
Tentativo arduo far passare un luogo di prevalente
sparlittiu...come luogo della memoria culturale!
Aggiungo subito il
tempo dello “sparlittiu” è morto e sepolto: oggi tra le brume di un’Ade in
melanconica raccolta di anime evaporate soffiano, di tanto in tanto, aliti
queruli una triade di vecchi mariti senza più moglie sotto l’egida di un
sempiterno homo schettus.
Il tempo dello
sparlettiu vi fu: non per nulla vergai
è il più vecchio circolo di
Racalmuto, il più glorioso, quello maggiormente emblematico di una classe media
con aspirazioni nobiliari. Oggi è di certo meno pretenzioso, più riservato,
amante del pettegolezzo d’alto bordo - tra il politico, il sociale,
l’irriverente, il caustico, il miscredente. A sera pochi soci ormai cercano di
perpetuare il cicaleccio arrogante, impietoso ed ilare dei personaggi passati
alla storia (letteraria) per la penna di Leonardo Sciascia. Ma di don
Ferdinando Trupia, di Martinez, di Lascuda, di don Carmelo Mormino, del dott.
La Ferla, di don Antonio Marino ormai neppure l’ombra. I loro eredi - quasi
tutti professionisti affermati in Continente o a Palermo - hanno ritenuto di
potere sbeffeggiare il circolo dei loro sbeffeggiati (da Sciascia) antenati
facendosi espellere per morosità da una deputazione post-sessantotto, di
estrazione non nobile e talora persino proletaria. La fuoriuscita dei virgulti
degli antichi galantuomini vorremmo dire
è persino fisiologica.
A sera, ora, tocca alla facondia suadente e beffarda di Guglielmo
S. mantenere viva la conversazione al circolo: gli fa eco il tranchant
assiomatismo di Calogero S.; sorride con intelligente silenzio Gioacchino F.;
fino a qualche anno fa scoppiava l’ira funesta dell’avv. Salvatore C.; al dott.
Gioacchino T. il compito del divertito spettatore; Ignazio P. ascolta silente,
ma si arrabbia se gli toccano la sua Democrazia; il Presidente non è faceto: se
occorre stigmatizza; Salvatore S. arriva tardi, in tempo per un paio di sorrisi
se Guglielmo S. è in vena nelle sue sforbicianti allusioni. Quando vado a
Racalmuto, partecipo anch’io a tali dibattiti serotini: nessuno ha voglia di
prendermi sul serio: provoco, sono provocato, insolentisco, vengo insolentito:
la serata passa piacevole: val la pena di pagare quel piccolo contributo quale
socio con “dimora precaria”.
Di tanto in tanto arrivano poesie in vernacolo: sono composizioni
miserande, cattive, senza gusto: sono intollerabili. I soci però sembrano
divertirsi lo stesso.
Leonardo Sciascia trasse motivi ed argomenti per il suo iconoclasto
deridere i poveri galantuomini di Racalmuto. Vi era associato; lo eleggevano
deputato e persino cassiere. Ma amava stroncare quei figuri nati effettivamente
per lasciare “un’affossatura nelle poltrene del circolo”. Ebbe il cattivo gusto
di morire lasciando in sospeso il pagamento dei “buoni” associativi:
inflessibili i membri della deputazione non mancarono di verbalizzare nel 1992
la circostanza.
Lo scrittore è disinvolto nell’accennare alle gloriose origini del
circolo: «Il circolo della concordia - annota quasi con prosa burocratica [1] - prima denominato dei
nobili, poi della concordia poi dopolavoro 3 gennaio, sotto l’AMG sede della
Democrazia Sociale (il primo partito apparso in questa zona della Sicilia
all’arrivo degli americani e dagli americani protetto) e infine ribattezzato della
concordia, pare sia stato fondato prima del 66, se appunto nel 66 la
popolazione infuriata contro le sabaude leve, istintivamente trovando un certo
rapporto tra la leva che toglieva i figli e i nobili che se ne stavano al
circolo molto volenterosamente vi appiccò il fuoco; ma pare ne ricevessero
danno soltanto i mobili, le persone si erano squagliate al primo avviso, le
sale restarono superficialmente sconciate.»

Non è più uno scherzo ora, tutti ci sono dentro, lo studente ascolta le confidenze del giudice di corte d’appello in pensione”. Nella rappresentazione letteraria la ritualità della “conversazione”, che autogratifica con la sua immobilità l’Olimpo paesano, dà quasi un senso alla stessa esistenza: ci si sente, allora, “lievi e giustificati, d’aver vissuto tutta la giornata soltanto per attendere, come una novità, come una grazia insolita e particolare, quest’ora che compendia le ragioni ideali del mondo, che chiarifica e motiva finalmente l’esistenza, rianima l’immoto flusso dei giorni, riattacca la morta gora dell’abitudine al canale della continuità”. Una continuità che nell’illusione di molti esercita, ancor oggi, come un fossile vivente, esercita il fascinoso richiamo di un’elitaria società che più non esiste.»

Si deve a me, alla mia entratura sino all’alta presidenza del Banco
di Sicilia, sino al mio ex collega dottor Alfio Noto, se il circolo c’è ancora.
Ed il connubio con l’ex BdS è antico e nobile, comprendendo anche il soave Gasparino
Salvo.
La sopravvivenza del sodalizio si deve a me. Ma volendo risorgere a
nova vita, i residui della vecchia generazione si consegnarono a giovani da
poco senza i pantaloni corti che speravano in lanci nello scrivere quotidiano;
vi approdarono anche aedi del giornalismo d’oggidì; taluni rampanti della
politica locale credettero che con aria sagrestana o con cipiglio libertario
potessero trovare linfa elettorale. Ma di votanti che salgono lo sbarrante architettonico accesso di Via Rapisardi non ne
conosco. Si allargarono le maglie selettive celeberrime e si fecero soci
onorari industrialotti di paese o ministre affaccendate. Un disastro! Spero che
tante menti fulgide della Racalmuto
risorgente più dell’araba fenice approdino in una istituzione che pur
appartiene loro anche per dovere ereditario delle crestomantiche loro famiglie.
Nessun commento:
Posta un commento