mercoledì 26 dicembre 2012
Quando Tremonti era un semplice professore di Pavia
Nel 1992 non era ancora l’astro nascente della nuova era del governo dell’economia italiana il professore Giulio Tremonti; assistente dell’assistente di Reviglio aveva anche bazzicato i palazzi del ministero delle finanze. Ricordo che venne una volta nella mia stanza al SECIT per accreditarsi come il mio assuntore: non sapeva che ero là per defenestrazione voluta da certi miei ex amici capiservizio della Vigilanza sulle Aziende di credito della Banca d’Italia. Avevo dato lettura critica della disposizione della Banca d’Italia riguardante la contabilizzazione degli “utili da negoziazione cambi” di cui a pag. 126 della LEGGE BANCARIA edita dall’ABI nel 1978: affermavo che l’ordinamento sezionale del credito poteva ben propendere per contabilità di magazzino a “saldi chiusi” ma che tributariamente si finiva in palesi anomalie; si incorreva nel divieto di compensazione di partite e quel che peggio si avevano rifluenze evasive quanto a iva dovuta e iva relativa. Erano sottigliezze ma tanto gravide di conseguenze tributarie per le banche e queste sembra che le avesse morso la tarantola: volevano farmi cambiare idea, ma essendo racalmutese di “tenace concetto”, era impresa impossibile. Piermartini, l’assistente capo di Reviglio (ministro delle Finanze eccelso e integerrimo) qualche ruolo ce l’aveva avuto nello scegliere il 50% di funzionari ministeriali nella composizione della compagine ispettiva del Secit. Ma con noi, provenienti dalla Banca d’Italia, nullo fu il suo peso e ci mancherebbe altro!
Giulio Tremonti, facondo dicitore con appendici linguistiche greche e latine, mi apparve, pur nella sua sicumera, molto a disagio in questioni di partita doppia quali allora si ancoravano al buon Luca Pacioli, prima dei recenti tsunami alla Basilea e alla nuova scienza contabile di Strasburgo.
Poi Reviglio passò, passò anche Formica ed anche Gava: l’assistente ministeriale subì il fascino del multinazionale studio tributario di Falsitta e finì persino docente universitario a Pavia. Per quel che ne ho letto sui giornali, divenne agguerrito consulente tributario in vertenze che sapevano di San Marino Ior e pare anche PSI. Politicamente il passaggio dall’area del socialismo craxiano alla politica vincente non fu agevole. Ma Segni junior un posto al parlamento riusciva a darlo.
Siamo nel 1992: il brillante dottore Giulio Tremonti si qualifica “Ordinario di diritto tributario” all’Università di Pavia” e di sghimbescio se la sente di commentare “la riforma del sistema bancario” nel primo numero di una elegante rivista diretta da Stefano Vespa ove scorrono firme prestigiosissime come quelle di Lama, Giovanni Agnelli, Goria, Spadolini, Francesco Paolo Mattioli, Giuliano Vassalli, Andreotti, Reviglio, Prodi, Arcelli, Romiti, Camillo Ruini, Pierluigi Ciocca, Francesco Rutelli, Gian Maria Gros-Pietro, Stefania Prestigiacomo, Giuseppe De Rita e Mario Monti.
Tra cotanto senno che il fortunato banchiere dottor Cesare Geronzi riesce a mettere assieme nella sua nuova splendida rivista patinata CAPITALIA , il professorino di Pavia si colloca autorevolmente e può tessere l’elogio alla neo Capitalia capace di porre in atto “l’applicazione migliore della Legge Amato“ (alias la nuova legge bancaria). In un occhiello, senza mezzi termini, il professore Tremonti può asserire che “nella concentrazione industriale che ha fatto nascere la Banca di Roma la ‘leva’ fiscale è stata utilizzata in modo razionale, portando un ‘premio’ di oltre 1.000 miliardi di lire’.” Segue una dissertazione che noi che pur crediamo di essere di superiore intelligenza non siamo riusciti a capirci nulla. Ovviamente ubi maior ..
Di siffatti “premi” torna poi, vent’anni dopo, in una ormai celeberrima intervista, il fortunato banchiere. Noi qualche aculeo lo abbiamo fatto scoccare. Leggasi Articolo 21. La pensa ancor così il professore di vent’anni fa, l’accentratore ministro dell’economia, l’attuale orfano di Berlusconi? A noi manco risponderà e in coscienza potrà dire di noi: Carneade, chi era costui?
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