GIROLAMO I DEL CARRETTO
Il Baronio diviene ora piuttosto loquace. Ecco come descrive
quello che fu l’ultimo barone ed il primo conte di Racalmuto (cfr. § 78 op.
cit.):
«A Girolamo primo, il maggiore dei figli maschi di Giovanni,
dunque ritorniamo. Su di lui ebbe a scrivere distesamente in lettere inviate a
Filippo II re di Spagna, Rodolfo Imperatore nobile figlio di Massimiliano che
la famiglia del Carretto stimò moltissimo. Il re, dato che gli antenati di
Girolamo vantavano il titolo di marchesi di Savona, volle che il nostro
Girolamo fosse chiamato ed avesse in
quel tempo il titolo di conte di Racalmuto, lasciando intendere che in avvenire
avrebbe amplificato la gloria di tanta illustre famiglia con titoli di maggior
risalto.
« Le lettere del re, dove Girolamo è gratificato con il
titolo di conte, sono da riportare. Niente è più preclaro. Esse sono datate: 28
giugno 5 ind. 1577 e recitano: “Filippo
etc. A tutti quanti etc. Avendo lo spettabile fedele ed a noi caro D. Girolamo
Carretto dei marchesi di Savona documentato
l’insigne virtù non disgiunta da grandi fortune della propria stirpe,
abbiamo considerato i tanti servizi che ai nostri predecessori, di felice
memoria, sono stati dai del Carretto prestati quando necessità l’ha richiesto;
del pari abbiamo considerato l’antica nobiltà e lo splendore della famiglia
carrettesca, che non soltanto in questo Regno ma in tante altre nostre province
si è a diverso titolo resa celebre e meritevole. E omettiamo di considerare gli
altri celebri uomini della medesima famiglia che meritevolmente sono assurti a
preclare e altissime dignità dello stato ecclesiastico. Volendo pertanto
mostrarci grati verso il lodato D. Girolamo Carretto etc.”
«Noto è per di più
quanto l’imperatore Rodolfo fu prodigo di lodi per iscritto quando riesumò la
lettera del padre, l’imperatore Massimiliano, per tornare sul fatto che si
gratificasse Girolamo con il promesso onore del marchesato. Ecco il testo della
lettera:
«Rodolfo etc.
Serenissimo etc. Premesso che negli anni scorsi il fu imperatore Massimiliano,
signore e genitore nostro colendissimo di augusta memoria, ebbe ad inviare alla
serenità vostra lettere in favore del fedele al nostro Sacro Impero ed a noi
caro Girolamo de Carretto barone in Racalmuto dei marchesi di Savona, con le
quali lettere benevolmente si pregava la Serenità vostra affinché Girolamo del
Carretto, i suoi figli ed i suoi discendenti primogeniti successori nella
baronia Rachalmutana, potessero fregiarsi del titolo grado e dignità
marchionale e volesse pertanto erigere la detta baronia in marchesato; ne
conseguì che la vostra Serenità decretò quella baronia con il titolo di contea.
«Tuttavia il nostro
divo genitore ingenerò in D. Girolamo la speranza che in altro tempo gli
potesse venire concesso il titolo di marchese. Ed è per questo che il predetto
Girolamo de Carretto conte in Rachalmuto umilmente ci ha esposto che oggi ciò
tanto desidera essendo noto che egli discende dall’antica stirpe dei Marchesi
di Savona, la quale ha origini antichissime dal Duca di Sassonia.
«Ragion per cui così alla fine egregiamente concluse
l’Imperatore:
«Pertanto con fraterno
amore preghiamo la Serenità vostra affinché vengano restituite al predetto
Girolamo le avite prerogative, rinverdite dalle virtù dei suoi antenati; e così
anche per la nostra intercessione possa realizzarsi la sua antica speranza.
Ciò, peraltro, ci tornerebbe come cosa graditissima. Etc. Date in Praga il
giorno 12 febbraio 1580.»
Siffatto pasticcio epistolare non sortì effetto alcuno. La
baronia “rachalmutana” di cui si parlò nelle corti degli Asburgo ascese solo di
un grado e divenne contea, ma marchesato giammai. Diciotto anni dopo, nel 1598,
i del Carretto tornarono alla carica, ma invano. Il Baronio infatti prosegue:
«Esiste un’altra missiva, molto ben fatta, del 1598. Fra
l’altro vi si diceva: “Antica e regale è
la famiglia dei del Carretto che è stata fedele alla nostra Augusta Casa e che
è stata bene accetta ai nostri Antenati per molteplici meriti. Pertanto
Girolamo del Carretto, conte di Racalmuto, siciliano ed il suo figliolo
Giovanni meritarono le grazie di nostro padre Massimiliano Secondo. Anche noi
li degniamo della nostra benevolenza e volentieri ci adoperiamo perché sia loro
concesso tutto ciò che possa accrescere il loro prestigio; ne abbiamo ben
ragione etc.”
«Da quanto sopra è
ben chiaro che Girolamo e la famiglia del Carretto furono tenuti in gran conto
dagli imperatori come le citate missive, altri documenti che non ho citato ed
autorevoli testimoni ampiamente
comprovano.»
Le note del Baronio rendono invece a noi chiaro che i del
Carretto, giunti all’apice della ricchezza con la baronia di Racalmuto, presero
il largo e andarono a dimorare a Palermo. Lì, la fatua e neghittosa nobiltà
aveva solo l’angoscia delle preminenze negli onori. Agli immigrati del
Carretto, il titolo di barone suonava stretto: si prodigarono in regalie,
bussarono a varie corti regali, impetrarono favori, ma non riuscirono a
superare la soglia del titolo comitale.
Il Villabianca lesse il Baronio e vi si ispira quando redige
questo profilo sul nostro Girolamo I del Carretto:
«GIROLAMO nel retaggio di
questo Stato dopo la morte di Giovanni suo genitore, lo ridusse egli all'onor
di Contea per privilegio del serenissimo
Rè Filippo Secondo, dato nell'Escuriale di S. Lorenzo a dì 27.Giugno
1576, esecutoriato in Palermo a 28
Giugno 1577. Fu pretore di Palermo
nell'anno 1559 , e Don Vincenzo Di Giovanni nel suo PALERMO RISTORATO lib. 2 f.
138. giustamente l'annovera fra 'l chiaro stuolo de' Padri della Patria mercé
il lodevolissimo governo, ch'egli fece, procacciato avendone gloria, ed ornamento.
Presiedette altresì la Compagnia della Carità di essa Città di Palermo nel
1549., e adorno videsi di distintissimi elogi fattigli da Rodolfo Imperatore
con le sue Imperiali lettere al Rè Filippo II. negli anni 1580 e 1598.,
rapportate per extensum da BARONE loc.
cit. lib. 3. c. 11 De Majest. Panormit. - Da esso fu dato al mondo [p. 205] GIOVANNI del CARRETTO, quarto di questo
nome. il quale fu il secondo C. di RAGALMUTO, e Pretore di Palermo nel
1600. di non minor merito di quello del
genitore come vuole il citato DI GIOVANNI nell'istesso luogo notato di sopra,
avvegnachè fu egli dotato di tanta prudenza, valore, ed abilità, che nella
onorevol carriera di reggere gli affari pubblici avanzò tutti gli altri
cavalieri suoi pari, e magnati suoi contemporanei.»
Sciascia dileggia questo nostro barone assurto al rango di
conte. «Il primo Girolamo - riecheggia il
grande racalmutese - fu invece, ad
opinione del Di Giovanni, uomo di grandi meriti. Per lui Filippo II datava
dall’Escuriale di San Lorenzo, il 27 giugno del 1576, un privilegio che elevava
Regalpetra a contea. Ma sui meriti di Girolamo primo non sappiamo molto: fu
pretore a Palermo, e non credo dovuta a “bizzarra opinione seu presunzione”,
come invece afferma il Paruta, la sollevazione dei palermitani contro la sua
autorità. Né mi pare che sia da ascrivere a sua gloria il fatto che per suo
ordine, il giorno sedici del mese di marzo dell’anno milleseicento, trentasette
facchini abbiano subita la pena della frusta: notizia che senza commento offre
il già ricordato erudito regalpetrese [alias il Tinebra, n.d.r.]». Tutto bene, salvo il fatto che
nel 1600 Girolamo primo del Carretto era già morto da diciotto anni. L’abbaglio
nasce da imprecise letture da parte del Tinebra dell’opera del Villabianca.
Dai processi ricaviamo questi dati biografici. Girolamo I
del Carretto fu il primogenito di Giovanni III, come si evince dal testamento
redatto dal notaio Jacopo Damiano il 2 gennaio del 1560. L’8 gennaio 1560
Girolamo s’insedia quale barone di Racalmuto. Nel rito lo rappresenta il suo
procuratore, il magnifico Giovanni Antonio Piamontesi. La formula recita che il
barone prese “l’attuale, vera, naturale, corporale baronia del castello, dei
feudi e del territorio di Racalmuto con ogni diritto e pertinenza, con il mero
e misto imperio, con le giurisdizioni civile e criminale su tutto lo stato,
risultato integro giusta la forma dei privilegi baronali”. Il procuratore
rispetta il meticoloso ed emblematico rituale: “esibisce la chiave del portone
del castello; di propria mano apre e chiude quella porta; entra ed esce; si
reca presso i feudi; ne prende alcune pietre in segno di libera disponibilità
di quelle terre; revoca e rinomina tutti gli ufficiali locali: il castellano
nella persona del nobile Scipione de Selvagio; il capitano nella persona di
Giovanni Piamontesi; il giudice nella persona del nobile Marco Promontori; i
giurati nelle persone di Cesare di Niglia, Leonardo La Licata e Giacomo
Caravello; il maestro notaio nella persona del nobile Innocenzo de Puma”. Viene
redatto pubblico atto. I testi sono: il nobil homo Maragliano, il nob. Antonino
de Averna, l’onorabile Antonuccio Morriali e l’onorabile Gerlando de
Pitrozella. Il notaio è ancora il povero Jacopo Damiano che però si dichiara
agrigentino.
Girolamo I del Carretto muore nel gennaio del 1582. Sono
ancora i processi d’investitura a dirci che esternò le sue ultime volontà
dinanzi il notaio Giacomo Devanti di Palermo il 14 gennaio del 1582, ma il
testamento fu aperto un anno dopo, il 9 agosto del 1583. Fu sepolto nella
chiesa di Santa Maria di Gesù fuori le mura in Palermo proprio sotto quella
data. Ne fa fede l’atto parrocchiale della chiesa di San Giacomo alla Marina
del 14 luglio 1584.
Sposa di Girolamo I del Carretto fu una Elisabetta di ignoto
casato.
Ma come si è visto, i del Carretto non stanno più a
Racalmuto: quella lontana terra, quel loro ‘stato’ serve solo per
approvvigionare di fondi questi nobili accasatisi a Palermo. Nel castello
racalmutese siede e dispone un ‘governatore’. In Matrice non abbiamo trovato
neppure un atto che attesti la presenza del barone ora conte di Racalmuto,
magari come padrino in un qualche battesimo. Qualche membro dei rami cadetti,
sì, ma il conte giammai. Vi farà ritorno solo Girolamo II del Carretto per
venirvi trucidato (se ciò corrisponde al vero) nel 1622.
In altra parte del presente lavoro pubblichiamo il
privilegio di Filippo II che erige a contea Racalmuto: è una sfilza di vacue
formule da cui non riusciamo a cavare alcun briciolo di microstoria
locale. Non abbiamo qui note in
proposito da proporre.
Da questo momento la vicenda familiare dei del Carretto è
cosa che solo di striscio colpisce Racalmuto. Vale di più per la storia della
città di Palermo.
Ciò non vuol dire che non vi furono riflessi tributari su
Racalmuto a seguito della concessione dell’onore di farne una contea da parte
di Filippo II a tutto vantaggio di Girolamo I del Carretto. Anzi. I riflessi ci
furono e gravi. Una ricerca del prof. Giuseppe Nalbone fra le carte del fondo
Palagonia dell’archivio di Stato di Palermo ha consentito di rinvenire
documenti di quel tempo, estremamente significativi per la riesumazione delle
vicende vessatorie cui sottostettero i nostri antenati racalmutesi del
Cinquecento.
Peste e tasse a Racalmuto
Il carteggio illumina sull’esoso fiscalismo spagnolo ai
danni dell’università feudale ed ha tratti inquietanti circa la disumanità
viceregia.
Nel 1576 si era abbattuto su Racalmuto una immane pestilenza
che ebbe pure a colpire l’Italia intera.
Del pari sconvolgente dovette essere lo scenario
racalmutese: leggiamo nel carteggio che «per
lo contaggio del morbo che in quella s’ha ritrovato che sono stati morti da tre
mila persone [a Racalmuto] restano solamente ... due mila e quattrocento
delli quali la maggior parte sono fuggiti assentati e rovinati ...».
Nel precedente Rivelo del 1570 Racalmuto in effetti contava
5279 abitanti; ma in quello del 1583 scenderà ad appena 3823: una flessione che
sinora nessuno era riuscito a spiegarsi e che Sciascia scarica sui del Carretto
e sulle sue tasse enfiteutiche del terraggio e del terraggiolo [Morte
dell’Inquisitore, pag. 181].
Confesso che anch’io ero scettico su questo crollo
demografico di Racalmuto prima della consultazione dei documenti del Fondo
Palagonia. Ancor oggi non è che creda in pieno in questo tracollo: ci fu
un’opportunità per sgravi fiscali e si cercò di scontare la tragedia della
peste racalmutese del 1576 con qualche beneficio tributario.
Tuttavia, la flessione vi fu e forte. I nostri antichi
progenitori parlano di un dimezzamento della popolazione nel vano intento di
intenerire gli agenti delle tasse palermitani; ma per bocca del viceré don
Carlo d’Aragona e della sua corte Sucadello, De Bullis ed Aurello, costoro non
se ne diedero per intesi. Le “tande” - o più graziosamente “donativi” -
andavano pagate sino all’ultimo grano a Sua Maestà Cattolica il re di Spagna.
Ed andavano pagate anche le tasse arretrate, senza ulteriori indugi.
V’è agli atti una secca e perentoria negativa alla seguente
perorazione dei Giurati racalmutesi:
«Ill.mo et Ecc.mo
Signore, li Giurati della terra di Racalmuto exponino à vostra Eccellenza,
dovendosi per l’Università di quella Terra molta quantità e somma di denari
alla Regia Corte cossì per donativi ordinarij, et extraordinarij et altri
orationi [per oblationi ?] fatti per il Regno à Sua Maestà, come per le tande della Macina, non havendo
quelli possuto satisfare per lo contaggio del morbo che in quella s’hanno
ritrovato ... , à vostra Eccellenza l’esponenti hanno
supplicato che se li concedesse à pagare quel tanto che detta università deve
alcuna dilattione competente [e che ] à detta Università fossero devenute
[condonate] li tandi maxime quella della macina che si doveva pagare ..»
La burocratica risposta palermitana è spietata: la decisione
(provista) di Sua Eccellenza si
compendia in un “non convenit” “non conviene”. La tragedia racalmutese agli
occhi palermitani si traduce in una gretta questione di convenienza. L’abbuono
di tasse non è ammesso, non conviene alle esigenze del bilancio dello stato.
Una storia dunque che si ripete; un localismo, il nostro, quello di
Racalmuto, che ha valenza oltre il
tempo, oltre la landa municipale. Altro che isola nell’isola ..
Remissivamente i giurati di Racalmuto nel 1577 accettano il
loro fato e fatalisticamente annotano:
[Ma tale petizione non ha avuto esito] “per lo chi attendo [attesa] la diminutione delle persone morti è stato
per vostra Eccellenza provisto quod non convenit quo ad dilactionem [ f. 228] e poiche l’esponenti per li
Commissarij che alla giornata si destinano contro loro, e detta città per
l’officio del spettabile percettore s’assentano, e non ponno ritrovare modo
alcuno di satisfare à detta Regia Corte e se li causano eccessivi danni, et
interessi supplicano Vostra Eccellenza resta servita concederli potestà di
poter fare eligere persona facultosa,
poiché pochi vi sono in detta Terra di poter vedere augumentare, e
raddoppiare alcune delle gabelle di detta università, e fare quel tanto che per
consiglio si concluderà, acciò potersi
sodisfare nullo preiudicio generato
ad essa università circa detta diminuttione, e difalcatione che hanno
supplicato doversi fare à detta Terra per detta mortalità, e mancamento di
persone, e resti servita Vostra
Eccellenza sia quello mezzo che si
concluderà quello che di sopra si è detto per detto consiglio concederli dilattione almeno di mesi due,
altrimente stando assentati non potriano effettuare cosa alcuna e detta Regia
Corte non verria ad esser sodisfatta ne tenendo detta università modo alcuno di
sodisfare, ne tener altro patrimonio ut Altissimus. ..”»
La messa in mora
della locale amministrazione per ritardo nel versamento delle tande
sulla macina scatena dunque la cupidigia di commissari palermitani
sguinzagliati nel malcapitato paese moroso ad esigere, oltre alle imposte,
pingui “giornate” (le attuali diarie per missioni) e ad aggravare le esauste
finanze locali «con eccessivi danni ed interessi».
Si accordino - si chiede da Racalmuto - due mesi di dilazione per
trovare un sistema di reperimento dei fondi ed assolvere il cumulo tributario.
Questa seconda istanza viene accolta. Ma l’invadente
autorità viceregia detta una serie di disposizioni sui modi, tempi e luogo
delle procedure per un nuovo sovraccarico fiscale sulla cittadinanza
racalmutese.
Il carteggio qui va attentamente studiato raffigurando
istituti, costumi, organizzazioni pubbliche e territoriali del primo secolo
dell’epoca moderna. Hanno una originalità che non mi pare sia stata debitamente
messa in luce dalla cultura storica degli accademici.
Viene fuori uno spaccato dell’organizzazione statuale che
non può ridursi al mero dato tributario (la gabella per assolvere gli oneri
fiscali) ma che fa trasparire una vocazione democratica impensata. Per
sopperire alle necessità tributarie, Racalmuto assurge al ruolo di Comune
libero, democraticamente organato, con una sua assise plebiscitaria, avente
poteri decisionali.
L’ordine, certo, arriva da Palermo, dall’autorità centrale,
ma è ordine volto ad attivare le istituzioni democratiche comunali. Con aperture
sociali che gli attuali consigli comunali sono ben lungi dall’avere, è il
popolo che viene chiamato a raccolta, è il popolo che decide sui propri
ineludibili gravami tributari, ovviamente sotto la guida e la direzione di
quella che oggi chiameremmo la giunta comunale: la giurazia.
Affascinano questi passaggi delle carte palermitane:
vi diciamo, et ordiniamo che
debbiate in giorno di festa e sono di campana come è di costume congregare il
vostro solito consiglio sopra le cose contenute nel preinserto memoriale, e
quello che per detto conseglio seù maggior parte di quello sarà concluso, et
accordato, e sigillato lo trasmitterete nel Tribunale del real Patrimonio acciò
di quello fattone relatione possiamo provedere come conviene. - data Panormi
11. Martij 5^ ind. 1577. Don Carlo d’ Aragona - Petrus Augustinus
Sucadellus ... conservatore [f. 229]
Marianus Magister Rationalis, de Bullis Magister Rationalis, Franciscus de
Aurello Magister Notarius, ..»
Il Consiglio comunale si svolge nella chiesa dell’Annunziata
- che anche allora, molto prima che nascesse don Santo d’Agrò, era bene
operante a Racalmuto - ed abbiamo anche
il verbale consiliare che mi pare opportuno rileggere, almeno nelle sue parti
essenziali:
Racalmuti die 25. Aprilis 5^ Ind.
1577.
Die festivo supradicti Martij in
Ecclesia Sanctae Mariae Annuntiatae dictae Civitatis existens in platea
publica.=
Perche ritrovandosi l’università di
questa Terra di Racalmuto debitrice in molta somma cossì alla Regia Corte
è stato supplicato da parte di detta
Università per li Giurati di quella à Sua Eccellenza che per li detti debiti se
li concedesse dilatione competente per potersi ritrovare il modo di quelle
sodisfare, et in quanto à quelli della macina poiche avendosi fatto offerta à
Sua Maestà, et ordinatosi quella dovere pagare per poche di persone di tutte
città, e terre del Regno à raggione di denari novi per ogni tummino [f. 230]
che per il ripartimento e numero di persone che allora vi erano in detta terra
tocca à detta Università pagare in due tande once 24.5.11.2.
e vedendosi che tuttavia detta
Università non si vederà libera à tal debito supplicano detti Giurati un’altra
volta à Sua Eccellenza che resti servita concederli potestà di poter eligere
persone facultose, ò vendere et augumentare, e raddoppiare alcune delli gabelle
di detta Università, e fare quel tanto che si potesse per consiglio concludere
acciò si potesse detta Università liberare di tal debito et interesse nullo
prejudicio generato à detta Università sopra la diminutione, e difalcatione che
se li deve fare per detta Regia Corte stante le raggioni predette come si
contiene per memoriale alli quali s’abbia in tutto relatione [f. 231] et
essendo stato provisto per la prefata Eccellenza Sua e Tribunale del Real
Patrimonio che si congregasse sopra le cose contente in detto memoriale
consiglio, e quello si trasmettesse per poter provvedere come convenisse, per
ciò s’ha devenuto alla congregatione del presente consiglio come intesa la
presente proposta habbiano sopra le cose prenominate ogn’uno possi liberamente
dire il suo voto, e parere.
Il Magnifico Vincenzo d’Randazzo uno
delli Magnifici Giurati di detta Terra, e locotenente del Magnifico Capitano di
quella, è di voto, e parere che s’aggiongano onze quaranta di rendita da
pagarsi quolibet anno come meglio e per manco interesse di detta Università si
potrà accordare con quelle persone che vorranno attendere à tal compra di
rendita.
* * *
Per inciso, richiamiamo l’attenzione sul menzionato giurato
racalmutese del 1577 Vincenzo Randazzo che sembra farla da presidente della
giurazia. Viene indicato con il titolo di Magnifico, ma è plebeo, forse
appartenente alla piccola borghesia agricola, un “burgisi” come si direbbe
oggi. La madre di Diego La Matina era una Randazzo, famiglia questa
genuinamente racalmutese. Il padre di Diego La Matina, Vincenzo era invece
figlio di un oriundo da Pietraperzia.
Ritornando al nostro tema del carteggio del
1577, resta evidente che vi si trova uno spaccato della vita pubblica comunale,
dal taglio democratico, con istituzioni pubbliche che esulano dal diritto
romano e da quello del sorgere dello stato moderno; affiora qualche dato che fa
pensare alla tipica organizzazione greca della Polis, con la sua Ecclesìa, e con il ricorso al voto
cittadino espresso in una solenne adunanza tenuta nell’Ecclesiastérion.
Al suono della campana della Ecclesia
dell’Annunziata, sita nel centro della grande piazza di Racalmuto che dal
vecchio Santissimo si allargava nello spiazzo ove ora sorgono le torri
campanarie della Matrice e si riversava nell’attuale Piazza Castello per
risalire nel largo ove ora sonnecchiano i palazzotti degli invadenti Matrona
[la vaniddruzza di Matrona].
Nel confrontare l’attuale assetto urbanistico
con quello che l’ex voto del Monte ci fa
intravedere, c’è da esecrare la mania piccolo borghese degli arricchiti di
Racalmuto dello scorso secolo di piazzarsi con i loro casamenti sopraelevati
sulle case terrane (o al massimo solerate) nel bel mezzo della storica piazza
dell’Università di Racalmuto. E dire che riuscirono a farsi credere anche dalle
menti più elette del nostro paese come
dei benemeriti filantropi!
Certo marginale appare il ruolo dei del Carretto
in questa vicenda fiscale. Quel che rileva è il ricorso pubblico al prestito,
quello cioè che oggi avviene tra i Comuni e la Cassa Depositi e Prestiti. Solo
che allora per Racalmuto siffatta Cassa DD.PP. era nient’altro che uno
strozzino di Agrigento, tal Caputo, superriverito ed adulato dal pubblico
notaio.
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