Il trambusto storico che attanaglia gli anni 1392-1396 è ben
complesso e non è questa la sede per dipanarlo: Matteo del Carretto vi si trova
impigliato in tutte le salse. Dapprima è cauto ma è palesemente condizionato
dai potenti Chiaramonte di Agrigento. Gli aragonesi che bussano alla porta non
sono graditi. Si è visto sopra come orde di militari famelici e predoni
scorrazzassero per le campagne: le terre racalmutesi del barone Matteo del
Carretto ne sono infestate. Ci si difende come si può. Ma il Duca di Montblanc
è già un duro: esige riparazioni, restituzioni; opera dunque come un
conquistatore spagnolo spietato ed ingordo.
Matteo del Carretto - stando anche a testi di storia
rigorosi - è alquanto amletico: prima blando con gli Aragonesi, ha momenti
sediziosi, si riappicifica, torna alla ribellione, ma alla fine ha modo di
riconciliarsi con i Martino e ne diviene fedele (ma prodigo e pertanto
ultraricompensato) suddito. A suon di once, solleticando oltre misura
(evidentemente a spese dei subalterni racalmutesi) ”l’avara povertà di
Catalogna”, riesce a farsi riconoscere per quello che non è mai stato: barone
di Racalmuto, il primo della serie, l’usurpatore di una condizione giuridica
che Racalmuto sin allora era riuscito ad aggirare.
Certo il predace Matteo del Carretto ebbe a vedersela brutta
incastrato tra l’incudine del duca di Montblanc ed il martello del vicino
Andrea Chiaramonte prima che questi finisse proprio male.
La storia di Andrea Chiaramonte parte, invero, da lontano e
noi qui vogliamo farne un accenno per meglio comprendere il ruolo di Matteo del
Carretto.
Alla morte di Manfredi III Chiaramonte spunta un Andrea
Chiaramonte di dubbia paternità. Nel 1391 eredita tutti i beni ed i titoli dei
Chiaramonte comprese le cariche di Grande Almirante e dell’ufficio di Vicario
Generale Tetrarca del Regno; rifiuta obbedienza a Martino duca di Montblanc e
organizza la resistenza di Palermo all’assedio delle truppe catalane.
Promuove la riunione dei baroni siciliani a Castronuovo nel
1391. Cerca di impegnarli alla difesa dell’Isola contro i Martino. L’anno dopo
(1392) arresosi ad onorevoli condizioni, viene preso con inganno e decapitato
dinanzi allo Steri il 1° giugno dello
stesso anno. Matteo del Carretto, con sangue chiaramontano nelle vene, prima
parteggia per Andrea ma poi l’abbandona al suo destino, trovando più
conveniente fiancheggiare i nuovi regnanti venuti dalla Spagna. Racalmuto può
finire - o ritornare - nel pieno dominio di questo cadetto della famiglia
originaria di Savona, destinata nel Quattrocento a nuovi protagonismi feudali.
Un figlio naturale di Matteo Chiaramonte, Enrico, appare
sulla scena politica siciliana per lo spazio di un mattino: nel 1392 si sottomette
a Martino dopo la morte di Andrea e si rifugia con aderenti e amici nel
castello di Caccamo, che successivamente dovette abbandonare per andare esule
in Gaeta, dove sembra abbia finito i suoi giorni.
La nobile prosapia scompare dall’Isola e non vi torna mai
più a dominare. La sua storia è quasi tutta la storia di Sicilia nel Trecento
ed ingloba la dominazione baronale su Racalmuto. In quel secolo non sono i del
Carretto ad avere peso sull’umano vivere racalmutese; forse una intermittente
incidenza la ebbero i Doria (in particolare, Matteo Doria); per il resto il
potere porta il nome dei Chiaramonte, il potere sul mondo contadino; quello
delle grassazioni tassaiole; quello delle cariche pubbliche; quello stesso che
investe i pastori delle anime: preti, religiosi, chiese, confraternite, decime
e primizie. Oggi, i racalmutesi, fieri delle loro due belle torri in piazza
Castello, non serbano ricordo - e tampoco rancore - per quei loro antichi
dominatori e gli dedicano strade, con dimesso rimpianto, quasi si fosse
trattato di benefattori.
La turbolenta vita di Matteo del Carretto emerge da un
diploma () del 1395 (die XV° novembris Ve Inditionis) che fu al
centro dell’attenzione anche del grande storico siciliano Gregorio (): « Matheus de Carreto miles baro
terre et castrorum Rahalmuti - vi si annota in latino - ultimamente si rese non ossequiente
verso la nostra maestà.» Certo quel “castra” al plurale starebbe a dimostrare
che sia “lu Cannuni” sia il “Castelluccio” erano appannaggio di Matteo del
Carretto. Poi, il Castelluccio, quale sede di un diverso feudo denominato
Gibillini passa nelle mani di Filippo de
Marino, fedelissimo vassallo del Re
(1398); non abbiamo la data precisa della concessione; per quel che vale il de
Marino figura possessore del feudo di Gibillini nel ruolo del 1408 dello pseudo
Muscia. ()
Le note storiche che riusciamo a cogliere nel cennato
diploma del 1395 concernono i seguenti passaggi dell’andirivieni opportunistico
del nostro primo barone: su istigazione di alcuni baroni, Matteo del Carretto
si dà alla ribellione contro i Martino; tardivamente fa credere (il re spagnolo
ha voglia di credere) che non fu per sua cattiva volontà (voluntate maligna) ma
per la minaccia che gli avrebbero diversamente occupate le terre. Matteo è
pronto a prosternarsi dinanzi ai nuovi regnanti spagnoli e fa intercedere
l’altro ribelle - rientrato nell’ovile - Bartolomeo d’Aragona, conte di
Cammarata. Questi viene ora accreditato dalla corte panormitana “nobile ed
egregio nostro consanguineo, familiare e fedele”. La riconciliazione - non
sappiamo quanto costata al neo barone di Racalmuto - è contenuta in capitoli
che strutturati “a domanda ed a risposta” così recitano:
"Item peti chi a misser Mattheu
di lu Carrectu sia fatta plenaria remissioni et da novu confirmationi a se et
soi heredi de tutto lo sò, tanto castello quanto feghi quantu burgensatichi, li
quali foru e su de sua raxuni, et chi li sia confirmatu lu offitio de lu mastru rationali lu quali per lu dictu
serenissimu li fu donato et concessu, oy lu justiciariatu dilu Valli di
Iargenti" - Placet providere de officio justiciariatus cum fuerit
ordinatus, quousque officium magistri rationalis vacaverit, de quo eo tunc
providebit eidem.”
Matteo del Carretto vorrebbe dunque essere riconfermato
nell’officio di “maestro razionale”, cioè a dire vuol ritornare ad essere
l’esattore delle imposte; ma l’ufficio è ora occupato irremovibilmente da
altri; il nostro barone allora si accontenta dell’ufficio del giustiziariato di
Girgenti. Il re acconsente.
Il diploma prosegue:
"Item peti chi lu dictu misser
Mattheu haia tutti li beni li quali ipso et so soru [2] havj a Malta".
Placet.
Notiamo il fatto che Matteo aveva anche una sorella con la
quale condivideva proprietà a Malta.
Item peti "Lu dictu misser
Mattheu chi in casu chi, perchi ipso si reduci ala fidelitati, li soi casi,
jardini oy vigni chi fussero guastati oy tagliati, chi lu ditto serenissimo
inde li faza emenda supra chilli chi li farranno lo dannu oy di li
agrigentani". Placet.
E’ uno squarcio altamente rivelatore: Racalmuto dunque era
stato assediato e assoggettato ad angherie militari come saccheggi e
distruzioni. Case, giardini e vigne del barone erano stati pesantemente
danneggiati (“guastati”, alla siciliana, recita il testo). Se ne attribuisce la
colpa agli agrigentini.
Item peti "lu ditto misser
Mattheu chi in casu chi lu so castello si desabitassi chi quandu fussi la paci
li putissi constringiri a farili viniri a lu so casali." Placet.
Il feudo di Racalmuto si era spopolato, dunque. Tanti
villani erano fuggiti; la servitù della gleba - allora sotto diversa forma
drammaticamente imposta - aveva trovato uno spiraglio per empiti di libertà.
Con la forza, ora il barone poteva andare all’inseguimento di quei fuggiaschi e
ricondurli alle pesanti fatiche del lavoro dei campi coatto.
La formula, dunque, fu assolutoria, ampia, faconda,
onnicomprensiva, rassicurante. Ancora una volta ci domandiamo: quanto è
costata? Chi ha pagato? Quale ripercussione sulle esauste finanze racalmutesi?
La chiosa finale fu ulteriormente munifica per
l’avventuriero ligure che prende inossidabile possesso delle nostre terre, dei
nostri antenati, della giustizia che è possibile praticare nelle plaghe del
nostro altipiano. Storia appena “descrivibile” per Sciascia: materia di riprovazione
politica ed accensione passionaria per noi. Sciascia non amava i sentimenti
(forse faceva eccezione per i risentimenti). Più che per il “tenace concetto”
(che poi era solo testardaggine) di fra Diego La Matina, gli stilemi sciasciani
avrebbero avuto più valore civico se rivolti a stigmatizzare questo trecentesco
impossessamento dei liguri del Carretto di noi tutti racalmutesi.
Non tutto è negativo però nella storia di Matteo del
Carretto: pare che s’intendesse di letteratura e addirittura di letteratura
francese (sempreché questo vuol dire un ordine ricevuto da Martino nel 1397).
Ne parla Eugenio Napoleone Messana; ma la fonte è Giuseppe Beccaria () che ha
modo di narrare:
«Costoro [armate spagnole guidate da Gilberto Centelles e
Calcerando de Castro] e con cui era anche Sancio Ruis de Lihori, il futuro
paladino della seconda moglie di Martino, la regina Bianca, approdavano in
Sicilia nello scorcio del 1395; e nel 1396 ultima a cedere tra le città appare
Nicosia, ultimo tra i baroni Matteo del Carretto, signore di Racalmuto [pag.
17] ...
Il 5 giugno, infatti, nel 1397 egli [il re] scriveva da
Catania a un certo Matteo del Carretto chiedendogli in prestito la Farsaglia di Lucano in lingua francese,
di cui costui teneva un bello esemplare, allo scopo di leggerla e studiarla e
metterne a memoria alcune delle storie.» ()
Matteo del Carretto ebbe quindi a subire le vessazioni della
curia che non voleva riconoscergli i titoli nobiliari che i Martino in un primo
momento sembravano avergli consentito. E’ costretto a scomodare il fratello
Gerardo della lontana Genova, notai di Agrigento, deve oliare abbondantemente
le ruote della corte e quando sta per riuscire nell’impresa ecco arrivare la
morte. Tocca al figlio Giovanni I continuare le beghe legali. E se in un atto
del 13 aprile del 1400 il barone capostipite appare ancora in vita, il 22
agosto del 1401 risulta già defunto. Gli succede Giovanni I del Carretto
GIOVANNI I
DEL CARRETTO
Nato nella seconda metà del Trecento, muore attorno al 1420:
eredita dal padre la baronia di Racalmuto quando ancora irrisolti erano certi
inceppi giuridici che la corte frapponeva, e riesce a definirli. Con lui non vi
sono più dubbi che Racalmuto fosse feudo dei del Carretto: manca però un
tassello; non è certo se spetti a questi trapiantati liguri il sovrano diritto
del mero e misto imperio. La questione si riproporrà a fine ’500.
Apparentemente risolta a favore dei del Carretto, saranno preti irriducibili
quale il Figliola e l’arciprete Campanella che la revocheranno in dubbio nella
seconda metà del Settecento e l’avranno vinta, forse perché allora spirava
l’aria illuminista del viceré Caracciolo.
Nel processo d’investitura del successore di Giovanni,
Federico del Carretto, abbiamo vaghi dati biografici di questo barone di Racalmuto.
Vi si legge tra l’altro:
magnificus dominus Mattheus di lu Garrettu fuit et erat
verus dominus et baro dictorum casalis et castri Rayalmuti percipiendo fructus
reditus et proventus paficice et quiete et de hoc fuit et est vox notoria et fama publica et ..
dictus quondam magnificus dominus Mattheus de Garrecto et quondam magnifica
domina Alionora fuerunt et erant ligitimi maritus et uxor ex quibus iugalibus
natus et procreatus fuit magnificus quondam dominus Joannis de Garrecto qui
subcessit in dicto casali et castro Rayalmuti tamquam filius legitimus et
naturalis percipiendo fructus reditus et proventus usque ad eius mortem et de
hoc fuit vox notoria et fama publica et ..
ex dicto magnifico domino Johanne et magnifica domina Elsa
jugalibus natus et procreatus fuit dominus magnificus dominus Federicus de
Garrecto ad presens baro dictae baronie Rayalmuti et qui tamquam filius
legitimus et naturalis subcessit in baronia predicta percipiendo fructus
reditus et proventus et de hoc fuit et est vox notoria et fama publica etc. ..
Giovanni del Carretto nasce dunque da Matteo ed Eleonora del
Carretto; da una certa Elsa procrea quello che sarà il suo erede nella baronia,
Federico del Carretto.
Fu un legittimo matrimonio? La formula del processo non
lascia adito a dubbi (filius legitimus et naturalis) ma un vallo di tempo
troppo lungo (dalla presunta morte di Giovanni I, attorno al 1420, sino alla
data del processo d’investitura di Federico caduta nel 1452 passano ben 32
anni) induce a dubitare, specie se si dà credito allo Bresc che vuole la nostra
baronia passata di mano agli Isfar, sia pure per una inverosimile dissipazione
dei beni da un Giovanni I del Carretto, inopinatamente divenuto sperperatore -
secondo lo stesso Bresc - delle proprie fortune.
Dagli archivi di Stato di Palermo emerge il ruolo di
Giovanni I del Carretto nella gestione della baronia racalmutese: in data 17
agosto 1401 giungeva una lettera da
Catania per la sistemazione delle pendenze fiscali.
Martino segnalava che era stata fatta un’inchiesta
tributaria relativa ai riveli ed alle decime per il tramite di Mariano de
Benedictis. Questa la situazione del giovane barone di Racalmuto: v’era la successione della baronia da Matteo
al medesimo Giovanni I; al contempo si erano accumulate due annualità scadute,
quella relativa alla settima indizione (1399) e l’altra riguardante l’ottava
(1400), nonché quella in corso (1401); ne conseguiva un carico di 40 once
d’oro. Il diploma che ha il sapore di una quietanza attesta che la posizione
era stata sistemata come segue: 30 once
in contanti e dieci a compensazione di
un mutuo a suo tempo approntato da Matteo del Carretto alla curia regale.
Nella «Storia di Sicilia» vol. III, Napoli 1980, pag.
503-543 Henri Bresc scrive (sia pure in una traduzione dal francese rinnegata)
: «Il basso costo della terra - che si
segue sulla curva dei prezzi medi dei feudi venduti dalla nobiltà - obbliga ad
un indebitamento sempre più pesante ed ad una gestione molto rigorosa del
patrimonio residuo. E ci si avvia all’intervento della monarchia e della classe
feudale nell’amministrazione dei domini fondiari e delle signorie: Giovanni del
Carretto è così privato nel 1422 della sua baronia di Racalmuto, affidata in
curatela a suo genero Gispert Isfar, già padrone di Siculiana». Non viene
però citata la fonte, per cui la notizia va presa con le molle.
Nella nuova opera, invece, “Un monde etc” altrove citata, vi
è qualcosa in più: viene precisata la fonte.
Racalmuto viene menzionato a pag: 64; 798; 803; 880; 893. La
sua baronia a pag: 417 e 872. L’argomento che qui interessa è trattato a pag.
880. La parte narrativa non mi pare fraintesa dal traduttore del 1980. In
francese, recita: «La baisse du prix de
la terre - que l’on suit sur la courbe des prix moyens des fief vendus par la
noblesse - oblige à un endettement toujours plus grave et à une gestion très
rigoureuse du patrimoine résiduel. Et l’on s’achemine vers l’intervention de la
monarchie et de la classe féodale dans l’administration des domaines fonciers
et des seigneuries: Giovanni del Carretto est ainsi dépouillé en 1422 de sa
baronnie de Racalmuto, confiée en curatelle à son gendre Gispert d’Isfar, déjà
maître de Siculiana.» E qui la nota che non trovasi nel testo del 1980: «ACA Canc. 2808, f. 54: le bon baron vivait joyeusement,
et mangeait son blé en herbe, ce qui passe, aux yeux de l’avide catalan, pour
“simplicitat ... fora de enteniment rahonable”». ()
Sarebbe da rintracciare il foglio 54 (in calce citato) al
fine di ben ricostruire questa vicenda della curatela della baronia di
Racalmuto affidata a Gispert d’Isfar.
Una quadratura del cerchio noi la tentiamo pur sapendo che è
molto sdrucciolevole: forse attorno al 1420 Giovanni I del Carretto cessò di
vivere lasciando piuttosto imberbe il suo primogenito Federico. Gispert Isfar,
l’intraprendente genero brigò facendo apparir miseria là dove non c’era per
sottrarre l’eredità e la successione baronale di Racalmuto alle pesanti
tassazioni spagnole (donde gli incerti diplomi appena abbozzati dal Bresc).
Resta anche saliente il fatto che il caricatoio di Siculiana, antico retaggio
dei del Carretto, passa di mano e finisce in preda degli Isfar (una dote della
figlia di Giovanni del Carretto o un’usurpazione avallata da Barcellona?).
FEDERICO DEL CARRETTO
Singolare quel nome che come quello di Ercole figura una
sola volta nella genealogia dei baroni del Carretto di Racalmuto. Di Federico
del Carretto abbondano però le cronache agrigentine, ma trattasi di figure dei
vari rami cadetti.
Non possiamo dubitare che sia il figlio legittimo e naturale
di Giovanni I del Carretto. Con Federico si iniziano i processi palermitani
dell’investitura del titolo feudale di Racalmuto e lì - in diplomi a ridosso
degli eventi - la sequenza genealogica è inequivocabile (come abbiamo visto dai
passi in latino sopra riferiti).
“Filius legitimus et naturalis” di Elsa e Giovanni I del
Carretto è, invero, dichiarato ma non si accenna neppure larvatamente al
requisito (indispensabile nel diritto feudale dell’epoca) della primogenitura.
Giovan Luca Barberi - quanto pignolo Dio solo sa - non ha però dubbi ed avalla
l’investitura nei seguenti termini:
«E morto Giovanni, successe Federico del
Carretto, suo figlio primogenito, legittimo e naturale, il quale Federico
ottenne dal condam Simone arcivescovo palermitano l’investitura della detta
terra per sé ed i suoi eredi sotto vincolo del consueto servizio militare e con
riserva dei diritti della regia curia e delle costituzioni del signor Re
Giacomo e degli altri predecessori regali edite sui beni demaniali, come
risulta nel libro grande dell’anno 1453 nelle carte 565. » ()
Nel 1410 la Sicilia visse la svolta del vuoto di potere
determinatosi per il decesso senza eredi legittimi dei due Martino e subì i
traumi dell’interstizio determinato dalla contrastata reggenza della regina
Bianca. Con il 1416 si apre la lunga gestione di Alfonso d’Aragona che dura ben
42 anni. Ed è verso la fine del regno alfonsino che Federico del Carretto
s’induce a sborsare i quattrini per avere il riconoscimento della baronia di
Racalmuto. Alfonso d’Aragona gli accorda quella investitura ma a queste condizioni:
•
presti il cosiddetto servizio militare e cioè corrisponda 20
once ogni anno;
•
renda l’omaggio nelle forme solenni del tempo;
•
restino salvi i diritti di legnatico dei cittadini
racalmutesi;
•
e del pari restino riservate
alla Corona le miniere, le saline, le foreste e le antiche difese;
•
resti salvaguardata la libertà di pascolo nel casale e
nell’annesso feudo per gli equipaggiamenti regi.
Per il resto possesso assoluto sino al mare.
Una cosa è certa; Federico del Carretto era saldamente
insediato nella baronia di Racalmuto ben prima che avesse l'investitura da
Alfonso d'Aragona l'11 febbraio 1453. Reperibile presso l'archivio di Stato di
Palermo il contratto che lo vedeva associato nel 1451 con Mariano Agliata per
uno scambio di grano delle annate del 1449 e 1450 contro quello di Girardo
Lomellino consegnabile a luglio. Il Bresc [op. cit. pag. 884] commenta: «ce qui
permet une fructueuse spéculation de soudure». In termini moderni si parlerebbe
di outright in grano. La
domiciliazione sarebbe stata pattuita presso il "caricatore" di
Siculiana. ()
Sempre il Bresc fornisce un'altra interessante notizia:
secondo quello che appare nella tavola n.° 200 di pag. 893, Federico del
Carretto sarebbe stato coinvolto in una rivolta antifeudale estesasi anche a Racalmuto.
Questa volta la fonte citata è un libro: «Luigi Genuardi, Il
Comune nel Medio Evo in Sicilia, Palermo, 1921».
GIOVANNI
II DEL CARRETTO
La rivolta a Racalmuto del 1454 di cui parla il Genuardi
dovette essere cosa seria se da quel momento sino al 1519 i processi
d’investitura tacciono.
Dalla ficcante indagine del Barberi sappiamo - e non c’è
motivo di dubitarne - che a Federico successe Giovanni II del Carretto. Non
sappiamo quando e come. Il Baronio, lo storico di famiglia del Carretto del 1630,
ne sa ben poco: «Ioannes natus maior, cum familiam rebus praeclare gestis
aeternitati commendasset. Herculem, ac Paulum habuit sibi, nec maioribus
dissimilem suis. In unoquoque semper avitae nobilitatis fulgor eluxit.» Parole
di circostanza per colmare evidenti carenze di notizie. Quali fossero quelle
gesta che affidarono la famiglia alla memoria dei tempi futuri, non ci dice e
noi non ne abbiamo nessuna ... memoria.
Accontentiamoci del fatto che fosse il figlio maggiore [natus maior] e che avesse partorito il
successore Ercole, il celebre falso conte della venuta della Madonna del Monte,
e Paolo di cui gli archivi vescovili di Agrigento ci hanno tramandato qualche
dato sulla sua litigiosità con i sindaci di Racalmuto ().
Apprendiamo dalla valida ricerca del Sorge su Mussomeli ()
che «lu fegu di Rabiuni lu teni lo Mag.co
Baruni di Regalmuto per anni ... vinduto per lo Mag.co Signuri Pietro lo Campo
unzi trentacincho, uno vitellazzo, una quartara di burru, uno cantaro di
formaggio.»
Quando sia avvenuta quella vendita non ci è noto; il
rendiconto è del 1486 e come si è visto, non è neppure detto a quali precedenti
anni si riferisse la vicenda di cui alla posta contabile. Da quel che si legge
nel Sorge (op. cit. pag. 209 e segg.) potrebbe trattarsi degli anni attorno
all’11 ottobre 1467 (data in cui “venne stipulato il contratto col quale il
procuratore di Ventimiglia rivendette a Pietro del Campo la baronia di
Mussomeli, col suo castello ...”). Le nostre successive indagini presso gli
Archivi di Palermo (in particolare “Archivio Campofranco, Fatto delle cose notabili etc.” e “Conservatoria, Privilegia, confiscationes bonorum et
investiturae, 1459 e 1489, foglio 536”, di cui in Sorge) non ci hanno
sinora consentito di chiarire alcunché quanto ai del Carretto e
specificatamente a chi si riferisse l’atto di vendita del feudo Rabiuni di
Mussomeli. Azzardiamo il nome di Federico del Carretto. Sembra dunque appurato
che dal 1459 al 1489 la famiglia del Carretto si sia bene ripresa dalla crisi
del 1454 ed abbia avuto fondi sufficienti per acquistare il costoso feudo
Rabiuni di Mussomeli e mantenerlo anche se notevolmente oneroso. Del resto, in
quel tempo, Racalmuto dovette divenire un centro di abbienti: nello stesso
“conto del segreto Bonfante del 1486” (di cui in Sorge pag. 386) si accenna al
possesso feudale di un altro racalmutese. «Lu
fegu di Santu Blasi - vi si annota - lu
teni Mazzullo di Alongi di la terra di Regalmuto per anni 3 videlicet quinte
Ind. 6 Ind. E 7 Ind. Et pri unzi quattordichi quolibet anno uno crastatu, uno
cantaro di formaggio, et una quartara di burru quolibet anno da pagarsi la
mitati a menzu Septembru et la mitati a la fera di Santu Juliano intentendosi quindici
anni primi poi di Pasqua.» ()
Il Barberi, che l’inchiesta - piuttosto acidula contro i del
Carretto - la fa a ridosso degli anni
della baronia di Giovanni II, ha questi appunti critici:
«E morto
il cennato Federico, gli successe Giovanni del Carretto, suo figlio, il quale,
come appare dall’ufficio della regia cancelleria, non prese giammai
l’investitura della detta terra.»
ERCOLE DEL CARRETTO
E subito dopo abbiamo Ercole del Carretto,
quello che le saghe sulla venuta della Madonna del Monte chiamano “conte”. Il
Barberi annota su di lui:
«Morto il
detto Giovanni, gli successe Ercole del Carretto figlio legittimo e naturale e
maggiore del detto Giovanni, del quale del pari non risulta investitura alcuna
ed al presente si possiede quella terra per lo stesso Ercole del Carretto, con
un reddito annuo superiore ad once 700.»
Il Baronio, come si è visto, quasi non lo cita: un accenno
trasversale, come si fosse trattato di un riflesso sbiadito del gran fulgore
che era stato il padre.
Il Barberi ebbe a conoscerlo giacché è proprio sotto Ercole
del Carretto che visita Racalmuto come lascia intravedere il passaggio : al presente si
possiede quella terra per lo stesso Ercole del Carretto, con un reddito annuo
superiore ad once 700.
Settecento once di
reddito - a meno che non trattisi di esagerazioni fiscali alla stregua delle
mirabolanti cifre dei moderni accertamenti degli agenti tributari - sono
un’enormità. Sia quel che sia, Racalmuto dunque in esordio del ‘500 - e proprio
sotto Ercole del Carretto - ha un salto quantitativo, un sussulto verso il
grande centro. Nostri precedenti studi () hanno messo in evidenza questo
significativo passaggio demografico e sociale. Dal rivelo del 1505 (un paio
d’anni dopo la venuta della Madonna) emerge una popolazione aggirabile sui 1600
abitanti: un secolo prima (nel 1404) erano poco più di 750. Certo, la baronia
dei del Carretto non era stata molto felice e varie strozzature demografiche e
sociali si erano verificate. Le abbiamo notate in quello studio, ma tutto sommato
si poteva essere abbastanza soddisfatti.
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