‘ssù taverna
Un qualcuno nel telefonarmi, quasi per acquisire meriti, mi
viene a dire che lui è un eroe perché parla (rectius: parlava ed ora non più
per mio volere), nonostante che gli avessero detto: ma chi ti minti cu su taverna: lassalu stari.
Non so che pensare! Non è la prima volta che anche chi si
professa mio amico a Racalmuto poi, fingendo di riferire cose altrui, mi spiattella
cose non proprio carine.
Così dall’albatro sono passato alla ragliata dell’asino cervantesiano
in versione Sciascia, pronubo un tale Scimé.
I miei paesani devono sapere che forse perdono ma dimenticare
mai. Ed al momento opportuno la mia non proprio benevola vendetta, scatta. Come
dicono i cinesi, quello lì è un patto che è meglio gustare freddo.
A Racalmuto sono e mi vanto di essere lu figliu di Peppi Taverna: a Roma – purtroppo per loro - sono chi
sono. Già gli storici sanno che qualche mia ispezione a Milano nel 1974, che
qualche libro foriero addirittura di una inchiesta parlamentare, quella sul
caso Sindona, certi subdoli incroci di fissati bollati (roba da supertecnici)
hanno determinato una svolta epocale nei corsi e ricorsi della supremazia
bancaria.
Mi pare di leggere che i miei testi sulle figure dei Del
Carretto vanno al macero perché novelli microstorici sanno meglio di me l’evolversi
della dinastia carrettescha a lu Cannuni.
Sono curioso di leggere i miei superamenti e le obsolescenze delle mie
ricerche. Spero però che non si bleffi. Un tal Messana montedorese, non sapendo
quanto sono perfido di coda, credo che si stia leccando le piaghe fatte dalle mie
frustate (letterarie).
Mi dispiace per lor signori: è certo che la polemica
salace, e spesso il sarcasmo denigratorio sono pane per i miei denti. Credo che
a Racalmuto l’abbiano capito da qualche tempo e mi lasciano in pace con i loro
abituali commenti stronzi. Nonostante che mi esponga qui e là ed in tanti
luoghi. Spero che non ci riprovino adesso
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