CIRCOLO UNIONE RACALMUTO
CALOGERO TAVERNA
Il culto di Santa Rosalia a Racalmuto
Il culto di Santa Rosaliaa Racalmuto ha almeno cinque fasi.
1) IL CULTO AI TEMPI DI COSTANZA CHIARAMONTE;
2) QUELLO IMPOSTO DA BEATRICE VENTIMIGLIA VEDOVA DI GIROLAMO DEL CARRETTO CHE SECONDO IL CARTIGLIO DELLA TOMBA DEL CARMELO SAREBBE STATO OCCISUS A SERVO (9 APRILE 1626);
3) QUELLO INTERMEDIO SEMPRE PIU' IN DECLINO SINO ALLO SBARACCAMENTO DELLA VECCHIA E PER NOI UNICA CHIESETTA CHE SI ERGEVA NELL'ATTUALE VIA MARCO ANTONIO ALAMIO, DI FRONTE ALLA CASA DELLO STESSO ALAIMO PRIMA E POI DEI CATALANO E DI ECENTE DEL NOTAIO CINQEMANI. iN QUESTO PERIODO SI CONSOLIDA E DIVENTA PREMENINENTE LA DEVOZIONE ALLA NOSTRA MADONNA DEL MONTE, CHE DA IMAGO MIRACOLISSIMA DEL '500 RIFULGE NELLE CORONCINE DEL CATALANOTTO DI META' DEL '700. EPPURE GIURIDICAMENTE E PER IL CODICE CANONICO SANTA ROSALIA ERA E DOVEVA ESSERE PATRONA UNICA DI QUESTA NOSTRA TERRA CUM CASTRO ECCLESIAE TERRAE RACALMUTI:
4)DECLINO DEL CULTO DI SANTA ROSALIA DOPO IL 1793 AVENDO POCA PRESA TRA I FEDELI LA STATUA PAGATA DAL GRILLO C HE ANCORA SI TROVA IN mATRICE.
5) L'ATTUALE DEVOZIONE RIESUMATA DA PADRE PUMA UNA DECINA DI ANNI FA.
IL CULTO AI TEMPI DI COSTANZA CHIARAMONTE;
Chi fosse questa Costanza Chiaramonte non è agevole sapere. Ovvio che non può essere la Costanza di cui parla Federico Pipitone . Non può che essere la Costanza Chiaramonte di cui ci ha detto il çPresidente aproposito di BIVONA (fine del '400)
PIRRI 1636
1608 Ubicazione chiesa
Scendi adrittura per la casa del quondam Micheli Catalano affaccifrunti della chiesa di Santa Rosalia alla cantunera delli casi di Antonio Lo Brutto ....
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1936 incoronazionePADRE PUMA UNA DIECINA di anni fa. il sottoscritto, tanto da venire sbeffeggiato in un foglietto dattiloscritto affisso in Piazzetta e dintorni; . che a sensibilizzare l'arciprete Puma con carte documenti corrette letture di diplomi e testi manoscritti (questi dell'arciprete Genco) è stato il dottore Calogero Taverna, prima che prendessero canso a Racalmuto altre dissertazioni non sempre documentate.
Denis MacK Smith – anglicano miscredente ma amico di Sciascia – scrive nella sua storia della Sicilia medievale e moderna (vol. 1° pag.258 s,) «Un’altra infezione giunse a Palermo nel 1624 su due navi che portavano schiavi cristiani riscattati da Tunisi. La vita della città giunse ad un arresto completo. Le reliquie di s. Cristina e s. Ninfa venivano portate ininterrottamente in processione per le strade diffondendo così l’infezione. Molti morirono, compreso il viceré, e Van DycK, che gli stava facendo il ritratto, fuggì all’esero. Il cardinale Doria condannò a morte un medico greco accusato di avere deliberatamente diffuso la peste per ottenere onorari supplementari, ma si scoprì che un rimedio più empirico consisteva nel bruciare gli oggetti infetti. Fallito ogni altro tentativo, furono rinvenute miracolosamente le ossa di s. Rosalia in una grotta vicino Palermo; sembra che il cardinale arcivescovo fosse a tutta prima dubbioso, ma l’opinione pubblica premeva e dopo sei mesi di caute deliberazioni da parte di dottori e teologi, egli accettò di retrocedere di grado le sue rivali e di nominare s. Rosalia principale patrona della città. Palermo fu liberata dalla peste, e d’allora in poi le elaborate feste di s. Rosalia divennero ogni anno la grande ricorrenza sociale di Palermo.»
Dopo tale lettura e dopo i miei riscontri nel Cascini e presso i padri bollandisti cercai di spingere il mio amicissimo padre Puma a fare avanzare di grado Santa Rosalia a Racalmuto (a dire il vero a farle riconoscere il grado che aveva dal 1626). Padre Puma era uomo saggio e mica un vacuo misticheggiante; una piccola vittoria l’ottenni: padre Puma riuscì a trasformare la melanconica deserta messa che ogni 4 settembre il maestro Pino Mattina faceva celebrare con ammirevole devozione, in una vera festa con una processione per le vie Gramsci e Garibaldi con una buona partecipazione di fedeli.
Dopo il Cascini – un gesuita del seicento che a servizio del Doria cardinale riuscì a mettere assieme oltre seicento pagine di una santa di perduta memoria, anche se di discreta devozione – a Racalmuto era stato l’arciprete Genco (tutt’altro che ignoto come vorrebbe un conclamato storico locale) ad andare a Palermo, consultare quel polveroso grosso volume e farne una sintesi manoscritta, peraltro in bella calligrafia. Ma a ben vedere il Tinebra Martorana ancora a fine Ottocento non sapeva nulla di Santa Rosalia, dopo il nefando mercimonio tra il canonico Mantione e il nobile Grillo sacerdote dei baroni Grillo, a fine Settecento. Ma un gesuita – sempre loro –predicava nella chiesa di San Giuseppe che sicuramente S. Rosalia era nata a Racalmuto. Fonte? Padre Cipolla: documento? Un diploma infiorato custodito in matrice.
Padre Puma ebbe a mostrarmelo svariati decenni fa. Cercai di tradurlo. Per uno scettico come me vedere un vicario generale del Doria (don Franciscus De La Riba) vendere a caro prezzo due frammentini di ossa di chissà quale cadavere per sante reliquie di Santa Rosalia a dei citrulli racalmutesi mandati dalla fedifraga vedova Del Carretto, faceva specie. E.N. Messana ci casca e giù una fandonia di un nobile Savatteri (nome spagnolo per dire ciabattino) figlio di un tal Scipione del medesimo casato che impavido va a Palermo tra gli appestati e porta a Racalmuto i frammenti mortuari salvifici: In premio: la figlia del conte e feudi al Serrone.
Un devosto studioso, il prof. Nalbone riuscì a solennizzare una storica edicola posta all'angolo dela incrocio tra Via Garibaldi e via Gramsci. Scrive al riguardo il dotto prof. Nalbone: "oggi un’antica immagine di Santa Rosalia, dipinta ad olio su legno, è visibile, nel Corso Garibaldi, in una edicola sul prospetto dell’abitazione della Famiglia Cutaia."
I tempi dell’interregno di Beatrice del Carretto Ventimiglia.
Non erano passati molti mesi dalla esecuzione del giovane conte Girolamo II che dei ladri audaci si erano introdotti nel castello per compiere una vera e propria razzia. L’ordine pubblico a Racalmuto era oltremodo precario: furti, abigeato, rapine nelle campagne (fascine di lino, “vaxelli” di api, frumento, buoi “formentini”) sono ricorrenti. La vedova Facciponti tutrice dei figli ed eredi di Antonino Facciponti, disperata, non ha altro da fare che invocare le sanzioni spirituali (una scomunica a tutti gli effetti) per gli incalliti malviventi che la curia vescovile accorda di buon grado. [1] La curia invia il provvedimento al rev.do arciprete. Vi leggiamo dati sul feudo di Gibillini, su quello di Laicolia. Sappiamo di furti alla vedova di “molta quantità di filato, robbi di lana, robbi bianchi .. denari et altre robbe, stigli di casa et di massaria”. Se da un lato si ha il disappunto per siffatte malandrinerie, dall’altro c’è la piacevole sorpresa di venire a sapere che sussisteva uno stato di discreto benessere in diffusi strati della popolazione racalmutese del Seicento.
Ma la crisi dell’ordine pubblico, qui, investe addirittura l’avvenente giovane vedova del conte. Sempre gli archivi vescovili ci ragguagliano su un’altra scomunica, stavolta comminata ai ladri del castello. Il 3 settembre 1622 [2] altra missiva al locale arciprete (e qui è ribadito che non è più don Vincenzo del Carretto, che peraltro è ancora vivo). “ Semo stati significati da parti di donna Beatrice del Carretto et Ventimiglia - recita il monitorio vescovile - contissa di detta terra nec non da parti di don Vincenzo lo Carretto tutori et tutrici de li figli et heredi del quondam donmo lo Carretto olim conti di detta terra qualmenti li sonno stati robbati occupati et defraudati molta quantità di oro, argento, ramo, stagni et metallo, robbi bianchi, tila, lana, lino, sita, cosi lavorati come senza, et occupati scritturi publici et privati, derubati debiti et nome di debitori, rubato vino di li dispensi ... animali grossi et vari stigli con arnesi, cosi di casa come di fori.” Un disastro dunque.
Don Vincenzo del Carretto riemerge come tutore dei figli del fratellastro. Affianca la cognata che in quanto donna, anche se contessa, non ha integra personalità giuridica per l’ordinamento del tempo. Ella necessita di un “mundualdo”, compito che ben volentieri l’ex arciprete si accolla. Ed in tale veste lo ritroviamo nei processi d’investitura del piccolo Giovanni V del Carretto risalenti al 1621 (vedansi gli esordi dell’investitura n. 4074 del 1621 sotto la data del primo settembre 1621 [3] ). Ma non è da pensare che la volitiva vedova concedesse troppo spazio al cognato anche se prete. Nell’anno di vita del conte Girolamo II del Carretto successivo al bizzarro (almeno per noi che scriviamo a distanza di quasi quattro secoli) atto espoliativo di donazione universale, il potere di donna Beatrice del Carretto-Ventimiglia è già esclusivo. Figuriamoci dopo che il poco ingombrante marito si era fatto uccidere da un servo. La tradizione tutta racalmutese di corna, di servi amanti, di perdoni adulterini etc. un qualche fondamento ce l’avrà pure. Indulgervi, però, da parte nostra, sarebbe fuorviante.
La vedova riaffiora dalle ombre del passato con contorni netti allorché, mietendo la peste vittime desolatamente, si decide di postulare al potente cardinale Doria una qualche reliquia di Santa Rosalia, atta a debellare il flagello in paese. Il culto di Santa Rosalia è ben provato in Racalmuto, sin dal primo decennio del 1600, un quarto di secolo almeno anteriore alla discutibile invenzione delle spoglie mortali in Monte Pellegrino al tempo del cardinale Doria. In un appunto manoscritto del 15 ottobre del 1922 rinvenibile in Matrice, si riferisce - credo dall'arciprete Genco - che Santa Rosalia sarebbe nata a Racalmuto nel natale del 1120. Le prove documentali le avrebbe avute il canonico Mantione ma le avrebbe distrutte per dispetto al vescovo riluttante a finanziargli la pubblicazione di un suo libro. Tra l'altro, in quell’appunto manoscritto leggesi che «fui il 13 ottobre 1921 nella Biblioteca Nazionale di Palermo ed ebbi il piacere di leggerlo [un libro del Cascini] per summa capita. » In quel libro si parla di antiche iscrizioni e di chiese anche fuori Palermo. Viene inclusa "quella di Rahalmuto, della quale non appare altro millesimo, che questo M.CC. ed il muro è guasto"». Il testo riportato dall’Arciprete Genco non comprova certo che il 1200 fosse la data di costruzione di quell'antica chiesa, essendo sicuramente abrase le successive lettere della data, appunto per quel 'muro guasto'. II mio spirito laico mi spinge ad essere alquanto scettico sull'attendibilità di tante notizie contenute nel manoscritto: è certo, comunque, che di esse ebbe ad avvantaggiarsi il padre gesuita Girolamo Morreale nel suo "Maria SS. del Monte di Racalmuto" , stando a quel che si legge nelle pagine 23, 24, 69, 97, 98, 99 e 101.
Senza dubbio la fonte storica sulla Chiesa di Santa Rosalia più antica ed accreditata è quella del Pirri. (A pag. 697 abbiamo un’esauriente notizia). Il passo, in latino, può venire così tradotto: «A Racalmuto v'era una chiesetta [aedes] - antichissima - che risaliva all'anno 1400 circa. Fino al 1628 vi si poteva vedere dipinta un'immagine di santa Rosalia in abito d'eremita e portante una croce ed un libro tra le mani. Purtroppo, è andata distrutta per incuria di alcuni, ormai tutti presi dalla nuova chiesa dedicata alla medesima Vergine, di cui venerano alcune reliquie, essendosi peraltro costituita una confraternita denominata delle Anime del Purgatorio. La chiesa ha rendite per 70 once.» Non saprei se la nuova chiesa di Santa Rosalia sia sorta in altro posto oppure sopra quella vecchia. Quella vecchia, nel 1608, collocavasi nel mezzo della bisettrice Carmine-Fontana. Sappiamo che si trovava dalla parte della parrocchia di S. Giuliano.
Per uno studioso del luogo non vi sono dubbi: «la chiesa di Santa Rosalia eretta nell’omonimo rione fu sempre la medesima dal 1593, anno dal quale inizia la documentazione consultabile, sino al 1793, anno di cessione dell’ “edificio” al sac. Salvatore Maria Grillo.»
Di recente, ricercatrici universitarie hanno ritenuto un rudere (ampiamente fotografato) nei pressi della Barona essere l’antica chiesetta di S. Rosalia. E’ tesi che respingiamo: la Santa Rosalia del 1608 doveva ubicarsi nella parte sud-est di via Marc’Antonio Alaimo, qualche isolato a ridosso dell’attuale Corso Garibaldi. I documenti vescovili sembrano non dare adito a dubbi. Certo, c’è da interpretare l’aggettivo “nuova” usato dal Pirri. Per “nuova” chiesa si deve intendere un edificio nuovo ubicato altrove o il riadattamento del vecchio stabile? Un interrogativo, questo, che non ha ancora soluzione certa. Non si sa neppure dov’era ubicato il rudere venduto al nobile sacerdote Salvatore Maria Grillo, e dire che siamo nel recente 1793. L’abate Acquista parla nel 1852 di ben quattro distinti luoghi di culto in vario modo dedicati a Santa Rosalia. Il citato studioso locale non intende dar credito all’Acquista.
Don Vincenzo del Carretto si fa rilasciare un nulla osta ecclesiastico dalla curia vescovile agrigentina, costruisce la chiesetta della Modonna dell’Itria; la dota piuttosto consistentemente. Non gli porta fortuna: tra il 1624 ed il 1625 scocca il suo ultimo giorno di vita terrena. Crediamo sia una delle vittime del flagello endemico che in quel biennio si abbatté a Racalmuto. Il giovane medico Marco Antonio Alaimo - trasferitosi a Palermo - dava preziosi consigli ai fratelli rimasti in paese. Non potevano avere - e non avevano - grande efficacia.
Donna Beatrice del Carretto esce indenne dalla peste del 1624. La troviamo ancora solerte e dispotica nel 1626. Ella ha deciso che le reliquie di Santa Rosalia, portate a Racalmuto il 31 agosto 1625, vengano traslate da S. Francesco alla nuova (o rimessa a nuovo) chiesetta di Santa Rosalia.
Nella nuova chiesa di Santa Rosalia - che entra sotto la tutela della locale Universitas - il culto della santa è intenso. Il comune si fa carico di una lampada ad olio perennemente accesa. La delibera è adottata dai giurati dell’epoca Francesco Fimia, Giacomo Montalto, Benedetto Troiano e Francesco Lauricella. Ma non varrebbe nulla senza il benestare della potente vedova. E’ il giorno 18 aprile 1626. “Ad effectum in dicta ecclesia Sancte Rosalie detinendi lampadam accensam ante magnum altare ubi est collocata Reliquia sancta dictae dive Rosalie pro sua devotione et elemosina et non aliter nec alio modo”, sanziona un comma della decisione comunale. “Praesente ad hec ill.me D. Beatrice del Carretto et Xx.liis comitissa dictae terre Racalmuti tutrice eius filiorum et affittatrice status eiusdem terre Racalmuti”, soggiunge il documento. La contessa avalla ed autorizza l’impegno giurazio: diversamente il tutto sarebbe stato senza effetto. Va invece bene “quoniam predicta ipsa D. Comitissa sic voluit et vult et contenta fuit et est”, giacché essa signora Contessa così volle e vuole, fu contenta ed è contenta.
Per di più “la predetta signora Contessa per la devozione che nutre verso la suddetta chiesa di Santa Rosalia e la sua santa reliquia, graziosamente concedette e concede quale tutrice e balia dei predetti suoi figli, alla venerabile chiesa di Santa Rosalia ed alla confraternita in essa esistente che si possa celebrare la festività con fiera in luoghi congrui ed opportunamente benedetti, da scegliersi dai signori Giurati. E siffatta festività e fiera (festivitas et nundinae) volle e vuole, nonché ne diede incarico e ne dà essa signora Donna Beatrice Contessa come sopra acciocché siano franche, libere ed esenti dai diritti di gabella spettanti al signor Conte della terra di Racalmuto. E l’esenzione vale per otto giorni cioè a dire da quattro giorni dalla detta festa sino a quattro giorni dopo». Un editto feudale con tutti i crismi come si vede. Ma è l’ultimo atto della chiacchierata contessa Beatrice del Carretto Ventimiglia di cui siamo a conoscenza che testimonia la sua presenza a Racalmuto. Dopo, si sarà trasferita a Palermo. Il figlio resta sotto la sua tutela sino al diciottesimo anno. Nell’archivio di Stato di Agrigento sono conservati i documenti del convento del Carmelo di Racalmuto. Vi si rintraccia una nota comprovante i diritti del convento a valere sulle doti di paragio di donna Eumilia del Carretto (argomento in seguito sviluppato). Vi si legge fra l’altro: «Don Joannes del Carretto comes Racalmuti et Princeps de XX.lijs ... concessit cum auctoritate donnae Beatricis del Carretto et XXlijs Comitissae Racalmuti et Principissae XX.lijs eius curatricis seu procuratricis» Era il 7 maggio 1636. [4] E già ad Agrigento imperversava il vescovo Traina.
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