Non è da oggi che scriviamo sui del Carretto. Sciascia non ha dubbi, questo passo non risulta neppure virgolettato. Correva l'anno del Signore 1956 quando per il sommo vate racalmutese nessuno doveva (poteva) mettere in forse che quando "invece correva l'anno 1503, ... era signore di Regalpetra (per noi Racalmuto) Ercole del Carretto ". Fu allora che in "pomeriggio pieno di sole e polvere fece sosta davanti alla chiesa di Santa Lucia, dove era una fontana, il nobile castronovese Eugenio Gioeni".
Nulla di tutto questo a noi risulta; le nostre ricerche storiche tutto smantellano.
- "il nobile castronovese Eugenio Gioeni appare in documenti scritti solo nel 1856 per la penna di un padre predicatore che portava il saio dei minori osservanti. Non mi consta che in qualche modo fosse legato anagraficamente a Racalmuto. Penso che fosse uno dei tanti padri predicatori del mese mariano che si sono alternati nel nostro imponente Santuario. Però potremmo sbagliarci. E' certo comunque che fu lui a dare titolo, nome e cognome ad un "EUGENIO GIOENE Castronovese" Già il fatto di quella "E" al posto della sciasciana "I" ad un microstorico come me disturba, fa sospettare. Ma questo è nulla: spulciate tutti i testi che volete e mai troverete che in Castronovo vi fosse un CONTE Gioeni o Gioene che dir si voglia in quel torno di tempo del 1503;
- in base a mie ricerche neppure vi erano semplici nobili, magari cadetti, a nome Gioeni o Gioene;
- credo di avere investigato alquanto certosinamente la storia di quella che addirittura in una mostra al Cannuni (anche se negletta l'ho pur fatta) designo come ECCLESIA TERRAE RACALMUTI; di questa conclamata chiesa o chiesetta di Santa Lucia, neppure l'ombra;
- fontane nei dintorni latitano; lu pupu di l'acqua di la scinnuta di la Parma - comunque vandalicamente abraso dai nostri a dir poco incolti amministratori - mi pare piuttosto decentrato per essere quello c he avrebbe fatto impantanare irrimediabilmente la BAROZZA sciasciana;
- nel 1503 nessun Ercole del Carretto - che al limite, come fa notare lo stesso Sciascia, non poteva essere conte - mi risulta signore di Racalmuto, giusta quanto reitero sotto. Debbo però per onestà di storico far presente che addirittura giovanissimi giornalisti del nuovo millennio e abilissimi ingegneri coevi dicono che hanno distrutto tutte le mie ricognizioni storiche sui del Carrello e la vera storia la sanno loro. Ma ancora nulla mi è dato leggere a mio scorno scientifico.
In vista di quello che dirò in un altro post, invero tra i del Carretto e non tanto Castronovo ma una località propinqua (San Pietro ) corse del sangue. Intanto dopo dico di cosa si tratta. Successivamente cercherò di trarne i collegamenti con la Venuta della Madonna del Monte.
Tratti anagrafici di Ercole del Carretto
Scarne
sono le notizie che abbiamo su Ercole del Carretto. Non
sappiamo quando nasce: la morte cade invece nel gennaio del 1517. Sposò tal
Marchisa di cui ignoriamo il casato.
Dal
processo d’investitura del figlio Giovanni III possiamo abbozzare questi altri
dati: fu “signore e barone della terra di Racalmuto e tenne e possedette quella
terra di Racalmuto con il suo castello e fortilizio, nonché con tutti i suoi
diritti e pertinenze”. “Vi cambiò tutti gli ufficiali tutte le volte che gli
piacque”. “Ebbe a percepire o far percepire frutti, redditi e proventi della
baronia di Racalmuto quale vero signore e padrone”. “Tenne il figlio Giovanni
come figlio primogenito, legittimo e naturale e per tale lo trattava e come
tale lo reputava così come veniva ritenuto, trattato e reputato dagli altri.”.
“In qualità di signore e padrone della predetta terra e padre del signor
Giovanni, piacendo a Dio morì e fu seppellito nel castello della terra di
Racalmuto nel mese di Gennaio VI indizione del 1517, dopo avere redatto solenne
testamento per mano del notaio Giovanni Antonio Quaglia della città di
Agrigento il 16 del predetto mese di gennaio, ove ebbe ad istituire suo erede
universale il detto magnifico signore Giovanni”.
Nel suo
processo d’investitura si legge che: a
«Johanni de Carrectis» successe «quondam magnificus Hercules, unicus filius
legitimus et naturalis.» ([1])
Crediamo
che il noto giurista operante a Racalmuto, Artale de Tudisco, fosse già al
servizio di Ercole del Carretto. Altro notabile del suo entourage
fu il nobile Alonso de Calderone che così testimonia: «stando ipsu testimonio como uno degli domestichi di lo quondam
magnifico Herculi lu Garretto baruni di Rayalmuto, vidia dicto magnifico regiri
et governari la dicta terra et in quella permutari li officiali et rescotirisi
et fachendosi rescotirj li renditi et proventi di dicta terra comu veru signuri
et patruni et canuxi lo dicto don Joanni de Carrectis esseri figlo primogenito et unico di dicto quondam signuri
Erculi lu Garrecto a lu quali lo dicto quondam magnifico Herculi tenia et
reputava per figlio unico et primo genito et da tucti accussi era tenuto,
trattato et reputato; lu quali dicto quondam magnifico Herculi baruni fu mortu
in lo castello di dicta terra et lo presenti lo vitti sepelliri et secondo
intisi dicto magnifico Herculi innanti sua morti fichi testamento.»
Testimoniò
anche certo Francesco Maganero come intimo del defunto barone, così come il
“nobile” Andrea de Milazzo. Personaggi egualmente di risalto furono i “nobili”
Antonino Palumbo, Alfonso de Silvestro e Gaspare Sabia.
Il cennato
processo include anche uno stralcio del testamento di Ercole del Carretto che
qui riportiamo in una nostra traduzione dal latino:
«E’ da
sapere come fra gli altri capitoli del testamento del quondam spettabile Ercole
del Carretto, barone della terra di Racalmuto, vi è l’infrascritto capitolo.
«Nel nome
del Signore nostro Gesù Cristo, amen. Nell’anno dall’incarnazione 1517, nel
mese di gennaio, il giorno 27, VII^ indizione, in Racalmuto e nel castello del
magnifico e spettabile signor Ercole del Carretto [si raccolgono le ultime
volontà testamentarie], accese tre candele verso la quinta ora della notte.
«E poiché
capo e principio di ogni testamento fu ed è l’istituzione dell’erede
universale, così il detto magnifico e spettabile signor Ercole, testatore,
istituì, fece ed ordinò suo erede universale il magnifico e spettabile signor
D. Giovanni del Carretto, suo figlio legittimo e naturale, nato e procreato da
lui e dalla quondam magnifica e spettabile donna Marchisa del Carretto, un
tempo prima moglie dell’illustre e spettabile testatore sopraddetto.
«E tale
eredità si estende sopra tutti i beni suoi, mobili e stabili, presenti e
futuri, amovibili ed inamovibili, nonché in ordine a tutti i debitori ovunque
esistenti e meglio individuabili e designati, e principalmente nella baronia,
nei feudi e nei territori di Racalmuto, con tutti i suoi diritti, redditi,
emolumenti, proventi, onori ed oneri della detta baronia a giusto titolo
spettanti e pertinenti, secondo la serie
ed il tenore dei suoi privilegi e dei suoi indulti e concessioni, in una con
l’amministrazione della giustizia giusta la forma dei suoi privilegi.
«Dagli atti
miei, notaio Antonino Quaglia agrigentino.
«26 marzo -
VI^ Ind. - 1518.»
Il
testamento ci svela come Ercole del Carretto abbia sposato in prime nozze la
citata Marchisa madre del primogenito Giovanni III. Ercole poté avere contratto
altre nozze ma non ne sappiamo nulla.
Paolo del Carretto
Di quale
madre fosse, ad esempio il terribile Paolo del Carretto, non è dato sapere.
Abbiamo un inghippo che non è facile districare. Alcuni testi dichiarano
Giovanni III del Carretto figlio unico di Ercole (vedi testimonianza del
Tudisco così come del Calderone), ma nel testamento del Quaglia questo aspetto
viene glissato. Supposizioni se ne possono fare tante, ma il dubbio resta. Ed
allora va creduta la rutilante storia che il Di Giovanni ci fornisce, oltre un
secolo dopo, nella rinomata Palermo
restaurata? Siamo propensi ad avvalorare l’ipotesi affermativa. Va qui
allora ricordato che nel 1630 circa quello strano personaggio che fu il
cavaliere Di Giovanni scrisse per sé
secentesche memorie che oggi sono una miniera di notizie. Discendente per via
laterale dai del Carretto e addirittura dal padre di Ercole del Carretto -
almeno a suo dire - confezionò un racconto truculento in cui non è facile distinguere
il loglio dal grano. Investe la Racalmuto dei primi del ‘Cinquecento e noi non
possiamo esimerci dal reiterare quel racconto, quanto bizzarro ed inventato Dio
solo sa.
«Nel tempo che fu Lotrecco [Lautrec] a Napoli
successe in Sicilia lo caso di Barresi, il qual si nota dopo quel di Sciacca. E
fu il predetto caso, che essendo nella città di Castronovo D. Paolo Carretto,
mio avo paterno, uomo di gran valore, e avendo differenza con uno di casa
Barresi, gli diede il Carretto uno schiaffo; onde ne successe fra loro
gravissima inimicizia, in modo che la città si ridusse a parte.
Un giorno volle il Carretto andar a
visitare suo fratello D. Ercole, signor di Racalmuto, e vi andò con 25 cavalli.
Ma saputo ciò per le spie da’ nemici, lo assaltâro alla piana di santo Pietro.
Vide egli da lungi venire i nemici; e potendosi salvare nella chiesa di santo
Pietro, gli parve viltà, e si risolse piuttosto morire, che far gesto di sé
indegno. Si venne tra loro alle mani; ché animosamente il Carretto investì, e
ne morsero dall’una e dall’altra parte.
Ma il Carretto, investendo il suo nemico,
era con un pugnale a levargli la vita, avendolo preso per il petto, quando uno
de’ compagni con una saetta lo percosse in fronte e lo mandò morto a terra.
Satisfatti perciò i nemici, attesero a
salvarsi, e se ne andâro alle guerre del Trecco [Lautrec] a servire Sua Maestà,
perché erano due fratelli; e gli successe in una giornata di adoperarsi
valorosamente sotto la condotta del conte Borrello, figlio del viceré, perché
mantennero un ponte tutti e due, tanto quanto gli arrivasse il soccorso; dal
che si evitò gran danno, che poteva succedere agl’Imperiali.
Del che fattosene relazione a Sua Maestà,
spedita la guerra, fûro i predetti due fratelli indultati in vita, e fûro fatti
capitani d’armi per il regno.
Sentì gravemente il successo D. Giovanni
Carretto, nepote del predetto D. Paolo; e più per vedersi i nemici, in quel
momento favoriti, stargli innante gli occhi, e perché era di gran valore e
chimera, procurò quello, che non avea procurato il padre D. Ercole.
In quel tempo era nella città di Naro
Enrico Giacchetto, uomo valorosissimo e potente, consobrino di mia ava paterna,
il quale, per avere inimicizia con il barone di Camastra, anco della città di
Naro, manteneva a sue spese cento cavalli, ordinariamente di gente scelta e
valorosa, con li quali faceva allo
spesso gesti eroici e singolari. Di costui ne temeva tutto il regno.
D. Giovanni del Carretto, figlio del
predetto D. Ercole, si fé chiamare il predetto Enrico, che gli era amicissimo,
a cui conferì il suo pensiero, e lo richiese che si volesse adoperare per lui
in satisfarlo di quell’oltraggio.
Gli promise buona opera Enrico; e perché
si sentiva che i Barresi si volevano levar le mogli e le case da Castronovo, e
portarsele alla città di Termine, li appostò Enrico con quaranta cavalli, e,
venendo quelli a passare per il fundaco delle Fiaccate, per quel cammino
assaltò i predetti fratelli con molta compagnia. I quali non prima si videro
Enrico addosso, che sbigottiti si posero a fuggire, e furono finalmente giunti,
presi ed uccisi.
E se ne presero le teste, che furono
portate al predetto D. Giovanni, il quale, benché prevedesse gran travagli di
giustizia, ne fu pure assai satisfatto e contento; tanto si estimava l’onore in
quei tempi.
N’ebbe al fine gran travagli: ma col tempo
ne riuscì con vittoria, grandissimo onore e reputazione.»
“Più
solidità e più stabilità” Eugenio Napoleone Messana (op. cit. pag. 95) pensa
che possa avere il suo congetturare sulla genesi della saga della Madonna del
Monte, quale trasfigurazione dei fatti sopra narrati. Francamente non ce la
sentiamo di seguirlo. Non siamo neppure certi, come si è visto, che Paolo del
Carretto fosse racalmutese e fosse davvero fratello del barone Ercole.
Probabile invece che una volta conosciuta la
tresca di Paolo, Ercole e Giovanni del Carretto, nelle prime decadi del
Seicento, abbia preso corpo a Racalmuto la sublimazione della vetusta e pia
memoria della “venuta” di quella
adoratissima immagine marmorea della Madonna del Monte.
Il canto
popolare che la prof.ssa Isabella Martorana ha saputo recuperare dalla viva
voce delle locali vecchiette non è coevo certo alla venuta della Madonna del
Monte, ma ha insiti spunti storici che sia pure postumi meglio rispecchiano la
genesi della saga. Venuta da Trapani - più verosimile che si fosse parlato di
Punta Piccola - , “intranno a Racarmuto pi la via/ vonzi ristari cca la gran
Signura”, sono scisti con qualche valenza storica. Ma visto che “a lu conti cci
arrivà mmasciata”, il riferimento è decisamente postumo, databile dopo il
declinare del XVI secolo. Il carme dialettale, bello esteticamente, lascia
nelle brume anch’esso l’origine della pia tradizione del miracoloso evento
della Madonna del Monte che sceglie la sua dimora nel nostro paese, in cima
alla panoramica altura della omonima chiesa.
[1])
Archivio di Stato di Palermo - Protonotaro Regno - Investiture - busta 1487
processo n.° 1175 - anno 1518-21 (Foto 13/b del retro infra pubblicata).
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