PROCURA DELLA REPUBBLICA DI PALERMO
Verbale di sommarie informazioni
L’anno millenovecentoquarantasette il giorno 10 del mese di luglio in Palermo.
Avanti a noi, dott. Comm. Rosario Miceli, Procuratore della Repubblica di Palermo,
assistito dall’infrascritto segretario, è comparso l’onorevole prof. Montalbano
Giuseppe fu Giuseppe, di anni 52, da S. Margherita Belice, domiciliato in Palermo,
via Marchese Ugo, n. 22
DR: A chiarimento della denunzia in data 25 giugno 1947, sporta al Procuratore
Generale, contro l’Ispettore Generale di P. S. Ettore Messana, specifica i seguenti
particolari:
«Sul fatto indicato col numero uno, narro quanto appresso.
Io ero stato citato quale teste dal Consigliere Istruttore, dott. Merenda, delegato della
Sezione Istruttoria del processo che si istruisce per l’omicidio di Accursio Miraglia,
avvenuto il 4 gennaio 1947 a Sciacca, segretario di quella Camera del Lavoro. La
citazione mi invitava a presentarmi il giorno 19 maggio, alle ore 9, negli uffici della
Sezione istruttoria. Mi recai colà alle 9 in punto, ma attesi invano fino alle ore 10 ed
un quarto l’arrivo del Magistrato arrivato a quell’ora, avendo altri impegni urgenti, mi
allontanai. Successivamente ho ricevuto un’altra citazione a comparire il giorno 24
maggio, sempre per le ore 9, ed alla detta ora precisa io fui alla Sezione istruttoria per
deporre. Tanto più che io desideravo deporre dinanzi alla Giustizia.
Purtroppo, però, avvenne che anche in tale giorno il Consigliere istruttore sino alle ore
dieci non era venuto in ufficio, ed anche questa volta, dati i miei impegni, dovetti
allontanarmi senza deporre. Non ricevetti altre citazioni. Intanto nel «Risorgimento
Liberale» del 12 giugno 1947, giornale che esibisco e che lascio nelle mani di V. S.,
lessi un articolo in 4a pagina dal titolo «Lo scandalo di Sciacca» e dal sottotitolo
«Come fu estorta la confessione di un innocente. L’inesplicabile atteggiamento di un
deputato comunista e l’acquiescenza di alcuni funzionari».
In esso era un riferimento alla mia persona indicato precisamente con queste parole:
«L’inesplicabile ecclissamento di un teste molto importante, l’on. Giuseppe
Montalbano, citato a comparire dinanzi la Sezione istruttoria e non ancora comparso,
probabilmente per sottrassi ad un confronto pericoloso con qualche ufficiale di polizia
giudiziaria».
Svolsi allora una interrogazione alla Camera diretta al Ministro di Grazia e Giustizia,
per chiarire che non si doveva imputare a me, la mancata mia deposizione. Di accordo
col Ministro si fece noto a Palermo che, dati i lavori parlamentari e gli affari urgenti
che si discutevano alla Costituente, io avrei potuto essere inteso il 27 giugno e così fu
stabilito. Infatti, mi pervenne la cedola della citazione per il 27.
Però, per certi affari sopraggiunti, io chiesi di essere sentito il 25 anziché il 27, ed
infatti il giorno 25 giugno fui sentito dal Consigliere Merenda, prima che si iniziasse
la mia dichiarazione. Fu in questa occasione che il Consigliere Merenda, prima che si
iniziasse la mia dichiarazione, volle chiarire che egli per il giorno 19 maggio aveva
effettivamente ritardato per circostanze non dipendenti dalla propria volontà, ma che
si trattò di un quarto d’ora perché riteneva di aver disposto che la citazione avesse
luogo per le ore dieci; per quanto riguarda il giorno 24 maggio, mi mostrò l’ordine che
aveva scritto di suo pugno affinché la citazione fosse disposta per le ore dieci e che era
stato l’Ufficiale giudiziario ad indicare le ore nove, seguendo una consuetudine per
cui tutti i testimoni vengono citati per le ore nove. Mostrò così il suo disappunto per
quello che era avvenuto e gli dichiarai che non ci tenevo tanto. Aggiunse il
Consigliere Merenda che tanto per il 19, quanto per il 24, egli aveva fatto una
telefonata all’Ispettore Generale di PS. Messana Ettore, invitandolo a tenersi a
disposizione nell’eventualità che durante la mia deposizione fosse occorso di metterlo
a confronto con me. Soggiunse che dato che la mia deposizione non aveva avuto
luogo e supponendo egli che io non mi fossi presentato, aveva telefonato a Messana
dicendogli che poteva ritenersi libero inquantoché io non ero andato a deporre. Or,
poiché io ritengo che effettivamente il Consigliere Merenda non abbia comunicato a
nessuno questi particolari relativi a un predisposto confronto fra me e Messana,
deduco con piena convinzione che l’unico a sapere questa circostanza oltre al
Merenda fosse il Messana e che fosse stato questi a darne notizia ai giornali
propagando un segreto di ufficio.
Su questo primo punto non ho altro da aggiungere. Esibisco anche su questo riguardo
il numero del «Giornale di Sicilia» del 18 giugno 1947 in cui è riportata sotto il titolo
«Lo scandalo di Sciacca portato alla Costituente» notizia della mia interrogazione.
Sul secondo punto è evidente che tanto nello articolo uscito nel «Giornale di Sicilia»
del 22 giugno 1947 sotto il titolo «Colpo di scena. A Portella della Ginestra ha sparato
Giuliano» quanto nell’altro inserito nel «Giornale di Sicilia» del 23 giugno sotto il
titolo «Soppresso a Portella della Ginestra perché testimone della strage» sono stati
divulgati fatti e circostanze che non potevano essere di dominio pubblico e quindi
oggetto di cronaca, bensì notizie acquisite dall’Autorità giudiziaria e dalla polizia
giudiziaria durante le indagini e la istruzione del processo per l’eccidio del primo
maggio 1947 a Portella della Ginestra, le quali non potevano essere note né
pubblicate; e che si trattasse di divulgazione di atti ufficiali, lo conferma lo stesso
giornale nell’articolo di fondo dal titolo «Ricerca della verità», inserito nel numero
149 del 25 giugno 1947, nel quale fra l’altro si legge che «avevamo informato il
pubblico della nuova svolta presa dalle indagini sull’eccidio di Piana della Ginestra
sulla base di atti ufficiali riferentisi alla inchiesta» e più sotto nello stesso articolo
ribatte con le seguenti frasi: «La nostra pubblicazione di domenica mattina che
riproduce, lo ripetiamo, le conclusioni ufficiali di una inchiesta accertante la
responsabilità di Giuliano». Io non so se effettivamente, i quattro individui e cioè
Riolo, Sirchia, Fusco e Cuccia avessero riconosciuto per Giuliano alcuna delle
fotografie mostrate e se qualcheduno di quelli fotografati sia stato da loro riconosciuto
come appartenente agli autori della strage. Ma se il giornale pubblica che questi
individui avevano riconosciuto tra i banditi Giuliano, chi poté fornire ad esso la
notizia, specie se è vera? Per mia convinzione è stato il dottor Messana a propalare la
notizia e suffraga questo mio convincimento la seguente circostanza.
Sin dalla consumazione della strage e prima ancora che le indagini avessero preso una
consistenza qualsiasi, già il due maggio il Messana informava il Ministro dell’Interno,
on.le Scelba, che autore della strage era stato Giuliano con la sua banda, notizia che il
Ministro comunicò all’Assemblea e che senza dubbio fu la base della sua
dichiarazione in proposito, quindi era suo interesse dimostrare al pubblico che egli
non si era sbagliato.
Sulla mia denunzia del 25 giugno c.a. non ho altro da aggiungere».
A domanda risponde:
«L’articolo di fondo, pubblicato nel n. 152 del primo luglio 1947 nel giornale «La
Voce della Sicilia» dal titolo «L’Ispettore di PS. in Sicilia, comm. Messana, correo dei
delitti di Fra’ Diavolo?» e che reca la mia firma, è stato scritto da me. Quello che mi
ha colpito dell’agire del Messana è stato il fatto che egli, immediatamente dopo il
conflitto avvenuto ad Alcamo, mandò un suo funzionario colà per ritirare il porto
d’armi che era stato concesso al padre del Ferreri e che era stato ritrovato addosso al
morto. Questa notizia mi è stata riferita da persone, che per ora non nomino, le quali
aggiunsero che quel permesso l’aveva in potere il commissario Drago il quale lo
consegnò al richiedente. So però, che questo porto d’armi è stato rimesso all’autorità
giudiziaria di Trapani.
È vero che le mie accuse contro il Messana sono poste in quell’articolo sotto forma
ipotetica e cioè dipendenti dall’acclaramento della verità della dichiarazione del
giovane Ferreri, inteso Fra’ Diavolo, il quale ebbe ad affermare che era un confidente
del Messana. Ma in questa dichiarazione, qualche cosa di serio mi è sembrato di
riconoscere, riconnettendola con la circostanza che il padre del Ferreri era munito di
porto d’armi e che di questo documento ebbe premura il Messana di venirne in
possesso. Comunque, come risulta dal resoconto sommario stampato dei lavori
dell’Assemblea Costituente del 3 luglio 1947, a firma mia e di altri deputati, è stata
presentata una interpellanza su tutto questo affare.
Esibisco il detto resoconto.
L’opera nostra mira ad ottenere una inchiesta parlamentare, che se verrà, si occuperà
di tutta la materia. Se non verrà, provvederò a far conoscere quello che potrà risultare.
Per ora non ho altro da aggiungere.
Esibisco un altro resoconto del 14 giugno 1947 nel quale è riportata una
interrogazione rivolta al Ministro dell’Interno, a firma Li Causi e Montalbano, la quale
mira a far conoscere se sia vero che gli organi di polizia di Palermo sono in possesso
di elementi, secondo i quali, la vita dei sottoscrittori della interrogazione sarebbe
minacciata dagli organizzatori della infame strage di Portella della Ginestra.
Esibisco tale documento solo perché esso ha rapporti con tutte le quistioni.
Effettivamente da circa quindici o venti giorni intorno alla persona mia e
dell’onorevole Li Causi si esercita una particolare protezione da parte della polizia, la
quale asserisce di avere elementi concreti per temere che noi due possiamo essere
oggetto di attentati da parte degli affiliati alla banda Giuliano.
A conclusione di questa mia deposizione desidero esibire un numero del giornale
«Buonsenso» del 2 luglio 1947, nel quale sotto il titolo «Giuliano ce l’ha con i
giornalisti che lo trattano da delinquente» pubblica una lettera che a firma di Salvatore
Giuliano era pervenuta al giornale «L’Ora» e che l’aveva pubblicata. Lo scopo della
mia esibizione si riconnette al commento che il giornale fa alla pubblicazione della
lettera.
Infatti, in detto commento, l’autore di esso riferendosi evidentemente al mio articolo
pubblicato sulla «Voce della Sicilia», del quale si è testé parlato, mira a diminuirne
l’importanza ed a far credere che le cose da pubblicate non siano cose serie».
Letto, confermato e firmato.
F.to: Giuseppe Montalbano
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