Anagrafe di Giovanni V del Carretto
Sarà il figlio a confermarci i dati anagrafici di questo
conte.
Ex dicto don Hieronymo natus fuit illustris don Joannes de
Carretto et de Viginti Milijs filius primogenitus qui duxit in uxorem illustrem
donnam Mariam Branciforte filiam legitimam et naturalem quondam illustris don
Nicolai Placidi Branciforte, principis Leonfortis, et Catharinae Branciforte,
Barresi et Santapau.
Racalmuto sotto Giovanni V del Carretto
Qui la vita scorre come può. Sotto l’arciprete Filippo
Sconduto (vedi sopra) inizia la controversia per sottrarre Racalmuto
all’indesiderata giurisdizione dell’ingordo vescovo Traina e passarlo a quella
del Metropolita di Palermo. Ci informa il Pirri:
«Quod Philippo IV, summopere displicuisse, datis ad proregem
litteris, quibus animi sui acerbitatem, ac facinoris indignitatem ostendit,
ipsemet aperte testatur. Romae tandem causa agitata, inataque pace inter
Episcopum et oppidorum dominos, ad pristinum rediere locum omnia.»
Filippo IV, dunque, appena saputa la notizia, andò su tutte
le furie: se ne dispiacque proprio summopere, forte ma tanto forte che più
forte non si può, investì in malo modo il viceré a Palermo scaricandogli la
rabbia per quell’impertinenza dei paesi agrigentini, caduti in un indegno
crimine (indignitas facinoris). Di fronte all’ira del re spagnolo, al viceré
toccò prendere penna e carta e supplicare la corte papale per una revisione
della causa. Forse il vescovo Traina - sicuramente non ignaro di tutti questi
maneggi - avrà profuso anche a Roma il suo copioso denaro (e già perché anche
allora Roma era ... Roma ladrona). Fatto sta che immediatamente si ridiscute la
causa presso la Camera Apostolica ed ecco che Roma si rimangia tutto: impone la
pace tra il vescovo Traina ed i padroni oppidorum, dei paesi agrigentini: tutto
deve tornare come prima: ad pristinum rediere locum omnia.
Ma chi erano i domini terrae Racalmuti? Sulla carta Giovanni
V del Carretto. Ma costui - come vedesi nella foto della copertina della
pubblicazione racalmutese su Pietro d’Asaro «il Monocolo di Racalmuto», ove vi
appare con la sorella Dorotea - era soltanto un fanciullo tredicenne, peraltro
trasferitosi a Palermo. Le carte del Palagonia ci vengono in soccorso. Furono i
giurati - espressione del potere feudale - a volere l’eversione dal vescovo
Traina: basta scorrere l’atto notarile riportato infra per desumere gli
artefici dell’incauta iniziativa: è l’intera Universitas ma rappresentata e
coartata dai seguenti notabili:
Universitas terrae et comitatus Racalmuti Agrigentine
dioecesis ex statu temporalis dominis comitis dittae terrae Racalmuti legitime
congregata et pro ea Nicolaus Capilli, Benedictus Troianus, Petrus de Alfano,
et ar: me: dott. Joseph Amella uti jurati dittae terrae Racalmuti
E’ stata l’intera Universitas Racalmuti, ritualmente
congregata, e rappresentata dai giurati, al tempo Nicolò Capilli, Benedetto
Troiano, Pietro Alfano ed il medico Dott. Giuseppe Amella. Su costoro comunque
non si abbatté l’ira del re di Spagna. Anzi, nel 1639, anno di grande miseria,
un provvidenziale decreto viceregio impone sgravi fiscali ed accorda altre
agevolazioni ai borgesi racalmutesi che si cerca di mettere in condizione di
seminare senza le espoliazioni feudali: ()
Il Viceré comunica ai Giurati delle terre di Bivona, Adernò,
Termini, RACALMUTO, Bisacquino, Castrogiovanni, Taormina, Caltavuturo, Mazzara
e Lentini le istruzioni emanate sul modo di dare i soccorsi ai borgesi e
massari.
(Trib. del R. Patrimonio. Lettere viceregie e dispacci
patrimoniali, di Particolari, dell'anno indizionale 1639-1640, f. 48 e s.) - Il
margine si legge che la stessa lettera fu spedita ai Giurati di Adernò, di
Termini, di RACALMUTO, Bisacquino, Castrogiovanni, Taormina, Caltavuturo,
Mazzara. - A pag. 64 del medesimo registro trovasi riportato la stessa lettera
diretta ai giurati di Lentini.
Philippus etc.
Locumtenens et capitaneus generalis in hoc Siciliae Regno
nobilibus Juratis terre Bibone Racalmuti fidelibus regi dilectis salutem.
Siamo stati informati che per la povertà di borgesi, massari
et arbitrarianti della [contea di Racalmuto] non ponno attendere al seminerio
nè quello coltivare nè fare maysi per l'anno futuro essendo detrimento al regno
et convinendo che un tanto beneficio universale habbia essecutione habbiamo
commesso a voi il negotio acciò con la diligentia necessaria compliate al
dovere conforme sarrà di giustizia osserbando quanto vi si ordina per
l'infrascritti istrutioni sopra ciò fatti del tenor seguente Videlicet.
Panormi die octobris 4^ inditioni 1636.
Instructioni fatti in detto anno sopra il seminerio attorno
di far dar soccorso alli borgisi. Si dovereranno con ogni diligenza informare
delli borgesi che sono in detta [contea di Racalmuto] dell'apparecchio che
habbiano di terre così per seminare come per ammaisare e della bestiame che
hanno per il seminerio presentato per li maysi futuri e per il governo delli
seminati e terre et si sono persone che, essendo soccorsi, si serviranno
veramente del soccorso per seminare e governare li seminati et a quelli che
saranno tali et haviranno bisogno li farrete soccorrere dalli padroni et
affittatori degli feghi et terri delli quali essi borgesi hanno di apparecchio
et in caso che detti padroni et affittatori non siano abili a soccorrere
essendo habili di denari, farrete che coprino [comprino] li formenti per dare
li soccorsi et in caso chi padroni o affittatori siano affatto inhabili a dar
soccorso ne di formento ne di denari per comprarli, farrete dar soccorso da
persone facultuse habili a darlo promettendo loro che se li terrà memoria del
servito che in ciò faranno nelle occorrenze et occasioni et che per la
restitutione se li daranno cautele bastanze preferendoli ad ogni altra gravezza
etiamdio delli terraggi [] et che per la restitutione non se li concederà per
il pagamento di detti soccorsi dilatione alcuna, declarandosi che essendovi
borgesi che avessero apparecchio o terre di ammaisare baronie, feghi, o terre
disabitate, questi ancora verranno esser soccorsi o di padroni o di
affittatori, o di facultosi del più vicino loco habitato con le medesime
prelationi nel pagamento di soccorso. Li borgesi che si soccorrino per seminare
doveranno dare pleggeria [malleveria] di seminare quel soccorso che per tal
effecto se li da sotto pena di haver a restituire il soccorso datogli passato
il tempo del seminerio. E Voi passato il tempo suddetto, essendovene fatta
instantia, procedirete alla esecutione delle pene inremissibilmente, nel tempo
del raccolto haverete cura che il primo sia pagato il soccorso preferendoli ad
ogni altro debito quantunque privilegiato, etiamdio a terraggi o a debiti di
bolle che la recuperatione si facci in prontezza e senza lite. Perciò vi
ordiniamo che attorno il dar soccorso alli borgesi et massari della [contea di
Racalmuto] osserverete er essequirete tutto quello et quanto nelle preinserte
instructioni del seminerio si dichiarando in ciò la diligenza possibile a cui
sortisca e passi innanti il servizio essendo di tanto benefitio universale al
regno e servitio di sua Maiestà che Voi circa le cose premisse ve ni danno la
potestà bastante et cossì essequirete per quanto la gratia di S. Maestà tenete
cara.
Datum Panormi 6 octobris, 8 inditionis, 1639. El Cardinal
IOAN DORIA.
Dominus locumtenens
mandavit, etc.
Erano vane promesse, qualcosa di simile alle grida di
manzoniana memoria? Vox clamantis in deserto? Sia quel che sia il cardinale
Doria sembra più commendevole come luogotenente che come dispensatore delle
reliquie di Santa Rosalia.
Nell’ottobre del 1639, i borgesi racalmutesi erano davvero
nelle condizioni tali da non avere più la semente per le loro chiuse? O era un
piangere miseria, veniale peccato ricorrente nel costume contadino di un tempo?
Per avere alleggerite le onnivore tasse.
Gli arcipreti di Racalmuto sotto Giovanni V del Carretto
A Racalmuto, nella cura delle anime, allo Sconduto era
succeduto il sac. dott. Giuseppe Cicio che dopo un quinquennio cessò i suoi
giorni terreni (+ 6 novembre 1636). Il successore nell’arcipretura, D. Antonino
Molinaro (28 febbraio 1637) dura ancor meno. Subito dopo muore don Santo d’Agrò
(+ 22 luglio 1637) cui infondatamente Tinebra Martorana, Sciascia e qualche
altro ricercatore ancor oggi vogliono assegnare il merito della moderna Matrice
sub titulo S. Mariae Annunciationis.
Il Vescovo Traina, frattanto, seduto sulla sponda del fiume
aspetta il momento della sua vendetta. Finalmente può arraffare l’arcipretura
di Racalmuto, vi manda un suo parente da Cammarata: è anche per quei tempi un
giovanotto e risulterà di scarso discernimento. Si chiama Traina come lui, di
nome Tommaso. Vanta un dottorato, chissà se effettivo. Ha solo 24 anni. Lo
segue una caterva di parenti. Molti sono religiosi e qualcuno finirà la sua
vita terrena a Racalmuto come don Filippo Traina (+ dopo il 1643); altri, i
più, finita la pacchia veleggeranno verso altri lidi, come Giuseppe e Michele
Traina. Particolare menzione merita codesto don Giuseppe Traina che nel 1639
figura come economo della Matrice, incarico che ricopre nel 1645; nel settembre
del 1652 viene indicato come pro-arciprete. Era stato nel frattempo costruito
il convento di Santa Chiara con il lascito di donna Aldonza del Carretto, che
vi aveva destinato taluni pretesi diritti di mora per mancata corresponsione
del "paragio" da parte del fratello Giovanni IV e dei suoi eredi
Girolamo II, prima; e Giovanni V, dopo.
Don Giuseppe Traina, pronubi l’arciprete ed il vescovo,
diviene l’esoso cappellano e confessore di quelle pie monache. Nei libri
contabili, reperibili presso l’archivio di Stato di Agrigento, v’è quasi un pianto
per le continue erogazioni che il convento è costretto a subire in favore di
questo prete venuto dai monti di Cammarata.
Varrebbe la pena spulciare le varie note spese che appaiono
nei libri contabili dell’archivio di Stato di Agrigento, presentate dal Traina
al Convento per l’immediata liquidazione, pronto cassa; ma non è questa la sede
per siffatte ricerche di sapore ragionieristico.
Il giovane arciprete Tommaso Traina s’impania nella
transazione con gli eredi di don Santo d’Agrò: sobillatore ci appare
l’esecutore testamentario, don Dn. Franciscus Sferrazza, dichiaratosi
Legatarius dicti quondam Dn. Sancti de Agrò. Che cosa abbia disposto in favore
della Matrice don Santo d’Agrò, non mi è ancora dato di sapere, non essendo
stato rinvenuto il suo testamento, nonostante le tante ricerche. Disposizioni
in favore della sua tumulazione nella chiesa madre - che in quel tempo risulta
allargata dagli altari centrali a quelli laterali, entrambi i primi a sinistra
ed a destra dell’attuale edificio - non dovevano mancare, ma dovevano essere
ambigue ed indecifrabili. Familiari diretti del defunto, sacerdote, l’esecutore
del testamento ed il giovane arciprete addivengono ad una transazione, come da
rogito notarile. Il rogito cadde sotto l’attenzione di Tinebra Martorana,
procuratogli pare - guarda caso - da tal signor Salvatore Sferlazza. Come da
quel magari incerto latino notarile, il Tinebra abbia potuto raffazzonare quel
po’ po’ di fandonie che leggiamo a pag. 143 delle sue Memorie è arcano che non
manca di sorprenderci. A dire il vero l’alumbriamento più che nel casto
sacerdote Santo d’Agrò sembra doversi cogliere nei nostrani scrittori, passati e
presenti.
Tralasciamo qui di scrivere su Pietro d’Asaro, su Marco
Antonio Alaimo - che pure qualche attinenza, non foss’altro d’indole temporale,
con il Traina ce l’hanno - perché divagheremmo troppo, esulando appieno dai
limiti del presente lavoro, volto alla ricostruzione della storia dei del
Carretto di Racalmuto. Non mancherà tempo per restituire a Pietro d’Asaro
quello che è di Pietro d’Asaro e togliere a Marco Antonio Alaimo quello che una
secolare letteratura agiografica ha su di lui profuso in superfetazioni.
Il 30 agosto L’arciprete Traina muore a soli 35 anni. Gli
atti della Matrice segnano:
30/8/1648 Traijna Thomaso, arciprete, sepolto in Matrice,
gratis;
ed il cappellano detentore dei libri annota:
Il d.re D. Thomaso Traijna Sacerdote et Arciprete di. questa
Terra di Racalmuto d’età' d'anni 35 et mese cinque si morse et fu sepellito in
questa Matrice chiesa di detta terra. Gratis
Ove giaccia in Matrice, si è persa la memoria.
Il 4 ottobre 1651, il vescovo Traina, dopo tante peripezie,
fra le quali una fuga notte tempo a Naro, cessa di vivere. Nella macabra
cappella funeraria della Cattedrale fece incidere, in orripilanti caratteri
bronzei, peracri ecclesiasticae libertatis studio administravit. Chiamò libertà
della chiesa il suo pervicace attaccamento alle cose di questo mondo, come la
giurisdizione sui racalmutesi. Anche da morto non si smentì. Denis Mack Smith,
un protestante, non si esime, a distanza di secoli, dal punzecchiarlo nella sua
Storia della Sicilia.
L’interregno di Maria Branciforti
Eseguita la pena capitale, i beni feudali di Giovani V del
Carretto furono prontamente requisiti. La Corte però non li trattiene: li
concede alla vedova donna Maria Branciforti, quale tutrice di don Girolamo III
del Carretto e Branciforti. Con un privilegio di Filippo IV, rilasciato nel
Cenobio di San Lorenzo il 28 ottobre del 1654 e reso esecutivo in Palermo il 13
novembre 1655, Racalmuto torna in potere dei del Carretto.
Il privilegio di Filippo IV non evita di fare riferimento
alla tragica ma anche ingloriosa fine di Giovanni V del Carretto, ma alla fine
risulta più munifico di quel che ci si aspettasse. Al figlio di Giovanni V del
Carretto andrebbe anche il feudo di Gibillini, ma noi crediamo che si sia
trattato di un errore dei curiali di Palermo.
Donna Maria Branciforti - evidentemente giovanissima - resta
nel 1650 vedova ma con buone rendite specie per i beni paterni. Ma ci pare in
mano di usurai. La sua situazione economica è riepilogata in questo documento
che si conserva alla Gancia di Palermo:
(Anno 1651 vol. 609 - Archivio di Stato Palermo - Gancia -
P.R.P.)
Donna Maria del Carretto e Branciforte, contessa di
Racalmuto, cittadina oriunda della città di Palermo, relitta del Conte, figli
don Girolamo di anni 3 e Anna Beatrice. Rendite: don Nicolau Placido
Branciforte, principe di Leonforte, once 300 ogni anno sopra detto stato di
Branciforte che à raggione del 5% il capitale spetta onze 6000;
inoltre rende ogni anno donna Margherita d'Austria onze 382
e tt. 5 per il principato di Butera quale che tiene il capitale di onze 5277
per un totale di 11277 onze, 13 deve a d. Michele Abbarca della città di
Palermo onze 2600 per tanto che ci ha dato; deve a donna Maria Morreale e del
Carretto onze 500 per tanto prestatoci.
Giovanni V del Carretto lascia dunque due figli: Girolamo di
anni 2 e Beatrice di cui ignoriamo l’età.
GIROLAMO III DEL CARRETTO
Girolamo III del Carretto può dirsi l’ultimo feudatario di
Racalmuto della famiglia carrettesca. Ebbe un figlio: Giuseppe; gli donò la
contea mentre era ancora in vita, sicuramente per ragioni fiscali; ma Giuseppe
era malaticcio; premorì al padre ed Girolamo III ritornò la contea di
Racalmuto; Girolamo morì senza altri figli maschi; la contea finì in mano alla
moglie del defunto figlio Giuseppe; era costei Brigida Schittini e Galletti che
non seppe mantenere il feudo racalmutese, finito - previa un’interposizione
fittizia di una tal Macaluso - in mano dei Gaetani.
Girolamo III del Carretto nasce - crediamo a Palermo -
attorno 1648. Con la morte del padre, la vita a Palermo dovette essere ardua.
Così la vedova con i due figlioletti ritorna a Racalmuto, mentre nella capitale
si infittiscono gli approcci per il recupero dei beni feudali requisiti dalla
corte spagnola.
Nel 1660, secondo una numerazione delle anime che si
custodisce in Matrice, i del Carretto costituiscono il 1625° "fuoco"
di Racalmuto con questa composizione:
1625 LA CARRETTA Xxa
ECCELLENTISSIMO SIG. DON GERONIMO C.TO ECC.MA SIGNORA DONNA
MARIA C.TA ILLUSTRISSIMA DONNA BEATRICI CARRETTO C.TA
Girolamo del Carretto è appena dodicenne; frequenta qualche
scuola da qualche prete locale; subisce l’autorità della madre che appare molto
volitiva.
S’iniziano i lavori della Matrice e donna Maria Branciforti
è munifica nelle elemosine.
La contessa, in effetti, versa a spizzichi e bocconi la sua
"elemosina" di cento onze in ben 19 rate di disparato importo (da
pochi tarì a 30 onze) lungo un arco di tempo che parte dal 15 dicembre 1654 per
concludersi il 10 marzo 1660.
Sembra che dopo il 1660 la famiglia del Carretto si sia
trasferita ad Agrigento. Girolamo III del Carretto ha voglia (o necessità)
d’intrupparsi nell’esercito spagnolo per andare a fronteggiare gli invasori
francesi nei pressi di Messina nel 1674. Aveva 26 anni. Non militò a lungo.
Tornò a casa, si era sposato con una Lanza. Decide di abitare nel suo castello
di Racalmuto.
Il San Martino-De Spucches è piuttosto esauriente nel
fornirne il profilo araldico:
«
Girolamo del CARRETTO BRANCIFORTE
, figlio del precedente [Giovanni V], per grazia speciale di
Filippo IV ebbe restituiti i beni paterni e con nuova concessione, data nel
cenobio di S. Lorenzo, a 28 ottobre 1654, fu nominato Conte di Racalmuto; il
Privilegio fu esecutoriato nel Regno, nell'anno IX Indiz. 1655, e propriamente
il 13 novembre. In base al suddetto privilegio egli s'investì a 14 agosto (R.
Canc. IX Indiz. f. 73). Si reinvestì, a 16 settembre 1666, per il passaggio
della Corona (R. Cancell. V Indiz. f. 180). Sposò, in prime nozze, Melchiorra
LANZA MONCADA di LORENZO, Conte di Sommatino, e di Aloisia MONCADA; sposò in
seconde nozze, Costanza AMATO ed ALLIATA di Antonio, P.pe di Galati, e di
Francesca ALLIATA LANZA (Villafranca). Fu maestro di campo dell'esercito
destinato a sedare la rivoluzione di Messina (1674); Vicario Generale Viceregio
a Noto, Girgenti, Licata, Caltagirone; Pretore di Palermo nel 1682; Gentiluomo
di Camera del Re Carlo II a 10 agosto 1688.»
Dal 1682, dunque, risulta residente a Palermo; il richiamo
della capitale era stato anche per lui irresistibile.
Ha voglia a Racalmuto di mettere mano a riforme: affida il
vecchio ospedale di San Sebastiano ai Fatebenefratelli. Da allora si chiamerà
di San Giovanni di Dio.
E’ leggibile una copia del privilegio di erezione di quella
pia fondazione. Sono ricavabili questi estremi:
"COPIA Della fondazione di questo nostro
Convento..." "ANNO 1693" Nell'anno 1693 l'Ill.mo Sig.r d.
GEROLAMO DEL CARRETTO E BRANCIFORTE Conte di Racalmuto e P.pe di VENTIMIGLIA
accumulatavi la Pietà, e Carità dell'Ill.ma D: MELCHIORA DEL CARRETTO E LANZA
sua moglie". ...." Ill.mo d: GIUSEPPE DEL CARRETTO BRANCIFORTE, e
LANZA suo figlio. -Bolle Pontificie date in Roma il .. 13|2|1693 .. in Palermo
l'8\4\1693 ed in Girgenti il 20\8\1693".
Il 16 giugno 1670 Girolamo è residente a Racalmuto. Le muore
una figlioletta che viene così registrata nei libri della Matrice:
1.Domina Joanna, Ignatia, Antonina Elisabetta filia Ill.mi
et Ecc.mi D.ni Hijeronimi Carretti et Branciforti comitis Racalmuti et
principis XXmiliarum, et ill.me et ecc.me D.ne Melchiorre eius uxor; duorum
annorum et mensium quatuor circiter, in domo palatii h. t. R.ti animam Deo
redidit, cujusque corpus sepultum est eodem die in ecc.sia S.te Marie de Monte
Carmeli in communione S. Matris Ecc,sie presente clero, congregationibus
confraternitatibusque et Senato. GRATIS
Sappiamo che donna Melchiorra Lanza morì a Racalmuto il 10
aprile 1701 e vi fu sepolta come attestano i soliti libri della matrice:
906 10.4.1701 D. MELCHIORRA LANZA DEL CARRETTO UXOR
HIERONIMI PRINCIP.A COMITISSA RACALMUTI di anni 70 sepolta a S.MARIA DE IESU IN
VENERABILI CAP. SS. ROSARII. Assistita da D. FABRIZIO SIGNORINO ARCIPRETE. Morì
in sua propria domo.
Girolamo III del Carretto sarebbe dunque rimasto vedovo a
soli 53 anni. Tra lui e la prima moglie vi sarebbero stati diciassette anni di
differenza. Questo, stando ai dati che riportiamo. Confessiamo, però, di
nutrire noi stessi forti dubbi: forse gli anni della contessa defunta vanno
rettificati in soli 50.
Girolamo III del Carretto acquisisce contorni di litigiosità
con i dati che emergono dal Fondo Palagonia. Un atto soprattutto.
Il conte ha modo di dire di sé:
Ex ditto d. Joanne natus est illustris don Hieronymus de
Carretto et Branciforte, cuius nomine et pro parte, illustris donna Maria de
Carretto et Branciforte cepit investituram de ditta terra, statu et comitatu
Racalmuti, pro ut per dittam investituram de ditta terra, statu et comitatu
Racalmuti pro ut per dittam investituram sub die decimo quarto Augusti nonae
indittionis 1656 per attum apparet et die sua melius etc.
Il feudo di Racalmuto a fine del ’600
Ed ecco come ci descrive il suo feudo, il nostro Racalmuto:
Item ponit et probare intendit non se tamen obstringens etc.
qualmente il fegho nominato di Racalmuto sito e posto in questo Regno di
Sicilia nel Val di Mazzara consistente in salme setticentocinque tummina
quindeci, mondelli tre e quarti dui cioè in salme seicento cinquantadue,
tummina undeci e mondelli uno di terre lavorative e salme cinquanta trè,
tummina dui e mondelli dui di terre rampanti, valloni, trazzeri ed altri
inclusi in dette salme cinquanta tre, tummina dui e mondelli dui, salme undeci
di terra nel circuito, delle quali e sita e posta la terra [134] che tiene il
nome da detto fegho è posto in menzo delli feghi nominati:
1.delli Gibillini e feghi
1.delli Cometi;
1.e fegho delli Bigini;
1.del fegho di Zalora;
1.del fegho di Scintilìa;
1.del stato e ducato delli Grotti;
1.del fegho e principato di Campofranco;
1.e fegho della Ciumicìa
e altri confini ...
Non v’era dunque dubbio che le terre usurpate dai sacerdoti
racalmutesi erano integralmente sotto la giurisdizione del conte.
Item ponit et probare intendit non se tamen obstringens etc.
qualmente le contrate nominate di Bovo seu Montagna, Pinnavaira, della Rina seu
Scavo Morto, della Difisa, Jacuzzo, Zimmulù, Caliato, Serrone, Pietravella,
Saracino seu Molino dell’Arco, Menziarati e Culmitelli sono delli membri e
pertinenze del fegho e stato di Racalmuto ed intra li limini e confini di detto
fegho di Racalmuto come sopra stimato e confinato conforme fù ed è la verità,
notorio e fama publica et nihilominus dicant testes quicquid sciunt, sentiunt,
viderunt vel audiverunt etiam extra capitulum ad intensionem producentis et - -
-
Non sappiamo come sia andato a finire quel processo. Sorto
alla fine del Seicento, con tutta probabilità non era concluso alla morte del
litigioso conte. Il quale pare ebbe molto a litigare anche con il figlio che
pure aveva dotato della contea ancor prima della sua stessa propria morte.
Girolamo III del Carretto non era comunque un mangiapreti:
sotto di lui l’arciprete Lo Brutto - e con il suo esplicito e imperioso avallo
- aveva potuto costituire la "comunia" di Racalmuto con ben dodici
mansionari, adorni di fregi appariscenti.
Religione, clero ed altri aspetti nella Racalmuto post
Giovanni V del Carretto.
Al Traina, frattanto, era subentrato nell’arcipretura don
Pompilio Sammaritano, un semplice dottore in teologia.
Porta con sé un parente sacerdote, don Pietro. Lo nomina
subito suo cappellano ed il racalmutese p. Antonino Morreale viene giubilato e
deve emigrare. Lo segue uno stretto parente, forse un fratello, un tal
Francesco Samaritano sposato con Gerlanda e con una figlia, come ci tramanda il
primo censimento di Racalmuto conservato in Matrice. Già nel 1649, il nuovo
arciprete risulta dai registri della Matrice già in opera. Nel 1660 è
felicemente insediato in paese, ove ha messo su casa servito da "un famulo"
di nome Giuseppe ed una fantesca chiamata Lizzitella. (il solito censimento è
impertinente). Durante la sua arcipretura piombarono a Racalmuto la moglie ed i
figli dell’infelice Giovanni V del Carretto.
La contessa ha i suoi guai: deve risolvere i problemi del
riottenimento dei beni feudali che sono stati requisiti dal re per l’alto
tradimento del marito. Vi riuscirà. I fondi Palagonia contengono, come si è
detto, gli atti di questa avvincente vertenza feudale. Il dottore in teologia è
prodigo di consigli e sa essere di supporto morale.
Frattanto giunge ad Agrigento il nuovo vescovo Ferdinandus
Sanchez de Cuellar. Il 28 novembre 1654 visita Racalmuto e subito mette in mora
l’arciprete per il latitare dei lavori della fabbrica della chiesa della
Matrice. Il giorno dopo si apre la contabilità dei lavori edili, il cui
pregevole rollo si conserva in Matrice: LIBRO D'INTROITO ED ESITO di denari per
conto della fabrica della Matrice Chiesa di Racalmuto incominciando dalli 29 di
novembre 8a Ind. 1654, reca in esordio per la penna di don Lucio Sferrazza. Il
depositario è il dott. don Salvatore Petruzzella, futuro arciprete. I primi
soldi, cioè le prime 12 onze, sono dal vescovo. Ma è un modo di dire: si tratta
delle feroci molte comminate dal vescovo in corso di visita. E pensare che
sotto il vescovo Traina le autorità diocesane avevano latitato. A noi fa un
certo senso leggere:
Dall'Ill.mo et rev.mo Monsignor frà Ferdinando Sancèz de
Cuellar Vescovo di Girgenti hò ricevuto per mano di D. Alonso de Merlo suo mastro
notaro onze dudici quali d.o Ill.mo Signore ha dato d'elemosina alla fabrica di
d.a matrice chiesa dalle .. pene esatte in discorso di visita in Racalmuto d.
........ onze -/ 12.
La pia contessa, vedova sconsolata, è la più munifica nel
contribuire alle spese per la costruzione della Matrice: oltre 100 onze. Ma
essa è la nuova contessa di Racalmuto, a titolo personale: il figlio Girolamo
III riacquisterà la contea il 28 ottobre 1654, ma ne avrà il diploma solo il 5
novembre 1655, previo pagamento di 200 onze e 29 tarì.
La posa in opera delle colonne della Matrice - quelle di cui
si parlava nella transazione con gli eredi di don Santo Agrò del 1642 - avverrà
nel marzo del 1655. L’iter dei lavori è seguito passo passo e studenti di
architettura potrebbero utilizzare i rolli della "Fabrica" per
avvincenti tesi sulle chiese del Seicento siciliano, quelle minori
dell’entroterra contadino, come Racalmuto.
Il Samaritamo muore il 6 gennaio 1664 a 66 anni. Gli atti
della Matrice riportano:
1664 SAMMARITANO Pompilio ARCHIPRESBITER 66 huius matricis
Ecclesie
Viene sepolto in Matrice, presente clero. Aveva avuto
l’estrema unzione da P. Antonio ord. S. Marie Carmeli.
Gli succede don Salvatore Petruzzella, finalmente un
racalmutese; ma vive poco: muore il 29 maggio 1666. Non ha il tempo per
lasciare tracce durevoli del suo apostolato.
E’ ora la volta dell’altro arciprete racalmutese: il dott.
sac. Vincenzo Lo Brutto e costui di tempo ce ne ha per lasciare un segno
profondo, al di là della lapide funerea che ancora è visibile nella cappella
centrale della navata laterale di sinistra (per chi entra) della Matrice. Vanta
un elmo chiomato, come se fosse stato un nobile milite: debolezza del nipote
che quella tomba volle.
Il vescovo agrigentino Sanchez - si pensi quale ofelimità
potesse legare uno spagnolo all’amaro vivere contadino di Racalmuto - regge la
diocesi dal 26 maggio 1653 sino alla sua morte (+ 4 gennaio 1657). Subentra
Franciscus Gisulpfus (Gisulfo) - dal 30 settembre 1658 sino alla morte (17
dicembre 1664); e poi Ignatius Amico ( 15 dicembre 1666 - + 15 dicembre 1668);
Franciscus Ioseph Crespos de Escobar (e ci risiamo con gli spagnoli) - 2 maggio
1672, + 17 maggio 1674. Finalmente un buon vescovo per una cattedra durata
vent’anni: Franciscus Maria Rini (Rhini) - 10 ottobre 1676, + 14 agosto 1696.
Chiude il secolo un vescovo nefasto: 26 agosto 1697 - + 27 agosto 1715 (fuori
Agrigento, essendone stato espulso dalle autorità civili per il suo
atteggiamento provocatorio scaturente dalla nota questione liparitana). Su tale
controversia ebbe a scrivere Sciascia. Il valore storico di quel pezzo teatrale
fu denegato da Santi Correnti: comunque, oltre al valore - indubbio - sotto il
profilo letterario, il testo sciasciano ci immerge nel clima politico e
sociale, ma anche religioso e morale di quel tempo. Fu davvero una iattura il
vezzo di preti e religiosi ruffianeggianti con Roma che negavano il sacramento
della confessione ai moribondi, sol perché operava un interdetto dovuto
all’incauto comportamento di alcuni catapani che avevano tentato di applicare
l’imposta di consumo ad un munnieddu di ceci o di fagioli - non si è capito
bene - del vescovo di Lipari (nominato, pare, al solo scopo di provocare un
incidente per consentire al Papa di rimangiarsi la medievale concessione della
Legazia Apostolica).
Se, un moribondo - ossessionato dalla sola paura
dell’inferno per i suoi tremendi peccati - in stato di semplice attrizione,
dunque, avesse chiesto un confessore e non l’avesse avuto per l’interdetto dei
fagioli, era destinato alla dannazione eterna? Certa intelligenza della curia
agrigentina forse è in grado di dare una risposta. Ci serve per giudicare i
tanti, troppi, nostri antenati che tra il 1713 ed il 29 settembre 1728 morirono
in tale ambasce a Racalmuto (cfr. registro dei morti della Matrice).
Annotava il canonico Mongitore - tanto sgradito a Sciascia -
«a 13 agosto 1713. Il vescovo di Girgenti D. Francesco Ramirez, d’ordine del
pontefice, dichiarò scomunicati alcuni regi ministri, che concorsero al
sequestro delli beni del vescovo di Catania.» E soggiungeva: «a 13 settembre.
Partì da Palermo D. Isidoro Navarro, canonico della cattedrale, delegato della
Monarchia, per levar l’interdetto dalla città e diocesi di Girgenti. Entrò egli
non da ecclesiastico, ma da capitano; e armata mano levò il vicario generale il
padre Pietro Attardo, come pure altro vicario Giuseppe Maria Rini, che mandò
altrove carcerati. Mandò lettera circolare per la diocesi, che s’aprissero le
chiese e non s’ubbidisse a detti vicarii.» Le carte della Matrice ci svelano
che il clero racalmutese rimase ligio ai dettami del vescovo Ramirez e snobbò
il canonico-capitano di Palermo. Più abile l’arciprete del tempo - Fabrizio
Signorino - che in cambio di una bolla della crociata (anche con effetto
retroattivo) poteva consentire cristiana sepoltura in chiesa: per i non abbienti,
pazienza, l’ultima dimora era quella all’aperto a li fossi. Solo che quelli
erano tempi davvero calamitosi e tantissimi nostri antenati morirono con la
paura dell’al di là per un interdetto che non capivano ( e di cui non avevano
responsabilità alcuna) ed una sepoltura dissacrata dal vento, dal sole e dai
cani randagi.
Quelli che venivano sepolti in chiesa "gratis pro
Deo" godevano di particolari privilegi: ma gli altri - la gran parte come
si è visto - finivano sepolti all’aperto, anche se ‘prope ecclesiam’ (vicino,
ma non dentro); per di più i loro parenti erano talmente poveri da non potere
dare l’elemosina o il c.d. diritto di stola all’immalinconito cappellano che
accompagnava il feretro in quel derelitto cimitero incustodito. "gratis, pro
Deo", la formula latina, che era comunque un parlare e scrivere poco ...
latino (nell’accezione sciasciana).
L’arciprete Lo Brutto fu in eccellenti rapporto col vescovo
Rini: si fece elevare a chiese "sacramentali" S.Anna, S. Michele
Arcangelo, il Monte. E’ consultabile la bolla di elevazione della chiesa di S.
Anna in chiesa "sacramentale". Del tutto analoghe sono le altre, come
quella: Datis Agrigenti die 17 Junii 1686 - fr. Franciscus Maria Episcopus
Agrigentinus - Can Lumia Ass. - Vincentius Calafato M.r notarius.
Del pari fece autorizzare l’istituzione della speciale
congregazione dei Filippini a Racalmuto, di cui parla il padre Morreale, ed al
presente oggetto di studio da parte del prof. Giuseppe Nalbone. Costituisce la
Comunia e ne fa nominare i mansionari.
Contro la devastante peste del 1671 nulla poté fare il
povero arciprete racalmutese della fine del Seicento, se non annotare in bella
calligrafia la iattura capitata tra capo e collo; e fu iattura per tanti versi:
da quello economico a quello sociale; da quello dell’umano vivere a quello del
decomporsi morale e spirituale; per il clero con tanti fedeli in meno e quindi
tante primizie assottigliate, per l’arciprete stesso, il cui gregge veniva
drasticamente ridimensionato; per l’Universitas che non sapeva dove andare a
racimolare le onze occorrenti, essendosi assottigliata la tassa del macinato
per morte di un quarto della popolazione in un anno; per i suoi giurati che
rispondevano dei tributi alla Spagna con la clausola "solve et
repete"; per il neo conte Girolamo III del Carretto, salassato dal re per
il tradimento del padre Giovanni V del Carretto, dalla mala gestione dei suoi
antenati che non pagando i debiti di "paragio" erano finiti sotto la
mannaia delle condanne giudiziarie al pagamento degli arretrati e della
capitalizzazione degli interessi di mora relativi; ed in più una sortita
beffarda dell’uterina virago donna Aldonza del Carretto e delle sue similissime
sorelle, aveva finito con il dare in pasto allo spietato convento di S. Rosalia
di Palermo gran parte del patrimonio dei conti di Racalmuto (come abbiamo già
raccontato).
Girolamo III del Carretto, esasperato, si rivalse sui ricchi
preti di Racalmuto - su quelli poveri, che erano tanti, nulla poteva: a sua
chiamata finiscono sotto il torchio della giustizia palermitana.
Girolamo III del Carretto sembrò benevolo verso la locale
Chiesa quando fece venire i padri Benefratelli perché accudissero presso S.
Giovanni di Dio ai malati di Racalmuto e li dotò: ma a ben guardare si limitò
ad assegnare loro le vecchie rendite del vetusto ospedale racalmutese, la cui
memoria si perdeva nella notte dei tempi. Forse non si astenne dall’incamerare
alcuni lasciti che a suo avviso erano di dubbia origine.
Girolamo III aveva contratto matrimonio con una Lanza di
Mussomeli, di cui parla il Sorge nel suo studio su quella cittadina. Era una
Lanza decrepita per anni che riesce a partorire il figlio maschio Giuseppe,
quello che premuore al padre, ed una figlia femmina i cui discendenti dopo un
secolo consentono ai Requisenz di impossessarsi dell’ormai esausta contea di
Racalmuto.
Quanto fosse addolorato l’ancor possente marito non
sappiamo: di certo, passò subito a nuove nozze. Per il momento non sappiamo
fare altro che dare la parola al Villabianca per la prosecuzione della storia
di Girolamo e Giuseppe del Carretto:
GIROLAMO del CARRETTO e BRANCIFORTE
, investito a 15. Agosto 1656, Fu questi Maestro del Campo
nella guerra di Messina e sostenendo tale carica prese il Casal di Soccorso,
avendo difeso coraggiosamente SAMMICI da' Colli di Valdina, ed impedì lo sbarco
de' Franzesi presso Melazzo (c) [AURIA Cron. f. 211], onde poi insieme fu
eletto Vicario Generale nella Città di Noto, di Girgenti, Licata e Caltagirone.
Fu Pretore di Palermo nel 1682, Diputato di questo Regno, e gentiluomo di
camera del Ser.mo Rè Carlo II. pubblicato a 10. Agosto 1688 (e) [AURIA Cron. f.
211]. Sposo nelle prime sue nozze MELCHIORRA LANZA e MONCADA figlia di LORENZO
C. di Sommatino, e poscia ebbe in moglie COSTANZA di AMATO ed AGLIATA, figlia
di ANTONIO P. di GALATI. Dal primo suo letto coniugale venne alla luce GIUSEPPE
del CARRETTO e LANZA.»
L’arciprete Lo Brutto morì il cinque febbraio del 1696.
Risale al 20 settembre 1699 una relatio ad limina del Vescovo di Agrigento (e
cioè una delle relazioni triennali che i vescovi erano tenuti a fare alla Sede
Apostolica dopo il Concilio di Trento sullo stato della propria diocesi). Là
troviamo un ampio ragguaglio sulla vita religiosa di Racalmuto e val la pena di
richiamarla consentendoci un quadro di raffronto con quanto emerso dalla
documentazione degli archivi statali.
''RECALMUTUM - Cittadina (oppidum) di cinquemila abitanti
sotto la cura di un arciprete, la cui elezione ed istituzione sono da tanto
tempo di diritto comune. Costui ha per il proprio sostentamento quasi duecento
scudi. Nella chiesa maggiore si recitano quotidianamente le 'hore canonice' da
parte di sacerdoti vestiti con paramenti canonicali (Almutiis insigniti). Vi
sono cinque conventi di religiosi:
- dei Carmelitani, con tre sacerdoti e due laici;
- dei Minori Conventuali, con tre sacerdoti e un laico;
- dei Minori di Regolare Osservanza, con 4 sacerdoti e 3
laici;
- dei Riformati di S. Agostino con tre sacerdoti e due
laici;
- una casa addetta ad ospedale in cui stanno i frati di S.
Giovanni di Dio, al momento un sacerdote e due laici.
Reputo qui di rappresentare che questi religiosi, dopo avere
accettato di accudire all'ospedale, non hanno giammai pensato di rinunciare
all'istituto ospedaliero, e ne hanno percepito il reddito dell'ospedale. Ed
essendo esenti dalla giurisdizione del vescovo ordinario, non vi sono forze per
costringerli a rinunciare ai proventi o a lasciare i locali del convento.
Sorge un monastero di monache sotto la regola del terzo
ordine di San Francesco ove servono il Signore otto professe corali; due
novizie e 5 converse.
Oltre alla chiesa maggiore ed a quelle conventuali prima
segnalate, vi sono quindici chiese, con quarantasette sacerdoti e trentasei
laici.''
Sul vescovo Ramirez non è poca la letteratura - e noi ne
abbiamo fatto sopra vari riferimenti. Ma qualunque sia il giudizio su questo
presule, una sua pagina è profonda ed illuminante. Vi si scorgono le
scaturigini della mafia.
GIUSEPPE I DEL CARRETTO
Continuiamo Con il Villabianca: « Videsi questo nell'onorato
impiego di Capitano di Palermo nel 1698, e premorendo al padre senza figli fece
estinguere nella sua persona la Famiglia illustrissima del CARRETTO de' Signori
di SAVONA, che prendendo origine Reale, stimavasi una delle più cospicue
Prosapie di questo Regno (f) [Caso di Sciacca del SAVASTA cap. 15. f. 43]. Fu
sua moglie BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI figlia di Gio: Battista primo M. di S.
ELIA, la quale per il credito della sua dote avvalorato da una sentenza
proferita dalla R. G. Corte nel 1711. pigliò possesso di questo Stato, e
insieme di questo Titolo a 10. luglio 1716. Venendo essa a morte succedette in
questi feudi sua sorella OLIVA SCHITTINI e GALLETTI maritata a Giacomo P.
Lanza, il di cui figlio
ANTONINO LANZA e SCHITTINI
se ne investì a 26. Agosto 1739. Questi vive attuale P.
Ventimiglia, P. Lanza, B. dello Stato di Calamigna, etc.»
Don Giuseppe del Carretto riceve l’investitura di Racalmuto
il 21 marzo del 1687 « ob donationem inrevocabiliter inter vivos sibi factam
per illustrem d. Hieronymum del Carretto eius patrem vigore donationis per acta
notarii predicti de Cafora et Tagliaferro die 17 maij X ind. 1687 sicuti
depositione dicti ill.is d. Hieronymi constat per investituram per eum captam
olim die 16 septembris V ind. 1666.»
E’ costretto a ripetere il rito per la morte di Carlo II il
20 gennaio 1702. Altre spese. Altri dissi con il padre che risulta ancora vivo.
Nella documentazione palermitana abbiamo:
«Si può passare l'investitura per la presente possessione
tantum ob mortem Caroli Secundi regis Domini nostri in Palermo a 20 gennaro
1702 - Don Giuseppe Bruno.»
Giuseppe del Carretto nel 1702 è plurititolato;
questa la sfilza dei suoi feudi e titoli:
Die decimo nono Januarii X ind. 1702
illustris d. Joseph del Carretto possessor ac dominus
comitatus Racalmuti ducatus Bideni Marchionatus Sanctae Eliae et baroniae
terrae Ferulae.
Il padre don Girolamo III risulta ancora vivo a quella data del
gennaio 1702. Se è vero che il figlio gli premorì, tale morte avvenne tra
questa data e qualche tempo prima del 1711, quando ad avviso del Villabianca fu
pronunciata la sentenza di assegnazione della contea di Racalmuto alla vedova
di Giuseppe I del Carretto, BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI figlia di Gio:
Battista primo M. di S. ELIA.
Girolamo III del Carretto cessava di vivere il 9 marzo 1710.
In un documento del fondo Palagonia riguardante don Luigi Gaetano si parla
infatti «de morte sequuta dicti ill.s D. Hieronymi per fidem mortis Parochialis
Ecclesiae Sancti Nicolaj de Calsa h. u. sub die nono martij 1710 sicuti de
possessione dicti quondam ill.s d. Hieronymi constat per investituram per eum
captam olim die 16 septembris 5 ind. 1666.»
I nobili del Carretto cessano quindi di essere i feudatari
di Racalmuto il 9 marzo del 1710. Con tale data si chiude anche la nostra
ricostruzione della vicenda feudale carrettesca in quel di Racalmuto. Quel che
avviene dopo - e dura un secolo - è storia del baronaggio locale con gli
Schettini, i Gaetano (la parentesi Macaluso non rileva) ed i Requisenz
protagonisti. I nobili del Carretto racalmutesi - quanto al ramo maschile - si
sono piuttosto malinconicamente estinti, prima dei grandi sconvolgimenti storici
del 1713 allorché vi fu il breve avvento in Sicilia dei Sabaudi.
POSTFAZIONE
Il seguito della storia dei del Carretto di Racalmuto mostra
ombre ancora non del tutto dissolte. Noi disponiamo del testo di una procura
rilasciata da don Luigi Gaetano per l’occorrente investitura della contea di
Racalmuto; vi è riepilogata la faccenda della singolare acquisizione feudale:
uno strano ed antigiuridico passaggio dai del Carretto ai Gaetano attraverso la
popolaresca intermediazione di una tale Macaluso. L’evento poté verificarsi per
il trambusto di quel periodo con quell’alternarsi dei Savoia e degli austriaci
in Sicilia fino alla venuta dei Borboni.
E in un atto del 6 marzo del 1736 si raccontano le peripezie
della vedova di don Giuseppe del Carretto, donna Brigida Schettini, alle prese
con la curia nel tentativo di rinviare gli esborsi per l’investitura della
contea di Racalmuto, cadutale addosso dopo la morte del suocero don Girolamo
del Carretto.
Brigida Schittini
Il lungo tedioso documento vale solo per renderci edotti sul
fatto che nel lontano 1709 Paola Macaluso ebbe a prestare poche onze (si parla
del reddito su 32 onze) alla vedova di don Giuseppe del Carretto, donna Brigida
Schettini. La vedova lasciò insoluti i suoi debiti. Nel 1736, subito dopo
l’avvento di Carlo IV [VII] di Borbone (15 maggio 1734-ag. 1759), Paola
Macaluso, personaggio non meglio identificato, riattizza un processo civile -
insufflata evidentemente dal duca Luigi Gaetani - pretendendo nientemeno che la
conta di Racalmuto a ristoro del antico modico prestito, rigonfiato però per
gli interessi di mora e per altri ammennicoli. Le sequenze processuali sono
bene ricostruite in un documento del Fondo di Palagonia: sono dettagli che
possono interessare solo studiosi di diritto civile nel Settecento siciliano.
Paola Macaluso
Paola Macaluso la spunta sul piano processuale, ma non sa
che farsene dell’assegnata contea di Racalmuto. Allora candidamente dichiara di
avere agito in nome e per conto del duca Gaetani.
Luigi Gaetani
In tal modo il duca Luigi Gaetani viene in possesso della
contea di Racalmuto (titolo e feudi) in data 12 aprile 1736. Leggiamo nel
privilegio datato
Panormi die duodecimo mensis aprilis 14 ind. 1736
che
Fuit prestitum juramentum debitae fidelitatis et vassallagij
e che
Servatis servandis concedatur investitura .... Tituli
Comitatus Racalmuti in personam ill.s D. Aloysij Gaetano ducis Vallis Viridis.
Ma don Luigi Gaetani non si aspettava una situazione così
deteriorata come quella rinvenuta a Racalmuto.
Cerca innanzitutto di ripristinare il patto del 1580 sul
terraggio. Si dichiara "mosso da pietà per i suoi vassalli" ma le due
salme di frumento per ogni salma di terra coltivata le vuole tutte. Siamo nel
1738 ed una controversia sorge con tutti i crismi (e con tutti i costi).
Trova pretermessi i suoi diritti di terraggiolo sui
coltivatori racalmutesi dei feudi di Aquilìa e Cimicìa: gli abili benedettini
di San Martino delle Scale di Palermo erano risusciti a farsi confezionare un
decreto di esonero dal vescovo di Agrigento. Don Luigi Gaetani è costretto a
sollevare un costoso incidente processuale. Vi estrapoliamo queste note di
cronaca.
Il duca Gaetani si vanta di essersi accontentato della metà
di quanto dovuto per terraggiolo (pro terraggiolo dimidium consuetae praestationis
exegit). Ma ecco che i benedettini avanzano strane pretese: vantano un esonero
del 16 settembre del 1711. Ciò però non è accettabile per una serie di ragioni
giuridiche che gli abili legulei del duca dipanano da par loro. Ecco scattare
un’altra occasione di lite giudiziaria. Siamo nel 1739.
Il 22 giugno 1741 i benedettini sono soccombenti. Le spese
vengono compensate. Le faccende racalmutesi, comunque, non sono davvero
prospere: il bilancio è deficitario.
Araldica racalmutese dopo i del Carretto
Non è agevole far collimare quello che emerge dalla
documentazione Palagonia con quanto asserisce il Villabianca (che in ogni caso
appare minuziosamente informato).
L’arcigno marchese di Villabianca ha così infatti
sunteggiato il trambusto della successione della contea di Racalmuto dai del
Carretto ai Gaetani:
«
estinti essi [del Carretto] in PALERMO colla morte
dell'ultimo Principe GIUSEPPE del CARRETTO e LANZA, passa[..] detta contea
nelle mani della di lui vedova BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI, che jure crediti,
delle sue doti aggiudicossela investendosene a 10. Luglio 1716.
Se ne vede oggi investita sin dal 1747. del dì 16.Marzo la
vivente Principessa di Palagonia GRAVINA Maria Gioachina GAETANI e BUGLIO, e C.
di Ragalmuto, la di cui invest. per detto Stato cadde a 7. Agosto 1735., e del
titolo di essa a 12. Aprile 1736.
»
Ma in altra parte della sua opera , il Villabianca è
discorde con sé stesso:
Fu sua moglie[di Giuseppe del Carretto] BRIGIDA SCHITTINI e
GALLETTI figlia di Gio: Battista primo M. di S. ELIA, la quale per il credito
della sua dote avvalorato da una sentenza proferita dalla R. G. Corte nel 1711.
pigliò possesso di questo Stato, e insieme di questo Titolo a 10. luglio 1716.
Venendo essa a morte succedette in questi feudi sua sorella OLIVA SCHITTINI e
GALLETTI maritata a Giacomo P. Lanza, il di cui figlio
ANTONINO LANZA e SCHITTINI
se ne investì a 26. Agosto 1739. Questi vive attuale P.
Ventimiglia, P. Lanza, B. dello Stato di Calamigna, etc..
»
Ma abbiamo visto che il duca Gaetani era riuscito sin dal
1636 a divenire conte di Racalmuto. Evidentemente il marchese di Villabianca
non ne era ancora a conoscenza quando scrisse sui Ventimiglia; lo era invece
allorché pose mano al volume sui del Carretto.
Più preciso ci pare il San Martino de Spucches - che pure fu
un diligente chiosatore del Villabianca - e noi ne riportiamo qui le pagine sui
successori dei del Carretto:
Brigida SCHITTINI GALLETTI,
prese investitura della Contea, Terra e Castello di
Racalmuto, a 10 luglio 1716, per la morte di Girolamo del Carretto, suo suocero
ed in forza di rivendica delle sue doti riconosciuta con sentenza resa dal Tribunale
della Gran Corte (R. Cancell. IX Indiz. f. 98). Questa Dama morendo lasciò
erede dei suoi beni Olivia, sua sorella, moglie del P.pe Giacomo LANZA.
Lo Stato comprendente la Baronia, Terra e Castello di
Racalmuto, passò a Luigi Gaetano, Duca di Valverde, che s'investì come
aggiudicatario di essi beni. (R. Canc. X Ind., f. 75). A 12 aprile dell'anno
1736 s'investì del titolo di conte Luigi Gaetano, duca di Val verde; egli
successe come nominatario di Paola MACALUSO; questa, a sua volta, l'aveva
acquistato all'asta pubblica da mani e potere di Brigida SCHITTINI e GALLETTI
(R. Canc., XIV Ind. f. 89).
Raffaela GAETANO BUGLIO,
duchessa di Valverde, come tutrice di Maria Gioacchina
GAETANO e BUGLIO, s'investì del titolo di Conte di Racalmuto, a 16 marzo 1747,
per le causali come di contro (Conserv. vol. 1177, Inve.re figlio 21)
Raffaela GAETANO e BUGLIO s'investì della terra e castello
di Racalmuto, a 16 marzo 1747, come tutrice di Maria Gioacchina GAETANO E
BUGLIO, Duchessa di Valverde e C.ssa di Racalmuto; successe come donatrice di
Aloisio GAETANO SALONIA, C.te di RACALMUTO, in forza di atto in Not. Giuseppe
Buttafuoco di Palermo li 17 marzo 1742; e ciò con riserva di usufrutto a favore
del donante, durante sua vita. Quale morte si avverò in Palermo. il 30 ottobre
1743, come risulta da fede rilasciata dalla Parrocchia di S. Nicolò la Kalsa
(Conserv., vol. 1167 Investiture f. 19 retro).
E qui subentra in Racalmuto la potente famiglia dei
Requisenz. Secondo il San Martino de Spucches abbiamo: ……cfr. consiglio
d’egitto pp. 64 e segg.
Giuseppe Antonio REQUISENZ
di Napoli, P.pe di Pantelleria, s'investì, a 28 gennaio
1771, della Terra, Castello e feudi di Racalmuto; successe in forze di sentenza
pronunziata a suo favore dal Tribunale del Concistoro e Giudici aggiunti, per
voto segreto, contro Maria Gioacchina GAETANO e BUGLIO, P.ssa di Palogonia, già
c.ssa di Racalmuto; quale sentenza porta la data 2 ottobre 1765 e fu
pubblicata, in esecuzione degli ordini del Re, da detto Tribunale li 20 giugno
1770 (Conserv. Reg. Invest. 1172 [o 1772?], f. 143, retro). [...] Detto P.pe
Francesco a sua volta, fu figlio del P.pe Antonino Requisenz e Morso e di
Giuseppa del CARRETTO. Questa Dama fu infine figlia del Conte di Racalmuto
GIROLAMO di cui è parola di sopra al n. 4. E' da questa discendenza che i
signori REQUISENZ reclamarono ed ottennero i beni tutti ereditari della
famiglia del CARRETTO. Giuseppe sposò BRANCIFORTE e BRANCIFORTE di Ercole, P.pe
di Butera e della P.ssa Caterina Branciforte Ventimiglia (ereditiera di
Butera). (Dotali in Not. Leonardo di Miceli da Palermo 8 febbraio 1744). [...]
Francesco REQUISENZ e BRANCIFORTE
s'investì della contea e della terra di Racalmuto a 30
gennaio 1781; successe iure proprio come figlio primogenito ed erede di
Giuseppe Antonio suddetto, morto intestato (Conserv. vol. 1175 f. 122). E'
l'ultimo investito. Sposò Marianna BONANNO BONOMI di Giuseppe, p.pe di
Cattolica; matrimonio celebrato in Palermo a 29 gennaro 1766.
Questo P.pe di Pantelleria e Conte di Racalmuto, Francesco,
ebbe tre maschi e cinque femmine.
a) GIUSEPPE ANTONIO primogenito, già conte di Buscemi,
successo alla morte del padre e morto senza figli in Palermo; la salma fu
sepolta ai Cappuccini;
b) MICHELE secondogenito che sposò, di anni 42, in Palermo,
Stefania GALLETTI, figlia di Nicolò GALLETTI LA GRUA, P.pe di Fiumesalato e di
Eleonora ONETO e GRAVINA (Sperlinga), già vedova di Luigi NASELLI ALLIATA,
primogenito di Baldassare, P.pe di Aragona. E ciò in Palermo nella parrocchia
di S. GIOVANNI dei TARTARI a 16 agosto 1814; morì senza figli in Palermo a 6
febbraio 1834.
c) EMANUELE terzogenito, che fu riconosciuto Cavaliere di
Malta nel 1779 e fu Capitano nell'Esercito; successe a tutti i titoli di
famiglia. Morì in Palermo, a 25 marzo 1848, senza figli.
La primogenita delle femmine del C.te Francesco si chiamò
CATERINA. Ella successe de iure in tutti i titoli paterni. Era nata il 5
febbraio 1770. Sposò Antonio Giuseppe REGGIO, P.pe della Catena, già vedovo di
Maria Teresa VANNI. Questo secondo matrimonio si celebrò in Palermo nella
parrocchia di S. Giacomo la Marina a 22 marzo 1794. Fu il p.pe Tesoriere
generale del regno; Superiore della compagnia della Carità in Palermo; Gran
Croce dell'ordine costantiniano.
Antonia REGGIO e REQUISENZ,
fu C.ssa di Racalmuto come figlia ed erede di Caterina, sua
madre. Sposò questa nel 1823 Leopoldo GRIFEO, figlio ultimogenito di Benedetto
Maria GRIFEO del BOSCO, p.pe di Partanna e della p.ssa Lucia MIGLIACCIO BORGIA,
ereditiera Duchessa di Floridia. Era nato questi a 17 agosto 1796; fu
maggiordomo di Settimana e gentiluomo di Camera d'Entrata nella corte di
Napoli. Con sovrano decreto 11 ottobre 1823, il detto Leopoldo fu insignito del
titolo di conte. Morì il 1° agosto 1871. Da questo matrimonio nacquero;
a) Benedetto GRIFEO REGGIO, primogenito;
b) il C.te Giuseppe GRIFEO REGGIO, morto celibe a Napoli;
c) la C.ssa Lucia GRIFEO REGGIO di cui parleremo in seguito,
morta a Napoli a 27 gennaio 1890.
Benedetto GRIFEO REGGIO
fu, de jure, C.nte di Racalmuto alla morte di Antonia, sua
madre; nacque nel 1824. Sposò Eleonora STATELLA e BERIO dei P.pi di Cassaro.
Morì a Napoli (Sezione di CHIAIA) li9 maggio 1884. Fu P.pe di Pantelleria,
Conte di Buscemi, ecc. ecc.
Leopoldo GRIFEO STATELLA
successe, de jure, nel titolo suddetto, per la morte di
Benedetto, suo padre; nacque li 3 giugno 1851; fu inoltre P.pe di Pantelleria,
C.te di Buscemi. Sposò Maria Francesca di LORENZO, da cui sono nate due figlie
Eleonora primogenita e Lucia secondogenita. Ebbe altresì questo conte una
sorella chiamata Antonia GRIFEO STATELLA che nacque li 3 luglio 1855; sposò li 4
febbraio 1886 il nobile Alfonso TUFANELLI.
Francesco D'AYALA VALVA GRIFEO
fu riconosciuto per rinnovazione con R. D. del 1900. Fu
conte di Racalmuto e nobile dei marchesi di Valva. Nacque primogenito a Napoli
a 9 gennaio 1854, dalla Contessa Lucia GRIFEO REGGIO (di cui sopra è parola al
numero 15 lettera c) e da Matteo AYALA VALVA, figlio del marchese Francesco
Saverio. E' Cav. del Sacro Militare Ordine Gerosolomitano. Non ha figli. Per i
futuri chiamati vedi l'annesso albero genealogico. Matteo AYALA VALVA, nato in
Taranto ai 30 Maggio 1818, dal marchese Francesco Saverio e dalla Marchesa
Caterina dei Duchi CAPECE PISCITELLI, prese la carriera militare e pervenne al
grado di colonnello di Cavalleria; sposò Lucia GRIFEO dei Principi di Partanna,
morta ai 27 gennaio 1890. [...]
N.B. - Dati tratti da: La Storia dei Feudi e dei titoli
nobiliari di Sicilia dell' Avv. Francesco SAN MARTINO de SPUCCHES - Vol. VII -
Palermo Suola Tip. "Boccone del Povero" 1929 - da quadro 783
"CONTE di RACALMUTO" pagg. 181-188.
* * *
Terraggio e terraggiolo: atto finale
Presso la Matrice si conserva un Liber in quo adnotata
reperiuntur nomina plurimorum Sacerdotum. Al n.° 292 (col. 16) incontriamo
questa dedica a D. Nicolò Figliola: «di Grotte, domiciliato in Racalmuto,
eletto nella causa del Terragiuolo, che gli antenati inutilmente tentarono nei
tribunali contro il Signor Conte.
«Nell’anno 1783 si cominciò la causa, e nel tempo
dell’agitazione il predetto Figliola due volte si trasferì in Napoli al R.
Erario e riportò dal Sovrano, che il Conte mostrasse il titolo dell’imposizione
del terragiolo, che non poté provare, per cui sotto li 30 luglio 1787, dopo
quattro anni di causa dal Tribunale si era designato il giorno di decisione, ma
il Figliola nello stesso mese, se ne morì.
«Il sudetto nel 1786 ottenne dal Re, che questa terra di
Racalmuto si reluisse il Mero e Misto Imperio, che di più di centinaia d’anni
ne godeva il Conte. Morì in corso di causa, con pianto e dolore universale,
nell’infermeria dei RR.PP. del Terz’Ordine di S. Francesco nel convento della
Misericordia, in cui sta sepolto il di lui cadavere, in Palermo. 14 luglio 1787
d’anni 38
.»
Al n.° 297 (col. 17) tocca all’altro protagonista della
vicenda: l’Arciprete D. Stefano Campanella, di cui si tesse questo encomio:
«Collegiale-Economo nel 1754-1755 in Campofranco. Successore
dell’Arciprete Antonio Scaglione, fatto il concorso nella Corte Vescovile di
Girgenti nel 1756 a 19 Febbraio sotto Mons. Lucchese Palli, approvato e
raccomandato alla Santità di Papa Benedetto XIV, da cui fu eletto Arciprete
Parroco con bolla emanata da Roma 16 giugno 1756 ed in Palermo esecutoriata 8
Agosto 1756 confirmata dal Vescovo di Girgenti 14 Agosto e l’indomani, 15,
prese possesso.
«Da principio curò il ristoramento delle Fabbriche della
Chiesa. Nel 1760 fece la presente ampia Sacristia, nel 1767 compì il cappellone
grande. Nel 1776 si perfezionò con stucchi ed oro fino, si fecero i due
campanili ed arricchì la chiesa di arredi sacri nel 1783.
«Egli con altri primari del paese incominciarono a proprie
spese la causa per il Terragiolo nel Tribunale di Palermo e dopo quattro anni
di strepitosa lite dal Tribunale rotondamente si determinò a 28 Settembre 1787.
"Jesus= Jus Terragii, et Terragiolii tam intra, quam extra territorium
declaratur non deberi."
«Finalmente nel 1787 in Favara fu Visitatore eletto dalla
Corte Vescovile di Girgenti per quel Collegio di Maria. Morì compianto da tutti
il 26 Aprile 1789 d’anni 60, mesi otto, giorni 2 - e di Arcipretura anni 32,
mesi 8 giorni 7.
«Fu ancora Vicario di questo Monastero, Delegato dalla Regia
Monarchia etc.»
La vicenda del terraggio e del terraggiolo è stata oggetto
di nostre apposite ricerche, che, solo di recente per il ritrovamento di
importanti documenti da parte del prof. Giuseppe Nalbone, abbiamo potuto
approfondire: crediamo di essere riusciti almeno in parte nell’opera di
ripulitura di tante incrostazioni ideologiche degli storici nostrani.
Di rilievo, alcune carte della Real Segreteria del 1785 che
palesano una settecentesca controversia clerical-sociale nella nostra
Racalmuto.
La politica antibaronale del Caracciolo è fin troppo nota
per sorprenderci dell’andamento della controversia feudale di Racalmuto.
Non siamo partigiani certamente del Principe di Lampedusa,
né del sacerdote locale, don Giuseppe Savatteri, che gli teneva bordone. Ma al
di là dei meriti dei sacerdoti Figliola e Campanella, prima rievocati, fu
quella del 28 settembre 1787 una sentenza politica, giuridicamente azzardata,
storicamente falsa.
Era di sicuro un grande araldista il Requisenz per lasciarsi
abbindolare dai legulei di Racalmuto. Avrà esibito i bei diplomi del 500 e del
600, tutti a suo vantaggio, ma contro il Caracciolo naufragò.
Al di là dell’aspetto sociale, che ci vede dall’altra parte
della barricata, siamo portati, per amore della storia locale, a credere che il
burbanzoso principe di Pantelleria avesse ragione e l’illuminista Caracciolo
sbagliasse.
Resta ancora poco chiaro come venissero corrisposti i pesi
feudali ai del Carretto, se in natura (come i termini "terraggio" e
"terraggiolo" fanno pensare) o in contanti (come tanti atti
dell’epoca lasciano intendere) o in forma mista.
Abbiamo notato sopra le varie controversie dei Gaetani sul
terraggio e sul terraggiolo. I tribunali gli avevano dato, tutto sommato,
ragione, ma erano altri tempi. Ora, alla fine del Settecento la musica è ben
altra. Ne fa le spese il buon nome del sac. Savatteri, vilipeso imperituramente
da Sciascia.
Sac. Giuseppe Savatteri e Brutto (1755-1802)
Bello, elegante, colto, raffinato, ricco, sprezzante -
quanto casto non è dato sapere - questo prete svetta sia nelle vicende della
famiglia sia in quelle della locale storia. Leonardo Sciascia, avvalendosi di
dati di seconda mano, tenta di infilzarlo, ma commette una delle sue solite
manipolazioni storiche per prevenzioni ideologiche. Il sac. Giuseppe Savatteri
ha coraggio, cultura e intraprendenza tali da osare un’impari contrapposizione
con il suo potente (e dispotico) vescovo agrigentino. Entra nell’intricata
storia del beneficio del Crocifisso.
Quando, il Tinebra Martorana - un famiglio della discutibile
consorteria dei Tulumello - si accinge, nel 1897, a scrivere la storia del
paese, non gli sembra vero di dilatare il senso di un documento giudiziario -
che invece di venire custodito negli archivi del Comune, sta fra le carte
private del barone Tulumello - per dileggiare un Savatteri, la famiglia ostile
ai suoi protettori, che fra l’altro lo facevano studiare da medico a spese
dell’Amministrazione comunale.
Quello sui cui il Tinebra trama è il carteggio del
Caracciolo su cui abbiamo già detto. Ripetiamo quello che riguarda il nostro
sacerdote:
«17. La Gran Corte dia le pronte provvidenze di giustizia,
onde li cittadini non soffrano aggravij - A febbraio p.p. in die 16 - Li
naturali della terra di Racalmuto, sentendosi molto gravati di questo esattore
ed amministratore Prete d. Giuseppe Savatteri nell’esigenza del terragiolo
dentro e fuori di questo stato, quanto nell’avere agumentato la Baglìa a tutti
li poveri giornalieri, formando una Cascia o Statica come anche esatte a forza
di prepotenze pignorando sin anco gli utensili delle loro moglie e pratticando
molte estorsioni.
«Pregano l’E.V. di ordinare il conveniente per non vedersi
pur troppo soverchiati.»
Al Tinebra Martorana mancano competenza e penna per
fronteggiare la complessa vicenda della lotta al baronaggio siciliano da parte
del discutibile Caracciolo (l’agiografica visione dei laici del Settecento e
del postumo Sciascia lascia oggi il tempo che trova). Il Tinebra, dunque,
compatta scarne e disparate "notizie storiche" in un capitoletto sul
Settecento e velenosamente rubrica (pag. 184): «1785 - Soprusi praticati dal
sac. Giuseppe Savatteri, arrendatore di Racalmuto, verso i poverelli.» Non
parve vero a Leonardo Sciascia di rigonfiare quell’appunto per una delle sue
solite tiritere anticlericali. Nessuna ricerca storica, da parte sua; nessun
approfondimento; nessuno spunto critico. Scrive dunque lo Sciascia :
«Ecco il rapporto di un altro funzionario al Tribunale della
Real Corte sui "soprusi praticati dal sacerdote Giuseppe Savatteri, verso
i poverelli"» e giù, senza analisi critica, il testo di un’evidente
lettera anonima, che crediamo essere dovuta alla penna del malevolo arciprete
Campanella, o peggio del sac. Busuito, contro cui il Savatteri aveva affilato
le armi per l’usurpazione del beneficio del Crocifisso.
Prosegue Sciascia: «Il bello è che dopo questo rapporto il
Tribunale della Real Corte ordinava al giudice criminale di Regalpetra [alias
Racalmuto] "di far restituire ai borgesi tutti gli oggetti che il
sacerdote Savatteri aveva ad essi pignorati", forse i lettori non lo
crederanno ma la cosa è andata davvero così".» Con buona pace di Sciascia,
a noi pare che le cose erano molto più complesse e coinvolgono la politica dei
re Borboni di Napoli, che è quanto dire.
D. Giuseppe Savatteri e Brutto morì nella peste del 1802; il
Liber annota: n.° 312, c. 19, D. Giuseppe Savatteri e Brutto, 27 februarii 1802
d’anni 47. Il vescovo non lo aveva voluto come beneficiale della Communia. Il
Savatteri faceva però parte della neo-confraternita della Mastranza. Non pare
molto diligente nell’annotare le messe che era tenuto a celebrare per i
confrati defunti: subisce delle sanzioni. Così risulta annotato in registri
della confraternita.
Sciascia ed i Sant’Elia - Conclusione
Sciascia è benevolo verso i principi di Sant’Elia.
Leggiamolo assieme: «Con lui [Girolamo IV, ma rectius III] si estingueva la
famiglia, l’investitura passava ai marchesi di Sant’Elia, ancor oggi i borgesi
di Regalpetra pagano il censo agli eredi dei Sant’Elia: ma certo che fu grande
riforma quella che i Sant’Elia fecero centocinquanta anni addietro, divisero il
feudo in lotti, stabilirono un censo non gravoso, la piccola proprietà nacque,
litigiosa e feroce; una lite per confini o trazzere fa presto a passare dal
perito catastale a quello balistico, i borgesi hanno fame di terra come di
pane, ciascuno tenta di mangiare la terra del vicino ...» A parte la bellezza
della trasfigurazione letteraria, si resta perplessi. Sotto il profilo storico,
non sappiamo dove abbia preso Sciascia quelle notizie sui Sant’Elia. A noi
risultano fatti, intenti e liti ben diversi da quelli sottesi nella pagina
sciasciana. Ad addentrarsi in tali meandri, il discorso porta lontano, ben
lontano dalla vicenda feudale racalmutese. Ed in questa sede c’interessa solo
il declino del baronaggio in Racalmuto. Riforma borbonica e rivoluzione
francese estinsero quell’istituto. I Sant’Elia ne furono, a loro modo, vittime.
Divennero semplici proprietari "allodiali" di terre già in enfiteusi
perpetua, sminuzzate tra tanti ex vassalli racalmutesi. Gliene venne il magro
censo che ancora all’epoca in cui Sciascia scriveva si pagava, svilito ormai
per le tante selvagge svalutazioni monetarie, non certo per bontà d’animo di
quei signori. Le loro memorie giacciono negli archivi dei tribunali e quando
verranno riesumate suoneranno condanna per quegli ultimi virgulti della
decrepita società feudale siciliana.
APPENDICE PRIMA
FATTI E MISFATTI, FACCENDE E VICENDE RACALMUTESI
Il 1622 fu anno fatale per Racalmuto: sarà vero, non sarà
vero, fatto sta che il pressoché impubere Girolamo del Carretto vi rimise la
pelle. Per malattia, come noi pensiamo, per mano mano omicida di un servo, come
tutto Racalmuto ha voglia di credere, poco importa. La peste è alle porte:
Marco Antonio Alaimo a Palermo si diletta di letteratura latina e trasforma gli
antichi saggi romani in maestri incommensurabili di medicina. Beatrice del
Carretto, giovane vedova e bella ereditiera, forse tresca con il cognato
arciprete, figlio illegittimo dell’irrequieto Giovanni Del Carretto.
Il polo soffre e tace: ma qualche tratto di penna cade nei
registri della Curia Vescovile, a discreta memoria futura. Cataldo Morreale è
racalumtese ma chissà perché langue nelle carceri (pare, personali) di tal
Raffaele Gnandardone; e così Paolo La Licata, figlio di Pietro. Il vescovo
viene a saperlo; se ne intenerisce (forse per denaro) e ne dispone "gli
arresti domiciliari". Ecco quel che oggi possiamo leggere nei sotterranei
della Curia Vescovile di Agrigento:
REGISTRI 1622 et 1623
f. 181
Eodem ( die 21 9bris VI ind. 1622)
Pro Cataldo Monreale Terrae Racalmuti ad presens carcerato
in domo Raffaelis Gnandardone, et Paolo la Licata Petri terrae praedictae ad
presens carcerato in Castro ..
ANNOTATO provvisus et mandatum ... quod isti Cataldus
Monreale et Paulus La Licata habeant facultatem et licentiam non obstante
clausola contenta in prox.a accedendi ad terram Racalmutiibique commorandi per
dies quatuor a crastina die numerandos trium et dumtaxat .. \
La giustizia curiale agrigentina era, diciamolo pure,
compiacente con gli ottimati racalmutesi. E Laura Barba poteva allora vantare
accondiscendenze episcopali, atte ad avere il sopravvento su Martino Curto, che
non era poi l’ultimo venuto, anche se qualche vezzo usuraio dovette averlo. Una
Laura Barba ubbidiente al marito fino all’autodistruzione della propria
cospicua dote, non ci pare del tutto sincera. Non vuol essere spergiura e con
palese menzogna si prostra al Vescovo per intenerirlo e farsi assolvere dai
giuramenti (in campo economico) profusi in azzardate operazioni finanziarie. Il
Vescovo ha voglia di crederle: noi, francamente, no. Al nostro paziente
(eventuale) lettore lasciamo il destro di credere a chi voglia.
Die 26 novembre 1622 (f. 188)
Nos Dilecte nobis in Xristo Laurie relictae quondam Antonini
Barba Terrae Racalmuti agrigentinae doecesis salutem . Fuit nobis ex parte tua
supplicatum .. ut nos provisum sub forma sequente Videlicet. ... Laurea relicta
dello quondam Antonino Barba della terra di Racalmuto espone a V. S. Ill.ma che
non potendo resistere essa esponente alla violenza et timore di detto suo
marito fu costretta in tempo di sua vita tantum per vim et metus concussam
quantum reverentia maritali obligarsi quantum debitoris di detto suo marito con
gravissima et enormissima lesione con prejudizio della sua dote, sicome si
obbligao contra sua voglia in solidum con dicto suo marito ... di onze 1. 15 di
rendita dovuti et da pagarsi ogni anno a Martino Curto. In virtù di questa subjugatione
fatti nelli atti di notaro Simuni Arnuni di Racalmuto … et anco detto suo
marito la fece obligarsi ad una venditione di certi casalini venduti a D.
Giuseppe Sanfilippo. In virtù di questo fatto all'atti di notar Natali
Castrogiovanni die 20 octobris XV Ind. 1616 et più la feci obligari sicome lo
obligao in una permutatione, et cambio di una vigna di detto suo marito con una
vigna di Angilo ...... per la quale permutatione essa esponenti si acollao
pagare in solidum con suo marito o. 1 ogni anno allo Convento di S. Maria di
Gesù di Racalmuto. In virtù di questo fatto nelli atti di notaro Simuni Arnuni
di Racalmuto et similmente la fece intervenire et obligare a certi terraggi
dovuti a Fabricio di Trapani. In virtù di questo fatto nelli atti di notarr
Natali Castro Gio: dicti et anco in uno altro contratto debitore di onze 40
dovuti ad Angelo Duno (?) In virtù di ... li quali obligationi benche de jure
siano nulli et nullissimi tutta volta a maggior cautela pretende detti atti far
dichiarare invalidi et nulli et rescindere et obstandoli li giuramenti prestati
et contenuti in detti contratti li quali non devono esser vinculo di iniquita
per tanto non resultandoli tanto grave preiudicio et interesse di sua dote
della quale non può ne deve restare indotata de iure. Supplica perciò V. S.
Ill.ma resti servita ordinazione che sia absoluta da tutti et singuli iuramenti
in genere et in specie facultate et expresse presbiti et presentem ab illo
iuramento petendo absolutionem et ea obtenta non ... ad effectum agendi et
concederli ditta absolutione . In forma ... Agrigenti die 8 novembre VI ind.
1622. Ex parte fuit provisus et .. quoad absolvatur ab omnibus et singulis
iuramentis in genere et specie presbiteris ad effectum agendi tunc et dumtaxat
....
Non erano tempi quelli in cui i Curto riuscivano ad
intessere buoni rapporti con il vescovo di Agrigento. Una condanna in
contumacia se la becca Antonino Curto fu Bartolo. Il vescovo dà incarico al
locale Vicario per l’esecuzione dell’episcopale afflizione.
(f. 191) die 29 novembris 1622
Contumacia Antonini Curto quondam Bartholi terrae Racalmuti
et tali fermiter huius episcopi ... agrigentinae diocesis directa R.do Vicario
d.ae Terrae
Di casa sul colle vescovile era ovviamente il chierico, già
ricco, famoso e felicemente sposato. Ha voglia di andare in giro in abito
clericale. Fa voti al vescovo ed il vescovo è ben felice di esaudire il mistico
desiderio del pittore racalmutese.
Die 29 dicembre 1622 (f. 213)
Nos dilecto in X.sto filio Cle: Petro d'Asaro terrae
Racalmuti. quia ex parte tua fuit nobis suplicatum ut tibi observaternales (')
litteras ... licentia abitum clericalem insumendi ac gerendi expositis
concedere digneremeur ideo fuit per nos ad relaciones .....
in dorso memorialis ebibis quod fiant ... in forma ut
sequitur .. Bonincontro ... filio Petro de asaro d.ae terrae Racalmuti salutem
... ex parte tua fuerit nobis .. expositum quod cum fueris
Il 5 febbraio 1621 s’erge già imponente l’attuale Matrice
intitolata a Santa Maria dell’Annunziata: certo non era ancora il tempio a tre
navate che oggi contraddistingue Racalmuto e quella strana svolta del corso
principale che gli ottocenteschi massoni racalmutesi hanno voluto dedicare
all’eretico ed ostile Garibaldi. Ma non era più l’ecclesiola degli anni ’40 del
500. Vi officiava anche don Santo d’Agrò, e se pur accarezzava il sogno
(lugubre) di farsi seppellire sotto il primo altare della navata laterale, non
si può dire che avesse tutti quegli alumbiamenti che dopo gli appioppò,
infondatamente, Leonardo Sciascia. Vicino c’era già un altare che veniva
servito dai confrati di S. Giuseppe. E sotto la detta data del 5 febbraio 1621,
quel sodalizio (confraternita senza dubbio della buona morte) ottiene dal
dottor don Gabriele Salerno (U.I.d. e vicario generale) tanto di bolla
episcopale che avrà reso felice il Governatore (della religiosa confraternita,
s’intende) Francesco lo Brutto ed i notabili (i confrati "officiali")
Jacobo Grillo, Benedetto Troyano, Girlando Gueli e Vincenzo Macaluso.
«Cupientes – scandisce oltremodo solennemente, il Salerno – vobis [concediamo]
licentias et facultates .. fundandi ac oratorium costruendi sub titulo S.
Joseph, sacchos et mantellos apportandi et deferendi in processionibus et
exercitia spiritualia exercendi in dicta ecclesia S. Mariae Annunciatae in
cappella S. Joseph …» Saremmo stati veramente curiosi di vedere questi nostri
secenteschi antenati, tristi e compunti, nelle sacre processioni e goderci lo
spettacolo di codesti allucinati figuri nei loro lunghi "sacchi" e
con quelle azolate mantelline, mistificante sagra di un contristato rito
religioso con attori poco sinceri, reduci forse da orge vinaiole consumate
nelle tante "putie di vino" nei bassi del Castello o negli anfratti
di Zia Betta.
Chi davvero fosse Pietro d’Asaro, se un pittore, o un
appaltante o un banchiere camuffato da chierico, non si sa. Se in un primo
tempo, Sciascia lo voleva famiglio del Sant’Ufficio, dopo lo scrittore si
ricredette e lasciò padre Alessi nell’imbarazzo della scelta, scrivendogli che
degli antichi ricordi gli era rimasto un segno tanto sbiadito da non ricordare,
tutto sommato, più nulla. Certo, Pietro d’Asaro un gruzzoletto se l’era fatto,
ed anche se proveniente da famiglia non poverissima (è dubbio se fosse di
antica origine racalmutese) un bel salto nella scala dei valori sociali il
pittore, cieco di un occhio, l’aveva bellamente compiuto. Ecco un suo
"rilevo":
389 - Rivelo che il Cl. Don Pietro d'Asaro, clerico
coniugato di questa terra di Racalmuto presenta con giuramento nell'officio del
signor D. Giacomo Agliata capitano d'arme del Regno nella nuova numerazione
delle anime, e facultà in virtù di bando d'ordine di d. sig. cap.no d'arme in
detta terra a 25 novembre Va ind. 1636 [cfr. Maria Pia Demma: Percorso
biografico ed artistico, in Pietro d'Asaro «il Monocolo di Racalmuto» -
Racalmuto 1985, p. 23 e pag 30 - "Archivio di Stato di Palermo - Tribunale
del Real Patrimonio, Riveli del Comune di Racalmuto, anno 1637, vol. 607, f.
389 r.]
Anime
m Cl. d. Pietro d'Asaro c. di casa d'anni cinquantasette
o Vincenza moglie
m. Michel Angilo d'anni dodici
m. Gio:battista d'anni quattordici
o. Rosalea
o. Dorothea
o. Ninfa figli
o. Gioanna madre
m. e. Giuseppe di Beneditto d'anni diecidotto discepolo
m. Angilo Lo Sardo garzone d'anni dodici
o. Caterina e
o. Natala zitelle
Beni stabili
Una casa in otto corpi solerati e terrani in questa terra,
quartieri di S. Giuliano confinante con la Casa di Pietro di Giuliana e via
publica dove habita, quale un anno per l'altro franca di conti si potria locare
onze quattro che à 7 per 100 il capitale di cinquantasette e
quattro........................ 57. 4
Una casa terrana in un corpo di detta terra, quartieri
predetto,confinante con la casa di Pietro di Giuliana e via pubblica, quale un
anno per l'altro franca di conti l'hà soluto e suole locare tarì quindici che à
7 per cento. il capitale onze 7 e tarì
quattro............................................. 7. 4
Altra casa terrana in tre corpi in detto quartieri
confinante con la casa di Giovanni Lo Sardo quale un anno per l'altro franca di
conti l'ha soluto e suole locare onza una e tarì 12 che à 7 per 100 il capitale
onze 21 e tarì 12 ..........................21.12
Una vigna di cinque migliara nella contrada del Serrone
territorio di questa predetta terra confinante con la vigna di Giacomo Xibetta
e vigna di Francesco di Laurenzo, della quale un anno per l'altro ricava botti
quattro di musto che ragionato ad onze 2.18. la botte importa onze diece e tarì
dodici delli quali deduttine onze sette per tutti conti a ragione di onze 1.12.
per migliaro restano onze tre e tarì dodici che à 7 per cento. il capitale onze
quarantotto e tarì sei .....................................48.6
[390]
Terra lavorativa salme due con migliara sei di pianta
infruttifera dentro nella contrata della Montagna territorio predetto
confinante con la Chiusa di Stefano d'Agrò, e chiusa di Giuseppe Casuccio quale
ragionata ad onze 2.20. la salma importa onze cinque e tarì diece che à 7 per
100 il capitale settantasei e tarì
cinque..............................................76.5
e più terra lavorativa salma una nella contrada di Garamoli
territorio predetto confinante con la terra di Salvatore d'Acquista e con la
Chiusa di Giuseppe Ferraro, quale ragionata come sopra importa onze due etarì
venti che à sette per cento il capitale onze trentotto e tarì due
........................38.2
Rendite
Dà Mario Morreale di questa predetta terra onze tre e tarì
quindici iure sub.nis s.a una sua vigna e chiusa nella contrata di la fico
territorio di detta terra che à 10 per 100 il capitale onze trentacinque
.........................................35.
Dalle infradette persone di d.a terra onze due e tarì
quindici sopra l'infrascritti loro beni in detta terra e suo territorio iure
subiug.nis cioè onze 1.2 da Francesco la Matina sopra una sua vigna e chiusa et
tt. 28 da Maria Macaluso rel. del q.m Vincenzo sopra una sua chiusa e tt. 15 dà
Pietro Sferlazza Marramao, su una sua vigna che à 10 per 100 il capitale onze
venticinque................................................25.
--------------
onze [/'] 308.3
====================
Beni mobili
Prezzo di detta pianta infuttifera importa onze trenta ...30
Una giumenta di sella di pelo baio di prezzo onze 8 ...... 8
frumento seminativo dentro la suddetta prima chiusa
tt.na [tummina] dudici che ragionata ad onze 4.26 la
salma importa onze tre e tarì
venti........................3.20
--------
41.20
=========
Gravezze stabili
Paga ogni anno s.a tutti li suoi suddetti beni onze sei e
tarì sei iure prop.tis all'Ill.mo conte di detta terra che à 7 per cento il
capitale onze ottantasette e tarì due ...................87.2
e più paga sopra detti beni iure subiug.nis cioè onze 1.18
alla Cappella della SS.ma Nunziata tt.24 alla Cappella del SS.mo Sacramento e
tt. 18 alla Compagnia del Suffraggio che a 10 per 100
[391]
il capitale importa onze trenta.........................30.
-------
onze 117.2
===============
Gravezze mobili
Deve onze ducento a Leonora d'Asaro di detta terra re: dal
q.m Bartholo d'Asaro per causa et compenso delle sue doti assegnatele per
testamento di d.o q.m Bartholo in notaio Simone d'Arnone di detta terra di
onze....................................200
===============
Ristretto
Maschi d'età 1
d'altri 4
femine 7
_____
anime 12
======
Giumente di S. .....1
Beni stabili .........308.03
Beni mobili........... 41.20
----------- 349.23
gravezze stabili......117.2.
gravezze mobili.......200
----------- 317.2.
----------
liq. onze 32.21.
===========
(Trombino)
Terra Racalmuti die 14 dicembris V ind. 1636
A) Le chiese di Racalmuto nella ricognizione dei visitatori
regi.
Sulle visite del De Ciocchis attorno agli anni Trenta del
'Settecento v'è ampia letteratura.
Mi diffondo sull’argomento perché indottovi da alcuni
documenti trovati presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma sui poteri
inquisitori della Monarchia della Sicilia sullo stato delle chiese. Basilare,
in ordine al diritto ecclesiastico di Sicilia, appare la visita di Mons. De
Ciocchis che si svolse tra il 4 maggio 1741 (data iniziale dell’incarico
ricevuto da Carlo III a Portici) e il 27 giugno 1743. Il De Ciocchis fu un
visitatore molto diligente, sino forse alla pignoleria. Le risultanze di quella
visita devono trovarsi a Palermo, ma non posso escludere che in gran parte
siano finite a Napoli, presso la corte borbonica. Molti suoi provvedimenti
saranno stati raccolti in processi lasciati presso le varie curie vescovile. Mi
pare che il prof. Manduca abbia trovato qualcosa ad Agrigento, tra i documenti
dell’Archivio Vescovile. Ma è certo che, data l’importanza delle varie
disposizioni del De Ciocchis - considerate valide sino all’unità d’Italia -, si
è proceduto nel 1836 alla pubblicazione in due volumi del materiale di quel
visitatore regio. Nel primo volume dedicato alla Valle di Mazara, alle pagine
pp. 235-372, si parla della diocesi di Agrigento. Là, di certo, v’è molto
materiale sulle chiese di Racalmuto. Per le tue ricerche vi possono essere
spunti preziosi. L’opera s’intitola: DE CIOCCHIS, GIOVANNI ANGELO: SACRAE
REGIAE VISITATIONIS PER SICILIAM ACTA DECRETAQUE OMNIA, Palermo 1836, Diari
Letterarii .
L’opera è praticamente introvabile fuori della Sicilia.
Riscontro in una pubblicazione specializzata "CLIO" che una copia
trovasi presso la Biblioteca Universitaria di Messina. Ma qualche copia deve
pure essere disponibile in Palermo. Guarda, dunque, un po' se puoi procurarti
le fotocopie almeno delle pagine che riguardano Racalmuto.
Per le vicende di Santa Rosalia, andrebbero consultate le
visite dei predecessori del De Ciocchis. Secondo quel che ne leggo in un
importante libro del 1846 (GALLO AVV. ANDREA CODICE ECCLESIASTICO SICOLO -
PALERMO DALLA STAMPERIA CARINI - 1846 VOL. 1 E 2 - ) essi sarebbero:
- Pietro Pujades
«Si elegge un visitatore di tutte le Chiese di Sicilia, al
quale si conferisce la potestà di far decreti relativi al culto divino.
L'imperatore Carlo V re di Sicilia - A Pietro Pujades Ab.
del Monistero di Noara dell'Ordine di S. Bernardo. Bruxelles 22 dicembre V Ind.
1516 apud Di Chiara de regio Sacram. Visit. per Sicil. jure; Mantis. monument.
num. III, pag. 5».
- D. Nicolò Daneo
«Si elegge altro Visitatore di tutte le chiese regie di Val
di Mazara e di Valdemone, con gli incarichi come sopra. M. Antonio Colonna
Vicerè di Sicilia.
Nel nome del re al rev. D. Nicolò Daneo ab. di s. Maria di
Terrana, Palermo 19 maggio VII ind. 1579 apud cit. Di Chiara n. VI pag. 10
(pag. 135)
DIPLOMA CCXXI
... vi eligemo, deputamo, e nominamo visitatore, e
commissario generale delle Prelazie, Abbatie, Commende, Priorati, ed altri
beneficii del jus patronato regio, i quali siano fondati nelle Valli di
Mazzara, e Demini, et anche etc. .. e delli loro membri, pertinentie, grancie,
acciocché abbiate a provvedere ...
Datum Panormi die 19 Maii 7 ind. 1579»
- D. Lupo del Campo
«Si nomina un visitatore delle chiese di regio patronato,
per la reintegrazione dei beni usurpati ed alienati in danno di dette chiese,
al quale si conferiscono pieni poteri.
Filippo II re di Sicilia.
A Lupo del Campo. Madrid 24 febbraio 1588. apud. Cit. Di
Chiara n. VII pag. 12.
DIPLOMA CCXXII
... tibi dicto Doctori D. Lupo del Campo commictimus,
praecipimus, et mandamus etc. ....
Datum Matriti die 24 mensis februarii anno a nativitate
Domini 1588 - YO EL REY».
Ma stando agli studi di Virgilio Titone (Origini della
Questione Meridionale - Riveli e Platee del Regno di Sicilia - Milano 1961,
pag. 56) abbiamo un elenco completo di codesti Visitatori Regii (ad eccezione
invero di d. Lupo del Campo di cui sopra, anno 1588).
Il Titone a pag. 56 dice sul Puyades: «Le sacre visitazioni
di cui abbiamo memoria, hanno inizio quasi nello stesso tempo dei riveli. La
prima sembra essere stata quella di Pietro Puyades, abate di Nohara, negli anni
1511, 1514, 1516, e parecchie se ne ebbero nel corso di quel secolo.. Ma dal
1580 al 1743 se ne ricordano solo due, l’una fatta nel 1603, l’altra iniziata,
ma non compiuta, nel 1683.»
Il Titone ci indica anche dove si trovano gli atti a
Palermo. Aggiungo, da parte mia, solo che ho riscontrato nella "GUIDA
GENERALE DEGLI ARCHIVI DI STATO ITALIANO" 1986 - N - R nella parte
riguardante Palermo a pag. 303 la seguente voce che ci conduce agli atti di
quelle visite: CONSERVATORIA di REGISTRO. Al suo interno, trovo: <VISITE ECCLESIASTICHE>.
Queste ultime contengono sicuramente i documenti del Vento (1542, n. 1305-07);
dell’Arnedo, anno 1552, nn.° 1308-10; del Manriquez, anno 1576, n.° 1314-17;
dell’Afflitto, anno 1579, nn.° 1310 e 1319; del Daneo, anno 1579, nn.° 2015-16;
del Pozzo, anno 1580, nn.° 1326-29; dello Iordio, anno 1603, nn.° 1330-34; di
Fortezza e Manriquez, anno 1683, nn.° 1337-39.
Il Titone non dà estremi d’archivio per il Puyades perché la
sua visita è antecedente alla raccolta di Palermo che come si è visto parte dal
1542.
Per il De Ciocchis, il Titone - non so perché - si limita a
citare soltanto il libro del 1836 (quello per me introvabile qui a Roma).
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