ANTONIO ANGELO CAPIZZI A DELIA, PITTORE RACALMUTESE DEL SETTECENTO
ANTONIO ANGELO CAPIZZI A DELIA, PITTORE RACALMUTESE DEL SETTECENTO
se Lei è daccordo vorrei mandare a "LA SICILIA" questa pagina con la sua firma :
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Dobbiamo al libro di padre Adamo [3] la nostra piacevole scoperta che racalmutese fosse Antonio Capizzi che operava a Delia di sicuro dal 1726 al 1731. Francamente non ne sapevamo nulla e reputiamo che pochissimi lo sappiano. Di certo, nessun accenno nella pubblicistica locale che ormai appare decisamente sovrabbondante. Scrive il padre Adamo, parlando della chiesa dei Carmelitani di Delia: «Aggiungasi che già dal 1712 la parrocchia si era trasferita proprio in questa chiesa, per la ricostruzione della Matrice, e vi rimase fino al 1737. Le date rinvenute vengono a confermare quanto detto. La più antica è il 1731. Si trova fra gli stucchi dell’arco maggiore, accanto al grande affresco della natività di Maria: «Antonius Capizzi Racalmutensis …Anno Salutis 1731». Nei lavori di ricostruzione del tetto e restauro del 1970, gli operai per inavvertenza distrussero l’intonaco con la scritta. Le parole citate costituivano parte della scritta perduta. Di grande importanza è poi la tela di s. Pasquale Bajlon che porta data e firma dell’autore:«A.S. 1731 – Antonius Capizzi Racalmutensis pingebat – Decimoquarto Kalendas Augusti».A pagg. 164-165 vengono riprodotti particolari degli stucchi attribuiti al Capizzi, molto simili, ci pare, a quelli della Matrice di Racalmuto che, pertanto, potrebbero essere dell’omonimo nonno nato ad Agrigento, sempreché la nostra ricostruzione genealogica sia fondata. L’indubbia origine racalmutese del pittore di Delia è provata da un atto di battesimo che si trova in Matrice: nacque un Antonio Angelo Capizzi in Racalmuto il 5 maggio 1683 e fu battezzato lo stesso giorno. Il padre si chiamava Giuseppe e la madre Santa. Dopo, non risultano altri dati anagrafici: almeno noi non siamo ancora riusciti a trovarli. Tutto però fa pensare che si sia trasferito da Racalmuto. Forse a Delia, ove pare sentisse profonda nostalgia della terra nativa, tanto da firmarsi come Racalmutensis: a meno che ciò non rifletta l’orgoglio di essere compaesano di quel Pietro d’Asaro che nel Settecento godeva di più o meno merita fama, come comprova l’esteso elogio del cappuccino p. Fedele da San Biagio.[4]Non si può, poi escludere, che taluno dei tanti quadri settecenteschi delle varie chiese di Racalmuto sia dovuto al pennello del Capizzi. Ricerche presso l’Archivio di Stato di Agrigento e consultazioni dei vari rolli notarili ivi conservati, potranno fare uscire dall’anonimato le varie pale di S. Giuliano o di S. Pasquale o del Carmine stesso, oppure rettificare attribuzioni disinvolte a pittori operanti in quel secolo. Non ci intendiamo d’arte per sbilanciarci in valutazioni estetiche, ad ogni buon conto epigoni della scuola racalmutese di Pietro d’Asaro persistono nel pittore di Delia. E se nel caposcuola eravamo, per dirla con Sciascia, «nell’epigonia manieristica, negli echi baroccisti e caravaggeschi», qui vi è solo lo stracco imitare da assegnare all’agiografica rappresentazione dei santi da venerare nei santuari. E per il Capizzi non disponiamo – diversamente che per l’Asaro – di allegorie profane ove, con Sciascia, potremmo rinvenire «un che di misterioso…da disvelare». Forse l’eco del recente interdetto(1714-1719), forse la spossatezza di una religiosità, soltanto canonicistica, può rinvenirsi in Capizzi; e ciò è pur sempre preziosa testimonianza, attestato del periferico rurale adeguarsi o attaccarsi alla vita, "come erba alla roccia."
Calogero Taverna, racalmutese.
se Lei è daccordo vorrei mandare a "LA SICILIA" questa pagina con la sua firma :
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Dobbiamo al libro di padre Adamo [3] la nostra piacevole scoperta che racalmutese fosse Antonio Capizzi che operava a Delia di sicuro dal 1726 al 1731. Francamente non ne sapevamo nulla e reputiamo che pochissimi lo sappiano. Di certo, nessun accenno nella pubblicistica locale che ormai appare decisamente sovrabbondante. Scrive il padre Adamo, parlando della chiesa dei Carmelitani di Delia: «Aggiungasi che già dal 1712 la parrocchia si era trasferita proprio in questa chiesa, per la ricostruzione della Matrice, e vi rimase fino al 1737. Le date rinvenute vengono a confermare quanto detto. La più antica è il 1731. Si trova fra gli stucchi dell’arco maggiore, accanto al grande affresco della natività di Maria: «Antonius Capizzi Racalmutensis …Anno Salutis 1731». Nei lavori di ricostruzione del tetto e restauro del 1970, gli operai per inavvertenza distrussero l’intonaco con la scritta. Le parole citate costituivano parte della scritta perduta. Di grande importanza è poi la tela di s. Pasquale Bajlon che porta data e firma dell’autore:«A.S. 1731 – Antonius Capizzi Racalmutensis pingebat – Decimoquarto Kalendas Augusti».A pagg. 164-165 vengono riprodotti particolari degli stucchi attribuiti al Capizzi, molto simili, ci pare, a quelli della Matrice di Racalmuto che, pertanto, potrebbero essere dell’omonimo nonno nato ad Agrigento, sempreché la nostra ricostruzione genealogica sia fondata. L’indubbia origine racalmutese del pittore di Delia è provata da un atto di battesimo che si trova in Matrice: nacque un Antonio Angelo Capizzi in Racalmuto il 5 maggio 1683 e fu battezzato lo stesso giorno. Il padre si chiamava Giuseppe e la madre Santa. Dopo, non risultano altri dati anagrafici: almeno noi non siamo ancora riusciti a trovarli. Tutto però fa pensare che si sia trasferito da Racalmuto. Forse a Delia, ove pare sentisse profonda nostalgia della terra nativa, tanto da firmarsi come Racalmutensis: a meno che ciò non rifletta l’orgoglio di essere compaesano di quel Pietro d’Asaro che nel Settecento godeva di più o meno merita fama, come comprova l’esteso elogio del cappuccino p. Fedele da San Biagio.[4]Non si può, poi escludere, che taluno dei tanti quadri settecenteschi delle varie chiese di Racalmuto sia dovuto al pennello del Capizzi. Ricerche presso l’Archivio di Stato di Agrigento e consultazioni dei vari rolli notarili ivi conservati, potranno fare uscire dall’anonimato le varie pale di S. Giuliano o di S. Pasquale o del Carmine stesso, oppure rettificare attribuzioni disinvolte a pittori operanti in quel secolo. Non ci intendiamo d’arte per sbilanciarci in valutazioni estetiche, ad ogni buon conto epigoni della scuola racalmutese di Pietro d’Asaro persistono nel pittore di Delia. E se nel caposcuola eravamo, per dirla con Sciascia, «nell’epigonia manieristica, negli echi baroccisti e caravaggeschi», qui vi è solo lo stracco imitare da assegnare all’agiografica rappresentazione dei santi da venerare nei santuari. E per il Capizzi non disponiamo – diversamente che per l’Asaro – di allegorie profane ove, con Sciascia, potremmo rinvenire «un che di misterioso…da disvelare». Forse l’eco del recente interdetto(1714-1719), forse la spossatezza di una religiosità, soltanto canonicistica, può rinvenirsi in Capizzi; e ciò è pur sempre preziosa testimonianza, attestato del periferico rurale adeguarsi o attaccarsi alla vita, "come erba alla roccia."
Calogero Taverna, racalmutese.
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