martedì 9 giugno 2015

Nersae osca

A Nersae abbiamo dunque epigrafi d indubbia scrittura osca. Ne parlavo ieri con la prof.ssa Francoise Helene Perrault Massa, una autorità nel settore. Quelle epigrafi danno luce alla vetustà della popolazione di questa parte del Cicolano, forse in contrapposizione alla civiltà degli Equicoli che con i Tumuli di Corvaro si sta di recente scoprendo e valorizzando.
Noi ci limitiamo qui a riportare certi studi sulla lingua Osca pubblicati nella Treccani.
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La lingua osca fa parte del gruppo osco-umbro (v. italici) e, insieme con l'umbro, ne costituisce la documentazione principale. Le lingue intermedie dei Peligni, Marrucini, ecc. (v. sabini), si accordano ora con l'uno ora con l'altro. Le maggiori differenze fra l'osco e l'umbro stanno nel fatto che l'osco nel suo insieme è conservatore e l'umbro è invece innovatore. Una caratteristica dell'osco è la conservazione fedele dei dittonghi ereditati ai, ei, oi, ou che è comune solo al greco: in tutte le altre lingue indoeuropee i dittonghi sono stati più o meno alterati: lat. privus, umbro prevo ma osco preiuatud. Il rotacismo o passaggio dell'-s intervocalico a -r è sconosciuto in osco, mentre compare in umbro e in latino: gen. pl. -arum latino, -aru umbro, ma -azum osco. Il dat. abl. plurale della 3ª declinazione in umbro è -us, in osco -is: umbro fratrus "fratribus", osco ligis "legibus". L'abl. sing. della stessa declinazione in umbro e in latino è in -e, in osco in -ud: lat. lege, umbro capirse, ma osco ligud. La congiunzione copulativa è in latino e in umbro et, in osco inim. Viceversa nella formula onomastica gli Oschi vanno d'accordo con i Latini mettendo il patronimico dopo il gentilizio, mentre gli Umbri lo mettono prima: Minnieis Kaisillieis Minateis vuol dire "di Minio Cesillio figlio di Minato". Presso gli Umbri si usa Ner. T. Babr. per dire "di Nerio Babrio figlio di Tito". La differenza più importante per le risonanze che ha in epoca più tarda, probabilmente anche nel latino volgare, è la distinzione di vocali aperte e vocali chiuse nel caso di i e di u che compare alla fine del secolo IV a. C. e riappare nel latino parlato del sec. III d. C. Essa è propria dell'alfabeto nazionale osco: pid che corrisponde al latino quid ma imad-en di fronte al latino imus.
La grande estensione occupata dalla lingua osca e i diversi ambienti linguistici in cui è stata introdotta hanno fatto sì che essa non sia priva di differenze dialettali. Due sono le più salienti: in Campania, salvo che in Capua (già etrusca), certi gruppi di consonanti sono separati da vocali "anaptittiche", in contraddizione con le tendenze più antiche del gruppo osco-umbro, che favorivano piuttosto la sincope: paterei per "patri", Herekleis per "Herculis" (v. opici). A Bantia in Lucania, invece di tia si pronuncia -sa e il nome della località è scritto Bansa. Mentre di solito questo è giudicato come un particolare dialettale "bantino", importa rilevare che la tendenza a palatalizzare questi gruppi consonantici è nota anche in umbro.
La lingua osca è scritta in tre alfabeti: nazionale, derivato da un alfabeto etrusco-campano con forti modificazioni; latino, greco.
Bibl.: J. Beloch, Campanien, 2ª ed., Breslavia 1890; H. Nissen, Italische Landeskunde, Berlino 1883; G. Devoto, Gli antichi italici, Firenze 1931; R. S. Conway, The Italic Dialects, Cambridge 1897; Planta, Grammatik der oskisch-umbrischen Dialekte, voll. 2, Strasburgo 1892-1897; la collezione intiera della Rivista indo-greco-italica, Napoli 1917 segg.

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