Importante ancora il ruolo delle associazioni cattoliche laiche; in sommo grado le cosiddette Compagnie. A capo stava il Governatore con due assistenti che venivano chiamato “congionti”. Spettava loro l’amministrazione dei beni e venivano eletti con voto segreto. Duravano dai pochi mesi ad un massimo di un anno, ma potevano venire rinnovati. La carica era a titolo gratuito. La Compagnia aveva rendite che spesso risalivano alla notte dei tempi.
In particolare, abbiamo informazioni sulla compagnia del SS.mo Sacramento cui si deve la chiesa di S. Tommaso d’Aquino. «Fu fondata per quanto s’ha potuto con diligenza indagare nell’anno 1632: in tempo di Urbano VIII»; da quel tempo comunque intervennero le approvazioni episcopali ad ogni successione sino al predecessore del Gioieni. La confraternita aveva sede nella chiesa di S. Tommaso d’Aquino, santo che la Compagnia festeggiava nel giorno della sua ricorrenza. Ancora, a quel tempo, la chiesa non era consacrata ed era sotto il padronato della medesima Compagnia. Della chiesa si ignorava il tempo dell’erezione, ma, appunto per ciò, doveva essere piuttosto vetusta. Diciamo che risaliva per lo meno alla prima metà del Seicento. «La struttura della chiesa è a forma di oratorio; il tetto di tavoli è buono e non piove. Vi sono due finestre impannate; le pareti sono buone; vi sono sessanta stalli di legno per fratelli; la fabrica si fa a spese delli fratelli. Ha d’entrata onze 12 dovute da don Francesco Maria per gabella di duodeci pecori di detta Compagnia; di più tarì otto dovuti annualmente da mastro Desiderio Troisi sopra una casa sita in quartiere di S. Margheritella confinante con mastro Giovanne Di Vita e Filippa La Caro, lasciateci da Costanzo di Benedetto in virtù di testamento; di più tiene Tumulo 0-1-2 di terra incirca nella contrata al Mulino Vecchio [..]; di più tarì 4 di rendita .. sopra vigna e terreno nella contrata della Noce; di più tarì 7 sopra vigna e sommacco nella contrata di Casali Vecchio.» La Compagnia teneva fiscelle di api, n° 50 pecore e da ultimo i Fratelli dovevano versare nelle casse sociali 5 grana al mese. Il loro vestiario era caratteristico: sacchi bianchi con mantello bianco orlato di nero e con la figura del SS.mo Sacramento, figura che era reiterata negli stendardi e nelle “verghe”. Nel 1731 erano iscritti 80 fratelli; dopo un noviziato ed una “prova”, con voto segreto di “tutti gli officiali e fratelli” si veniva ammessi alla Fratellanza.
La
tumulazione avveniva di solito nelle chiese. Il cimitero principale era alla
Matrice. «Nel pavimento della chiesa – scrive sempre l’Algozini - vi sono n° 10 sepolcrare; non sono sotto le
pradelle dell’Altari; ve ne sono quattro Padronati: una delli fratelli del
SS.mo Sacramaneto, altra delli Petrozzelli, altra delli Brutti ed altra
dell’Acquisti.» Sorprende che non si citi quella dello sciasciano personaggio
di don Santo d’Agrò.
Una notizia
piuttosto inestricabile è la seguente: «vi è cemiterio dentro l’istessa chiesa
murato da per tutto, e però non ci è chiave, né Croce, né speciale benedizione
del Vescovo.» Un’antica “carnaria”, pensiamo noi, che nel 1731 non solo era
andata in disuso ma era stata, forse per motivi igienici, totalmente sotterrata
ed ermeticamente chiusa. Riteniamo che si tratti di quella che frettolasamente
dovette essere aperta al tempo della gavissima peste del 1671.
Notizie di
contorno: il campanile era alto 65 palmi circa e non era coperto ma poteva
venire raggiunto agevolmente con una scala interna definita comoda; era munita
di tre campane come abbiamo già detto che erano state benedette dao precedenti
arcipreti su licenza del vescovo. Il campanile non aveva entrata autonoma: «non
v’è porta perché si salisce dalla medesima chiesa.»
Notevole la
sacrestia: «è a tetto, vi sono tre finestre impannate, in una parte umida. Il
pavimento [è] di gisso; non vi sono armarij; è mediocremente provista di
superlettili sacri secondo l’inventario; la spesa di providerla appartiene al
rev.do Arciprete e legatarij di messe.»
La Matrice
non era subordinata ad alcuno: non v’era jus
patronatus come ad esempio a Grotte che determinerà il cosiddetto scisma
alla fine dell’Ottocento. Al tempo dell’Algozini «non c’era casa Parochiale, né
cose mobili destinate alli Rettori, ma ogni soccessore o se la loca o se la
fabrica per sé». Singolare caso quello della Cappella del Santissimo
Sacramento, in possesso di «cinquanta fiscelli d’api con l’eredi del rev.do
sacerdote D. Calogero Cavallaro» (+ 12 gennaio 1730).
UNA
FAMIGLIA IN ASCESA: I CAVALLARO
Il notaio Angelo Maria Cavallaro
Nella
seconda metà del XVIII secolo si afferma una nuova grande famiglia a Racalmuto,
i Cavallaro. Muore giovanissimo, ma in tempo per lasciare ampie tracce di sé
Angelo Maria Cavallaro, notaio.
All’archivio
di stato di Agrigento diversi tomi di atti notarili lo riguardano ed al
contempo forniscono un quadro della vita paesana racalmutese, particolarmente
suggestivo.
Era
il 1767 e con bella calligrafia viene chiosato l’esordio del repertorio del
Cavallaro. «Jesus Maria Joseph – abbiamo nell’intestazione – Nota minutarum mei
D. Angeli Mariae Cavallaro Notarii Racalmuti, anni primae inditionis 1767 et
1768 Regnante Serenissimo Invictissimo et Potentissimo D.no Nostro Ferdinando,
Dei gratia, inclito Siciliane, Hyerusalem Regi Infante Hispaniarum, Duce
Parmae, Placentiae Castri etc. Magno Haereditario, Etruriae Principe etc.» [1]
Il
12 novembre del 1767 don Francesco Vinci bussa alla porta del giovanissimo notaio;
ha da redigere un atto con mastro Stefano Rizzo e, come dicevasi allora,
“consorti”; oggetto una compravendita di tre mondelli ed una quarta di terre
bonificate (vi sono venti alberi diversae
speciei intus). Il podere è sito nello “stato” di Racalmuto, in contrada
“Perdicis” (Pernici) vicino a certe terre di Calogero Barberi. Censi ve ne
sono: tarì 1 e grana 17 annuali da corrispondere al feudatario, al conte di
Racalmuto iure proprietatis. Il
valore del cespite è di 5 onze e tarì uno, giusta la stima effettuata
dall’estimatore mastro Giuseppe Maria Fusco.
Il
notaio Cavallaro è diligente; raccoglie persino un certificato di buona fede
redatto dall’arciprete del tempo don Strefano Campanella.
Il
successivo giorno 15 è la volta di un notabile ancora più in vista, il barone dr
Nicolaus Antonius Grillo. Questa volta si tratta di un complesso inventario a
titolo di eredità. Il de cuius è il
quondam D. Nicolaus Tirone; gli eredi: D. Rosa Spinola e Tirone vedova di d.
Stefano Tirone ed il figliolo di questa d. Nicolò Tirone. E’ il gota
dell’epoca. Oggetto dell’eredità: «in primis, due muli uno maschio di pilo baio
castano et l’altra femina di pilo bajo, che trovansi in società con Gaetano e
Salvatore Pillasi; un baldoino pizzato, due matarazzi di linazza, due coltre di
lana sfiloccate, una allarama di Genova e l’altra alla stella; salmi quattro e
tumuli dieci di frumento; salmi quattro di tomminia; salmi dodici di orzo;
salme sette di fave; cinque stipe con duodeci botte di vino d’entro; sei
vombari; uno zappollore; due zappolle; una cascia di legname segata; tre
bisaccie longhe di lana; una pegnata di ramo; un palo di ferro; due piconi; un
ferraiolo; una giammerosa; un cappello e finalmente dieci e nove resti di
fico.»
Nello
stesso giorno viene stilato un documento di grosso risalto per la storia
feudale del paese. Actus gravaminis, viene denominato ed è redatto a richiesta
ed a tutela di un gabelloto dell’epoca, don Gaspare Farrauto. «Io sottoscritto
D. Gaspare Farrauto – possiamo tra l’altro leggere – offerisco alla gabella del
mosto che si sta bandiando nella piazza di questa terra di Racalmuto con tutte
le sue pertinenze, annessi e connessi, onze 150 da pagarsi cioè l’incirca
medietà dopo che si termina la cima del mosto, che si dovrà fare in questa
terra casa per casa, e l’altra incirca medietà all’ultimo di agosto venturo
prima ind. 1768. Col patto che la cima del musto la devo fare io gabelloto
immediate, dopo che stipulerò il contratto di d.a gabella in depondenza casa
per casa col patto che qualora a Dio piacendo verrà l’ora dell’esigenza che
sarà al primo di luglio venturo prossimo 1768, io infrascritto gabelloto dovrò
esigere la detta gabella secondo la cima che o fatto ora, servendomi del
braccio baronale senza alcuna dipendenza. Col patto che la Segrezia di questa
mi deve difendere la sudetta gabella, ed io la cautelo colle chiuse di terre
che ho in questo stato ed altre pleggerie. E mi sottoscrivo: D. Gaspare
Farrauto.» Racalmuto, all’epoca, apparteneva all’ill.ma donna Raffaela Gaetani
e Buglio, duchessa di Val Verde. Suo governatore risultava D. Antonio Grillo.
Un
altro Farrauto, il sacerdote don Lorenzo, frattanto (21 novembre 1767) riusciva
ad aggiudicarsi dal Principe di Pantelleria il vicivo feudo di Nadorello. Uno
scambio di terre (appena un tumulo ed un mondello in contrada Pernice) avveniva
tra Francesco Vinci e Stefano Lo Brutto. Si cercava di razionalizzare la
proprietà terriera, molto frazionata. Così, don Francesco Pomo si accaparra da
Maria Magno «modium unum et quartas tres
terrarum cum duobus centum sexaginta sex vitibus vineae et 4 arboribus
amigdalarum in c/da Mentae.» Il piccolissimo appezzamento di terra era
gravato da un censo di tarì 1 e grana 10, spettante, iure propietatis, al
venerabile Convento di S. Maria del Monte Carmelo. Antonino Fucà ne fu il
pubblico estimatore del valore in linea capitale (3 once, tarì 6 e grana 10).
Gli
eredi del quondam Giuseppe Martorana e Salvo Sentinella hanno bisogno del
notaio, il 29 novembre 1767, per una divisione di asse ereditario. Calogero
d’Ippolita dismette delle terre (due tumoli) in contrada Lago, in farore di D.
Francesco Vinci. Il 5 del successivo mese di dicembre, mastro Calogero Romano
acquista da Maria Rao e Russo «domum et
catodium cum antro parvo intus, contigua et collateralia existentia in hac
predicta terra et quarterio della Lavanca, quibus cohesent domus ipsius de Romano, domus Calogeri Avarelli,
domus Philippi Rizzo et aliis.»
L’8
dicembre 1767, Antonino Tornabene viene messo a bottega presso il ciabattino
(cerdo) mastro Pietro Picone. Se ne redige atto pubblico in questi termini:
viene affidato a «magistro Petro Picone cerdoni
[perché usufruisca dell’] opera et servitia personalia» il minorenne
Antonino Tornabene di soli quindici anni. Il ragazzo «adiuverit artem cerdonis
et hoc pro annis 4 ab hodie numerandum … et hoc pro mercede granorum quorum
singulis diebus tam festis quam pro festis pro primo anno; pro secondo granorum
trium, pro terbio granorum quatuor; pro quarto tandem granorum quinque.» Il
Tornabene è però svincolato da ogni rapporto per i mesi di luglio ed agosto:
ovviamente dovrà seguire i suoi nella “campagnata”.
I
La Matina, gente facoltosa, ha problemi di divisione di terre facenti parte
dell’asse ereditario del quondam Francesco La Matina. Si tratta, fra l’altro,
di «tumuli septem et modium unum terrarum
cum quibusdam terris rampantibus in eis inclusis in c/da S. Martae.» Vi
insiste un censo di 23 tarì e 9 grana. Nella parte scoscesa «fuit constructm calcatorium sive palmentum».
Era l’ultimo atto del 1767 cui si accingeva il notaio Angelo Maria Cavallaro.
Il
1768 si apriva con un atto dotale che val la pena di riportare per lo spaccato
che vi traspare. Filippa La Licata si fidanza con Vincenzo Schillaci ed ecco il
“piazzo” della futura sposa:
«Item
bona mobilia scilicet un matazarro ed un sacco di letto novo, un paro di
linzoli grossi novi, un lenzuolo sottile ingroppato novo, una culta bianca
usata, un vantiletto usato ingroppato, un spongiatore ingroppato novo, due para
di piomazzi, cioè un paro usati ed un paro novi, due para di piumazzelli novi,
due para d’ imbesti di facciletti ingroppati novi, un padiglione usato
ingroppato, una cascia usata, tre tovagli di faccia novi, una culta di lana e
filato novi, un paro di cercelli d’oro prezzo ventiquattro tarì, quali si trova
all’orecchi sud.a sposa, un chippone in tocco di lilla, un manto di scotto
novo, una falcetta per la messa in tocco di canni due di saja, tre camicie di
donna novi, tre bocciatori cioè due di filodente, ed uno d’Olanda ingroppato
novi, un spito ed una candela di ferro e finalmente la zita vestuta per la
casa, come si trova.» Deliziosa quella «zita vestuta per la casa, comu si
trova».
Vi
sono pure dei beni immobili, poca cosa, che comunque rendono un poco più
giustificabile il ricorso al notaio per una dote che oggi neppure verrebbe
presa in considerazione. Alla sposa va «medietas
vineae cum terris uti vulgare dicitur “lavorativi” … in contrada Perdicis,
[nonché] domus terranea in quarterio Ss.
Crucifixi pauperum apud domum Filippi d’Ippolita, domum d.i Ignatii dotantis et
alios ..»
Un
«domunculum terraneum existentem in quarterio S.i Joseph» compra il 16 gennaio
1767 Calogero Taibi Corbo da Giuseppe Milazzo Sorcillo: i soprannomi – molti
dei quali ancor oggi in uso – sono consuetudinari, come si vede.
In
contrada Noce - anche all’epoca, prestigiosa – Francesco Scimé riesce a farsi
vendere dal notabile d. Francesco Pomo «tumulos
sex et quartas duas terrarum cum quinque millibus et bis centum vitibus vineae
et erboribus diversae speciei in contrada Nucis.» L’atto, schematicamente,
precisa: «omnes vero summae harum
terrarum de lordo ascendunt ad dictas uncias septuaginta novem et tarinos
sexdecim.»
Dove e come abbia potuto il popolano Francesco
Scimé raggranellare quella enorme cifra, non sappiamo. Da lì, una nuova
famiglia assurge a vette di rispetto nell’angusta società racalmutese:
nell’Ottocento e nel Novecento gli Scimé sono di varia levatura economica. Un
filone, però, svetta, e domina sino ai nostri giorni.
Seguiamo,
ora, quest’altro atto dotale: Nicoletta Bufalino fa promessa matrimoniale a
Francesco Salvo. Il suo “pitazzo” annovera:
«item
due matarazzi nuovi pieni di resca, tre para di piomazzi, tre para di faccioli,
due para di lenzuoli grossi, una cultra rossa alla gioia, un giraletto rosso,
un cortinaggio novo alla gangitana, una cultra con un giraletto tessuti
all’onda sfiloccati, un paio di lenzuoli sottili, un paro di piomazzi con suoi
faccioli sottili inguarnazionati, sei tovagli di faccia sottili, canni quattro
di tovagli grossi, un sponziatore sottile con guarnizione, un manto, due
falcette, una di giambollottino nero, ed una altra rossa nova, un panno novo,
quattro gipponi, cioè uno di perpetecello azzolo, uno di perpeticello verde,
uno di benforte, ed un altro di spinno, cinque veli cioè tre di filindente, e
due d’Olanda, una cassa nova alla genovesa, e finalmente la zita vestita come
si trova.» Oltre alla “robba” alla sposa spettano 4 tumoli di terra con 700
viti ed alberi, siti nel feudo di Gibillini.
Don
Francesco Vinci riesce a fare una permuta di terre con Paolo Salemi. Antonino
Scimé può permettersi di comprare da Filippo Castiglione solo «modium unum terrarum cum biscentum
quadraginta tribus vitibus vineae et arboribus fici in c/da Fanarae.»
Un
contratto dotale avviene tra Rosalia Franco e mastro Carmelo Napoli. Rosalia
Franco viene data in isposa a soli 14 anni. La fidanzatina si distingue per un
anello d’oro, un paio di circelli d’oro ed una collana d’ambra. E’ il 30
gennaio 1768.
Il
successivo 9 febbraio Ciro Rizzo compra da Lorenza Galifa una casa a S.
Giuliano per il prezzo di onze 4.13.14. Giovanni Carbone acquista da Giovanni
Capitano e consorti un mondello di terra ed una quarta. Francesco Lauricella da
Lorenzo Salvo una casa; Giovanni Tirone da Francesco Lo Brutto e consorti, tre
mondelli di terra a Rocca Russa; Francesco Marsala di Grotte scende a Racalmuto
per un contratto con Mario d’Arnone.
Siamo
a fine marzo del 1768: Anna Tulumello pensa all’anima sua e dona alla Cappella
di S. Maria del Suffragio «intus matricem» un tumulo di terra da estrapolare
dai 5 che possiede alla Menta. In cambio, i responsabili della Venerabile
Cappella debbono «celebrare facere missam
solemnem cum interventu et assistentia totius cleri et semel capere duas bullas.»
In
quel marzo qualche strana tassa sulle professioni dovettero inventare i
Borboni: ecco che Don Francesco Savatteri «nolle
amplius exercere officium aromatarii». L’avrà fatto dopo abusivamente.
Salvatore
Piccione compra da Giuseppe Milazzo una casa sita a S. Nicola per il prezzo di
onze 10.16.10; Filippo d’Ippolita la compra per onze 5.4.0 da Luciano Morreale
Campanella: è casa però diruta ed è posta in
quartiere ut dicitur della Rocca della za Betta.
Don
Calogero Tirone ottiene da Rosa Spinola e consorti domus terranea existens in S. Maria Montis. Filippo Rizzo compra da
Calogero La Mendola e consorti tumoli 1 et quarte 2 con 800 viti e 2 alberi di
pero in Gibillini, contrada di Gargilata «apud terras dicti d. Rizzo, terras
Calogeri Palermo, terras Bartoli Scimé. Dette terre sono soggette a onze 3
«singula salma iure proprietatis debitis Ill.° Baroni d. feudi Gibillinorum».
Il prezzo: onze 5.5.
«Calogero
La Mendola e Venera Diana, marito e moglie, campano poveri», attesta
l’arciprete D. Stefano Campanella; sono quindi facoltizzati a vendere quel po’
di beni immobili che possiedono a titolo dotale.
Data
all’11 aprile 1768 «testamentum Christophalae Baeri, uxor Raimondi Borsellino».
Angelo Tulumello compra terre da d. Gioacchino Lo Brutto per l’esorbitante
cifra di onze 7. E giungiamo al 22 di aprile del 1768 quando un antenato di
Leonardo Sciascia stipula un contratto societario di grosso momento. Si tratta
del padre del «nonno del nonno» dello scrittore, che non solo non viveva, come
vorrebbe il celeberrimo pro nipote, a Bompensiere, ma operava come conciatore
di pelli nelle nostre lande. L’atto [2] descrive
la singolare societas tra mastro Giuseppe Alfano e mastro Carmelo Bellavia che
conferivano «uncias quadraginta unam et tarenos decem et octo» per comprare 24
cuoi di bue e lavorarli, «in pretio vigenti quatuor coriorum bovum.» Da una
parte affiancava mastro Giuseppe Alfano mastro Pietro Picone, dall’altra era
proprio mastro Leonardo Sciascia che si associava a mastro Bellavia.
Non va però oscurato il fatto che
già alla fine del ‘600 i Cavallaro erano emersi dal grigiore paesano. Attorno
al 1660 nasce il sacerdote don Calogero Cavallaro; questi assurge a collegiale
e quindi ha rendite più che notevoli. Fatto sta che quando muore, invero tutto
preso dal terrore dell’al dilà, lascia un testamento tutto carico di legati per
le chiese. Abbiamo visto sopra come anche la confraternita del SS.mo
Sacramento, alloggiata in 70 scranni di legno nell’oratorio di S. Tommaso
d’Aquino, beneficia di tali lasciti, alcuni dei quali veramente singolari,
pecore e fuscelli d’api. Il Cavallaro, morto il 12 gennaio 1730, qualche bene
però alla famiglia dovette lasciarlo: si dà il caso che da quel momento quel
ceppo passa tra i notabili di Racalmuto. Il notaio è il primo di una serie che
darà lustro e decoro ad una nuova
schiatta di “galantuomini” che perdurano
ancor oggi.
Nel 1664 due sole famiglie Cavallaro c’erano a Racalmuto: entrambi i capi dei “fuochi” si chiamavano Pietro e, per distinguerli, uno veniva denominato Maiuri e l’altro Minuri; Calogero Cavallaro apparteneva al nucleo di quest’ultimo, come si evince dalla seguente registrazione nell’apposita “numerazione delle anime”.
CAVALLARO MINURI
|
PETRU
|
|
C.
|
|
PAULA
|
M.
|
C.
|
|
CALOGGIARU
|
|
|
|
GRATIA
|
F.
|
|
Nessuna aggettivazione riscontriamo
in ordine all’eccellenza della famiglia, che dunque era ancora attestata ai
livelli dei piccoli proprietari locali.
Un
oscuro chierico, Orazio Cavallaro, muore attorno al 1715 (v. LIBER n° 182).
Muore nel 1784, all’età di 46 anni, un altro ecclesiastico di spicco, anche questo
chiamato Calogero Cavallaro, che nel LIBER (n° 288) viene indicato
genericamente come “abbate”. Ma è solo nei primi decenni dell’Ottocento che tornano i preti autorevoli
in quella famiglia. Il nostro LIBER (n° 360) ci informa che don Emmanuele Cavallaro
fu arciprete di Realmonte e là morì il
21 febbraio 1836.
Ma già, ai
primi dell’Ottocento, i Cavallaro sono degli ottimati locali soprattutto per la
professione notarile, ove contemporaneamente eccellono vari componenti della
famiglia, come dimostra quest’ultima numerazione delle anime del 1822.
5671
|
CAVALLARO
|
GIUSEPPE ELIA SAC.
|
SAC. D.
|
|||
5696
|
CAVALLARO
|
GABRIELE
|
NOTARO D.
|
|||
5697
|
CAVALLARO
|
M. GIUSEPPA
|
MOGLIE
|
DONNA
|
||
5698
|
CAVALLARO
|
BERNARDO SAC.
|
F.O
|
SAC. D.
|
||
5699
|
CAVALLARO
|
GIOVANNI
|
F.O
|
30
|
D.
|
|
5700
|
CAVALLARO
|
ROSA
|
16
|
|||
5701
|
CAVALLARO
|
CALOGERA
|
F.A
|
9
|
||
5703
|
CAVALLARO
|
GIROLAMO
|
VEDOVO
|
D. NOT.
|
||
5704
|
CAVALLARO
|
ANTONINA
|
F.A
|
2
|
||
5705
|
CAVALLARO
|
PIETRO
|
NOTAR D.
|
|||
5706
|
CAVALLARO
|
CALOGERA
|
MOGLIE
|
DONNA
|
||
5746
|
CAVALLARO
|
FELICE
|
NOTAR D.
|
|||
5747
|
CAVALLARO
|
DOMENICA
|
MOGLIE
|
DONNA
|
||
5748
|
CAVALLARO
|
CALOGERO SAC.
|
F.O
|
SAC. D.
|
||
5749
|
CAVALLARO
|
IGNAZIO SAC.
|
F.O
|
SAC. B.LE D.
|
||
5750
|
CAVALLARO
|
ROSALIA
|
F.A
|
D.
|
||
5751
|
CAVALLARO
|
GIUSEPPE DI D. FELICE
|
D.
|
|||
5752
|
CAVALLARO
|
GIUSEPPA
|
MOGLIE
|
DONNA
|
||
5753
|
CAVALLARO
|
GIUSEPPE
|
F.O
|
M. 1
|
||
Ben
19 membri ormai dominano il paese con
quattro notai e quattro sacerdoti. I maschi sono ora segnati in Matrice con
l’orpello di “don”, le donne con quello di “donna”.
Nel
Settecento, i Cavallaro si erano socialmente irrobustiti con matrimoni d’alto
livello, che li avevano imparentati con le più cospicue schiatte del notabilato
locale.
Un
matrimonio che segna un salto nella scala sociale fu di sicuro quello che nel
primo quarantennio del ‘700 contrasse don Emanuele Cavallaro con donna
Melchiorra Lo Brutto: costei apparteneva ad una famiglia che a quel tempo
dominava Racalmuto, anche se con toni sempre più sommessi, per il fatto che
aveva gravitato su un arciprete molto intimo dei del Carretto. Attorno al 1754,
il Cavallaro abita in un’ampia casa, sita nell’esclusivo quartiere della
Piazza, come ci attesta un rogito:
Tiene ed esige di don Emmanuele Cavallaro tt. 10.10
sopra n.° 4: casi consistenti in quattro stanzi in questa Terra quartieri della
Piazza confinante con casa di don Giuseppe Bellavia e strata che ragionati al
5% il capitale importa onze setti
.................................................................... -/ 7
I Cavallaro
risultano, in atti del 1715, proprietari, sia pure con i vincoli feudali
all’epoca esistenti, di fondi
nella contrata di Bovo confinanti con li terri di
Onofrio Cavallaro, con li terri di Geronimo Macaluso, e d'altri confini.
Suggetti in gr: cinque dovuti ogn'anno per raggione di proprietà all'Ill.e
Conte di Racalmuto
Ma, alla fine del ‘600, erano ancora in ristrettezze tanto da essere costretti ad alienare case di proprietà, come dal seguente rogito:
A 21 settembre X4^ Ind. 1690
Venditione fatta da Pietro Cavallaro al venerabile
Convento di S: Maria del Carmine di questa d'una casa terrana sita e posta in
questa terra e quarterio di S: Margaritella confinante con la casa di Santo
d'Agrò et altri confini. La posessione ci la diede la medesima giornata per lo
prezzo di -/ 2:21:10: di contanti come meglio per detta venditione il di di
sopra.
Del resto,
lo zio sacerdote aveva avuto fondi per acquistare terre dai fratelli Savatteri,
che stavano attraversando un momento economicamente difficile. Eccone gli
estremi
A 28 dicembre 7^ ind. 1698
Vendizione fanno Vincenzo e Michel'Angelo Savatteri
di Racalmuto al Sac. d: Calogero Cavallaro di una pianta di vignia consistenti
in migliaro uno e viti quindici con sue alberi limiti, e altri existente nello
fego di Racalmuto, e nella contrata di Bovo confinanti con la vignia di Santo
Calello con li terri dell'heredi del quondam Notaro Carlo Pumo e d'altri
confini. Suggetta in tt. uno grana due e piccioli trè dovuti per raggione di
proprietà all'Ill.e Conte di Racalmuto. La posessione della quale ci la diedero
lo stesso giorno per lo prezzo di onze deci e tt. vinti quattro quale secondo
la stima fatta per Marco Ristivo, e Marco Falletta quali prezzo li sù detti
Savatteri lo confessorno de contanti, e come meglio per detta vendizione si
legge.
E
subito dopo è la volta di una casa che allarghi quella già posseduta:
A 15 ottobre 8^ Ind. 1699
Venditione fatta da Baldassaro Scibetta e Giovanna
La Calci vidua relicta del quondam Stefano al r.do Sac. D. Calogero Cavallaro
d'una casa terrana posta in questa terra di Racalmuto nel quartiero di S.
Margaritella confinante con la casa di detto di Cavallaro e con la casa di
Michael Angelo e Antoni Burgio. La posessione la diede la medesima giornata per
lo prezzo di onze 2: come meglio per detta venditione il di di sopra.
Il
reverendo ora vuole aumentare l’estensione delle sue terre. Intanto compra
quest’appezzamento:
A 26 novembre 8^ ind. 1699
Venditione fatta da m.° Pietro e m.° Giachino
Facciponti patre e figlio al sac: d. Calogero Cavallaro d'una vigna consistente in 645 viti incirca con suoi
arbori posta nel fego di questa nella nontrata di Piomentisi confinante con la
vigna di detto di Cavallaro e confinante con la vigna di Filippo di Costa. La
posessione la diede la medesima giornata per lo prezzo di onze 6.25. come
meglio per detta venditione il di di sopra.
E
l’anno successivo quest’altra casa:
A 19 agosto 8^
ind. 1700
Venditione fatta da Francesco e Beatrice d'Alaimo
Sciortino Giugali al Sac.te d. Calogero Cavallaro d'una casa terrana posta in
questa terra nel quartero di S: Margaritella confinante con la casa di detto d.
di Cavallaro e altri confini. La posessione della quale la diede la medesima
giornata per lo prezzo di onze 4: come meglio per detta venditione il di di
sopra.
Non
disdegna il nostro sacerdote di dedicarsi all’acquisto di case a scopo
speculativo, per darle in affitto, come sicuramente sarà successo per questa
nuova proprietà immobiliare:
A 23 Marzo 13^ Ind. 1705
Venditione fatta da Catarina e Stefano Pitrotto
matre e figlio al sac. d. Calogero Cavallaro d'una casa terrana posta in
questa, quarteri dello Castello seu Fontana confinante con Giuseppe Salvaggio e
via publica. La posessione la diede la medesima giornata per lo prezzo secondo
sarà la stima e meglio in detta venditione il di di sopra.
Inizia
la corsa alla terra:
A 7 ottobre 14^ Ind. 1705
Venditione fatta da Stefano, Giovanne, Anna e Angela
Milisensa madre e figli al Sac. d. Calogero Cavallaro d'una chiusa consistente
in salme -.4.1. di terra posta nel fegho della Menta contrata etc. confinante
con Mariano La Fichera e con heredi di notaro Carlo di Puma e altri confini. Soggetta
in tt. 2.27. annuale per ragione di proprietà all'Ill.e Conte di questa. La
posessione la diede la medesima giornata per lo prezzo di -/ 8.14. de netto e
meglio in detta venditione il di di sopra.
Compera
cui si aggiunge la seguente:
A 10 Settembre 4^ Ind. 1710
Venditione fatta da Vincenzo Cullura Polito al Sac.
d. Calogero Cavallaro di tummina dui, e mondella tre e quarte due di terre
poste nel fegho della Menta e contrata di Fico Amara confinante con Paulino di
Nicastro, e d' Andria Tulumello ed altri confini. Soggetti in tt. 2 per ragione
di proprietà all'Ill.e Conte di questa. La posessione la diede la medesima
giornata per lo prezzo di -/ 6.8 de contanti e come meglio in detta venditione
il di di sopra.
E
quel sacerdote passa da una compera all’altra. Ecco quest’altro significativo
rogito:
A 13 novembre Prima Ind. 1707:
Venditione fatta da Santa Biundo relicta del quondam
Melchiorre e Francesco Grillo suo genero vendorno al R.do d: Calogero Cavallaro
tummina dui mondelli dui e quarti dui di terri in questo fego e contrata della
Nuci confinante con li terri del Sac: d: Giovan Battista Baera ed altri
confini. La posessione la medesima giornata per lo prezzo di onze 5:23: di
contanti come meglio per detta venditione il di di sopra.
E
quest’altro:
A 18: Dicembre Prima Ind. 1707
Venditione fatta da Mariano Burrugano al detto R.do
Sac: d: Calogero Cavallaro tummina dui e mondelli dui di terre in questo fego
confinante conli terri di Paulino di Nicastro ed altri confini. Suggetti in
tt.1.17.3. per ragione di proprietà all'Ill.e conte. Il posesso la medesima
giornata per lo prezzo di -/ 4:17:3: di contanti come meglio per detta
venditione il di di sopra.
Ed
ancora:
A 11: Gennaro Prima Ind. 1708
Venditione fatta da Nicolò Castilluzzo al R.do Sac.
d. Calogero Cavallaro di tummina dui di terre in circa in questo fego e
contrata della Nuci confinante con li terri del detto di Cavallaro ed altri
confini. Sogetti in tt. 2:5: per ragione di proprietà all'Ill.e Prencipe Conte.
La posessione la medesima giornata per il prezzo di -/ 5:14:10: di contanti
come meglio per detta venditione il di di sopra.
Insaziabile
la fame di terra di don Calogero Cavallaro. Il suo fondo alla Noce, forse
proprio quello che ancora la famiglia possiede, di estende in data:
A 9: ottobre 2^ Ind. 1708
Venditione fatta da Sor: Maddalena Chiumbino al R.do
sac. d. Calogero Cavallaro di tummina quattro di terre in circa in questo fego e contrata della Nuci
confinante con li terri del detto di Cavallaro. Sugetti in tt. 2:2:3: per
ragione di proprietà all'Ill.e Conte etc. La posessione la medesima giornata
per lo prezzo di -/ 9:18:10: di contanti come meglio per detta venditione il di
di sopra.
Ed
ora la voglia di case:
A 22 Gennaro 2^ Ind. 1709
Vendizione fatta da Salvatore Pitrozzella al Reverendo
Sac. D. Calogero Cavallaro d'una casa in questa terra e quarterio di S:
Margaritella confinante con li casi di Giovanne Capobianco ed'altri confini. La
posessione la medesima giornata per il prezzo di -/ 7: di contanti come meglio
per detta venditione il di di sopra.
E’
la stessa nobiltà dei Del Carretto che ora vende a quel sacerdote con
disponibilità liquide davvero inesauribili:
A 10 Febraro 2^ Ind. 1709
L'Ill.e D. Maria del Carretto, e Montaperto fece
venditione al rev.do sac: d.Calogero Cavallaro di questa di tummina tre, e
mondella dui, e quarta uno di terra existente el fegho della Menta confinante
colle terre del suddetto di Cavallaro, e colle terre del Marcato del sudetto
fegho. Soggetti in tt. dui, grana tredici, e piccoli tre annuali dovuti
ogn'anno all'Ill.e Conte di Racalmuto per ragione di proprietà in virtù di suoi
contratti. Per lo prezzo di -/ undici tt. setti grana dui e piccoli tre come
furono existimate per Ippolito Fucà. Quale prezzo lo confessò de contanti. La
posessione d'hoggi innante.
L’anno
successivo è la volta di una nuova casa:
A 27 Febraro 3^ Ind. 1710
Soro Giuseppa Macaluso di questa terra di Racalmuto
fece vendittione al Rev.do Sac: d. Calogero Cavallaro di questa d'una casa in
questa terra, contrata di S. Margaritella confinante colle case del sudetto di
Cavallaro di questa - franca di censo. La posessione d'hoggi innante per lo
prezzo di onze tre e tt. ventinovi come fù estimata per m.° Alessandro Picone.
Quale prezzo lo confessa de contanti.
Ed
ancora nuove terre:
A 16 ottobre 4^ Ind. 1710
Soro Perpetua
di Nolfo di questa terra di Racalmuto fece vendizione al Sac. d.
Calogero Cavallaro di questa d'una chiusa consistente in tumolo uno e monnella
tre di terra incirca existente in questo Stato contrata della Nuci e Menta
confinante con la chiusa del supradetto di Cavallaro. Soggetta in tt. uno e
grana cinque annuali dovuti all'Ill.e Conte di Racalmuto per ragione di
proprietà in virtù di suoi contratti. La posssione d'hoggi innante per lo
prezzo di onze quattro tt. venti grana dudici e piccoli tre a ragione ad'onze
quaranta salma. Quale prezzo lo confessa de contanti.
Siamo
nel 1712, altro acquisto:
A 17 ottobre 6^ Ind. 1712
Venditione fà Sebastiano Cullura di Racalmuto al
Sac. don Calogero Cavallaro anche di questa d'una vigna nel fegho di Racalmuto
e nella contrata della Montagna confinante con la vigna di Geronimo di Giglia,
e confinante con la vigna e chiusa di Vincenzo Cullura. Sogetta in tarì sei e
grana uno cioè tarì uno e grana uno all'Ill.e Sig. Conte di questa e tarì
cinque alla Venerabile chiesa di S: Michele anche di questa sudetta terra. La
posessione ci la dona il medesimo di per lo prezzo di onze cinque quale onze 5.
detto confessa haverli ricevuto di contanti come meglio per detta venditione
appare sotto il di di sopra.
La
voglia di terra spinge il sacerdote ad accollarsi canoni e censi pur di venire
in possesso fondi coltivabili, come questo caratteristico atto di “renuncia e
relaxito”, da parte di un facoltoso notaio. Attesta:
A 9 novembre septima ind. 1712
Notar Giachino Spinola di questa terra di Racalmuto
fece renuncia e relaxito al Rev. sac: d. Calogero Cavallaro pure di questa di
salma una, tummina quattro e monnelli dui di terra existente in questo Stato
confinante colla chiusa di Petro Farrauto la Pupara e via publica ed'altri
confini. Soggetta nella rata del censo dovuto a questo Stato per ragione di
proprietà. La posessione d'hoggi innante
etc. lo relaxito per lo medesimo censo.
Sono
proprio inesauribili le risorse finanziarie di d. Calogero Cavallaro, non
riconducibili certo alle sole consistenze del “patrimonio” di cui fu dotato per
accedere al sacerdozio. Ne è conferma questo rogito di un paio di anni dopo:
A 16 ottobre ottava ind. 1714
Notar Isidoro Lo Brutto, Nicolao
Puma, Notaro Calogero Alferi e Geronimo Grillo Jar.° e mastro Pietro, ed Ignatio Facciponti patre
e figlio in solido fecero venditione al rev. sac. d. Calogero Cavallaro di
questa di un Palmento collo terreno suggetto a detto palmento posto in questo
Stato contrata di Bovo confinante con la vigna di detti Facciponti, e vigna di
Caetano Cammalleri - franco di censo. La posessione d'hoggi innante. Per lo
prezzo di onze venti come fu stimato per mastro Alessandro Picone Capo Mastro,
quale lo confessa de contanti.
Nella
seconda metà del Settecento i Cavallaro sono davvero affermati a Racalmuto.
Vediamo ad esempio questo matrimonio:
31/7/1768
|
CAVALLARO D. GIUSEPPE DELLI FURONO D.
EMMANUELE E
|
BRUTTO D. MELCHIORRA
|
BIONDI D. CALOGERA DE.LLI FURONO D.
FRANCESCO
|
SOLDANO D. ROSA
|
Don
Giuseppe Cavallaro, figlio di quei coniugi che abbiamo citato sopra, può
sposare donna Calogera Biondi, che seppure orfana di entrambi i genitori, è pur
sempre un membro di una notevolissima famiglia racalmutese di quel periodo.
Il
fratello, un notaio, sposa una Savatteri, donna Domenica figlia di Francesco e
di Lo Brutto Dorotea: famiglie importantissime che fanno quadrato con vincoli
matrimoniali:
27/8/1780
|
CAVALLARO NOT. D. FELICE DELLI Q. D.
EMANUELE
|
BRUTTO D. ELENORA
|
SAVATTERI D. DOMENICA DEL Q. D. FRANCESCO
E
|
BRUTTO D. DOROTEA
|
PER D. JOSEPH SAVATTERI ET BRUTTO: TESTI
D. PAOLO TIRONE E ISIDORO AMELLA
|
Ed
un terzo fratello, un medico, convola a nozze sempre con una Biondi:
18/11/1786
|
CAVALLARO Dr D. GABRIELE DELLI Q. EMANUELE
E
|
BRUTTO D. LEONORA
|
BIONDI D. MARIA DI D. VINCENZO E
|
RINALDI D. ROSARIA
|
PER D. JOSEPH SAVATTERI E BRUTTO
|
A
fine secolo, abbiamo due Cavallaro che sono sacerdoti:
CAVALLARO
|
EMMANUELE SAC. DON
|
36
|
SAC. DON
|
|
GIUSEPPE ELIA SAC. DON
|
28
|
SAC. DON FRATELLO
|
Un
altro con moglie, zia settantenne e serva:
CAVALLARO
|
PIETRO
|
36
|
DON
|
|
CALOGERA
|
M
|
28
|
DONNA
|
|
GIUSEPPA
|
70
|
D: ZIA
|
||
RINCIGLIO
|
MARIA
|
50
|
SERVA
|
Il
capostipite, notaio, con un nucleo familiare assortito:
CAVALLARO
|
FELICE NOT. D:
|
60
|
NOTAIO D:
|
|
DOMENICA D:
|
M
|
40
|
||
CALOGERO D:
|
22
|
|||
IGNAZIO D:
|
18
|
|||
ROSA D:
|
12
|
|||
GIUSEPPE D:
|
10
|
|||
CALOGERA
|
19
|
Cui
non è da meno il fratello cinquantaduenne, anche lui notaio:
CAVALLARO
|
GABRIELE D:
|
52
|
NOTARO DON
|
|
MARIA GIUSEPPA D:
|
M
|
32
|
DONNA
|
|
BERNARDO CL:
|
F
|
18
|
CLERICO
|
|
MARIA ROSA
|
F
|
4
|
||
MARIA NONA
|
F
|
1
|
||
ANGELA
|
F
|
12
|
||
GIROLAMO
|
F
|
15
|
||
GIOVANNI
|
F
|
13
|
||
ONOFRIO D:
|
56
|
D:
|
||
ROSALIA
|
22
|
Recluse
al Monastero di Santa Chiara ben cinque religiose tra monache, novizie ed
educande:
CAVALLARO
|
Sr. MARIA CARMELA
|
SUORA
|
|||
CAVALLARO
|
Sr. MARIA RAFFAELLA
|
SUORA
|
|||
NOVIZIE
|
|||||
CAVALLARO
|
Sr. MARIA TERESIA
|
||||
EDUCANDE
|
|||||
CAVALLARO
|
CARMELA D:
|
||||
CAVALLARO
|
NORA D:
|
||||
Superiora
a quel tempo era una loro zia:
BIONDI
|
Sr. MARIA DI GESU'
|
ABBADESSA
|
La
crisi del feudalesimo a Racalmuto faceva emergere i notabili della nuova alta
borgesia, cui affluivano gli incarichi pubblici. Don Giuseppe Cavallaro assurge
alla carica di Sindaco negli anni che
vanno dal 1784 al 1787. E nel 1793 ce lo ritroviamo tra i deputati. Nell’esercizio
successivo, accede tra i giurati don Raffaele Cavallaro. Negli anni seguenti, è
don Felice Cavallaro che sovrintende all’intero patrimonio comunale.
L’eminente
famiglia mantiene, ed anzi accresce, il ruolo egemone nella vita della locale
comunità nel successivo secolo: cosa che vedremo più dettagliamente, dopo,
quando accenneremo alle vicende dell’Ottocento.
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