Prefazionavo il mio La DONNA
del MOSSAD – Apologo sul caso Sindona non mancando di ringraziare un uomo
che mi aveva salvato da guai gravi, da licenziamenti persino forieri di miseria:
«Se non fosse stato per Ivo Turchetti – scrivevo – il sottoscritto sarebbe stato
stritolato, messo alla gogna, mandato forse in galera dai vari Oteri, Ciancaglini
ed un flaccido calvinista di cui mi sono scordato persino il nome».
Oggi, giornata di grandi fastidiose piogge a Roma sono stato
al suo scarno, intimissimo funerale. Caro Ivo tu sei stato l’uomo che nella
congiuntura più tragica della banca d’Italia hai saputo tenere la compagine
impiegatizia di questo glorioso ma ambiguo istituto nella parte giusta, né
istericamente ribelle né sornionamente plaudente.
Nei tuoi vari e diversificati ruoli puoi dirti colui che
molto contribuì all’immagine del candido apparire della Banca d’Italia. Se
democrazia, se apertura all’irrompente accesso nelle stanze dei bottoni della
classe operaia, se senso civile, se bando alla iattante separatezza di Palazzo
Koch vi furono, tu tanto contribuisti.
Oggi in quell’algida stanzetta della Residenza Salus non c’erano
bandiere (e ti spettavano) non c’erano fiori d’alto bordo (e ti spettavano), figure
rappresentative del potere, del governo dell’economia, del partito dei
combattenti rossi (e ti spettavano). Ne fui felice, l’artefice di tante
battaglie civili e democratiche era rimasto puro, candido, immacolato. Vi
eravamo, oltre a tuoi cari parenti stretti, pochisimi che davvero ti avevamo
voluto bene.
In una delle tue divagazioni professionali della Banca d’Italia,
venisti con noi in una ispezione di vigilanza alla Cassa di Risparmio di
Vercelli nel 1969. Non fosti fortunato: il capo missine (impersonava una lunga evanescenza
nordica) da una parte, ed il
sottoscritto, una crisalide allora in cerca della sua stazza ispettiva dall’altra.
Ci stavi in mezzo, dignitosissimo ma estraneo. Ti spiegavo una volta cosa avevo
trovato: un “sussidiario del conto economico” tra gli “effetti ricevuti per l’incasso”.
Si adirò Guasco e ci redarguì imponendoci il silenzio come se fossimo due
scolaretti. Certo che non gliela lasciai passare liscia. Stavo diventando il
ribelle che poi sono stato fino ad essere cacciato via dalla Banca d’Italia. Ma
senza infamia, per la tua difesa (potente e sapiente).
Al culmine delle assurdità: ad un rifornimento dell’autostrada,
ci gridarono (erano gli anni di piombo): “fascisti, borghesi, ancora pochi mesi”.
Ricordo che ti ci arrabbiasti davvero. A me .. dicevi; a me! Eri stato anche
partigiano ed eri rosso integro.
Ora debbo dirti, carissimo Ivo: Addio, Addio per sempre , con
tantissima pena nel cuore.
Calogero Taverna
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