Le truffe storiche: S. Margheritella, i
Malconvevant, i Barresi, gli Abbrignano. Pertinace protervia di preti, gesuiti,
gerosolomitani e monsignori.
Il
Fazello non mostra interesse alcuno verso quelli che dovettero apparirgli
incolti e violenti nobilotti di campagna: i Del Carretto, appunto. Il colto
storico è basilare nella storia di Racalmuto per avere ispirato due tradizioni
che reggono imperterrite tuttora: la prima accredita Federico II Chiaramonte (+
1313) padrone e barone del feudo, ove avrebbe fatto costruire l'attuale
castello ("Lu Cannuni"), e ciò è congettura forse accettabile; la
seconda tradizione è quella della signoria dei Barresi. Qui il Fazello è del
tutto incolpevole. Si pensi che l'intera faccenda poggia - responsabili Vito
Amico [1] ed il Villabianca, quello
della Sicilia Nobile [2] - su
un'evidente distorsione di un passo dell'opera storica del Fazello. [3] Questi,
parlando dei Barresi, aveva scritto [4]: Matteo
Barresi succede ad Abbo, che aveva ricevuto da re Ruggero l'investitura di
Pietraperzia, Naso, Capo d'Orlando, Castania e molti altri "oppidula"
(piccoli centri). Chissà perché tra quegli oppidula
doveva includersi proprio Racalmuto. Così congetturarono i cennati eruditi del
Settecento, non sappiamo su che basi, e così si racconta tuttora dagli storici
locali che hanno in tal modo il destro per appioppare a Racalmuto le vicende
avventurose di quella famiglia.
Non
è questa la sede per digressioni erudite: tuttavia ci pare di avere fornito
elementi sufficienti per comprovare la validità dei nostri convincimenti in
ordine alla nessuna attinenza dei domini feudali dei Malconvenant e dei Barresi
con Racalmuto, a ridosso del Vespro. Resta da vedere se possa parlarsi della
signoria degli Abrignano.
Il
solito Tinebra Martorana (pag. 56 op. cit.) ci propina questa successione:
«Alla morte del conte Ruggiero Normanno, sia
perché questa famiglia [cioè i Malconvenant] si fosse estinta, sia perché fosse
caduta la fortuna dei Malconvenant, noi vediamo essi perdere domini ed uffici.
Ciò che è indubitato è che il figlio del conte conquistatore, il gran re
Ruggiero, concesse la baronia di Racalmuto alla nobilissima famiglia degli
Abrignano [Minutolo: Cronaca dei Re]. E da questa passò ai Barresi. Degli
Abrignano però non è sicura notizia e di certo, se essi governarono Racalmuto,
fu per breve tempo, perché molti cronisti non ne fanno alcun cenno.» E
tanto è davvero un modo curioso di far storia: ciò che viene asserito come
“indubitato”, diviene subitaneamente - con contraddizione che non dovrebbe
essere consentita - “non sicura notizia”. E dire che Sciascia continuò a
definire quella del Martorana “una buona storia del paese”. [5] Eugenio
Napoleone Messana (op. cit. p. 49) non ha dubbi che «nella cronaca dei re di
Minutolo leggiamo che il re Ruggero II concesse la baronia di Racalmuto ai
nobili Albrignano o Alvignano prima e ad Abbo Barresi dopo. Della concessione
agli Abrignano ne fa menzione solo il Minutolo, altri la omettono e riportano
solo la concessione ad Abbo Barresi.» Evidentemente, né Tinebra Martorana, né
Eugenio Napoleone Messana avevano letto il Minutolo, diversamente non sarebbero
caduti nell’abbaglio. Forse avevano letto soltanto Vito Amico che nella
versione del Di Marzo specifica: «Minutolo Memor. Prior. Messan. Lib. 8 attesta
essersi [Racalmuto] appartenuto alla famiglia di Abrignano, dato poscia a’
Barresi.» Una certa eco vi è anche nel Villabianca: « e la tenne [Racalmuto]
pur anche la Famiglia ABGRIGNANO, se diam fede a MINUTOLO - Mem. Prior. lib. 8, f. 273.» Francamente ci dispiace che
nell’equivoco cadde anche il compianto padre Salvo - nostro stimato amico. [6] Egli
sintetizza: «La famiglia Albrignano - Decaduta la famiglia Malconvenant,
Ruggero II concesse la Baronia di Racalmuto agli Albrignano o Alvignano nel
1130. Tale concessione è un po’ dubbia nelle storia o, se vi fu, ebbe a durare
pochissimo. Certo è che nel 1134 la Baronia di Racalmuto era già nelle mani dei
Barresi.» Un evidente sunto, con quella aggiunta della data che vorrebbe essere
una precisazione e diviene invece una colpevole topica.
Il
Minutolo fu un frate gerosolimitano di Messina
che nel 1699 scrisse le memoria del suo “gran priorato” [7] : raccolse
le dichiarazioni dei vari suoi confratelli sulle loro ascendenze nobili. Essere
nobili era indispensabile se si voleva essere ammessi fra quei frati cavalieri.
Fra D. Alberto Fardella di Trapani nell’anno 1633 asserisce - in buona fede o
fraudolentemente, non sappiamo - che un suo antenato era: «Hernrico Abrignano
dei Signori di Recalmuto, nobile di Trapani, e Regio Giustiziero, e Capitano»
nell’anno 1395. La falsità era talmente evidente da non doversi dare alcun
credito al mendace frate, ma il Minutolo non se ne accorge ed incappa in una
smentita a se stesso, quando trascrive l’albero genealogico dell’altro
confrate, il nobile “Fra D. Alfonzo del Carretto, di Giorgenti, 1617”, il
quale, in coincidenza della pretesa signoria di Racalmuto da parte di Enrico
Abrignano nell’anno 1395, colloca , correttamente, al posto dell’Abrignano, il
proprio antenato, il celebre barone Matteo del Carretto. Ma già un altro dei
due monaci della famiglia Fardella (fra D. Martino Fardella di Trapani 1629) si
era limitato a dichiarare quell’identico antenato come semplice nobile di
Trapani («Enrico Abrignano Nobile di Trapani»).
Gli
Abrignano con Racalmuto, dunque, non c’entrano affatto: forse una qualche
parente di Matteo Del Carretto andò sposa al “mercante” Enrico Abrignano,
attorno al 1391.
Quanto
ai Barresi, è arduo ritenere che costoro davvero abbiano avuto il dominio di
Racalmuto, in tempi antecedenti al Vespro, anche se il padre Aprile, scrivendo
in epoca moderna, era propenso alla tesi affermativa. Si disse che Abbo Barresi
I o Senior ebbe concesse dopo il 1130 dal re Ruggero il Normanno vari feudi,
Naso, Ucria ed altri Castelli. Da Abbo a Matteo; da Matteo a Giovanni, la
successione in quei domini feudali.
Il
San Martino Spucches resta sconcertato dalla contraddittorietà delle notizie
fornite dal Villabianca. Si limita allora a questa secca elencazione: «Il Villabianca, nella Sic. Nobile, dice che
Ruggero re concesse Racalmuto ad Abbo Barresi (Sic. Nob., vol. 4°, f. 200). Lo stesso autore dice altrove che l’Imperatore
Federico II concesse, dopo il 1222, Racalmuto ad Abbo Barresi che sarebbe stato
figlio di Giovanni (di Matteo di Abbo seniore). A quest’ultimo successe il
figlio Matteo: al quale successe Abbo ed a quest’ultimo il figlio Giovanni.
Questi visse sotto Re Giacomo di Aragona e seguì il suo partito. Re Federico,
fratello di Giacomo divenuto Re di Sicilia, dichiarò esso Giovanni fellone e
gli confiscò i beni. Da questo momento comincia una storia certa e noi
cominciamo da questo momento ad elencare i Baroni di Racalmuto con numero
progressivo.» [8]
Ma,
così facendo, l’esimio araldista, allunga la teoria delle successioni,
ricominciando il ciclo, per cui da Giovanni si passerebbe ad Abbo II iunior che avrebbe avuto dall’imperatore
Federico II Racalmuto nel 1222 (per noi, a quell’epoca, ancora da fondare); da
Abbo II a Matteo II e da questi ad Abbo III, cui sarebbe subentrato Giovanni
Barresi che è personaggio storico distintosi nelle vicende del 1299, di sicuro
signore di Pietraperzia, Naso e Capo d’Orlando.
Scettici sulle signorie pre-Vespro dei Barresi, non
possiamo escludere che, con la restaurazione feudale di re Pietro, Giovanni
Barresi possa essersi impossessato di Racalmuto, stante la latitanza di
Federico Musca, cui invero sarebbe spettata la titolarità della baronia
racalmutese. Con il passaggio tra le fila di re Giacomo d’Aragona - quando
questi dichiarò guerra al proprio fratello, Federico III, che era stato
proclamato re di Sicilia nella ben nota crisi di fine secolo XIII – poté
essersi pur verificata la perdita da parte di Giovanni Barresi del recente
feudo di Racalmuto alla stregua di quegli altri suoi possedimenti siciliani,
finiti sotto confisca.
L’Amari,
nella sua guerra del Vespro siciliano, accenna ad un diploma del 28 dicembre
1300 (1299) tredicesima indizione, anno 15° di Carlo II d’Angiò, ove Racalmuto
e Caccamo vengono concessi a Pietro di Monte Aguto. [9] Ovviamente
si trattò di promesse dell’angioino che non ebbero seguito alcuno. Ma quella
promessa sa di sonora smentita della tesi che vorrebbe feudatario di Racalmuto
Giovanni Barresi: questi, ora, milita accanto all’angioino, sia pure sotto la
bandiera di Giacomo d’Aragona; non è credibile che Carlo II d’Angiò arrivasse
al punto di confiscare il feudo ad un amico per prometterlo ad un altro amico.
Credibile, invece, che nella cancelleria di Napoli figurasse ancora la
concessione a Pietro Negrello di Belmonte
e che si pensasse di girare ora il feudo al milite alleato Pietro di
Monte Aguto.
* * *
Nell’Agosto del 1282 Pietro d’Aragona sbarca in Sicilia
con quel misto di albagia spagnola e di «avara povertà di Catalogna»: a
Racalmuto - come detto - giunge la prima stangata fiscale datata “Palermo 10
settembre”; il nuovo re esige subito che si paghi per l’armamento di 15
arcieri.
Sotto
la stessa data, re Pietro crede di addolcire la pillola inviando al nostro
periferico casale un resoconto delle sue recenti imprese. Siamo sicuri che ai
racalmutesi di allora (come d’oggi) non gliene importava nulla di sapere:
«Doc.
X - Palermo 10 Settembre 1282 - Ind. XI. [10] Re Pietro
dopo aver enumerate al Baiulo, ai Giudici ed agli uomini tutti di Adrano le
ragioni, per le quali ha creduto intraprendere la spedizione di Sicilia; e
raccontato del suo sbarco a Trapani, nonché del suo arrivo, per terra in
Palermo, il venerdì 4 Settembre; ordina che, adunati in assemblea, eleggano due
fra i più cospicui della loro terra; i quali, come loro sindaci, vengano
a prestargli il debito giuramento di omaggio e fedeltà; più, che tutti i
cavalieri, pedoni, balestrieri, arcieri, lancieri, scudati si rechino, con armi e cavalli, in Randazzo, pel 22
Settembre al più tardi.
«Simili
lettere a tutti gli uomini di tutte le terre al di là del fiume Salso.»
«[......]
Item et infra fuit scriptum eodem modo videlicet.
«
[...] [11] Burgio, Sacca,
Calatabellota, Agrigento, Licata, Naro, Delia, Darfudo, Calatanixerio, Rahalmut [corsivo ns.], Mulotea, Sutera,
Camerata, Castronuovo, Sancto stephano, Bibona, Sancto Angilo, Raya, Busaxemo
[Buscemi], Curiolono, Juliana, [...]»
Nel
successivo mese di gennaio del 1283, Racalmuto viene chiamato - unitamente ad
altri centri - ad una sorta di tassazione aggiuntiva: dovrebbe approntare altri
quattro arcieri oppure dei fanti armati. La missiva parte da Messina il giorno
26 gennaio 1283, XI indizione. Ed è diretta al baiulo, ai giudici ed a tutti
gli uomini Rakalmuti. Perché mai
questa resipiscenza? Evidentemente, la base imponibile che era stata calcolata
a caldo, il 10 settembre 1282, si appalesava errata per difetto: i racalmutesi
tassabili erano di gran lunga più numerosi; se prima si era pensata ad una
tassazione di 75 fuochi o famiglie abbienti, ora si sapeva che almeno altri 20
fuochi erano in condizioni economiche tali da fornire mezzi aggiuntive alla
guerra che Pietro d’Aragona andava conducendo - più o meno indolentemente -
contro l’Angioino. Se questa nostra tesi è accettabile, l’area degli abitanti
racalmutesi riconducibile alla platea dei contribuenti saliva da 300 a 380
(calcolando, come si è soliti, il numero dei fuochi per la probabile
consistenza media del nucleo familiare, pari al coefficiente 4). Ma non basta,
bisogna aggiungere quelli che riuscivano a sfuggire a quel censimento fiscale e
quelli che di solito erano esentati come preti, non abbienti, ebrei ed altri:
una rettifica, dunque, che non si è lontani dal vero assumendo una
maggiorazione dell’ordine del 20%; di talché perveniamo ad una popolazione
stimata di circa 456.
Re
Pietro aveva voglia di scherzare quando il 10 settembre 1282 si rivolge ai
racalmutesi - ed in latino - per dir loro che finalmente il tanto aspettato suo
arrivo si era verificato; che il suo aiuto era già in corso; che quindi
potevano e dovevano abbandonarsi ad una “tripudiosa giocondità”. Fidelitati vestre feliciter nunciamus.
«Felicemente l’annunciamo alla vostra fedeltà». Ma occorrono gli adempimenti
burocratici, i formalismi. Pertanto, come è di diritto, l’ Universitas è chiamata a prestare fisici giuramenti “corporalia iuramenta” della debita fedeltà e dell’omaggio al re.
Nomini i suoi “sindici” e si inviino davanti al cospetto della “celsitudine”
regale. Il re vuole fermamente che il nemico lasci il paese pressoché
annichilito e sterminato. Quindi si mandino cavalieri, balestrieri, arcieri, uomini armati di tutto punto, di
scudi o di altri tipi d’armatura e «vengano presso di noi Re Pietro in quel di
Randazzo o là dove stabiliremo. E tutti dovranno avviarsi entro il 22 di questo
mese di settembre proprio a Randazzo. Se qualcuno disubbidisce, incapperà nella
nostra reale indignazione.»
Non
v’è storico che descriva quale stato d’animo abbia accorato quei siciliani del
1282 dinanzi a quelle pretese del nuovo padrone. Neppure i letterati, ci
risulta, hanno saputo evocare quelle angosce e quello sgomento. Neppure Tommasi
di Lampedusa, neppure Leonardo Sciascia, neppure quando sembra farne accenno
sminuendo ogni cosa con l’approssimativa chiosa sulla locale storia, appena
“descrivibile”, «dell’avvicendarsi dei feudatari che, come in ogni altra parte
della Sicilia, venivano dal nord predace o dalla non meno predace “avara
povertà di catalogna”; col carico delle speranze deluse e delle rinnovate e a
volte accresciute angherie che ogni nuova signoria apportava.» [12] E questo
sarà un bel dire, ma di scarso senso per quello che davvero avvenne, per quella
vita racalmutese che è più che “descrivibile”, che ci pare tanto “narrabile”,
tanto angosciante, tanto rimarchevole “storia”.
Chi
spiegò quel “latinorum” ai racalmutesi? Dove? Come? Quali decisioni furono
prese? chi fu eletto per ‘sindico’ - che onore non era ma pericolo per la vita
e per i beni dovendosi recare tanto lontano in tempi calamitosi e per strade
impervie e cosparse di agguati da parte di ladri e “prosecuti”?
C’è
da pensare che già sin d’allora, i notabili furono adunati in chiesa al suono
della campana, come sarà costume alla fine del ‘500. Un prete avrà tradotto la
missiva. A dirigere i lavori assembleari colui che si era autoproclamato Baiulo
e quei due o tre maggiorenti - il notaio, il farmacista-medico - che lo
affiancavano. Un paio di “burgisi” - che disponevano di giumente - avranno
dovuto accettare l’incarico di recarsi dal re nella lontano Randazzo. Con la
ritualità che riscontreremo nell’adunata popolare del 7 agosto del 1577.
[1]) Vito Maria Amico Statella - Lexicon Topographicum Siculum - Tomi
secundi pars altera, Panormi 1757-60 - voll. 6. [Biblioteca Nazionale V.E. Roma
pos. 1.24.C. 19/24] In proposito, il passo in latino di pag. 115 è il seguente:
« ... Barresiis subinde datum [Racalmuto,
cioè]; Joannes subinde eiusdem familiae ad Andegavensium partes deficiens, secum opida sibi subdita
traxit, Petrapretiam, Nasum, Rahalmutum et alia.» Gioacchino Di Marzo ne fece questa
traduzione: « .... dato poscia a' Barresi;
poichè Giovanni della medesima
famiglia essendosi ribellato in pro delle parti angioine, seco trasse i
soggetti paesi Pietraperzia, Naso, Racalmuto ed altri.»
[2]) F.
M. Emanueli e Gaetani - Della Sicilia Nobile - parte IV - Forni Editore [copia
anastatica dell'edizione Palermo 1759 - Parte II, libro IV, pag. 199 e segg.
Invero, l'A. sembra voglia far ricadere la colpa al padre Aprile. Noi, a dire
il vero, non abbiamo avuto modo di consultare l'opera di questo storico
siciliano che scrisse nel 1725. Disponiamo solo di una bibliografia del Bresc
ovè è così segnato: Francesco Aprile, Della
cronologia universale della Sicilia, Palerme, 1725, XXIV-808 p. [centré sur
Caltagirone]. Vedi Henri Bresc: Un monde méditerranéen - économie et société
en Sicile - 1300-1450 - Palermo 1986, pag. 48. Ad altri studiosi
quindi il compito ed il gusto di correggerci ed eventualmente integrarci.
[3])
Anche se non l'artefice primo della fantasiosa baronia racalmutese dei Barrese,
il Villabianca è responsabile degli abbagli storici degli ereduti di Racalmuto
- a cominciare dal padre Bonaventura Caruselli da Lucca [Sicula], non proprio
indigeno, dunque, ma pur sempre autore principe del racconto della 'venuta'
della Madonna del Monte. Questi a pag. 2 del suo libretto Maria Vergine del Monte in Racalmuto, Palermo 1856, testualmente
annota: «L'ultimo di questa dinastia fu Giovanni Barrese, il quale al riferire del padre Aprile (Cron. Sic. cap. 1 f. 164)
[corsivo ns.] si rese indegno del dono, oscurando col più turpe tradimento la
fede siciliana. Nella guerra tra Carlo d'Angiò Conte di Provenza e Manfredi lo
Svevo Re legittimo del regno di Sicilia e Napoli fu il primo che vilmente
desertò le bandiere del suo Re, e passò al partito Angioino acquistandosi il
nefando nome di traditore della patria e del suo Re, una marca indelebile di
eterna infamia, e la perdita totale di tutti i beni, giusto e ben dovuto premio
dei traditori. Ma l'infamia a chi tocca: il vespere Siciliano manifestò al
mondo il valore dei figli di Sicilia, e la lor fedeltà ai legittimi Sovrani.»
La frase che abbiamo riportato in corsivo svela la totale sudditanza del p.
Caruselli dal Villabianca (a parte la diversa pagina: 164 al posto di 144,
evidentemente un mero errore). Ecco infatti cosa aveva scritto il celebre
autore della Sicilia Nobile a pag.
199 e ss. - parte seconda, libro IV: Racalmuto «credesi indi concessa dal Rè
Ruggieri Normanno figlio del liberatore testè accennato ad ABBO BARRESE in
consuso con quelle Terre, che sotto l'aggettivo di pleraque oppida per conto di
esso Barrese numera FALZELLO nella sua Stor. di Sic. dec. 2. lib. 9. cap. 9 f.
184 avvegnachè sullo spirare del secolo decimoterzo stava ella in potere di
Giovanni BARRESE, il quale al riferire
del Padre APRILE Cron. Sic. f. 144 c. 1 [corsivo nostro] fu il primo tra i
Baroni del nostro Regno, che nelle guerre fatte dall'armi dei Collegati
Angioini in quest'Isola passasse al loro partito col suo vassallaggio
consistente nelle Terre di PIETRAPERZIA, NASO, RAGALMUTO, CAPO D'ORLANDO, E
MONTEMAURO, terra oggi disfatta, situata in quel monte, che si alza fra la
Città di Piazza e 'l MAZZARINO presso il fiume Braeme. Sicchè dichiarato
fellone esso Giovanni, cadde Tal Baronia nelle mani del Reg. Fisco.» (Vedasi:
F.M. EMANUELI e GAETANI - Della Sicilia Nobile - parte IV - Forni Editore
[Copia anastatica dell'edizione Palermo 1759] - RAGALMUTO - [pag. 199 e ss.
Parte II Libro IV).
Il padre Caruselli
sicuramente non consultò il p. Aprile, come noi del resto. Ma fu abbaglio suo
personale quello di credere che Giovanni Barrese sia stato privato delle sue
terre per aver tradito Manfredi a favore di Carlo d'Angiò, grosso modo tra il
giugno del 1265 ed il febbraio del 1266. Le turbolenze di Giovanni BARRESE
avvennero invece nella contesa tra i due fratelli Federico III e Giacomo II
d'Aragona e cioè tra il 1298 ed il 1302, circa vent'anni dopo il Vespro
siciliano: Illuminato Peri (vedasi La
Sicilia dopo il Vespro - uomini, città e campagne 1282/1376 - Laterza Bari
1982, pag. 39) data la dissidenza di quel nobile attorno al 1299 (ed era solo signore
di Pietraperzia, Naso e Capo d'Orlando, come da pag. 39 e nota 44). Il padre
Caruselli non era ovviamente ferrato nella storia medievale della Sicilia, e
l'intrigo degli eventi lo giustifica. Ma quell'accenno ai Vespri Siciliani ebbe
grande fortuna. Il Tinebra Martorana, con la sua «aura romantica e un tantino
melodrammatica», per dirla alla Sciascia, vi si buttò a capofitto vergando il
capitolo IV su Racalmuto e la famiglia Barrese (pag. 58 ed. 1982). Eugenio
Napoleone Messana diviene incontenibile - da pag. 54 a pag. 58 - nella sua
storia su Racalmuto (ed. 1969). Purtroppo anche il valido padre Calogero Salvo
cade nella trappola, in ispecie a pag. 25 del suo Ecco tua Madre - Racalmuto 1994.
Non si lascia ingannare, invece, da quell'ambiguo parlare di un
passaggio "ad Andegavensium partes" dell'Amico l'avv. Francesco San
Martino De Spucches: Egli bene inquadra la congiuntura storica: «Questi
[Giovanni Barrese] - scrive a pag. 181 del quadro 783, op. cit. - visse sotto Re Giacomo d'Aragona e seguì il
suo partito. Re Federico, fratello di Giacomo, divenuto Re di Sicilia, dichiarò
esso Giovanni fellone e gli confiscò i beni. Da questo momento comincia una
storia certa e noi cominciamo da questo momento ad elencare i baroni di
Racalmuto con numero progressivo...»
[4]) F.
TOMAE FAZELLI SICULI OR. PRAEDICATORUM - DE REBUS SICULIS DECADE DUAE, NUNC
PRIMUM IN LUCEM EDITAE - HIS ACCESSIT TOTIUS OPERIS INDEX LOCUPLETISSIMUS -
Panormi ex postrema Fazelli authoris recognitione. Typis excudebant, Ioannes
Mattheus Mayda, et Franciscus Carrara, in Guzecta via, quae ducis ad
Praetorium, sub Leonis insigni, anno domini M.D.LX. mense iunio. [Biblioteca
Nazionale - manoscritti e libri rari - 10.7.E.5] Barrese (origine e genealogia)
pag. 592 - De rebus .. posterioris decadis liber nonus - cap. Nonum
Hic genus suum ad Abbum Barresium, cuius pater ex proceribus, qui cum
Rogerio Normanno ad propulsandos
Sarracenos in Siciliam venerunt, unus fuit, ut Rogerij Regis diplomate
constat, hoc ordine refert. Ex Abbo, qui Petrapretiam, Nasum, Caput Orlandi,
Castaniam, et pleraque alia oppidula à Rogerio Rege adeptus est, Matthaeus.
[5] )
Leonardo Sciascia - Morte dell’Inquisitore - Bari 1967, pag. 181.
[6] )
Sac. Calogero Salvo - Ecco tua Madre - Racalmuto 1994 - pag. 24.
[7] )
MEMORIE DEL GRAN PRIORATO DI MESSINA - RACCOLTE DA FRA DON ANDREA MINUTOLO dei
baroni del Casale di Callari, e feudi di Boccarrato - Cavaliero Gerosolimitano
1699 - dedicate all'illustrissimo Eccellentissimo Signo mio Padrone
Colendissimo il Signor Fra D. Giovanni Di Giovanni de Principi di Tre Castagni
; Gran Priore di Messina, e già di Barletta, Capitan Generale della Squadra
Gerosolimitana, e Condottiero di quella di N.S. Innocenzo xij nel 1692-1693. In
Messina - Nella stamperia camerale di Vincenzo d'Amico 1699 - Con licenza de'
Superiori.
[8]) Avv.
Francesco San Martino de Spucches - La storia dei feudi e dei titoli nobiliari
di Sicilia, dalla loro origine ai nostri giorni (1925) - vol. VI, Palermo 1929,
pag. 181 e segg.
[9] )
Michele Amari - La guerra del Vespro siciliano, vol. i - Milano 1886, pag. 386.
[10] )
Cfr. l’opera precedentemente citata del Silvestri, Vol. V Palermo 1882, pag. 9
e segg.
[11] ) cfr. ibidem pag. 12.
[12] )
Leonardo Sciascia, presentazione della mostra di Pietro d’Asaro, Racalmuto
1984, pag. 20.
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