Il 25 luglio del 2008 Giuseppe Casarrubea si scatena nel suo blog e sbatte un mostro nella sua avvenente pagina informatica. Appigli, dicerie, sospetti, infamie, cervellotiche congetture, rabbie titine, malaccorte letture di documenti, tutto viene cucinato da quest'uomo cresciuto nell'ambiente esoterico del polentone Danilo Dolci, pur di infangare la memoria di un grande e intemerato (almeno giudiziariamente) personaggio storico. Noi qui riportiamo quel link. Avremo modo di passare tutto al setaccio di una critica che si avvale dei riscontri documentali visti nella loro contestualità e alla luce di valutazioni da parte di storici obiettivi che cercano di fare storia e non lotta politica.
occorre conoscere il passato per dare risposte al
futuro
Pubblicato il 25 luglio 2008 di casarrubea
La Sicilia, diceva Goethe, è un luogo da dove puoi capire meglio il mondo.
E aveva ragione, ma non per motivi campanilistici, visto che l’illustre
letterato era tedesco, quanto perché, a ben guardare la storia e gli uomini che
l’hanno animata, dalla capitale siciliana partono e si concludono molte vicende
umane e politiche che hanno segnato i caratteri del nostro tempo. Sono stati,
talvolta, eventi apparentemente minuti, letti con una visione localistica, e
che pertanto non ci hanno consentito di vedere più ingrandite le cose. Per
capire, trarre una lezione. La Sicilia è legata, ad esempio, alla Slovenia da
molti fatti su cui è doveroso riflettere.
Banda Collotti: un
modello di banda anticomunista operativa nell'area di Trieste. Costituisce un
precedente della banda Giuliano nella Sicilia di Messana, già questore di
Lubiana (1941-'42). La foto mi é stata gentilmente fornita dalla storica
triestina Claudia Cernigoi.
Legami che scopri se ti metti a fare il Marlowe della situazione, su una
pista precisa, come un segugio. Basta un nome: Ettore Messana, siciliano di
Racalmuto, classe 1888, di professione ufficiale di polizia. Nel 1919 lo
troviamo impelagato nella strage di Riesi. Tiene “a battesimo”, a modo suo, le
lotte contadine. Venti morti. Poi si specializza nel ventennio nero, grazie
all’appoggio che gli forniscono uomini dell’apparato come Ciro Verdiani e
Giuseppe Gueli, che di polizia e di spionaggio se ne intendono più dello stesso
ministro fascista Buffarini Guidi. Nell’aprile del 1941 la sua carriera è a una
svolta. Le truppe italo-tedesche invadono il Regno di Jugoslavia e l’Italia si
annette gran parte della Slovenia. Messana diventa questore di Lubiana tra
l’aprile del 1941 e il maggio 1942, per poi svolgere la stessa carica a Trieste
(1942-1943) fino alla destituzione di Mussolini. Il questore non è uno
qualsiasi. Il suo nome compare in un elenco di 35 ricercati per crimini di
guerra. Aveva scatenato una lotta feroce contro gli sloveni, una crociata che
portò lo Stato fascista ad una decisione abominevole: la creazione di decine di
campi di concentramento per sloveni, sparsi tra l’Italia, e la Dalmazia. Vi
trovarono la morte migliaia di civili, uomini, donne e bambini, stroncati dalla
fame e dalle malattie. Solo a Gonars di morti se ne contarono 500 in un anno.
Il folle obiettivo di Mussolini era snazionalizzare gli sloveni e renderli
“civili” e italiani. Nel “sacro” nome di duemila anni di civiltà romana.
Pulizia etnica allo stato puro. A tracciare un profilo del Messana è la
Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra, su indicazione del
governo jugoslavo. Era il 1945 quando questo signore, sul quale pendevano gravi
atti di accusa minuziosamente documentati, anziché essere incarcerato dal
secondo governo di Ivanoe Bonomi (che aveva Alcide De Gasperi agli Esteri e lo
stesso presidente del Consiglio agli Interni) fu promosso ispettore generale di
pubblica sicurezza in Sicilia. Diventò il referente principale della banda
Giuliano e di Salvatore Ferreri, inteso Fra’ Diavolo. Due giovanotti che non
erano montanari che “tenevano passo” nel palermitano, come ci hanno voluto fare
credere rotocalchi e cinegiornali di cinquant’anni fa. Provenivano dritti
dritti dall’eversione nera di Salò, i cui simboli erano le teste di morto e il
gladio romano. “Nel periodo in cui fu questore a Lubiana – leggiamo in un
documento – si verificarono arresti giornalieri degli aderenti e dei simpatizzanti
del Fronte di Liberazione (Osvobodilna Fronta: OF). Si sparava agli sloveni
senza motivo e la causa delle morti si attribuiva alle loro fughe. […] Ettore
Messana è responsabile della fucilazione dei primi ostaggi nel periodo che va
dal 1 maggio 1942 (quando vennero fucilati Siper e Gasperlin) fino alla sua
partenza da Lubiana […]”.
Il 1947 fu l’anno che chiuse la carriera di questo poliziotto potente e
oscuro, che era iniziata nel biennio rosso. Nel 1945 pensava alla pensione e a
qualche pellegrinaggio al suo santo protettore che l’aveva transitato incolume
alla nuova Repubblica democratica. Ma dall’alto arrivarono altri segnali.
Qualcuno gli ordinò di restare in carriera, ora che il nuovo pericolo si
chiamava “comunismo”. Operò in un momento delicato, in quegli anni turbolenti
di lotte contadine e di speranze di pace. In apparenza era il banditismo il
nemico da battere. Ma guarda caso, i fuorilegge dell’isola vissero il loro
periodo migliore e il movimento democratico finì nella polvere. E ci furono due
stragi terribili, il battesimo di fuoco della neonata Repubblica: Portella
della Ginestra e gli assalti alle Camere del Lavoro. Tornavano in auge i
criminali metodi attuati durante la guerra, quando a Trieste la banda Collotti
infieriva contro comunisti e dissidenti sotto l’occulta regia delle autorità
nazifasciste. Uno squadrone della morte al servizio dello Stato. Un comunista
come Li Causi non ebbe peli sulla lingua e accusò Messana di essere proprio lui
il “capo del banditismo politico” nell’isola. E forse alla banda triestina
pensava anche il capomafia di Monreale don Calcedonio Miceli, quando al
processo di Viterbo, interrogato dal presidente del tribunale su Giuliano, ebbe
a dire che il “re di Montelepre” era il capo di un “plotone di polizia”. Per
nostra fortuna, non era solo un boss ad avere una simile opinione. Tant’è che
in un rapporto segreto del Servizio Informazioni e Sicurezza (Sis), scritto
nell’immediato dopoguerra, leggiamo: “ Alla questura di Lubiana si eseguivano
torture. Il ten. Scappafora dirigeva le operazioni di tortura, mentre il
questore Messana esortava personalmente gli aguzzini ad infierire contro le
vittime. […] Messana era considerato uno dei maggiori carnefici.” E, a
proposito dell’assassinio del grande dirigente sindacale di Sciacca, Accursio
Miraglia (4 gennaio 1947), in un lungo rapporto della questura di Agrigento si
evidenziano, nel dettaglio, le gravi lacune nella conduzione delle indagini:
“Non si ebbe intuito felice – scrive il funzionario – nelle indagini dirette a
far luce sul delitto, essendo state queste iniziate e proseguite con leggerezza
e superficialità ed in direzione prefissata”.
Una figura da incubo, insomma, quella di Messana, tanto più che passò
indenne dagli orrori del nazifascismo a rappresentante di primissimo piano
delle forze dell’ordine della Repubblica italiana.
La Slovenia è una terra martire, come la Sicilia, e tutti gli altri luoghi
dove la virulenza del fascismo che non voleva morire, fece stragi dei
lavoratori in festa o in lotta per i loro diritti. L’Archivio di Lubiana
contiene una sezione speciale costituita dai fondi Kraljeva Kuestura,
Carabinieri Reali, Alto Commissariato. I Carabinieri furono un’organizzazione
militare e politico-spionistica negli anni della Resistenza jugoslava che più da
vicino ci interessano (1941-1943). Così sappiamo di numerosi attentati contro
la Milizia confinaria, alla quale erano state assegnate le “camicie nere
d’assalto”, e dei militari italiani che procedevano a sistematici
rastrellamenti di villaggi e popolazioni slave. Per l’aggressione al ponte sul
fiume Lubljanika furono consegnati al Tribunale militare di guerra della
Seconda Armata, 48 detenuti. Degli arrestati, 28 furono condannati a morte. Per
tale esemplare azione Mussolini propose che a Messana e a Raffaele Lombardi,
maggiore dei CC.RR., fosse conferita la Commenda dell’ordine dei SS. Maurizio e
Lazzaro e il cavalierato dello stesso Ordine.
Con la destinazione di Messana a capo della questura di Lubiana,
l’attenzione verso gli antifascisti si fece sistematica e minuziosa. Furono
perseguitati gli ex arruolati nelle milizie rosse spagnole, i comunisti
precedentemente schedati che si trovavano a fare i militari presso i vari
battaglioni di stanza in Slovenia, i confinati politici. L’accanimento contro
gli sloveni, identificati tout court con i “comunisti”, è dimostrato
dalla presenza di veri e propri squadroni della morte che avevano il compito,
al di fuori delle vie ordinarie imposte dallo Stato di occupazione militare, di
eliminare in modo brutale i capi o gli elementi ritenuti pericolosi del fronte
di Resistenza. Così alle ore 14,30 del 4 dicembre 1941 lo studente ventitreenne
di Kranj, Francesco Emmar, fu ucciso con due colpi di pistola alla testa
sparatigli da uno sconosciuto in bicicletta. I casi come questo sono
innumerevoli ed è proprio difficile che si trattasse di una intensificazione
dei fenomeni di criminalità comune nel periodo della gestione del Messana e
dell’Alto Commissario Emilio Grazioli, anche lui nell’elenco dei criminali di
guerra. Antonio Melec, 21 anni di Pograje (Venezia Giulia) fu ucciso a Lubiana
il 28 dicembre 1941. Il suo cadavere fu trovato nei pressi del cimitero di
Grovlje. Presentava cinque colpi di arma da fuoco: quattro alla schiena e uno
alla nuca. Il numero rilevante delle persone uccise perché ufficialmente “in
fuga” o perché non si sarebbero fermate all’intimazione dell’alt, nasconde, in
realtà un piano criminale che costituì l’espediente di cui si servirono le
truppe di occupazione e i fascisti italiani nella Jugoslavia invasa, per
giustificare l’eliminazione di ogni focolaio di Resistenza, il peggiore incubo
del Messana. Questi eccidi, come quelli compiuti dall’imperialismo fascista in
Libia, Etiopia, Albania, Croazia, Grecia, Dalmazia, Spagna e Montenegro sono
stati rimossi dalla memoria collettiva degli italiani. Ma pesano sulla nostra
coscienza come una delle pagine più tristi e vergognose della storia del
Novecento. Ma tanto – si sa – ci si adagia sul falso mito degli “Italiani brava
gente”, col cuore in mano, tra canti, spaghetti e mandolini. Come in un brutto
film in bianco e nero degli anni Cinquanta.
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