Chi laico come me e assolutamente non credente non è che sia molto impacciato da superstizioni e terrori infernali se di sapore religioso. Eppure lo confesso, quando mi accingo a parlare di la Beddra Matri di lu Munti, un poco mi si addrizzanu li carni: Tutti quelli che ne hanno scritto o esaltato le memorie sono finiti piuttosto male: morti precoci e soprattutto fulminati dal male del secolo che si ha pudore di nominare, il cancro. Non sappiamo che fine ebbe a fare il nobilomo don Francesco Vinci di cui scrivo a pag . 139 del mio aureo ma negletto volume "RACALMUTO NEI MILLENNI". Non ne so molto; ho solo potuto appurare che fu seminarista in quel torno della metà del secolo dei Lumi, il '700. Ma non vi resistette a lungo. Credo che dopo si diede a bivaccare come galantuomo con qualche proprietà terriera in quel di Racalmuto. All'epoca il Circolo Unione non c'era. Chi avrebbe chiamato in causa questo falso nobile EUGENIO, sarebbe stato questo possidente settecentesco racalmutese. Ma lo dice Messana e noi per principio non crediamo al faceto Eugenio Napoleone della crestomantica schiatta dei MESSANA.
Ci va pertanto di rammentare che le nostre più datate ricerche hanno questo ordito. Non siamo grandi storici, ma amiamo molto la critica storica e nulla abbiamo voglia di affermare se prima non siamo riusciti ad inverare qualche attendibile fonte coeva.
Intanto trascriviamo:
"La rivolta a Racalmuto del 1454 di cui parla il Genuardi dovette essere
cosa seria se da quel momento sino al 1519 i processi d’investitura tacciono.
Dalla ficcante indagine del Barberi sappiamo - e non c’è motivo di
dubitarne - che a Federico successe Giovanni II del Carretto. Non sappiamo
quando e come. Il Baronio, lo storico di famiglia del Carretto del 1630, ne sa
ben poco: «Ioannes natus maior, cum familiam rebus praeclare gestis aeternitati
commendasset. Herculem, ac Paulum
habuit sibi, nec maioribus dissimilem suis. In unoquoque semper avitae
nobilitatis fulgor eluxit.» Parole di circostanza per colmare evidenti carenze
di notizie. Quali fossero quelle gesta che affidarono la famiglia alla memoria
dei tempi futuri, non ci dice e noi non ne abbiamo nessuna ... memoria.
Accontentiamoci del fatto che fosse il figlio maggiore [natus maior] e che avesse partorito il
successore Ercole, il celebre falso conte della venuta della Madonna del Monte,
e Paolo di cui gli archivi vescovili di Agrigento ci hanno tramandato qualche
dato sulla sua litigiosità con i sindaci di Racalmuto ([1]).
Apprendiamo dalla valida ricerca del Sorge su Mussomeli ([2]) che «lu fegu di Rabiuni lu teni lo Mag.co Baruni
di Regalmuto per anni ... vinduto per lo Mag.co Signuri Pietro lo Campo unzi
trentacincho, uno vitellazzo, una quartara di burru, uno cantaro di formaggio.»
Quando sia avvenuta quella vendita non ci è noto; il rendiconto è del
1486 e come si è visto, non è neppure detto a quali precedenti anni si
riferisse la vicenda di cui alla posta contabile. Da quel che si legge nel
Sorge (op. cit. pag. 209 e segg.) potrebbe trattarsi degli anni attorno all’11
ottobre 1467 (data in cui “venne stipulato il contratto col quale il
procuratore di Ventimiglia rivendette a Pietro del Campo la baronia di
Mussomeli, col suo castello ...”). Le nostre successive indagini presso gli
Archivi di Palermo (in particolare “Archivio Campofranco, Fatto delle cose notabili etc.” e “Conservatoria, Privilegia, confiscationes bonorum et
investiturae, 1459 e 1489, foglio 536”, di cui in Sorge) non ci hanno
sinora consentito di chiarire alcunché quanto ai del Carretto e
specificatamente a chi si riferisse l’atto di vendita del feudo Rabiuni di
Mussomeli. Azzardiamo il nome di Federico del Carretto. Sembra dunque appurato
che dal 1459 al 1489 la famiglia del Carretto si sia bene ripresa dalla crisi
del 1454 ed abbia avuto fondi sufficienti per acquistare il costoso feudo
Rabiuni di Mussomeli e mantenerlo anche se notevolmente oneroso. Del resto, in
quel tempo, Racalmuto dovette divenire un centro di abbienti: nello stesso
“conto del segreto Bonfante del 1486” (di cui in Sorge pag. 386) si accenna al
possesso feudale di un altro racalmutese. «Lu
fegu di Santu Blasi - vi si annota - lu
teni Mazzullo di Alongi di la terra di Regalmuto per anni 3 videlicet quinte
Ind. 6 Ind. E 7 Ind. Et pri unzi quattordichi quolibet anno uno crastatu, uno
cantaro di formaggio, et una quartara di burru quolibet anno da pagarsi la
mitati a menzu Septembru et la mitati a la fera di Santu Juliano intentendosi
quindici anni primi poi di Pasqua.» ([3])
Il Barberi, che l’inchiesta - piuttosto acidula contro i del
Carretto - la fa a ridosso degli anni
della baronia di Giovanni II, ha questi appunti critici:
«E morto il cennato
Federico, gli successe Giovanni del Carretto, suo figlio, il quale, come appare
dall’ufficio della regia cancelleria, non prese giammai l’investitura della
detta terra.»
ERCOLE DEL CARRETTO
E subito dopo abbiamo Ercole del Carretto, quello che le
saghe sulla venuta della Madonna del Monte chiamano “conte”. Il Barberi annota
su di lui:
«Morto il detto
Giovanni, gli successe Ercole del Carretto figlio legittimo e naturale e
maggiore del detto Giovanni, del quale del pari non risulta investitura alcuna
ed al presente si possiede quella terra per lo stesso Ercole del Carretto, con
un reddito annuo superiore ad once 700.»
Il Baronio, come si
è visto, quasi non lo cita: un accenno trasversale, come si fosse trattato di
un riflesso sbiadito del gran fulgore che era stato il padre.
Il Barberi ebbe a
conoscerlo giacché è proprio sotto Ercole del Carretto che visita Racalmuto
come lascia intravedere il passaggio : al presente si possiede quella terra per lo stesso Ercole
del Carretto, con un reddito annuo superiore ad once 700.
Settecento once di reddito - a meno che non
trattisi di esagerazioni fiscali alla stregua delle mirabolanti cifre dei
moderni accertamenti degli agenti tributari - sono un’enormità. Sia quel che
sia, Racalmuto dunque in esordio del ‘500 - e proprio sotto Ercole del Carretto
- ha un salto quantitativo, un sussulto verso il grande centro. Nostri
precedenti studi ([4]) hanno messo in evidenza
questo significativo passaggio demografico e sociale. Dal rivelo del 1505 (un
paio d’anni dopo la venuta della Madonna) emerge una popolazione aggirabile sui
1600 abitanti: un secolo prima (nel 1404) erano poco più di 750. Certo, la
baronia dei del Carretto non era stata molto felice e varie strozzature
demografiche e sociali si erano verificate. Le abbiamo notate in quello studio,
ma tutto sommato si poteva essere abbastanza soddisfatti.
La venuta della Madonna del Monte
Era persino sorto
un clima messianico per cui era potuta allignare la saga della Madonna del
Monte. Sciascia è caustico: «correva l’anno 1503, ed era signore di
Regalpetra Ercole del Carretto ... C’è poi da dire che la statua è della scuola
dei Gagini, e appare molto improbabile sia finita in Africa; ma di più di ogni
altra è inquietante la considerazione sulla scelta della Madonna tra il Gioeni
e il del Carretto, tra i castronovesi e i regalpetresi; inquietante come
l’apparizione dell’immagine di Cristo su una parete al professor Pende, perché
proprio al professore, perché al del Carretto,
perché tra i regalpetresi la Madonna ha voluto fermarsi, la popolazione
di Castronovo essendo in egual misura fatta di uomini onesti e di delinquenti,
di intelligenti e di imbecilli.» ([5]) Ma è
proprio lui che poi negli Amici della
Noce se la prende con l’incolpevole padre Morreale, reo a suoi occhi di
avere cercato un po’ di luce (storica) su questa saga cui tutti i racalmutesi
siamo legati.
Ma neppure, a ben vedere, riusciamo a concordare del tutto con il valente
padre gesuita sui motivi che avrebbero spinto gli odiati Requisenz ad
inventarsi la leggenda della Madonna del Monte «per fare apparire i Conti del
passato, ma intenzionalmente quelli del presente, quali grandi benefattori del
paese: così il barone Ercole del Carretto, e con lui tutta la sua famiglia,
cominciò ad essere presentato nella leggenda come insigne benefattore del culto
della Vergine del Monte, costruttore della sua prima chiesa nel 1503.» ([6]) Osta se
non altro il fatto che i Requisenz si appropriano di Racalmuto il 28 gennaio
1771 ed a quella data la saga era ben
salda nei cuori e nella fede dei racalmutesi, come dimostra l’ex voto che si
ammira al Monte. Precedente era anche lo scritto di Francesco Vinci (pubblicato
secondo lo stesso padre Morreale, pag. 35) nel 1760 e forse anche quello di
Nicolò Salvo. Ma soprattutto appare dirimente il fatto che già nel 1686 la
curia vescovile di Agrigento considerava “miracolosissima imago” (immagine
molto miracolosa) quella che si venerava nella chiesa di S. Maria del Monte di
Racalmuto. ([7]) Il nostro spirito laico ci è d’intralcio nel
chiarire questioni come questa, che coinvolgono aspetti di sì rilevante
delicatezza religiosa. Ci limitiamo a pensare che Ercole del Carretto ebbe
davvero a costruire la prima chiesa del Monte (di una precedente chiesetta
intestata a S. Lucia, non abbiamo alcun documento probante) ed ebbe a
corredarla facendo venire da Palermo una statua di marmo. Fu evento memorabile:
quella Vergine marmorea, così somigliante alle giovani madri di Racalmuto,
brevilinee e rotondette, dovette impressionare e sbalordire gli ingenui occhi
dei contadini locali. Legarvi il senso del portento, del miracolo, fu semplice
e coinvolgente. Già nel 1608, in una visita pastorale, quel simulacro era
maestosamente eretto sull’altare maggiore della Chiesa del Monte: il vescovo -
recita il testo episcopale - “Visitavit altare maius super quo est imago
marmorea S.mi Virginis, ornata et admodum deaurata”.
Tratti anagrafici di Ercole del Carretto
Scarne sono le notizie che abbiamo su Ercole del Carretto. Non sappiamo
quando nasce: la morte cade invece nel gennaio del 1517. Sposò tal Marchisa di
cui ignoriamo il casato.
Dal processo d’investitura del figlio Giovanni III possiamo abbozzare
questi altri dati: fu “signore e barone della terra di Racalmuto e tenne e
possedette quella terra di Racalmuto con il suo castello e fortilizio, nonché
con tutti i suoi diritti e pertinenze”. “Vi cambiò tutti gli ufficiali tutte le
volte che gli piacque”. “Ebbe a percepire o far percepire frutti, redditi e
proventi della baronia di Racalmuto quale vero signore e padrone”. “Tenne il
figlio Giovanni come figlio primogenito, legittimo e naturale e per tale lo
trattava e come tale lo reputava così come veniva ritenuto, trattato e reputato
dagli altri.”. “In qualità di signore e padrone della predetta terra e padre
del signor Giovanni, piacendo a Dio morì e fu seppellito nel castello della
terra di Racalmuto nel mese di Gennaio VI indizione del 1517, dopo avere
redatto solenne testamento per mano del notaio Giovanni Antonio Quaglia della
città di Agrigento il 16 del predetto mese di gennaio, ove ebbe ad istituire
suo erede universale il detto magnifico signore Giovanni”.
Nel suo processo
d’investitura si legge che: a «Johanni
de Carrectis» successe «quondam magnificus Hercules, unicus filius legitimus et
naturalis.» ([8])
Crediamo che il
noto giurista operante a Racalmuto, Artale de Tudisco, fosse già al servizio di
Ercole del Carretto. Altro notabile del suo
entourage fu il nobile Alonso
de Calderone che così testimonia: «stando
ipsu testimonio como uno degli domestichi di lo quondam magnifico Herculi lu
Garretto baruni di Rayalmuto, vidia dicto magnifico regiri et governari la
dicta terra et in quella permutari li officiali et rescotirisi et fachendosi
rescotirj li renditi et proventi di dicta terra comu veru signuri et patruni et
canuxi lo dicto don Joanni de
Carrectis esseri figlo primogenito et unico di dicto quondam signuri Erculi lu
Garrecto a lu quali lo dicto quondam magnifico Herculi tenia et reputava per
figlio unico et primo genito et da tucti accussi era tenuto, trattato et
reputato; lu quali dicto quondam magnifico Herculi baruni fu mortu in lo
castello di dicta terra et lo presenti lo vitti sepelliri et secondo intisi
dicto magnifico Herculi innanti sua morti fichi testamento.»
Testimoniò anche
certo Francesco Maganero come intimo del defunto barone, così come il “nobile”
Andrea de Milazzo. Personaggi egualmente di risalto furono i “nobili” Antonino
Palumbo, Alfonso de Silvestro e Gaspare Sabia.
Il cennato processo
include anche uno stralcio del testamento di Ercole del Carretto che qui riportiamo
in una nostra traduzione dal latino:
«E’ da sapere come
fra gli altri capitoli del testamento del quondam spettabile Ercole del
Carretto, barone della terra di Racalmuto, vi è l’infrascritto capitolo.
«Nel nome del
Signore nostro Gesù Cristo, amen. Nell’anno dall’incarnazione 1517, nel mese di
gennaio, il giorno 27, VII^ indizione, in Racalmuto e nel castello del
magnifico e spettabile signor Ercole del Carretto [si raccolgono le ultime
volontà testamentarie], accese tre candele verso la quinta ora della notte.
«E poiché capo e
principio di ogni testamento fu ed è l’istituzione dell’erede universale, così
il detto magnifico e spettabile signor Ercole, testatore, istituì, fece ed
ordinò suo erede universale il magnifico e spettabile signor D. Giovanni del
Carretto, suo figlio legittimo e naturale, nato e procreato da lui e dalla
quondam magnifica e spettabile donna Marchisa del Carretto, un tempo prima
moglie dell’illustre e spettabile testatore sopraddetto.
«E tale eredità si
estende sopra tutti i beni suoi, mobili e stabili, presenti e futuri, amovibili
ed inamovibili, nonché in ordine a tutti i debitori ovunque esistenti e meglio
individuabili e designati, e principalmente nella baronia, nei feudi e nei
territori di Racalmuto, con tutti i suoi diritti, redditi, emolumenti,
proventi, onori ed oneri della detta baronia a giusto titolo spettanti e
pertinenti, secondo la serie ed il
tenore dei suoi privilegi e dei suoi indulti e concessioni, in una con l’amministrazione
della giustizia giusta la forma dei suoi privilegi.
«Dagli atti miei,
notaio Antonino Quaglia agrigentino.
«26 marzo - VI^
Ind. - 1518.»
Il testamento ci
svela come Ercole del Carretto abbia sposato in prime nozze la citata Marchisa
madre del primogenito Giovanni III. Ercole poté avere contratto altre nozze ma
non ne sappiamo nulla.
Paolo del Carretto
Di quale madre
fosse, ad esempio il terribile Paolo del Carretto, non è dato sapere. Abbiamo
un inghippo che non è facile districare. Alcuni testi dichiarano Giovanni III
del Carretto figlio unico di Ercole (vedi testimonianza del Tudisco così come
del Calderone), ma nel testamento del Quaglia questo aspetto viene glissato.
Supposizioni se ne possono fare tante, ma il dubbio resta. Ed allora va creduta
la rutilante storia che il Di Giovanni ci fornisce, oltre un secolo dopo, nella
rinomata Palermo restaurata? Siamo
propensi ad avvalorare l’ipotesi affermativa. Va qui allora ricordato che nel
1630 circa quello strano personaggio che fu il cavaliere Di Giovanni scrisse per sé secentesche memorie che oggi
sono una miniera di notizie. Discendente per via laterale dai del Carretto e
addirittura dal padre di Ercole del Carretto - almeno a suo dire - confezionò
un racconto truculento in cui non è facile distinguere il loglio dal grano.
Investe la Racalmuto dei primi del ‘Cinquecento e noi non possiamo esimerci dal
reiterare quel racconto, quanto bizzarro ed inventato Dio solo sa.
«Nel tempo che fu
Lotrecco [Lautrec] a Napoli successe in Sicilia lo caso di Barresi, il qual si
nota dopo quel di Sciacca. E fu il predetto caso, che essendo nella città di
Castronovo D. Paolo Carretto, mio avo paterno, uomo di gran valore, e avendo
differenza con uno di casa Barresi, gli diede il Carretto uno schiaffo; onde ne
successe fra loro gravissima inimicizia, in modo che la città si ridusse a
parte.
Un giorno volle il
Carretto andar a visitare suo fratello D. Ercole, signor di Racalmuto, e vi
andò con 25 cavalli. Ma saputo ciò per le spie da’ nemici, lo assaltâro alla
piana di santo Pietro. Vide egli da lungi venire i nemici; e potendosi salvare
nella chiesa di santo Pietro, gli parve viltà, e si risolse piuttosto morire,
che far gesto di sé indegno. Si venne tra loro alle mani; ché animosamente il
Carretto investì, e ne morsero dall’una e dall’altra parte.
Ma il Carretto,
investendo il suo nemico, era con un pugnale a levargli la vita, avendolo preso
per il petto, quando uno de’ compagni con una saetta lo percosse in fronte e lo
mandò morto a terra.
Satisfatti perciò
i nemici, attesero a salvarsi, e se ne andâro alle guerre del Trecco [Lautrec]
a servire Sua Maestà, perché erano due fratelli; e gli successe in una giornata
di adoperarsi valorosamente sotto la condotta del conte Borrello, figlio del
viceré, perché mantennero un ponte tutti e due, tanto quanto gli arrivasse il
soccorso; dal che si evitò gran danno, che poteva succedere agl’Imperiali.
Del che fattosene
relazione a Sua Maestà, spedita la guerra, fûro i predetti due fratelli
indultati in vita, e fûro fatti capitani d’armi per il regno.
Sentì gravemente
il successo D. Giovanni Carretto, nepote del predetto D. Paolo; e più per
vedersi i nemici, in quel momento favoriti, stargli innante gli occhi, e perché
era di gran valore e chimera, procurò quello, che non avea procurato il padre
D. Ercole.
In quel tempo era
nella città di Naro Enrico Giacchetto, uomo valorosissimo e potente, consobrino
di mia ava paterna, il quale, per avere inimicizia con il barone di Camastra,
anco della città di Naro, manteneva a sue spese cento cavalli, ordinariamente
di gente scelta e valorosa, con li quali faceva allo spesso gesti eroici e singolari. Di costui ne
temeva tutto il regno.
D. Giovanni del
Carretto, figlio del predetto D. Ercole, si fé chiamare il predetto Enrico, che
gli era amicissimo, a cui conferì il suo pensiero, e lo richiese che si volesse
adoperare per lui in satisfarlo di quell’oltraggio.
Gli promise buona
opera Enrico; e perché si sentiva che i Barresi si volevano levar le mogli e le
case da Castronovo, e portarsele alla città di Termine, li appostò Enrico con
quaranta cavalli, e, venendo quelli a passare per il fundaco delle Fiaccate,
per quel cammino assaltò i predetti fratelli con molta compagnia. I quali non
prima si videro Enrico addosso, che sbigottiti si posero a fuggire, e furono
finalmente giunti, presi ed uccisi.
E se ne presero le
teste, che furono portate al predetto D. Giovanni, il quale, benché prevedesse
gran travagli di giustizia, ne fu pure assai satisfatto e contento; tanto si
estimava l’onore in quei tempi.
N’ebbe al fine
gran travagli: ma col tempo ne riuscì con vittoria, grandissimo onore e
reputazione.»
“Più solidità e più stabilità” Eugenio Napoleone Messana
(op. cit. pag. 95) pensa che possa avere il suo congetturare sulla genesi della
saga della Madonna del Monte, quale trasfigurazione dei fatti sopra narrati.
Francamente non ce la sentiamo di seguirlo. Non siamo neppure certi, come si è
visto, che Paolo del Carretto fosse racalmutese e fosse davvero fratello del
barone Ercole.
Probabile invece che
una volta conosciuta la tresca di Paolo, Ercole e Giovanni del Carretto, nelle
prime decadi del Seicento, abbia preso corpo a Racalmuto la sublimazione della
vetusta e pia memoria della “venuta” di
quella adoratissima immagine marmorea della Madonna del Monte.
Il canto popolare che
la prof.ssa Isabella Martorana ha saputo recuperare dalla viva voce delle
locali vecchiette non è coevo certo alla venuta della Madonna del Monte, ma ha
insiti spunti storici che sia pure postumi meglio rispecchiano la genesi della
saga. Venuta da Trapani - più verosimile che si fosse parlato di Punta Piccola
- , “intranno a Racarmuto pi la via/ vonzi ristari cca la gran Signura”, sono
scisti con qualche valenza storica. Ma visto che “a lu conti cci arrivà
mmasciata”, il riferimento è decisamente postumo, databile dopo il declinare
del XVI secolo. Il carme dialettale, bello esteticamente, lascia nelle brume
anch’esso l’origine della pia tradizione del miracoloso evento della Madonna
del Monte che sceglie la sua dimora nel nostro paese, in cima alla panoramica
altura della omonima chiesa.
[2] ) Giuseppe Sorge - Mussomeli, dall’origine all’abolizione della
feudalità, edizioni ristampe siciliane Palermo 1982 - vol. I - pag. 386 e
segg.
[3] ) Il conto enne presentato in
Palermo il 18 maggio 1502. “Presentate Pa. 18: Maij 1502 in M: R: C: de m.to D.
Salv.ris Aberta p.te per Vincenzu Pitacco Post.m.”
[4] ) Calogero
Taverna, Racalmuto in Microsoft -
dattiloscritto 1995 c/o Biblioteca Comunale di Racalmuto.
[5]) Leonardo Sciascia, Le
parrocchie di Regalpetra - Morte
dell’Inquisitore - Laterza Bari 1982 pag. 82 e pag. 83.
[8]) Archivio di Stato di Palermo
- Protonotaro Regno - Investiture - busta 1487 processo n.° 1175 - anno 1518-21
(Foto 13/b del retro infra pubblicata).
Nessun commento:
Posta un commento