PREFETTURA DI GIRGENTI
REGNO D'ITALIA
MINISTERO dell'INTERNO
SEGRETARIATO GENERALE
DIV. 2^ SEZ. Gabinetto
N. 3296
oggetto: Circolare della Società di mutuo soccorso di Racalmuto.
Signor Prefetto di Girgenti
/ n. 418 gab. 10/7/75 al Sig. Delegato S.P. di Racalmuto/
Roma, addi 7 Luglio 1875
Dalla Società di mutuo soccorso di Racalmuto è stata diramata la circolare di cui trasmetto copia alla S.a V.a per le necessarie disposizioni di vigilanza, e per quei provvedimenti che riterrete opportuno di adottare.
p IL MINISTRO.
(firma illeggibile)
/nella stessa lettera del Ministro, viene aggiunto di pugno del prefetto per il delegato di S.P. di Racalmuto questo codicillo:
"Vorrà poi manifestarmi il motivo per cui ha omesso di informarmi della diramazione di tale circolare, e della trasmissione di una copia della medesima"./
In allegato la copia che così recita:
Società Mutuo soccorso degli Operai di Racalmuto - provincia di Girgenti.
CIRCOLARE
Soci Onorari
Maurizio Quadrio
SAFFI Aurelio
Campanella Federico
Presidente Onorario
GARIBALDI
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RECALMUTO
PREFETTURA DI GIRGENTI - N. 419 LUGLIO - Girgenti 13\5\76 - riservata minuta Oggetto: Reclamo della Società degli Operai di Racalmuto.
Girgenti 13 maggio 1876
Signor Delegato di P.S.
Racalmuto.
La Presidenza della Società di mutuo soccorso degli Operai di Racalmuto ha diretto a S.E. il Ministro dello Interno l'unito memoriale contenente addebiti contro codesto Municipio e specialmente contro il Sindaco il quale, si dice, osteggi ed attraversi in tutti i modi quella Società.
Io trasmetto il reclamo a V. S. affinché assuma le più accurate informazioni sulla verità dei fatti esposti e me ne riferisca categoricamente e imparzialmente il risultato insieme alla restituzione del comunicato dovendo farlo obietto di un rapporto al Ministro.
IL PREFETTO
(firma illeggibile)
R. PREFETTURA DI GIRGENTI - Div. Gabinetto - n. 419 - Urgente - Oggetto: Sollecitazioni per affari in ritardo - Al Signor Delegato P.S. di RACALMUTO
Girgenti 9 giugno 1876
Prego la S.V. trasmettere con tutta sollecitudine al mio foglio del 13 n. ° 1° maggio numero pari alla presente insieme al quale trasmettere un ricorso del Presidente di codesta Società di mutuo soccorso rivolto al Ministero Interni. IL PREFETTO.
DELEGAZIONE DI PUBBLICA SICUREZZA IN RACALMUTO - N. 157 - Riscontro alla Nota N. 419 Gabinetto, del 9 Giugno 1876 - OGGETTO: Intorno al ricorso della Società di mutuo soccorso degli operai, in Racalmuto.
Ill.mo Signore Signor Prefetto della Provincia di Girgenti.
Racalmuto addì 11 giugno 1876.
In riscontro alla riverita nota a margine citata, colla quale mi si sollecitano le informazioni sul ricorso in oggetto indicato, mi faccio un dovere significare alla S.V. Ill.ma, che non più tardi di giovedì prossimo, 15 corrente mese, Le farò pervenire le suddette informazioni col ritorno del ricorso di cui si tratta, non potendolo far prima mancandomi ancora qualche notizia. - IL DELEGATO (A. COPPETELLI).
A S. E. il Ministro dell'interno Roma
OGGETTO: Ricorso della Societa' Operaja di Racalmuto contro quel Municipio.
Anche a questa Prefettura la Società Operaja di Racalmuto fece pervenire in addietro vari ricorsi contro quel Municipio lagnandosi di essere da esso osteggiata.
Però non si è potuto prendere dei provvedimenti perché le querimonie furono sempre generiche non imputando ai reggitori di quel comune fatti pei quali potesse l'Autorità legittimamente intervenire.
E' una verità che il Sindaco Cav. Gaspare Matrona, la sua famiglia influentissima e i suoi amici e partitanti vedano di cattivo occhio quella Società, mentre nel 1873 contribuirono invece a darle vita e sostegno; ma la ragione non istà minimamente nel proposito di osteggiare le idee liberali né precludere la via alle libere associazioni, ma sibbene trova la sua spiegazione naturale nel fatto che la Società stessa ha disertato dal partito dei Matrona per militare sotto le bandiere del loro antagonista Barone Luigi Tulumello il quale se ne vale come di strumento per creare imbarazzo all'attuale Amministrazione alla quale vorrebbe subentrare.
Messi così in chiaro i rapporti esistenti fra la Società ed il Comune si ha la spiegazione del movente del generico ricorso che si restituisce.
IL PREFETTO.
* * *
Se si è prestato anche un minimo di attenzione alle carte che abbiamo riportato, non si può restare colpiti dalla figura di questo gesuita racalmutese - zio del celebra papa nero - dal prestigioso nome (è un Nalbone), che viene a trescare politicamente contro i Matrona.
Sulla figura di codesto gesuita si è soffermato il compaesano padre Angelo Sferrazza Papa, S.J. trattandolo - ovviamente - con i guanti gialli. [24] Per converso, il Messana - che con i Nalbone ha anche motivi di astio familiare - infieririsce, impietosamente, con sarcasmo. Noi abbiamo legami di stima e di deferenza verso il padre Angelo Sferrazza Papa da un lato, e consuetudini di amicizia e di passioni storiche per la nostra Racalmuto con il discendente prof. Giuseppe Nalbone, dall’altro per poterci avventurare in una rigorosa ricostruzione di un siffatto personaggio che ad dir poco la tempra del martire non ce l’ha: notare quel sussiegoso rimettersi alla volontà del prefetto per poi sobillare i clericali locali in una improba compezione elettorale contro i Matrona.
Vi è poi un fatto ancora più clamoroso. I clericali locali, sobillati dal gesuita Nalbone e dai non meno nostalgici preti racalmutesi alla Giudice, furro molto agguerriti contro il clan Matrona. Nel pieno della lotta ricorsero a tutti i mezzi anche a quelle laide delle lettere anonime. Una di queste fu certamente concepita e redatta dal gesuita Nalbone. Riportiamola; è uno spaccato della Racalmuto di allora: [25]
«Signori Presidenti e componenti la Commissione d'inchiesta - Canicattì.
«Uno solo è il tema del giorno, il sindaco di Racalmuto. E' una anomalia quello, un anacronismo , un controsenso che per adempiere ad un'opera eminentemente patriottica, bisogna ad ogni costo scalzare. Avanti adunque, dietro vi sta l'abisso.
«Avvezzo l'integerrimo ad un arbitrio il più sconfinato ed a vederci tacere e soffrire non comprendeva che quando si è all'orlo del precipizio ed una calamità ci minaccia; quando le prepotenze, gli arbitrii, le vendette ed i balzelli han raggiunto il favoloso e l'ingiusto; quando il denaro del popolo trovasi impudicamente scialacquato e le centinaia di migliaia spariscono come lampi; quando un comune floridissimo batte alle porte della bancarotta; quando la libertà è un mito e le votazioni avvengono nel modo, simile alla fiera proposta dell'assassino, il quale appuntando il coltello alla gola ti dice o la borsa o la vita, l'uomo libero, indipendente ed onesto non deve restarsene indifferente, né temere le basse calunnie. I nemici dell'ordine gridano e s'impongono, quando gli onesti tacciono e tremano; quindi è che generosi cittadini sorsero per protestare ed opporsi a che le iniquità finiscano, ed il denaro del pubblico cessi una volta di essere il patrimonio di una .. casta.
«Alcuni lodarono l'attuale stendardo tenutosi da undici anni dall'integerrimo Sindaco Matrona triste avanzo della più efferata tirannide, ma quello è lo stendardo che si è imposto con la minaccia, colle violenze e colle vendette. E' lo stendardo che ha partorito il medio Evo in permanenza, prepotenze, vessazioni ed angherie di ogni sorta con una franchezza tale da mostrare che giustizia non esiste, e si vive senza governo. E' lo stendardo che pospone la pubblica istruzione allo spirito di parte, si rimossero abilissimi professori Farrauto, Capitano, Chiodo, Zambuto, perchè ebbero il coraggio di seguire l'impulso della propria coscienza, e negare il voto ai suoi affiliati; fu l'ill.mo che al professore provetto e direttore di quelle scuole Sig. Cappadoro in un giorno di Venerdì Santo ed innanzi ad un pubblico ebbe l'ardire d'insultarlo ed opprimerlo dicendo che non lo schiaffeggiava per non lordarsi le mani. Imbecille di professore! dovevi conoscere che il funzionario, il quale si fa superiore alla legge e la calpesta è un ingiusto aggressore. E' lo stendardo sotto il quale i delitti si sono aumentati e di giorno in giorno aumentano; pascoli abusivi, furti campestri, grassazioni dentro e fuori dell'abitato, omicidi anche nella pubblica piazza. Signori dello stendardo siate sinceri e veridici, per come ogni cittadino deve esserlo, e diteci: a chi il popolo ne addebita la colpa? quali cause ne adduce? quali rimedii propone? E' lo stendardo che di precipizio in precipizio ha rovinato la ricchezza pubblica e la privata ancora. E' lo stendardo che ha oberato di pesi civici un comune di speciale floridezza, sino a condurlo alla disperazione, dando tasse esorbitantemente aumentate che di anno in anno si aumentano e sempre insufficienti. E' lo stendardo che ha imposto un'imposizione grave, insostenibile, estrema.
«Ma vorrà porsi un argine a tanto torrente? Non lo sperammo quando 22 civili notabili tutti presentatisi in massa a reclamare, nulla ottennero sin'ora. Quando una dimostrazione seria, preconcetta, imponente, feroce di diciotto ammoniti, chiamati uno per uno e guidati dalla guardia campestre Vinci e fratello, servitore del Sindaco ed ai quali si fan passeggiare e fermare, dinanzi il nuovo casino, strisciando i piedi e provocando ad una guerra civile, si vela sotto l'aspetto d'ubriachezza.
«Quando, mentre i Racalmutesi lavorano pesantemente, come una mandria d'Iloti, o pagano una enorme tassa di sangue per la strada da giorni aperta Racalmuto-Montedoro, un'altra se ne intende aprire, Racalmuto-Favara, capricciosa, vessatoria ed ingiusta, e tuttoché legalmente dichiarata non necessaria, né di pubblica utilità, come dall'Ufficio prefettizio 30 aprile 1870, si ritorna su di essa e si approva, favorendo l'interesse dell'Ill.mo alla di cui casa di campagna trovasi esclusivamente destinata. Quando, tuttoché si è giustificato che il Consiglio Comunale in Racalmuto non si radunava che sempre in seconda convocazione, ed i tre fratelli Matrona dispongono di vistoso patrimonio di quel Comune, pure non si è riparato. Quando nella relazione del valente professor Ragusa, il quale palesa che in Racalmuto non osservò che scuro , non si vuol vedere una dimostrazione di popolo tutto ufficialmente invitato che non prese parte in odio al Sindaco. Quando .... basta, l'animo si commuove, e minaccia di trasmodare la lingua: infreniamola per ora a prudenza.
«Or allora che questi, quando ci parlano tutti nell'anima, si ha mille ragioni di credere che quel Sindaco sarà confermato. Ebbene Sigg.ri della Commissione in questo caso altro non resterà all' Ill.mo che sulle orme dell'amabil suo fratel cugino Giuseppe Geraci Matrona Sindaco di Castrofilippo, il quale si suicidò in prigione, chiamarci uno per uno in segreteria e trucidarci.
«Persuadetevi, Signori, finché l'ammonizione ed il domicilio coatto non saranno a lui applicati, Racalmuto avvilito e depauperato non avrà pace giammai.»
Chi fosse quel Francesco Nalbone non è dato sapere. Non si può escludere un errore di trascrizione. Di certo non era un parente stretto de gesuita, stando almeno alle accurate ricerche genealogiche del prof. Giuseppe Nalbone. Il gesuita era nato a Racalmuto nel 1818 da Angelo Benedetto Giovanni Nalbone e da Stefania Salvo: aveva quattro sorelle ed un fratello, Luigi (1812-1883), sposato con Raffaella Mattina, da cui il filone dei notabili in atto rappresentati in modo egregio dal medico Giuseppe.
Noi restiamo convinti che quella tremenda missiva sia stata concepita dal gesuita ed il fatto che si sia nascosto dietro le brume della firma ambigua non depone a favore del primo dei due gesuiti di casa Nalbone. Quella lettera ci torna comunque a fagiolo perché ci dà una testimonianza preziosissima sugli sviluppi del circolo unione. Siamo nel 1875; infuria lo scontro tra il clan del giovane barone Luigi Tulumello e quello, saldissimo, dei Matrona. I Matrona sono davvero arroganti, sperperatori del pubblico denaro delle casse comunali per faraoniche opere pubbliche, vessatori e tassaioli, mafiosi e massonicamente corazzati. Si beffano di tutti gli avversari: professori e preti, gesuiti e notabili avversari. Sia chiaro: il Nalbone anche allora era espressione di un casato racalmutese potente. Quello che certi denigratori dell’attuali circolo unione vanno dicendo è falso. Con il sacerdote Benedetto Nalbone (1709-1793) un ramo di quella famiglia risalente agli albori anagrafici della nostra Racalmuto del 1554 aveva fatto un salto sociale cospicuo, inarrestabile. Il prete (figlio di Giuseppe - 1671-1736 - e di Anna Maria Vassallo e nipote di tal Benedetto) aveva raggiunto una cospicua posizione economica, consentendo al fratello Giovanni Vito (11710-1755) di sposare una Baeri, Vincenza. Il nipote Francesco Paolo (1758-1833) diviene notaio e sposa la potentissima Gesuela Busuito. Alle fortune di famiglia si associano ora quelle del ricco prete don Francesco Busuito [26], ultimo officiale del Santo Officio di Racalmuto. Siamo al pronipote, anche lui notaio, don Angelo Benedetto Giovanni che muore giovane ed è solo per questo che il ramo dei Nalbone flette un po’ nella gerarchia dei valori nobiliari racalmutesi. Ma il figlio Luigi è già in ripresa; nient’affatto codino, se ne impipa delle scomuniche e vince l’asta per l’acquisto di “2 seminativi” in contrada Sacramento espoliati alla chiesa e cioè alla compagnia Renda di Grotte. [27] t. Vanta il fratello gesuita che abbiamo detto. Sarà comunque il figlio Giuseppe - fratello del papa nero il gesuita Francesco di Paola Nalbone - ad entrare prepotentemente nell’alta burocrazia del comune e conseguire cospicue possidenze immobiliari. Il figlio Luigi (1890-1950) può già considerarsi un facoltosissimo erede che si afferma a Palermo.
La famiglia Nalbone contrasta, dunque, i Matrona ed è affiancata con il barone Luigi Tulumello. Questi ha una partita aperta con i Matrona che s’accende di acrimonia ogni giorno di più. Un contorno di “civili” il Tulumello ce l’ha: il barone stringe attorno a sé i fedelissimi di rango; devono lasciare il circolo di conversazione che pur frequentavano dalla giovane età e tutti insieme devono fondare e frequentare un nuovo circolo, un “nuovo casino” come dice il gesuita.
I Matrona evidentemente dominavano il tradizionale circolo dei galantuomini: considerarono la secessione un grave sgarbo personale e se lo legarono a dito. Sappiamo dal gesuita Nalbone che i padroni di Racalmuto - che se mafiosi se furono, contigui alla mafia lo furono di certo - mandano «diciotto ammoniti, chiamati uno per uno e guidati dalla guardia campestre Vinci e fratello, servitori del Sindaco» e costoro «si fan passeggiare e fermare, dinanzi il nuovo casino, strisciando i piedi e provocando ad una guerra civile». I galantuomini dissidenti restano sgomenti, in 22 vanno dal sindaco Matrona, invocano giustizia. Raccomandano l’anima al diavolo, si direbbe. Il sindaco don Gasparino finge indignazione, fa fare accertamenti, ma alla fine conclude che si trattava di volgari ma innocui ubriaconi: una bazzecola senza importanza, tutti innocenti, una chiassata di ubriachi da non prendere neppure in considerazione. L’arroganza del potere nei Matrona in generale e in don Gasparino in particolar modo. Avranno gioito i soci del vecchio circolo unione, rimasti fedeli a don Gasparino.
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