomo venne identificato poi con Battisti[33], che tuttavia è poco più alto di 1,60 m, non aveva la barba (anche se poteva averla posticcia) e ha i capelli castani. Battisti sostiene anche che il proiettile sarebbe stato identificato come appartenente alla pistola di Memeo, usata anche nell'assassinio Torregiani, mentre Mutti afferma che fu Battisti a sparare, cadendo in contraddizione.[16][33] Dopo 10 anni, nel 1993, una terrorista denunciata da Mutti come complice, venne assolta per questo delitto.[33]
- L'altra condanna (omicidio Torregiani) fu per il reato di "concorso morale" previsto dalle leggi speciali antiterrorismo: nel caso Torregiani, dove secondo gli innocentisti Battisti si sarebbe forse limitato a partecipare a riunioni dei PAC (o forse non ne faceva più parte), dove altri militanti avevano deciso l'omicidio, ma non ci sarebbe prova che l'abbia approvato o l'abbia organizzato, come affermato dai pentiti (Mutti e Cavallina) e dalle sentenze, in quanto i PAC contavano più di 60 militanti e Battisti era un membro di bassa importanza[33]; essi contestano anche che nei principali mass media Battisti sia stato presentato, a dispetto delle sentenze, come colui che uccise materialmente Torregiani, «sparandogli alla schiena» (in realtà il gioielliere venne ucciso da Giuseppe Memeo e da altri due complici), e che sparò al figlio di questo, rimasto paralizzato da un proiettile proveniente dalla pistola del padre, impugnata per autodifesa da Torregiani stesso (Battisti, anche secondo la sentenza, era altrove in quel momento, ad effettuare la copertura armata all'omicida di Sabbadin); accusano inoltre di presentare Battisti come "leader" o "dirigente" dei PAC, quando fu un semplice militante, o di aver affermato che Battisti uccise Torregiani durante una rapina di autofinanziamento, cosa non vera.[33]
- Presunto uso della tortura e irregolarità giuridiche
Alcuni militanti dei PAC affermarono di aver subito pesanti torture, per far loro rivelare i colpevoli dell'omicidio Torregiani.[40] Battisti ha però anche ribadito che nessuno, nemmeno sotto minaccia o tortura, ha mai fatto il suo nome come esecutore degli omicidi, tranne Pietro Mutti, in cambio di sconti di pena.[24] Mutti fece arrestare per l'omicidio Torregiani anche Sisinnio Bitti, poi risultato non coinvolto (avrà solo una pena minore) e vittima di violenze della polizia, assieme ad altri membri del Collettivo Politico della Barona, un gruppo legato all'Autonomia Operaia, che secondo gli inquirenti era legato ai PAC, poiché era aveva parlato del delitto in un bar.[41] Gli autonomi Sisinnio Bitti, Umberto Lucarelli, Roberto Villa, Gioacchino Vitrani, Annamaria e Michele Fatone (fratelli di Sante Fatone dei PAC ma non coinvolti) presenteranno esposti all'Autorità Giudiziaria per aver subito violenze dalla polizia.[42] Evangelisti riporta che almeno dieci persone avrebbero confessato, causa torture, di essere autori materiali dell'omicidio Torregiani. Sisinnio Bitti ebbe una pena minore; disse di aver subito la tortura dell'acqua[40], ed ebbe tra l'altro, secondo referto medico, l'udito lesionato dalle percosse.[43] Anche il principale accusatore Mutti potrebbe aver subito pressioni fisiche, anche se lui negò[44][45], salvo poi ammetterlo, secondo gli autori di CarmillaOnLine, in un'intervista a Panorama del 29 gennaio 2009.[46] Il pentito fu tenuto isolato in luogo sconosciuto, senza avvocato, come accaduto ad altri terroristi arrestati nello stesso periodo (gennaio 1982) che subirono violenze (quali Emanuela Frascella delle BR, uno dei casi ammessi da Salvatore Genova, membro con Nicola Ciocia della squadra di Umberto Improta durante il sequestro di James Lee Dozier).[47]
Inoltre, lo stesso avvocato di Battisti non avrebbe potuto costruire una difesa efficace in quanto fu arrestato perché accusato di complicità con i suoi assistiti. Battisti venne difeso da un avvocato d'ufficio.[43] Tra i testimoni a carico di alcuni imputati dei PAC ci furono anche una ragazzina di quindici anni, Rita Vitrani, indotta a deporre contro lo zio Sante Fatone, e dichiarata psicolabile dai periti. La Vitrani fu poi temporaneamente arrestata assieme al fratello nel 1984, durante la cattura e il ferimento di Fatone.[48] Un altro testimone, Walter Andreatta, cadde in stato confusionale e fu definito “squilibrato” e vittima di crisi depressive gravi dagli stessi periti del tribunale.[33]
Secondo Fred Vargas ci furono anche delle falsificazioni nei documenti, nei mandati e nelle firme con cui veniva assegnata la procura agli avvocati nel processo in contumacia.[16][49]
Amnesty International criticò le modalità dei processi per terrorismo e associazione sovversiva tenuti negli anni '80, sia quello ai PAC, sia altri (omicidio Tobagi e processo 7 aprile), tenuti dai pubblici ministeri Pietro Calogero e Armando Spataro.[50]
Dopo l'evasione di Cesare, i genitori di Battisti, con problemi di salute (il padre aveva un tumore, la madre era ospedalizzata), furono interrogati; i fratelli, una sorella e il cognato furono invece arrestati brevemente, detenuti in caserma e poi nel carcere di Frosinone e di Latina, interrogati - secondo la loro versione - in maniera pesante senza avvocato e poi rilasciati dopo alcune settimane. I carabinieri prelevarono una notte anche la nipote di quattordici anni che assistette all'interrogatorio dei genitori.[51] In quanto non erano ufficialmente indagati di favoreggiamento, ma solo "persone informate", nonché trattenuti in base alla legislazione d'emergenza, non furono assistiti da un legale durante gli interrogatori. I genitori di Battisti morirono pochi anni dopo, senza che lui potesse rivederli.[52]
- I test scientifici sulle armi
Un'altra linea di difesa è quella che sostiene che i test scientifici condotti sulle armi di Battisti sequestrate e analizzate, per le quali fu condannato a 12 anni - per insurrezione armata contro i poteri dello Stato e possesso illegale di armi da fuoco - avrebbero dato esito negativo e confermato che non furono mai usate per sparare nel periodo immediatamente precedente all'arresto del 1979 (mentre Battisti avrebbe dovuto utilizzarle almeno per l'omicidio che avrebbe commesso di persona lo stesso anno, quello di Campagna).[16][33]
- Il ruolo dei mass media
Alcuni di essi paragonano il caso Battisti a quello di Pietro Valpreda, l'anarchico incarcerato per la strage di Piazza Fontana, additato come "mostro" dalla stampa, sulla base di due testimonianze (Mario Merlino e il testimone oculare Cornelio Rolandi) ritenute prima attendibili e poi rivelatasi incomplete, false o lacunose, e infine assolto.[33] Ci sono stati anche paragoni, spesso polemici, tra la vicenda di Battisti e quella di Silvia Baraldini, detenuta negli Stati Uniti per accuse simili, in riferimento a reati commessi nel paese d'oltreoceano (concorso in evasione, rapina e omicidio), poi estradata in Italia nel 1999 e liberata dopo pochi anni, poiché considerata una perseguitata politica secondo il governo italiano, nonostante le proteste statunitensi.[53][54] Altri notano l'affinità con le accuse, estorte, contro Giuseppe Gulotta, un muratore siciliano condannato per la strage di Alcamo Marina, scagionato dopo più di 30 anni e 22 di carcere; un altro condannato morì in prigione e altri due fuggirono in Brasile come Battisti, protetti dal governo sudamericano, fino alla dichiarazione di innocenza nella revisione processuale.[55]
Le condanne definitive per omicidio[modifica | modifica wikitesto]
In Italia Cesare Battisti è stato condannato a due ergastoli[56] (gli ergastoli vengono considerati due, anche se nella sentenza del processo ai PAC si parla di condanna all'ergastolo, al singolare[5]) per i delitti Santoro e Campagna e svariati anni di carcere, principalmente per concorso morale nell'omicidio Torregiani (13 anni e cinque mesi), concorso nell'omicidio Sabbadin, e per insurrezione armata (12 anni), possesso illegale di armi, banda armata, associazione sovversiva, rapina, furto a cui si aggiunse poi evasione; per quanto riguarda i quattro omicidi eseguiti dal gruppo dei PAC, in tre venne giudicato come concorrente nell'esecuzione (in due avrebbe sparato di persona i colpi mortali), in uno co-ideatore, anche se eseguito da altri; durante il processo ai PAC vennero stilati in totale 68 capi d'accusa, di cui 34 anche contro Battisti. Per alcuni capi d'accusa minori venne assolto.[5] In primo grado ebbe solo una condanna a 6 anni per possesso di armi e banda armata, raddoppiati però a 12 per l'aggravante di finalità terroristica (associazione sovversiva), come previsto della legislazione speciale[30]; ormai contumace, in appello (1986) e in via definitiva (1993), subì l'ergastolo. Gli omicidi addebitati a Battisti furono:
- 6 giugno 1978 a Udine, Antonio Santoro, maresciallo della Polizia penitenziaria[57]; il delitto, subito attribuito alle Brigate Rosse[57][58], viene poi rivendicato il giorno dopo dai PAC con una telefonata al Messaggero Veneto[59]. A sparare fu Battisti, che ebbe la collaborazione della complice Enrica Migliorati[60][61]. Santoro era accusato dai PAC di maltrattamenti ai danni di detenuti[62], in seguito ad inchieste giornalistiche della stampa di sinistra, specie del quotidiano Lotta Continua, che lo accusarono di abuso d'ufficio e abuso di potere[63]; nel volantino di rivendicazione, intitolato Contro i lager di Stato, i PAC scrissero che l'istituzione carceraria andava distrutta perché «ha una funzione di annientamento del proletariato prigioniero» e di «strumento di repressione e tortura».[64][65]
- 16 febbraio 1979 alle ore 15 circa a Milano, Pierluigi Torregiani, gioielliere[66][67]; questo e il successivo delitto Sabbadin vengono rivendicati dai Nuclei Comunisti per la Guerriglia Proletaria con un volantino lasciato in una cabina telefonica di piazza Cavour a Milano[68]. Battisti, che era in un altro luogo, occupato con l'omicidio Sabbadin, fu condannato come co-ideatore e co-organizzatore. Nel corso dell'assassinio di Pierluigi Torregiani venne coinvolto anche suo figlio adottivo Alberto, che da quel giorno vive paralizzato su una sedia a rotelle per un colpo sparato dal padre durante il conflitto a fuoco con gli attentatori.[69] Torregiani, il 22 gennaio precedente, aveva ucciso un rapinatore durante una tentata rapina in un ristorante, in cui si trovava con i gioielli che aveva mostrato a una vendita televisiva; per recuperare i gioielli, Torregiani e un suo amico aprirono il fuoco contro i banditi armati che stavano svuotando la cassa del ristorante Il Transatlantico, e nello scontro che ne seguì morirono un rapinatore, Orazio Daidone, 34 anni, e un altro cliente, Vincenzo Consoli, commerciante catanese. Un altro dei clienti rimase ferito. Alberto Torregiani sostiene che i PAC scelsero il padre come vittima perché era stato diffamato dalla stampa locale e presentato come "giustiziere" (in un titolo su la Repubblica) e "sceriffo" contro gli "espropriatori proletari".[70] Secondo Battisti, i PAC consideravano Torregiani e Sabbadin come «uomini di estrema destra che praticavano autodifesa, che andavano sempre armati (una specie di milizia)», «giustizieri di estrema destra» e della "controguerriglia", praticante la giustizia sommaria.[16] Alberto Torregiani ha dichiarato di voler chiedere il risarcimento danni allo Stato italiano, anziché a Battisti, vista la mancata estradizione.[71]
- 16 febbraio 1979 alle ore 18 circa a Santa Maria di Sala, Lino Sabbadin, che svolgeva attività di macellaio[66][67]; Battisti fu complice nell'omicidio facendo da "copertura armata" all'esecutore materiale Diego Giacomin. Sabbadin, militante del Movimento Sociale Italiano,[72] si era opposto con le armi al tentativo di rapina del suo esercizio commerciale, uccidendo Elio Grigoletto, 23 anni[73]. Il figlio di Sabbadin, in un'intervista a una rivista della destra radicale francese, ha sostenuto che gli uccisori erano complici del rapinatore, ma la cosa è stata smentita, gli stessi PAC affermarono di aver voluto vendicare l'"espropriatore proletario".[62] Sabbadin aveva già subito un attentato dinamitardo da parte della Guardia Territoriale Comunista.[74]
- 19 aprile 1979 a Milano, Andrea Campagna, agente della DIGOS[75]. Il delitto fu subito rivendicato dai PAC e poi da altri gruppi terroristici, per cui i PAC intervennero con una seconda telefonata di rivendicazione in cui viene definito «torturatore di proletari»[76]. L'omicidio fu eseguito con diversi colpi d'arma da fuoco al volto, di cui fu riconosciuto come l'esecutore materiale. Campagna aveva partecipato ai primi arresti legati al caso Torregiani, in qualità di guidatore dell'auto con a bordo i capisquadra, ed era apparso in televisione accanto ad alcuni membri dei PAC e dell'Autonomia Operaia appena arrestati.
Sia Andrea Campagna sia Antonio Santoro furono in seguito insigniti della medaglia d'oro al merito civile "alla memoria".
Prescrizione e decorso delle pene[modifica | modifica wikitesto]
Alcuni reati sono prescritti: detenzione di armi, aggressione, ferimenti, cospirazione (1987) e associazione sovversiva (1991). Alcune pene specifiche della fattispecie terroristica, inflitte a Battisti e ai PAC in via definitiva nel 1993, sono cadute in prescrizione; esse sono: rapina (2013), partecipazione a banda armata (2012).[77]
Le pene per gli omicidi Torregiani e Sabbadin si prescriveranno nel 2023, mentre quelle per i reati per cui è stato condannato all'ergastolo (omicidio Santoro e Campagna) non sono invece prescrittibili.[77][78]
Qualora venisse incarcerato in Italia, Battisti dovrebbe scontare la pena cumulativa dell'ergastolo, che nei fatti, per risultanza della legge Gozzini, non si configura (tranne casi specifici) come carcere a vita, ma come una pena di circa 26 anni di reclusione, con possibilità di ottenere i permessi premio dopo 10 e la semilibertà dopo 20 (pur essendo in teoria perpetuo, e rappresentando quindi un motivo di scontro con il Brasile, la cui pena massima è 30 anni). Avendo scontato già 7 anni, almeno in teoria Battisti potrebbe ottenere di uscire brevemente dal carcere dopo soli 3 anni, se si costituisse spontaneamente alla giustizia italiana.[79] Gli avvocati di Battisti sostengono invece che non gli verrebbero mai concessi i benefici né un nuovo processo.[80]
- La prescrizione secondo il Brasile
Inoltre, secondo la legge del Brasile (dove si è rifugiato nel 2004), tutti i reati, compresi i più gravi (con eccezione dei reati di strage e crimini contro l'umanità che quindi non riguardano Battisti), si prescrivono dopo un massimo di 20 anni dalla condanna definitiva, che la difesa di Battisti riconosce nella sentenza che lo condannò all'ergastolo nel 1988, quindi nel 2008, non contando come interruzione della prescrizione l'arresto preventivo del 2007.[81][82][83] Secondo il governo italiano e alcuni favorevoli all'estradizione (come il ministro Cezar Peluso), invece, la legge brasiliana stabilisce il decorrere della prescrizione dalla sentenza definitiva del 1993, quindi nel 2013, quando la richiesta era stata ormai inoltrata. Nel 2011 quindi la prescrizione non era ancora scattata, tuttavia il termine è stato raggiunto in seguito alla permanenza in Brasile nei due anni seguenti.[84][85]
« L’estradizione non sarà concessa dallo Stato richiesto, se: a) alla data della ricezione della domanda è intervenuta, secondo la legge di uno degli Stati contraenti, prescrizione del reato o della pena.[86] » |
Il procuratore generale del Brasile, Antonio Fernando de Souza ha poi decretato che, in base alla legge brasiliana, i crimini commessi da Battisti sarebbero caduti in prescrizione solo tra il 2011 e il 2013.[10] Essendo intervenuta poi la sentenza di non estradizione, in caso di richiesta successiva dell'Italia, la difesa avrebbe invece potuto invocare la prescrizione, dopo quella data. Anche la sentenza per falsificazione di documenti del 2010 è stata prescritta, non essendo stata eseguita.[87]
La fuga in Francia e in Messico[modifica | modifica wikitesto]
Evaso nel 1981, Battisti per quasi un anno visse da clandestino a Parigi.[72] Lì si diede alla scrittura e fondò insieme ad altri una rivista culturale, Via Libre. Secondo quanto affermato dallo stesso Battisti in un articolo apparso su Paris Match il 22 luglio 2004, terminato il suo primo romanzo, questo sarebbe stato pubblicato a sua insaputa da un amico, spacciatosi per l'autore; nell'articolo Battisti non fece il nome né del romanzo, né della persona che se ne sarebbe attribuita la paternità, poiché vi sarebbe una causa per plagio in corso.[88]
Alla fine del 1981 fugge in Messico, vivendo a Puerto Escondido fino al 1990. Durante la sua latitanza messicana intervengono le condanne in contumacia, a sua insaputa.[72] Decise di dedicarsi a tempo pieno alla letteratura, anche su consiglio di Paco Ignacio Taibo II.[30][89]
Latitanza in Francia e Brasile[modifica | modifica wikitesto]
Battisti tornò in Francia nel 1990.[7][36] Nella capitale francese frequentò la comunità di latitanti italiani che vi viveva grazie alla dottrina Mitterrand. Intanto terminò un romanzo e visse traducendo in italiano racconti di autori noir francesi, tra i quali Didier Daeninckx e Jean-Patrick Manchette, tentando di aprire una lavanderia e facendo vari lavori, tra cui il portinaio dello stabile dove risiedeva.[33]
Poco tempo dopo venne arrestato a seguito di una richiesta di estradizione del governo italiano. Nell'aprile 1991, dopo quattro mesi di detenzione, la Chambre d'accusation di Parigi lo dichiarò non estradabile: tra le motivazioni, la dottrina Mitterrand che garantiva protezione ai latitanti per motivi politici e il fatto che, secondo la magistratura francese, le prove a suo carico erano "contraddittorie" e "degne di una giustizia militare".[90]
Nel frattempo, nel 1993, Gallimard pubblicò nella sua Série Noire il suo romanzo Travestito da uomo. Nel 1997 è uno dei fuoriusciti dei movimenti politici dell'estrema sinistra italiana rifugiati in Francia, riuniti nell'associazione XXI secolo, che chiedono all'allora presidente Oscar Luigi Scalfaro una soluzione politica "di indulto o di amnistia" dei reati loro addebitati.[72]
La sua attività letteraria proseguì con libri in cui espose la sua analisi sull'antagonismo radicale, il più significativo dei quali fu Orma rossa. A seguito della pubblicazione dei suoi romanzi anche in Italia, nel dicembre 2003 va in scena lo spettacolo Tracce - Scritti e letture da Cesare Battisti, interpretato da Pier Giorgio Bellocchio con la regia di Renato Chiocca.
In Francia ottenne la naturalizzazione, che gli fu ritirata nel 2004, poco prima del conferimento ufficiale del passaporto francese che ne attestasse la cittadinanza.[7] Il suo legale fece poi causa al Ministero degli Interni, vincendola nel 2006[91], ma senza che, fino ad ora (2015) gli fosse appunto conferito il passaporto, il quale impedirebbe ogni tentativo di estradizione.[7]
Il cosiddetto "caso Battisti" esplode il 10 febbraio 2004 quando viene arrestato a Parigi, inizialmente con l'accusa di aver litigato con un vicino di casa[92]. L'arresto viene reso possibile anche in virtù del "patto Castelli-Perben" del 2002 che, per reati commessi prima del 1982, limitava l'estradizione solo per i casi di eccezionale gravità[93][94].
La magistratura italiana richiese nuovamente la sua estradizione, che venne concessa dalle autorità francesi il 30 giugno: poco prima il presidente Jacques Chirac, successore di Mitterrand, aveva palesato il suo consenso all'estradizione in Italia in caso di esito negativo del ricorso in Cassazione presentato dai legali di Battisti. Il Consiglio di Stato della Repubblica francese[95] e la Corte di Cassazione[96], con due successive decisioni sulla richiesta di estradizione, autorizzarono la consegna di Battisti alle autorità italiane, segnando la fine della cosiddetta dottrina Mitterrand. A seguito di tale provvedimento francese Battisti, nel frattempo liberato, si rese latitante, lasciando la Francia e facendo perdere le sue tracce. Prima tentò di raggiungere l'Africa, passando per la Corsica, via mare su una barca, poi tornò indietro e con l'aiuto di amici, riuscì a raggiungere il Sudamerica, fermandosi in Brasile.[6]
Gli avvocati di Battisti denunciarono la violazione del divieto di doppio giudizio (ne bis in idem) in quanto nel 1991 Battisti era stato giudicato non estradabile da un tribunale francese, con pronuncia in via definitiva.[97]
Nel luglio 2005, la stampa italiana denunciò l'esistenza del Dipartimento di Studi Strategici Anti-Terrorismo (DSSA), una polizia parallela creata da Gaetano Saya, leader dei gruppi neofascisti Nuovo MSI e Partito Nazionalista Italiano, e da Riccardo Sindoca. Saya era un ex appartenente dell'Organizzazione Gladio, la stay-behind paramilitare della NATO, coinvolta in alcuni fatti della strategia della tensione in Italia, e vicino a Licio Gelli della loggia P2. Secondo il quotidiano Il Messaggero, citato anche da The Independent, fonti giudiziarie dichiararono che, in alcune intercettazioni, i membri della DSSA manifestarono l'intenzione di rapire Cesare Battisti e portarlo in Italia.[98]Secondo uno dei fratelli, già nel 1990 i servizi segreti italiani avevano tentato di uccidere Battisti.[23]
Intanto un ultimo ricorso, presentato alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, contro la sua estradizione in Italia, venne dichiarato, all'unanimità, dalla stessa Corte inammissibile nel dicembre del 2006 in quanto manifestamente infondato.[99]
Alcuni esponenti politici italiani hanno lanciato delle raccolte firme a favore dell'estradizione di Cesare Battisti.[100][101]
Sempre nel 2006 Battisti ha proclamato la sua innocenza per i quattro omicidi, mutando così la precedente linea difensiva che prevedeva l'astensione dal commentare pubblicamente la vicenda giudiziaria circa le sue responsabilità negli omicidi commessi dai PAC, definendosi un guerrigliero «che ha fatto la lotta armata negli anni '70», perseguitato dallo Stato italiano per motivi politici. Battisti si assume la responsabilità di aver militato in una banda armata sovversiva e di aver effettuato rapine e furti, ma non quella di aver ucciso; fa altresì i nomi quelli che ritiene essere i veri assassini: per l'omicidio Torregiani i condannati e rei confessi Giuseppe Memeo, Sebastiano Masala e Gabriele Grimaldi, più Sante Fatone (tutti pentiti e dissociati), per Sabbadin il condannato Diego Giacomin, reo confesso, per Santoro e Campagna il pentito Pietro Mutti, il suo accusatore, che avrebbe scaricato le colpe su Battisti, evitando l'ergastolo e subendo una carcerazione breve, di circa 8 anni.[62][102][103][104][105]
Nel 2009 Battisti si è detto pronto a incontrare i parenti delle vittime degli omicidi a lui contestati e ha dichiarato di avere già avuto un rapporto epistolare "di amicizia, sincerità e rispetto" con Alberto Torregiani.[106] Torregiani ha invece detto che Battisti gli ha scritto una lettera, nella quale, "ben lungi dal chiedere qualunque perdono né mostrare pentimento, Battisti si è proclamato innocente e vittima della situazione. Io gli ho risposto con il mio punto di vista. Non c'è dialogo possibile".[107] Nel 2014 Battisti ha sostenuto nuovamente che Alberto Torregiani avesse un buon rapporto con lui, di averlo aiutato a scrivere un libro e che questi credesse alla sua innocenza almeno sull'omicidio del padre, ma che abbia cambiato pubblicamente idea perché avrebbe ricevuto pressioni: «l'hanno minacciato di togliergli la pensione e lui ha eseguito gli ordini e si è messo a urlare contro di me. Ha cambiato idea all'improvviso, si è messo a dire che io sono un criminale quando sa benissimo che non c'entro io con la morte di suo padre».[24]
Ha invitato inoltre lo Stato italiano a «voltare la pagina» degli anni di piombo, «senza vendette tardive», chiedendo "perdono" per le vittime degli attentati del suo gruppo, ammettendo le proprie «responsabilità politiche», ma negando sempre la sua partecipazione diretta agli attacchi terroristici e rifiutando anche la parola "pentimento":[72]«Non mi pento di nulla. Non posso pentirmi di quello che non ho fatto. Mi accusano di vari omicidi. I responsabili sono stati arrestati e torturati. Quando sono avvenuti gli omicidi, già non facevo più parte dell'organizzazione».[108]
« Ma ecco, se si riconosce che c’è stato un conflitto, da entrambe le parti, chi, a parte un sadico o una persona perversa, non avrebbe pietà e compassione per il dolore, per le lacrime, il sangue da una parte e dall’altra, chi? (...) Sì, ma se ci obbligano a metterci sulla difensiva, e io dico che ho profonda compassione per i tuoi familiari, ma dei miei se ne fregano, cosa fai? Io riconosco che una vittima è una vittima e basta. Per ogni vittima dello Stato ce ne sono state decine dall’altra parte. Per questo parlo del riconoscimento del conflitto armato. » |
(Intervista a Cesare Battisti del 2013[7]) |
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