lunedì 20 maggio 2013
La confraternita della “Mastranza” alla
fine del Settecento.
Stralciamo dalla documentazione che
ancora (ma fino a quando?) si conserva nella chiesetta dell’Itria alcuni spunti
che ci illuminano non solo sulla solita attività della buona morte che ogni
confraternita si propone – e si proponeva, in ispecie, a Racalmuto – ma, e
soprattutto, sul risveglio dei “mastri” e cioè di questo piccolo ceto medio
della società contadina, sempre solerte e significativo nel nostro paese.
Desumiamo dagli archivi parrocchiali
dati che ci ragguagliano sui matrimoni più significativi del secolo: ecco come
già allora le migliori famiglie non amavano inquinarsi ma circoscrivevano nel
loro stretto ambito gli intrecci nuziali per non disperdere le loro ricchezze
accumulate non sempre onestamente, quasi sempre con un pizzico di pratica
usuraia. La chiesa, indulgente, perdonava e benediceva; del resto al sacerdozio
si poteva accedere se si era facoltosi, se si apparteneva dunque alle schiatte
egemoni del paese.
La vicenda del beneficio del Crocifisso
è lunga, tortuosa ed intrigante ed ha dato adito ad almeno un paio di
complicate vertenze giudiziarie. Leggiamo nella bolla che si tratta dei
seguenti beni:
in oppido praedicto reperiatur Ecclesia
Sancti Antonij jam diruta cum Immagine SS.mi Crucifixi quae detinet salmas tres
et tumulos quatuor terrarum in pheudo Mentae Status Racalmuti cum onere
proprietatis unciae 1.6. aliam clausuram terrarum salmae unius tumulorum
quatuordecem et quarti unius cum dimidio in dicto Statu et pheudo Racalmuti et
contrata di Garozza cum onere proprietatis unciae 1.6.7.3. et tarinorum viginti
quatuor Conventui Sancti Francisci de Assisia dictae Terrae.
Negli atti giudiziari dell’arciprete
Tirone avverso i coniugi Giuseppe Savatteri e Concetta Matrona abbiamo la
ricostruzione della provenienza di tali beni. Come risulta da un atto del 3
settembre 1659, la Confraternita del SS. Crocifisso di Racalmuto aveva diritto
ad un canone di proprietà «primitivo veluti
jus pheudi et proprietatis su terre della Menta e Culmitella». Trattavasi,
in base a quel che si desume da altri atti, di un fondo di quattro salme e
tumoli sei di terre ubicate nel feudo Menta, contrada Fico Amara, detta -
secondo l’arc. Tirone - «in quei tempi Mercanti». Del resto aggiunge l’arciprete che «il nome di contrada fico
amara e Mercanti andiede in disuso. Questa contrada prese nome di SS.
Crocifisso.»
Non essendo stato pagato tale canone per
più di un triennio, ed essendo state le suddette terre abbandonate, la confraternita
del SS. Crocifisso esperì il diritto domenicale di avocazione del fondo per
distruzione di migliorie, mancata corresponsione del canone ed abbandono delle
terre dell’enfiteuta che era tal Giaimo Lo Brutto. Essa, pertanto, fu immessa
nel pieno possesso delle cennate terre della Menta secondo il rito del tempo
con atto notarile del 3 settembre 1659,
redatto innanzi a quattro testimoni.
Gli atti giudiziari tacciono sulle
vicende che intercorsero tra il 1659 ed il 1767, un intervallo di tempo in cui
si colloca la dotazione dell’Oratorio Filippino. Intanto non so su che cosa
basi l’arc. Tirone il ruolo sostenuto dalla Confraternita del SS. Crocifisso.
Di questa conosco il vago accenno contenuto nell’elenco della Giuliana della
Curia Vescovile - voce Racalmuto, pag. 205 - che riguarda la «conferma della
Conf.ta del SS. Crocifisso - reg.tro 1669-70, pag. 488». Ma qualche chiarimento lo troviamo in
quest’atto del 10 ottobre 1648 del notaio Michelangelo Morreale. Trattasi della
«recognitio pro Archiconfraternitate SS.mi Crucifixi contra Donnam Vittoriam
del Carretto e Morreale». In esso la Del Carretto (del ramo collaterale dei
locali conti) si obbliga di corrispondere
al «Rev. D. Joseph Thodaro .. uti procuratori venerabilis
Archiconfraternitatis SS.mi Crucifixi fundatae in Ecclesia Sancti Antonii huius
terrae Racalmuti .. uncias quinque red. ann. cens. et red.bus dictae
Archiconfraternitatis cession. nomine Petri Piamontesio et alijs nominibus in
scripturis debitas, et anno quolibet solvendas supra loco qui olim erat dicti
quondam de Monteleone vigore contractus emphiteuci celebrati in actis notarij
Nicolai Monteleone die XXIIIJ Maij XII ind. 1584 et contractus solutionis
donationis et assignationis in actis
not. Simonis de Arnone die 31 aug. 1605 et aliorum contractum in eis calendatorum.» inoltre «supradicta
Donna Victoria .. solvere promisit .. seque sollemniter obligavit et obligat
eidem de Thodaro dicto nomine pro se et pro successoribus in dicta
Archiconfraternitate in perpetuum uncias centum quatraginta una p.g. tempore
annorum decem in decem equalibus solutionibus et partitis anno quolibet facere
numerando et cursuro a die date literarum Civitatis Agrigenti ... Et sunt
uncias 141 in totalem complimentum omnium censuum decursorum annorum
retropreteritorum enumerandorum ab anno 1608 usque et per annum presentem
inclusive , ratione d. unc. quinque anno dictae Archiconfraternitate debitae
super dicta vinea.»
Quell’arcicofraternita era dunque
operante dentro la chiesa di S. Antonio e siamo nel 1648. Ne è procuratore il
sac. d. Giuseppe Todaro che muore il 7 maggio 1650.[1][1]Successivamente alla morte del sacerdote Todaro, si
rinviene l’atto del 3 settembre 1659 di cui sopra; dopo dell’arciconfraternita
si perdono le tracce e tutto fa pensare che si sia estinta: si spiega forse
così perché in un primo tempo i benefici di quel sodalizio finirono
all’Oratorio di S. Filippo Neri, per volere del Vescovo Rini.
Nel 1767 il vescovo Lucchesi Palli si
ritrova vacanti quei beni dell’Arciconfraternita del SS. Crocifisso e con bolla
dell’8 luglio 1767 li assegna al sac. D. Francesco Busuito. La ricostruzione di
un successivo beneficiario, il sac. Don Calogero Matrona, fatta il 15 giugno
1870, è particolarmente vivace ed intrigante.
«Con Bolla di erezione in titolo dell’8
luglio 1767 - vi si legge fra l’altro - da Monsignor Lucchesi fu eretto nella
Cappella del SS.mo Crocifisso dentro la Chiesa Madre di Racalmuto un beneficio
semplice in adjutorium Parochi di libera collazione da conferirsi a
concorso ai naturali di Racalmuto con le obbligazioni di coadiuvare il Parroco
nell’esercizio della sua cura, di celebrare in diverse solennità dell’anno
nell’anzidetta Cappella numero trenta Messe, costituendosi in dote del
beneficio taluni beni, che esistevano nella Chiesa senza alcuna destinazione,
dandosene anche l’amministrazione allo stesso Beneficiale. Riserbavasi però il
Vescovo fondatore il diritto di conferire la prima volta il beneficio, di cui
si tratta, senza la legge e forma del concorso in persona di un soggetto a di
lui piacimento.
«In seguito di che con bolla di elezione
del 10 luglio 1767 dallo stesso Monsignor Lucchesi fu eletto per primo
Beneficiale il Sac. Don Francesco Busuito di Racalmuto, allora Rettore del
Seminario di Girgenti dispensandolo dall’obbligo del concorso, e dalla
residenza, e facoltandolo ad un tempo a sostituire a di lui arbitrio un
Ecclesiastico, per adempire in di lui vece le obbligazioni e pesi tutti al
beneficio inerenti.
«Appena verificatasi tale elezione, come
risulta da un avviso dato dal Parroco locale di quel tempo, dal Sac. Don
Giuseppe Savatteri qual uno degli eredi e successori di D. Giaimo Lo Brutto di
Racalmuto impugnavasi la fondazione e ricorrendo al Tribunale della Reggia Gran
Corte Civile, otteneva lettere citatoriali contro il detto Reverendo Busuito,
affine di rivendicare i fondi constituiti come sopra in dote al beneficio come
appartenenti al suddetto Lo Brutto. Sostenevasi dal Savatteri che la Confraternita
del SS.mo Crocifisso dentro la suaccennata Chiesa Madre percepiva onze cinque
annue per ragion di canone enfiteutico sopra quattro salme di terre esistenti
nello Stato di Racalmuto contrada Menta dotate alla moglie del suddetto D.
Giaimo Lo Brutto dalla di lei zia D. Vittoria del Carretto, annuo canone
destinato per legato di maritaggio di un orfana. Nel 1659 i Rettori della
cennata Confraternita per attrarsi di pagamento del canone anzidetto e per
deterioramenti avvenuti nei suddivisati fondi, unitamente all’Arciprete e
Deputati dei Luoghi Pii senza figura di giudizio e senza le debite formalità
giudiziarie s’impossessavano di quei fondi e melioramenti in essi fatti dal
predetto Lo Brutto. Si credettero autorizzati a far ciò senza ricorrere alle
procedure giudiziarie da un patto enfiteuco solito apporsi in simili contratti,
in cui espressavasi, che venendo meno il pagamento o deteriorandosi il fondo
fosse lecito all’Enfiteuta di propria autorità ripigliarsi il fondo enfiteuco,
come tutto rilevasi dagli atti di possesso presso Notar Michelangelo Morreale
di Racalmuto sotto il 3 settembre 13 Ind. 1659. Così postasi la Chiesa in
possesso dei fondi, conosciutosi che pagate le onze cinque per legato di
maritaggio ed i pesi efficienti, il resto delle fruttificazioni rimaneva senza
destinazione, pensavasi dal Vescovo Monsignor Lucchesi per di esse fondare il
beneficio anzidetto, che indi conferivasi al sopra indicato Sac. Busuito.
Impugnavasi questo fatto dal sac. Savatteri e facevalo come sopra citare a fin di
chiarirsi nulla la suddivisata fondazione. Ma il beneficiale frapposti buoni
amici persuase il Savatteri a rimettere tutto al saggio arbitrio di S.E. Rev.ma
Monsignor Vescovo di Girgenti, il quale tutto riponendo sotto lo esame
dell’Assessore Canonico d. Nicolò A. Longe, fattesi varie sessioni inanzi a lui
con l’intervento dell’arciprete di Racalmuto per parte del Beneficiale e di
altra persona per parte del contendente Savatteri, dichiaravasi dall’Assessore
nullo l’impossessamento dei fondi e riconosciuta evidentemente la usurpazione
dei fondi fatta dalla Chiesa. Ma protrattosi a lungo l’affare, pria di
definirsi pubblicavasi la prammatica della prescrizione del 22 settembre 1798,
quindi il Beneficiale avvalendosi di tal legge non volle più fare ulteriori trattamenti
della causa, né arrendersi alle pretensioni del Savatteri.
«Morto però il Beneficiale, il cennato
Savatteri fece ricorso al Re e dalla Segreteria Reale abbassavasi biglietto
alla Giunta dei Presidenti e Consultori per informare. Moriva intanto il
Savatteri ed il di costui erede Don Pietro Cavallaro e Savatteri agendo con più
di moderazione pensava di mettere l’affare in mano del Vescovo Monsignor
Granata, e desiderandosi dal ricorrente che il beneficio rimanesse, si
contentava soltanto che divenisse patrimoniale e proprio della di lui famiglia
e suoi discendenti.
«Il Vescovo conosciuta la validità delle
ragioni e la pienezza del diritto del ricorrente, perché fondato il beneficio
sopra beni proprii di D. Giaimo Lo Brutto di lui autore, a vista della patente
usurpazione fattasi dalla Chiesa, della non ecclesiasticità del beneficio,
perché fondato senza la volontà del padrone dei fondi, pensò accordarne la
prelazione ai discendenti della famiglia Brutto. Quindi perché conobbe la
verità delle cose per conscienzioso temperamento pensò conferire anche in
minore età quel beneficio ad un chierico erede dei beni, che è l’attuale
investito Cavallaro. Ed infatti il conferì con decisione del 16 giugno 1804.
[...] Ottenne per ciò pria dispensa della Santa Sede, perché al detto chierico
avesse potuto conferire il beneficio nella minore età di anni 14, lo dispensò
dalla legge del concorso e dell’obbligo della coadiuvazione del Parroco nello
adempimento degli offici parrocchiali sino all’età del sacerdozio e gli diede
l’amministrazione dei beni dotalizii [...]»
Al beneficiale don Ignazio Cavallaro
succede il nipote (figlio della sorella) don Calogero Matrona, con bolla di
Monsignor Domenico Turano del 1° marzo 1875. Ma non fu una successione
pacifica. Vi si rivoltò contro Giuseppe Savatteri, unitamente alla moglie donna
Concetta Matrona, con cause, ricorsi, appelli che durarono decenni. Eugenio
Messana, nello scrivere le sue memorie su Racalmuto, risente ancora di quel
clima infuocato che in proposito si respirava ancora nella sua famiglia.
Il beneficio del Crocifisso è quindi
oggetto di una bolla di collazione nel 1902 (cfr. reg. Vescovi 1902 pag. 703).
Viene poi assegnato al padre Farrauto, per passare nelle mani di padre Arrigo.
Attualmente è accentrato presso la Curia vescovile di Agrigento.
[1][1]) Secondo l’elenco della Matrice sarebbe invero deceduto il 7
aprile 1650 a 52 anni (cfr. col. 3 n.° 62). Si rilevano però due inesattezze.
Nessun dubbio sulla data di morte può sorgere stante il seguente atto della
Matrice:
7
|
5
|
1650
|
Todaro
|
Giuseppe Sacerdote
|
sepolto nella chiesa di S. Maria
del Monte
|
gratis
|
Sull’età del Sacerdote Todaro è da precisare che era già
chierico nel 1598 come risulta del tuo elenco:
4
|
1598
|
GIUSEPPE
|
TODARO
|
CHIERICO
|
12
|
1600
|
GIUSEPPE
|
TODARO
|
CHIERICO
|
9
|
1632
|
GIUSEPPE
|
TODARO
|
|
4
|
1634
|
GIUSEPPE
|
TODARO
|
|
e nella visita
del 1608 è già sacerdote abilitato alle confessioni. Sono portato a pensare che
il sacerdote sia morto settantenne e questo potrebbe essere il suo atto di
battesimo:
26
|
12
|
1580
|
Todaro
|
Joseppi
|
Vincenzo Mastro
|
Violanti
|
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