Da Calogero Taverna "Racalmuto nei millenni" pag . 195
( il) Genio racalmutese sillabò che il senso di quella vita era una lontananza “dalla libertà e dalla giustizia, cioè dalla ragione”. Una Racalmuto né libera né giusta; una Racalmuto nel grembo della follia, dunque. Altro che paese della ragione; sbagliano certi disattenti quando vorrebbero far credere che Sciascia credesse in una Regalpetra dimora di chissà quale dea loica.
Né ammaliati da sopraffine galassie delle paesane rimembranze e neppure inceppati da voglie campanilistiche di vicenduole congetturate a maggior gloria del paese del sale e dello zolfo abbiamo voglia di cogliere davvero molti di quegli sprazzi di inconsueta intelligenza di cui (lo affermiamo senza tema di smentita) è ricca Racalmuto e non abbiamo pudori nel far riaffiorare le propensioni al crimine, al delitto, all’omicidio, alle perversioni, all’usura, agli illeciti arricchimenti, alla pravità insomma di un paese solfifero, atto a trasformare quella bionda materia prima in micidiale polvere da sparo; perché ciò si addice ad una comunità di uomini né angeli né demoni, ma un po’ dell’una un po’ dell’altra natura; di un popolo che non avendo mai avuto bisogno di eroi (per non avere guai) di guai ne ha avuti tanti per non avere mai avuto bisogno di eroi.
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