Nel caldo
agosto dello scorso anno ebbi l’ardire di sollecitare una resipiscenza
addirittura da parte del Signor Governatore della Banca d’Italia. Perdonatemi il
sussiego stilistico (che apparirà vacuo e falso a chi un po’ mi conosce). Semel
sacerdos, semper sacerdos … ed io in B.I. arrivai ad essere come dire un
arcivescovo e per giunta giovanissimo: figuratevi se può cessare di scorrere nelle
mie vene sangue servile verso il sommo mio superiore, come dire il papa di
santa romana chiesa.
Economia
Lettera al
Governatore di Bankitalia
di Calogero Taverna
Ill.mo Signor Governatore dottor Visco, se Le dico
che sono l’ex ispettore di Vigilanza Calogero Taverna, colgo un sorriso:
Carneade chi era costui. Avventuroso siciliano bazzico di questi tempi la citta
di Rieti. Provo grande rammarico nel vedere sbarrata – e mi dicono in vendita
alla Fondazione Cassa di Risparmio – la gloriosa filiale BI. La realtà reatina
è molto complessa e nulla ha a che fare con la regione o con la stessa
provincia di Roma. Non riesco a comprendere come si proceda ad obnubilare, per
discutibili lesine sulla spesa, gloriose istituzioni. Una sede provinciale è
centro propulsivo propugna iniziative oculate e crea cultura, lega la periferia
al centro, corregge distorsioni al momento del loro insorgere negli affari
bancari e finanziari, svolge una vigilanza a stretto contatto con il
territorio, ed altro, altro ancora. Giammai è vacuità dispersiva di fondi
pubblici. Sono legato alla vecchia legge bancaria e per me resta ineludibile il
brocardo iniziale che voleva raccolta del risparmio ed esercizio del credito
faccende di “interesse pubblico”, espressione che non convinceva i legulei ma
che ha determinato miracoli economici ed ispirato governatori sommi. Visto che
in questo momento né Bertone né Tarantola si sono potuti impossessare dello
scranno di via Nazionale 91, La prego Signor Governatore si conceda una pausa
di riflessione, si convinca che risparmi per riforme dissennate ed “incolte”
vanno dismessi. Gli “americani” che sono approdati a palazzo Koch vanno
rettificati, corretti, ripensati e i loro errori gestionali devono essere
superati ripristinando l’autoctona cultura italiana. E ciò glielo dico da
Sinistra. Riapra Rieti ed altre provvidenziali strutture della periferia. Il
Paese gliene sarebbe grato.
22 agosto 2012
Nei pressi del Natale scorso,
ricevuta una sostituzione della consueta strenna, ma stavolta in forma
personalizzata ed intimista, riscrissi al signor governatore Ignazio Visco. Ne
ho pubblicato il testo, ma emendato dalle confidenze che mi permettevo.
Tante volte avevo scritto ai miei
ex superiori. Lo avevo fatto con Ossola, l’avevo fatto con De Sario, l’avevo
fatto con Finocchiaro, l’avevo fatto soprattutto con Fazio: mai un rigo di
risposta. Non mi degnavano.
Ma mentre me ne stavo in Sicilia,
nel paese di Leonardo Sciascia, ecco una splendida sorpresa: mia moglie mi
legge per filo un carinissimo pensiero personale nientemeno che del signor
governatore Ignazio VISCO.
Codesta lettera per buona
educazione dovrei tenermela riservatissima. Ma a me li stullicherie della buona
borghesia mi danno fastidio. Io la pubblicai. Spero che il governatore non se ne
abbia a male. Non posso dire che sono in buonafede .. in fondo mi sento dispensato da ogni
obbligo di riservatezza perché trattasi di gesto gentile, signorile, democratico,
rispettoso che segna un nuovo deal in Banca d’Italia. Ecco un segno che
qualcosa sta cambiando in questo glorioso istituto con sede in via Nazionale 91
Roma. Che a dire il vero si stava sclerotizzando. Mi attiravo questa sera un
sorriso compiacente di una bella signora (ed a me le donne piacciono anche se
sono fedelissimo a mia moglie; se leggete La Donna del Mossad saprete che assieme a De Sario ero l’unico monogamo
dell’Ispettorato Vigilanza) facendole la genealogia dei successori nel massimo
scranno di Via Nazionale, come per i papi a San Paolo fuori le mura.
Tralasciamo i papi o gli antipapi dell’epoca fascista, dell’occupazione di Roma
e partiamo dall’economo (sic) Einaudi (Andreini veniva malamente sbertucciato
dalla signora governatrice quando si azzardava a lamentare il costo della
bistecca per ottenere una busta in nero in più per il personale: la famiglia
Einaudi correva il rischio di non mangiare più carne). Eccoci Menichella, cupo,
serio o tetro nel parlare con De Gasperi ed altri d’altissimo loco, che pur di
non fare strabordare il pinguissimo bilancio della banca di ultima istanza non
assunse laureati per vent’anni. In Banca d’Italia si assumevano quindi solo
applicati, uscieri e cassieri, semplici principali e centrali che figli di
generali e dintorni andavano a lavorare in tight e cravattino. Certo poteva
scapparci che nel liquidare certi assi ereditari in contanti chiedevano se c’erano
tutti i DE CUIUS.
Venne Carli e fu il Risorgimento.
Questa Italia non più contadina, non più pezzente, euforica, persino opulenta
si deve alla ingegneria finanziaria del principe rinascimentale Guido Carli.
Poi la notte dei lunghi coltelli del settembre 1974. Caso Sindona e Occhiuto
che non vuole saperne di assistenze dissipatrici e si rivolta contro il nordico
antagonista di due gradi superiore a lui, ma inidoneo a tenergli testa. Un
senescente Baffi che passa dai libri ad un doppio talamo avrà gli osanna di chi
glieli vorrà tributare, ma non i miei. Quando una volta ebbi a dovergli fare da
commensale (i signori del Direttorio pensavano di democratizzarsi stando seduti
nella frugale mensa aziendale - ma in stanzette riservate – con quattro o
cinque della carriera direttiva): Oh! Ma lei è quello che l’avvocato Sindona la
redarguisce con un “un tal Calogero Taverna”. La mia carriera era finita! Fece
nervoso andarivieni per una intera notte preparandosi atterrito come uno
studentello per il giorno dopo, convocato da Alibrandi. Ma Alibrandi fu cortesissimo:
si alzò in piedi e andò ad ossequiarlo. L’interrogatorio fu un rispettosissimo declinare
le generalità e il magistrato si scusò persino per l’incomodo.
Lascio Ercolani alle sue
conquiste, anche ad ottant’anni e mi dovrei dilungare nell’ossequio a Ciampi:
diciamo che nessun grande uomo è grande per la sua cameriera ed io cameriere di codesti grandi uomini lo
sono stato. Non fatemi parlare, finirei inquisito per vilipendio. Certo io a
Ciampi glie ne ho dette .. ma lui me ne ha date. Chiamerei a testimoniare
persino Sarcinelli.
Che dire di Fazio? In questi
ultimi tempi mi ero persino impegnato a difenderlo, ma uno sciagurato Confiteor
con risposte in latino ad un abile Mucchetti ha rovinato tutto: una condanna
definitiva ed un rinvio al secondo grado da parte della Cassazione lo stanno
squartando anche finanziariamente, persino il grande avvocato deve pagare di
tasca sua: la Banca d’Italia non intende accollarsi spese legali di sorta.
Sull’americanino Gradi che debbo dire? Non è che l’occultamento di
derivati dalla finanza creativa di provenienza statunitense si deve a questo ex
direttore generale del tesoro, emigrato in America e ritornato come estraneo ai
vertici dell’ex istituto di emissione.
Ora che la Tarantola non è finita
al top di via Nazionale per predilezione cardinalizia e per volontà del novello
uomo della provvidenza un tal Silvio, insufflato da un tal Giulio junior e al suo posto per un mancato regolamento dell’art.
19 ci sta il dottor Ignazio Visco io comincio a rasserenarmi. E’ uomo avveduto e
colto, sa davvero di economia, è integro, educato e con qualche venatura rossa
che ai miei occhi non guasta. Il MPS non gli appartiene: non è toscano, non è livornese,
non è triglia. L’Italia può ben sperare. I dipendenti della Banca d’Italia un
po’meno: si è messo in testa che la parsimonia si addice all’Istituto che una
volta emetteva carta moneta. Non mi
piace che ogni lunedì nella sua sede di via XX settembre in quella strana cassa
che si dice di sovvenzioni, c’è la fila da parte di postulanti qualche migliaio
di euro chiesti in prestito sotto forma di apercredito.
Quello che Visco mi dice in risposta
ai miei convenevoli (si fa per dire) l’accetto di buon grado e ringrazio.
Peccato che non ho figli, diversamente quella elegante lettera gliela avrei
lasciato come cespite di altissimo valore.
Quanto alla risposta per Rieti,
sono molto costernato ma debbo dire che non sono d’accordo: se la Banca d’Italia
ragiona con il metro mercantilistico dei costi/benefici scade in banale
organismo con l’obbligo del profitto. E mi si dice che di questi tempi manco il
conto economico riesce più a chiudere. Scempiaggine: mi chiamino e in quattro e
quattr’otto pinguissimo ritorna il saldo sotto la linea patrimoniale. Certo
quando la Tarantola faceva la ragioniera le cose sballottavano. Vi sento puzza qui di vecchia gestione, alla Finocchiaro
per intenderci. No! Signor governatore non si faccia infinocchiare: si sa che
questo non è il suo campo. Non si fidi degli eredi dell’uomo che impoverì i
dipendenti creando un ribellismo nella compagine impiegatizia che tanto ha
contribuito al deterioramento del buon nome dell’istituto. Esiste l’Istituto
della mobilità; non occorre licenziare basta spostare. Ai tempi di Carli
(meglio di Occhiuto) l’ispettore capo alla Vigilana come cambiava e come
migliorava il Servizio.
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