Mio vecchio amico, dott. Salvatore Alfano,
ovunque lei si trovi a me poco importa.
Molto mi importerebbe far rivivere la nostra bella idea: quella di Castrum Racalmuto Domani.
Alexa se ne ricorda ancora anche se ne registra il declino.
Dal 2.712.839° rank mondiale del trimestre precedente, è sceso al 15.758.955° posto.
Rammenta?
Castrum Racalmuto Domani
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mercoledì 20 marzo 2013
COMMIATO
Come nella vita, come tutte le cose, anche questo blog, Castrum Racalmuto Domani, ha avuto un inizio ed è arrivato il tempo che abbia una fine. Esattamente un anno fa cominciava questa avventura che ha dato soddisfazioni, tante speranze e qualche amarezza, come è normale che sia. Voglio adesso terminare qui, con dispiacere. E lo faccio quando ancora il blog è in perfetta salute, ha i suoi lettori e i suoi commentatori. Ho raccontato una Racalmuto che vorrei vedere secondo un mio punto di vista. Non ho la presunzione di aver detto verità, né assolute né parziali. Ho scritto, però, col cuore, spinto da un attaccamento a questo paese che non mi ha dato i natali ma che ho assiduamente frequentato e amato. Una volta dissi che qui ho tutti i miei ricordi, tutto il mio passato, tutti i miei affetti. Mi auguro e auguro a tutti i racalmutesi, residenti e non, che Racalmuto possa risorgere e vivere, finalmente, un lungo periodo di positività. Ringrazio tutte le persone che hanno collaborato a questo blog. Quelli che hanno smesso, quelli che hanno continuato, quelli che si sono aggiunti. Ringrazio tutti i lettori e quanti hanno inviato i loro commenti. Esprimo il mio dispiacere per qualche commento non pubblicato, ma non avrei proprio potuto farlo…Mi dispiace se qualche post fosse stato interpretato in maniera negativa o se qualcuno vi avesse letto attacchi o offese personali. Non era mia intenzione. E’ stata, comunque, un’esperienza fantastica che ha permesso di confrontarmi, di conoscere nuove persone e rinsaldare rapporti con altre. Ringrazio tutti e idealmente vi abbraccio, augurandovi tanta, tanta fortuna.
Racalmutese Fiero
martedì 19 marzo 2013
SAN GIUSEPPE
Lo vedevo passare ogni giorno davanti casa accompagnato da uno stuolo di gatti. Camminava a passi lenti, misurati, affidando ad un bastone la stabilità del suo incedere. Era un vecchino piccolo di statura e magro, infagottato in una giacca dal colore incerto, di almeno due taglie più grande. Viveva da solo, ma aveva la compagnia di tutti i gatti randagi del circondario che aveva adottato. Stava a contatto più con loro che con gli umani. La sua casa, ad un centinaio di metri salendo su per la strada dove abitavo, era una sorta di magazzino a pianterreno, dove ammassava tutto quello che riusciva a raccogliere. Se ci si trovava a passare da lì ed era una bella giornata, capitava, a volte, di vederlo seduto fuori a prendere il sole attorniato dai suoi gatti con cui, solitamente, divideva i pasti. Non di rado lo si vedeva salire con scatole e scatoloni di cartone raccattati in giro per il paese. Aveva poi una singolare abitudine, quella di prendere tutte le immaginette di santi e i pezzetti di carta che trovava in giro e infilarli, dopo averli ripiegati con cura, nelle fenditure dei muri delle case vecchie. Quando scendeva giù per la strada era preceduto da almeno due, tre gatti che lo scortavano fino ad un certo punto, e poi se ne tornavano indietro, troppo pigri, forse, per proseguire o semplicemente perché il loro compito finiva lì. Lo andavano poi a riprendere quando risaliva. Era questa una cosa veramente strabiliante. Come riuscissero a prevedere il momento del rientro era proprio un mistero. Il suo modo di respirare somigliava al ronfare di un gatto e noi bambini pensavamo fosse causato proprio dallo stretto contatto con i felini. Non ne conoscevamo il nome e neanche la voce, per noi era semplicemente san Giuseppe. Questo perché una volta mia madre, come ex voto a san Giuseppe, a cui era devotissima, aveva allestito una tavolata, invitando, tra gli altri, anche lui, il vecchino che passava davanti casa. Noi figli, per l’occasione, eravamo stati istruiti a dovere. Mia madre, che solitamente era molto dolce e comprensiva, si dimostrava intransigente sul comportamento. Dovevamo essere silenziosi, educati, cortesi, quasi invisibili. Nessuna deroga sarebbe stata tollerata. Avevo nove anni io e undici mio fratello.
Quel san Giuseppe improvvisato, seduto a tavola, aveva un’aria molto decorosa, dignitosa anche se un po’sperduta. Andava tutto benissimo e noi eravamo orgogliosi di noi stessi. Mia madre ci guardava con approvazione e gli ospiti erano a loro agio. Il pranzo procedeva magnificamente quando, all’improvviso, quel vecchino pago forse di quanto fino ad allora aveva mangiato e pensando magari agli amici gatti, cominciò, con estrema naturalezza, ad infilare nelle tasche della giacca le polpette che aveva nel piatto davanti a lui. Noi guardavamo e non credevamo ai nostri occhi. Quella scena, rimasta indelebile nella mia mente, ebbe su me e mio fratello lo stesso effetto che provocano gli argini di una diga che cedono improvvisamente e l’acqua, fino ad allora calma e tranquilla, diventa impetuosa e prorompente, travolge e sommerge tutto quello che incontra. Il nostro comportamento, fino ad allora irreprensibile ed encomiabile, miseramente smise di esserlo per lasciare posto ad un ridere scomposto che ci costrinse ad alzarci velocemente e riparare nella stanza vicina, da dove ci fu impossibile uscire per un po’.
Da quel giorno, quando quel vecchino passava, lo guardavamo con occhi diversi, come se fosse entrato, oltre che nella nostra casa, anche un po’ nella nostra vita. Mi capitò poi di rivederlo tempo dopo, ancora una volta nelle vesti di san Giuseppe, in una tavolata organizzata nella piazza del paese. Allora il 19 di marzo era festa nazionale e non si andava a scuola.
Non ho mai conosciuto la sua storia, il suo nome o saputo se avesse mai avuto una famiglia. Non ricordo neanche quando, da quella strada, non passò più assieme agli inseparabili gatti. Per me, però, era ed è rimasto quel san Giuseppe che a casa mia, con tutta la sua compostezza e dignità, infilava polpette nelle tasche.
Brigida Bellomo
lunedì 18 marzo 2013
LE RICETTE DI RURU’ – PANAREDDA E CAVADDUZZI
Questi i dolci pasquali della nostra tradizione. Sostituivano le più costose e moderne uova di cioccolato. Ogni famiglia confezionava questi semplici dolci, gioia di grandi e piccini. Mi auguro, in questo anno, di avervi allietato con le ricette della tradizione antica racalmutese e di aver sollecitato la vostra fantasia in cucina. Un mondo di bene dalla vostra amica Rosa Clotilde (Rurù).
INGREDIENTI
Farina 00 1 Kg
Zucchero 300 gr.
Strutto 250 gr.
3 uova
Ammoniaca per dolci 10 gr.
Acqua q.b. per l’impasto
Uova sode 5
Una bustina di diavolina
In un recipiente mettere farina, zucchero, strutto, 3 uova, ammoniaca e acqua. Amalgamare e impastare fino a rendere il composto elastico. Formare “i panaredda” o “i cavadduzzi” e inserire, ricavando una tasca, l’uovo sodo intero (che sia freddo). Cospargere le figure così formate con la diavolina e infornare a 200° per 15 minuti.
E...BUON APPETITO DA RURU'
domenica 17 marzo 2013
RITORNA LA “CASA DI CRISTALLO”
Quella “casa di cristallo”, proposta qualche mese fa da Castrum Racalmuto Domani, che non è piaciuta come idea ai politici di Racalmuto, viene adottata come leitmotiv dal neo presidente del Senato, Pietro Grasso. Un discorso semplice il suo, nel rispetto delle preoccupazioni degli italiani che trepidano per una stabilità politica che assicuri loro un assetto non più precario dal punto di vista economico-sociale-occupazionale. Con l’impegno, più che con l’augurio, che possa finalmente partire la ripresa economica lasciando definitivamente alle spalle una crisi che da troppo tempo incide sulle famiglie.
Il richiamo a Moro, alle vittime di mafia, ma soprattutto alla trasparenza della politica come servizio ai cittadini, non più corrotta, non più intrisa dal malaffare, è servito al presidente Grasso ad affermare il bisogno che questa nostra politica italiana, questi nostri politici che con il nostro voto dovrebbero assicurarci garanzie di stabilità, non per concessione ma per diritto, riacquisti credibilità e si scrolli di dosso gli scandali e il tornacontismo.
Il riferimento ad Antonino Caponnetto che, in occasione del maxiprocesso ebbe a dirgli: “vai avanti, schiena diritta e segui soltanto la voce della coscienza”. Che il sogno della casa di cristallo di Pietro Grasso, possa avverarsi e risultare contagioso per le tante realtà anche a carattere locale.
Che finalmente, anche a Racalmuto, possa essere fatto proprio il concetto della trasparenza, del bene comune, dello spirito di servizio e dell’interesse, in piena trasparenza, di questo nostro Paese; a schiena diritta, seguendo la voce della coscienza.
Buon lavoro sig Presidente.
Racalmutese Fiero
sabato 16 marzo 2013
UOVA DI PASQUA: STORIA E ISTRUZIONI PER L’USO
Già da alcune settimane hanno invaso gli scaffali dei negozi con le loro carte luccicanti e colorate sulle quali, in grandi lettere, si rassicura su sorprese non deludenti. Stiamo parlando delle uova di Pasqua o uova di cioccolato, golosa attrazione per grandi e piccini. L’uovo di cioccolato è un dolce tipico pasquale di recente produzione che, però, si ispira a lontanissime tradizioni e leggende. Per la sua particolare forma e per il suo prezioso contenuto, fin dall’antichità, l’uovo rappresentava la vita stessa, il mistero del cosmo e il sacro. I pagani credevano che la terra e il cielo fossero la metà dello stesso uovo. Gli antichi Egiziani ritenevano che l’uovo fosse il centro dei quattro elementi dell’universo (acqua, terra, fuoco, aria). I Greci, i Cinesi e i Persiani, invece, avevano l’usanza di scambiarsi uova decorate all’inizio della primavera per festeggiare la “rinascita” delle natura. E anche nel Medioevo si regalavano uova colorate alla servitù in primavera.
Nella religione cristiana le uova diventano il simbolo della risurrezione di Gesù e della rinascita dell’uomo. E ancora oggi molti dolci pasquali hanno come ingredienti principali o decorativi le uova che, durante il digiuno della Quaresima, venivano messi da parte per essere consumate a Pasqua.
Le uova di Pasqua acquistate nei centri commerciali, e che verranno scartate in fretta e in furia dai bambini domenica mattina hanno quindi, un’antica e interessante storia. È una tradizione che perciò va assolutamente rispettata, ma con alcune accortezze e attenzioni dovute ai cambiamenti dei tempi.
Per prima cosa è importante notare che i nostri bambini mangiano quasi tutti i giorni dolci e cioccolata, per cui è abbastanza inutile e dannoso regalare tante uova di cioccolato in un periodo di festa in cui, tra l’altro, si mangia più del solito. Un’idea potrebbe essere quella di regalare solo un uovo per famiglia e riservare ai bambini piccoli doni come libri, colori o puzzle.
Quando scegliete l’uovo di Pasqua leggete gli ingredienti del cioccolato e accertatevi che siano di qualità, dal momento che molto del cioccolato verrà mangiato dai bambini. Ad esempio, un cioccolato che contiene il suo burro di cacao senza grassi vegetali aggiunti è un cioccolato di qualità che, senza esagerare, potrà soddisfare la golosità di tutti senza rischi per la salute.
Oltre alla qualità, state attenti alla quantità di cioccolato che si consuma in appena due giorni, a Pasqua e a Pasquetta. Il peso di un uovo di cioccolato va dai 200 grammi in su. Ciò significa che l’uovo più piccolo fornisce dalle 1030 Kcal del cioccolato fondente, alle quasi 1100 Kcal del cioccolato al latte. Per cui, se si sono ricevute molte uova di cioccolato, va bene farle scartare e rompere dai bambini per “gustare” il momento della sorpresa. Ma poi è meglio nascondere il cioccolato (è pur sempre una forte tentazione) in un posto sicuro e asciutto, per poterlo utilizzare successivamente per preparare dolci, biscotti o gelati fatti in casa.
Infine, al momento dell’acquisto potete scegliere uova di Pasqua ecologiche, solidali ed ecosostenibili. Da anni ormai vengono proposti al mercato uova di cioccolato il cui cacao o zucchero provengono da paesi del Sud del mondo nel rispetto di un commercio equosolidale, o vengono confezionati con carta riciclata o fibre di scarto della seta. Ma ci sono anche uova pasquali, il cui ricavato sarà devoluto ad associazioni di volontariato. Si potrà così cedere ad un peccato di gola, sapendo di aver fatto qualcosa di “buono”.
Dott.ssa Maria Anna Tomaselli
Dietista
venerdì 15 marzo 2013
VIVERE PER LAVORARE O LAVORARE PER VIVERE?
Esiste una frase abusata che dice: “Il lavoro nobilita l'uomo”. Mai di più attuale in un particolare periodo di crisi occupazionale nel quale molti giovani sono costretti ad accettare dei compromessi di scelta, se fortunati o a vagare tra un’agenzia di collocamento e un’altra alla ricerca di una qualunque occupazione che rischia di non arrivare. Saremmo disposti a svolgere qualunque attività pur di lavorare, liberarci dalla noia, dall'ozio, renderci autonomi e dare uno scopo alla nostra esistenza. Ci risuona nella mente costantemente, come un tarlo quanto importante sia il ruolo del lavoro nelle nostre vite.
Ma siamo così sicuri che nell'epoca contemporanea, l'era supertecnologica, il lavoro si possa ancora intendere come un valore aggiunto che serva a dare senso alla nostra vita? O piuttosto non sarà proprio il lavoro a immergerci in una realtà in cui il nostro fare è completamente sganciato da uno scopo? Non sarà che siamo pedine di un meccanismo senza coinvolgimento alcuno, rappresentando un qualunque ingranaggio di un sistema? L'artigiano di un tempo esprimeva se stesso attraverso la sua opera, il tecnico e il manager di oggi esprimono se stessi, oppure semplicemente l'impianto razionale del processo di produzione di cui fanno parte? È possibile immaginare, oggi, una dimensione lavorativa nella quale ognuno di noi possa testimoniare la sua unicità attraverso il proprio agire?
Il lavoro rappresenta ancora un quotidiano molto rilevante nella nostra vita, attraverso il quale diamo molto per scontato. Certezze che potrebbero sgretolarsi se pensassimo quanto un lavoro, seppur gratificante e ben remunerato provochi in noi uno stress correlato. Da considerare ,anche , le nuove generazioni, quelli che portano il lavoro a casa, che non conoscono stacco dalle ore lavorative e relegano la loro vita privata a spazi ridotti che si risolvono, tutto sommato, come un’aggiunta di stress. Tutto viene vissuto con preoccupante frenesia: gli amici, la famiglia, i propri hobby. La mente è sempre rivolta al lavoro che sembra aspettarci come una scadenza e dal quale non riusciamo a staccarci.
Alla lunga questi comportamenti finiscono per condizionare ogni rapporto e rendere difficile persino la convivenza con noi stessi. Siamo costantemente nervosi, preoccupati, ansiosi. Comportamenti che rischiano di sfociare in vere patologie. La società moderna, il ritmo dei manager, i giovani rampanti, gli arrampicatori, gli ambiziosi di carriere, non si concedono tregua e quel lavoro che prima ci appariva come una fortunata quanto incredibile soddisfacente conquista, rischia di tramutarsi in una trappola dalla quale non riusciamo a venirne fuori. Lo spazio vitale si riduce e la nevrosi o le malattie cardiovascolari possono fare la loro pericolosa comparsa.
Siamo ancora in tempo! Riappropriamoci della nostra vita, dei nostri spazi, concediamoci le giuste pause e, se non stiamo lavorando, stacchiamo la spina e godiamo di una giornata, di una piacevole cena con gli amici o semplicemente, della compagnia della persona cara. Questo ci salverà da un vortice pericoloso che rischia di risucchiare tutta la nostra esistenza. Lavorare con impegno e passione sì, ma per vivere e non vivere per lavorare.
Racalmutese Fiero
FRANCESCO, COME IL FRATE DI ASSISI
Abbiamo il Papa. Dopo la rinuncia di Benedetto XVI, dopo quattro fumate nere, viene proclamato Pastore della Chiesa cristiana un cardinale dell'America latina. Prende il nome di Francesco.
Mi auguro che il nuovo Pontefice possa impersonificare la dottrina e gli insegnamenti del frate di Assisi e condurre il suo mandato nell'interesse della comunità' cristiana e non "dell'azienda chiesa". Una dottrina che riporti fedeli, credenti e non verso la fiducia nei confronti del clero e della Chiesa, intesa come servizio ai poveri, agli emarginati, agli oppressi.
Abbiamo avuto dei grandi Papi, uomini capaci, di polso, figure carismatiche che sono riusciti a conciliare gli interessi della Chiesa con le esigenze dei fedeli. Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da una crisi religiosa, pesantemente condizionata dal crollo dei valori della dottrina cristiana e marcati dagli scandali che hanno coinvolto prelati in molte parti del mondo.
Che il nuovo Papa, pastore di anime, successore di Pietro sul soglio pontificio, rappresenti l'umilta' e sia conforto e sostegno di tutti i credenti. L'America latina ha attraversato e sta attraversando periodi di profonda crisi , flagellata da tanti, troppi problemi. Forse Francesco, che ha vissuto il dolore di tali mortificazioni e tormenti, saprà interpretare al meglio il servizio pastorale al quale è stato chiamato, facendosi portavoce e conciliando le esigenze del mondo cattolico e laico, ma soprattutto adoperandosi verso le fasce più deboli della società mondiale.
Racalmutese Fiero
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