giovedì 9 aprile 2015

Lettera alla vedova Sciascia


Roma, 19 maggio 1994

 

Gentilissima Signora,

mi affretto a riscontrare la Sua lettera per rassicurarLa che giammai utilizzerò la nota fotocopia, né pubblicamente né privatamente e neppure parzialmente. Ovviamente ignoravo le disposizioni testamentarie, diversamente avrei evitato accuratamente di avanzare richieste di autorizzazione per la pubblicazione del documento.

 

Quanto ai dettagli, mi preme francamente far presente che non ho capito in che cosa e come dovrei 'correggere' i risultati delle mie ricerche d'archivio. Il contrasto con la metafora del libro 'Occhio di capra' non inficia di certo quel che dopo laboriosi scandagli ho rinvenuto nei registri parrocchiali (ed anche comunali). Non pretendo certo d'immergermi nel mondo dei sentimenti verso Racalmuto del grande Scomparso: viceversa, ho voglia di risalire la corrente pluricentenaria di quella 'blasfema ironia' che Sciascia ritaglia per Racalmuto (Kermesse, pag. 54 ), convinto che da quelle antiche propaggini si diparte l'insondabile gene atto a far sbocciare il genio inquieto ed irridente dello Scrittore racalmutese.

 

Appartengo a una di quelle due chiese che tanto irritavano Suo Marito, quella marxista e ciò mi obbliga all'assunto che vuole la verità sempre rivoluzionaria. Piccola o grande che sia credo di averla sempre perseguita, piaccia o dispiaccia ad amici, parenti, piccoli o grandi.

 

Voglia gradire i sensi del mio ossequio.

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