Tempo fa (il 24 ottobre del 2012 scrivevo una nota acidletta che ha avuto molto successo. In coda stillavo questi pensieri teatranti. Roba per il teatro Comunale Regia Margherita di Racalmuto. Gli aedi del paese manco mi hanno sbirciato. Glieli ripropino. Davvero non c'è nulla che possa giovare non alla fondazione che è cosa che serve solo per giustificare quelche LSU di riguardo e qualche credenza ove esporre un baroccocostume lirico del defunto tenore Puma, peraltro mio grande amico.
Torno al Veneziano. Provocato, cerco di saperne di più. Leggo:
In campo poetico, il petrarchismo allora
dominante trova modo di esprimersi sia in dialetto con Antonio Veneziano
(1580-1593), autore di un canzoniere in due libri intitolato "Celia",
sia in lingua toscaneggiante con le Rime di Argisto Giuffredi (1535-1593).
E qui una folgorazione: Perché Carbone, Petrotto, Taverna, Borsellino. Liotta, Cutaia. Martorana (donna), Barracecchia (donna), Matrona ed altri letterati che non conosco non ci rechiamo a frotta dal Romamo messinese commissario e diciamo noi vogliamo fare opera culturale al Teatro Margherita. Noi mettiamo in scena la “CELIA” del Veneziano. Jannello credo che ci seguirebbe. Gli faremmo fare teatro e così si calma un po’.
A me preme di mettere in scena L’EDIPU di un favarese, testo sublime in lingua della nostra costola staccatasi a Favara. E’ testo che regge il passo a qualsiasi traduzione nell’italico idioma di un tal SOFOCLE, greco.
P.S. – L’unica correzione che mi aspettavo non venne e cioè “un tal di prima” da identificare con “un tal di grado”.
P.S. n.2 -Interpello Giacomino e finalmente mi dice il nome del mancato romanziere negletto da Sciascia: un soggetto molto strambo analfabeta con la mania della scrittura. Non sta più a Racalmuto. Tolto Giacomino, il mio excursus regge tutto e l'ira del neofita romanziere che non riesce a carpire una sollecitazione sciasciana con un grande attore comico catanese resta tutto.
P.S. n. 3 Col provessò le cose si sono tutte addolcite e viviamo entrambi in simbiosi letteraria e bloggistica: bizzarro lui, bizzarro io tutto finisce in bizzarria al quadrato.
P.S. n.4 – Quando in Giacinto Spagnoletti “storia della
letteratura italiana del Novecento” sono stato folgorato da questo inappellabile
giudizio su Veneziano “scialbo rimatore petrarchista in lingua”, mi son detto
niente CELIA c’è di meglio da portare sulle vecchie e gloriose tavole del Regina
Margherita d Racalmuto.
Come si noterà tre P.S. non son da perdere- E comunque ripeto l'intera acidità della mia nota ottobrina.
Scrivo questa
nota aciduletta in serenità senza acrimonia, quasi divertito. Certo a venire
indispettito da sacerdoti del museo degli errori di Aldo Gabrilelli non è molto
sollazzevole. Ah provesso’guarda che non mi importa un fico secco se
quale dietro a vocale non si apostrofa, se si parla mascolino. Oltretutto quel
lapsus non è mio: è di uno che sta subendo tutti gli oltraggi alla sua umanità,
definita ostativa, ma il ridicolo di precari in eterna attesa a passare di
ruolo, maniaci di matite bicolori, l’ha potuto almeno quello dribblare. Ma
guarda che là hai messo l’accento sulla e che è congiunzione; ma no è
volutamente verbo, rafforza il concetto. Ma alle scuole medie non è consentito.
Ma che vuoi che ad ottant’anni torni al ginnasio? ci stetti dal 1945 al 1950
(allora i cinque anni si chiamavano così, con bel termine classico; vero che si
diceva punto interrogativo che guai a dirlo ora, in tempi di punto di domanda).
Pinzillacchere, direbbe Totò: concordo.
Ed eccoci
all’erudizione storica: qui le cose si fan ardue. Veneziano non bruciò in un
carcere del Santo Ufficio. No, vengo erudito e mi dà tedio:
Non
in quelle del Sant'Uffizio ma "nelle prigioni di Castellammare, in
Palermo, a causa di una esplosione di polvere da sparo dell'artiglieria, posta
nel magazzino delle carceri", come precisa, e questo ti farà piacere, un
altro racalmutese, il poeta-notaio Giuseppe Pedalino, in un libretto che
contiene i proverbi dialettali del Veneziano e, a conferma della considerazione
del suo poetare in siciliano, i versi del Cervantes a lui dedicati: "El
cielo que el ingegno vuestro mira...". "Il ciel, che tanto ingegno in
te rimira...".
A me Pedalino
non piace: prima fa le carte false per farsi dichiarare sansepolcrista e poi
strilla se per un omonimo dell’abate Vella di Grotte ha qualche guaio dalle
questure (per sua fortuna sottoposte a bravi grandi sbirri racamutesi). Come
poeta mi dice nulla: quasi tutti siamo capaci di tradurre dall’italico
linguaggio allo sciapito vernacolo. Chi ha letto le quartine del Veneziano si
accorge che scrivere versi ispirati in dialetto è tutt’altra cosa.
Io il
Veneziano lo ricordo solo per qualche spiegazione datami dal maestro Sciascia,
se non ricordo male a proposito del carcere in cui morì un certo inquisitore
per le muffole di tal sedicente diacono Matina. Sarà Castellammare il carcere,
ma sempre del sant’uffizio era (credo la casa del goliardo a Palermo di fronte
al quale c’era un sottoscala ove si mangiava tutto a metà, mezza bruccetta,
gridò una volta un irato compaesanuzzu nostro perennemente iscritto a
non ricordo quale facoltà – miseria d’altri tempi, la nostra.
Ma
sto Pidalinu picchì Sciascia manco lo vede? Non l’aveva letto? Certo Sciascia
era stullicusu. Non volle accreditare nessun racalmutese come magari bella promessa
del bello scrivere. Perché? Uno, che sol perché aveva un nonno bizzarro, voleva
a tutti i costi diventare scrittore, scrisse un manoscritto, lo passò a
Giacomino acciocché lo passare all’eremita della noce e lo accreditasse magari
ad un attore vernacolo di Catania. Giacomino tentò. Sciascia finse di dare uno
sguardo. Forse lo lesse. Poi chiamò Giacomino: e chi ta ddiri; si continua
forsi arrinesci! Ta addiri però ca cu sti tempi ca currinu nun cci
capisciu nenti; chiddu ca mi pari nnutili, avi un successu assà di tunnu.
Donaccillu . eh .. eh ..
Naturalmente
ci persi nna vintina di munuti pi diri chiddu ca dissi. (Preciso: qui
cerco onomatopaicamente di rendere la lingua parlata, cosa diversa da quella
colta o letteraria che dir si voglia. Molto meglio di me qualcosa del genere mi
pare che il Sommo ebbe a dirla nel prefazionare OCCHIO DI CAPRA.
Torno
al Veneziano. Provocato, cerco di saperne di più. Leggo:
In campo poetico,
il petrarchismo allora dominante trova modo di esprimersi sia in dialetto con
Antonio Veneziano (1580-1593), autore di un canzoniere in due libri intitolato
"Celia", sia in lingua toscaneggiante con le Rime di Argisto
Giuffredi (1535-1593).
E
qui una folgorazione: Perché Carbone, Petrotto, Taverna, Borsellino. Liotta,
Cutaia. Martorana (donna), Barracecchia (donna), Matrona ed altri letterati che
non conosco non ci rechiamo a frotta dal Romamo messinese commissario e diciamo
noi vogliamo fare opera culturale al Teatro Margherita. Noi mettiamo in scena
la “CELIA” del Veneziano. Jannello credo che
ci seguirebbe. Gli faremmo fare teatro e così si calma un po’.
A
me preme di mettere in scena L’EDIPU di un favarese, testo sublime in lingua
della nostra costola staccatasi a Favara. E’ testo che regge il passo a
qualsiasi traduzione nell’italico idioma di un tal SOFOCLE, greco.
P.S.
– L’unica correzione che mi aspettavo non venne e cioè “un tal di prima” da
identificare con “un tal di grado”.
P.S.
n.2 -Interpello Giacomino e finalmente mi dice il nome del mancato romanziere
negletto da Sciascia: un soggetto molto strambo analfabeta con la mania della
scrittura. Non sta più a Racalmuto. Tolto Giacomino, il mio excursus regge
tutto e l'ira del neofita romanziere che non riesce a carpire una
sollecitazione sciasciana con un grande attore comico catanese resta tutto.
P.S.
n. 3 Col provessò le cose si sono
tutte addolcite e viviamo entrambi in simbiosi letteraria e bloggistica:
bizzarro lui, bizzarro io tutto finisce in bizzarria al quadrato.
P.S. n.4 – Quando in
Giacinto Spagnoletti “storia della letteratura italiana del Novecento” sono
stato folgorato da questo inappellabile giudizio su Veneziano “scialbo rimatore
petrarchista lingua”. Mi sono allora detto niente CELIA c’è di meglio da portare
sulle vecchie e gloriose tavole del Regina Margherita di Racalmuto.
3 commenti:
Sul rapporto Sciascia - Pedalino ho già scritto e pubblicato qualche tempo fa, da te sollecitato lo riproporrò.
Mi diceva l'altra sera Pippo Di Falco che anche Pasolini avrebbe scritto su Pedaino. Se è così faccio ammenda del mio pregiudizio. Che però resiste dopo la mia scoperta del traccheggio sul sansepolcrismo del nostro compaesano poeta e notaio.
L'altra sera mi diceva Pippo Di Falco che su Pedalino avrebbe scritto anche Pasolini. Ammetto la mia totale ignoranza anche in proposito. Forse la mia prevenzione su codesto nostro compaesano che ho visto nella Biblioteca Comunale in corrispondenza con la nota maestra Taibi è indebita. Si dà il caso che quando nell'Arcihio Centrale dello Stato mi sono imbattutto in tutto quel traccheggio sul suo sansepolcrismo (evidentemente falso) le mie scarse capacità di essere adulatore sono del tutto svanite
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