In Anatomia dell'Immagine, Hans Bellmer disserta: "... un oggetto, per esempio un piede femminile, è 'reale' solo se il desiderio non lo prende fatalmente per un piede. L'uomo che ha paura aggiunge: 'vai nella foresta, prendi il coltello per tagliare quello che credi un ramo e scopri di aver tagliato il tuo stesso braccio. Lo choc provato davanti alla duplicità delle apparenze è troppo violento perché il gioco del paragone poetico invalso ne esaurisca la carica, perché non venga fatto di proporsi una revisione radicale dei nostri concetti di identità. Se l'epilettico riesce a esteriorizzare la sua sofferenza in un doppio allucinatorio, vanno altresì sottolineati quei casi analoghi, ma di gran lunga meno eccezionali , in cui l'espressione del dolore o del piacere si proietta su un'immagine già esistente, pronta ad assumere il ruolo di fonte virtuale di eccitazione." Se non si è disponibili a calarsi in una tale ragnatela concettuale, la pittura di Accursio Vinti vi sfugge tutta. Non ditemi: non si capisce; confessereste di non aver capito. e brutta versione di voi date. Nel momento in cui desiderate un piede femminile quel piede non è più reale o meglio è duplice: nel momento in cui quel piede diviene colore, macchia, linea, o quello cui il pittore allude, abbiamo molteplice identità del piede, "i nostri concetti di identità" vanno radicalmente revisionati. E Accursio è un fiume in piena nello sdoppiarsi, nell'esprimersi esteriorizzando la sua idea, la sua identità, la sua sofferenza o il suo piacere o altro e altro ancora. E' pittura, grande pittura, non è fotografia.
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