Roma, 30 aprile 2002
Egregio signor
Direttore
Si abbia innanzi
tutto i miei rallegramenti per il taglio moderno,
agile ed illuminato che ha saputo dare al periodico da Lei diretto: non era
facile dopo la valentissima regia di Mons. De Gregorio, uno tra i più colti
preti con cui mi è capitato di imbattermi (e nella mia semisecolare esperienza
ispettiva per tutt’Italia ne ho incontrati tantissimi.)
Certo, mons. De
Gregorio è sacerdote tutto d’un pezzo; personalmente non ho mai gradito il suo
viscerale anticomunismo; mi aveva tanto indispettito da dismettere
l’abbonamento al pur pregevole foglio passato ora sotto la sua guida.
Lei mi ha
folgorato quando a fronte di una provocazione (… «sono un cattolico non credente»,
si ricorda?) rintuzzava prontamente: «….già, non è nuova….Montanelli!».
Complimenti. Nella storica diocesi di Agrigento, un’intelligenza aperta come la
sua occorre davvero!
Tempo fa ho
inviato alcune mie collaborazioni: qualcuna è stata pubblicata, la gran parte,
no. Valeva la regola: «in odium auctoris»? Se no, mi permetto di rimandare una
corrispondenza di mero valore storico che credo del tutto neutra sotto il
profilo delle mie solite ubbie sarcastiche e denigratorie.
Con i sensi
della più cordiale stima. Mi abbia dev.mo
Calogero Taverna
Via Lorenzo
Rocci, 68
00151 ROMA
tel. 0665742876
e.mail: racalmuto@libero.it
Racalmuto è
davvero arabica?
di Calogero
Taverna
Anni or sono
L’AMICO DEL POPOLO pubblicava un’interessante corrispondenza da Comitini per
informarci che il centro endrisiano di Gardûtah andava attribuito non a Racalmuto ma a quel
rinomato insediamento solfifero dell’agrigentino. Il corrispondente traeva
spunto dal rinvenimento di una locale necropoli araba. Secondo il valente
articolista, si doveva pertanto abbandonare l’antica congettura dell’Amari non
foss’altro perché Racalmuto equivaleva a Rachal.Maut.
E qui il nostro dissenso è totale.
Prima del 1271
non si sa di alcun agglomerato racalmutese, comunque lo si voglia denominare.
Abbiamo definito cervellotiche congetture le pur ricorrenti teorie di segno
opposto, osando persino contraddire «la più autorevole penna del paese» (ci sia
consentita l’autocitazione: C. Taverna, La signoria racalmutese dei Del Carretto).
Silenzio nelle fonti arabe; buio nelle cronache del Malaterra; sorprendente
reticenza nella geografia dell’Edrisi; mistero nelle più antiche carte
capitolari di Agrigento. Appare per la prima volta un toponimo ragionevolmente
riferibile a Racalmuto soltanto nel 1271 in un regesto del De Lellis che si
custodiva negli archivi angioini di Napoli (sfortunatamente andato distrutto
nell’ultima guerra ad opera dei nazisti).
Abbondiamo,
invece, di tentativi volti a dare un senso al toponimo, ritenuto arabo già dai
primi storici dell’agrigentino; per Fazello Rayhalmutum
è un sarracenicum oppidum ; vi fa eco
il Pirro per il quale Rahyalmutum era
Saracenicum olim oppidum; l’abate
Vito Amico elabora per primo una lettura etimologica e nel suo dizionario
topografico Racalmuto «è paese saracenico, come si ricava dallo stesso nome,
poiché fra gli arabi vale Rahalmut casale decaduto o diruto, indica perciò
essere stata forse in quel luogo un’antica terra diroccata.»
La trascrizione
in arabo di Rahal-Maut quale Villaggio della morte è, come si sa,
frutto del tardo apprendimento dell’arabo da parte del noto storico agrigentino
Giuseppe Picone. Ma il Garufi definisce ‘cervellotiche’ tutte queste funeree
etimologie. Da ultimo l’arabista Pellegrini sovverte ogni tradizionale
interpretazione e in un suo autorevole dizionario etimologico fornisce questo
originale significato: «Racalmuto deriva
dall’arabo Rahl al Mudd = uguale Casalis Modi (Cusa 24, 25 e 221) ‘sosta,
casale’ del Mudd<latino modium ‘Moggio’».
C’è da domandarsi che fine fanno le varie ipotesi degli
eruditi locali che accennano a derivazioni dall’antico centro sicano di Mothion
(Messana e padre Salvo) o dall’ultimo emiro di Agrigento, Chamuth (Parisi).
Uscendo dalle
secche dell’etimologia, nulla abbiamo che ci conforti sull’esistenza di un
centro saraceno a Racalmuto sia nel periodo della dominazione araba, sia nei
due secoli successivi: il silenzio storico è totale sino al tempo in cui Carlo
d’Angiò assegna a Pietro Negrello di Belmonte il casale di Rachal-chamuth, in pertinentiis Agrigenti, sottratto al traditore Federico Musca, come
si evince dal citato regesto del 1271 degli archivi angioini.
Non sappiamo
neppure se la trascrizione del toponimo sia corretta o alterata e per la
distruzione bellica del regesto non lo sapremo mai. Se però il casale si
denominasse, nel XIII secolo, davvero Rachal-chamuth (alla stregua di una denominazione per una
contrada di Polizzi risalente ad un secolo prima), le tesi di quanti collegano
il nome del paese ad un personaggio arabo di nome Chamuth (gaito e emiro che
fosse) risulterebbero più attendibili delle letture etimologiche di sì illustri
arabisti. Ed il valore storico sarebbe più rimarchevole.
Racalmuto
sarebbe sorto dopo l’esistenza storica di tali personaggi, successivamente
quindi all’XI secolo, in prossimità del 1271 appunto. Ma fino a quando non vi
saranno campagne di scavi interdisciplinari (del tipo di quelli che la
propinqua Milena vanta), disperando che nuove fonti scritte si rinvengano al riguardo,
quel che si afferma (e per Racalmuto e per Comitini) resta immerso nella
evanescenza della gratuita congettura. Il sottosuolo della parte vecchia del
Castello racalmutese fornisce già sin d’ora – e gli ultimi dispendiosi restauri
vieppiù confermano – segni di una presenza araba tutta da studiare e da
inquadrare nel tempo e nel succedersi degli sconvolgimenti politici. Pensiamo
comunque che nei pressi si fosse insediata una comunità di ‘villani’ arabi,
forse i successori di quei cinque saraceni assegnati nel 1108 da Roberto
Malconvenant al consanguineo Giberto, intento a costruire una chiesa in onore
di S. Margherita nell’ampia estensione di terra concessagli i cui confini
avrebbero lambito Pietralonga e Bigini, località di Castrofilippo ancor oggi esistenti
in contiguità di Racalmuto. Ciò, ovviamente, sempre che si superino le
obiezioni del Collura che reputa trattarsi del paese di S. Margherita Belice.
Resta, ad ogni buon conto, assodato che anche negli antichi diplomi agrigentini
nessuna località chiamata Rachal-Maut affiora e se il silenzio nulla prova, un
qualche indizio è pur ricavabile, magari la remora ad accreditare casali arabi
del tutto ignoti nelle coeve fonti scritte.
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