Corso principale e chiesa Matrice di Racalmuto in una
vecchia foto del 1867 (Festa del Monte) - Archivio di famiglia di Giuseppe
Delfino
Il
grandissimo storico spagnolo Surita ha una pagina che ci coinvolge, che attiene
proprio ai Del Carretto fiancheggiatori del Duca di Montblanc. Essa recita :
Antes
que la armada llegasse a Sicilia; el Rey dio su senteçia contra el Conde de
Agosta, como contra rebelde, es ingratissimo a las mercedes y beneficios que
avia recebido del Rey su padre, y se confiscaron a la corona las islas de
Malta, y del Gozo, y las vallas de Mineo y Naro, y otros muchos lugares de los barones
que se habian rebelado, y el Conde murio luego: y con la llegada de la armada la
execucion se hi zo rigorosamente contra ellos, y di se entonces el officio de
maestre justicier al Conde Nicolas de Peralta, que vivio pocos meses despues.
Murio tambien en este tiempo Ugo de Santapau, y quedo en servicio del Rey de
Sicilia Galceran de Santapau su hermano: y por este tiempo embio el Rey a don
Artal de Luna, hijo de don Fernan Lopez de Luna a Sicilia, para que se criasse en la casa del Rey su hijo, que era
su primo, y sucedio despues en la casa de Peralta, que era un gran estado en
aquel reyno. Sirvio tambien al rey de Sicilia en esta guerra, que duro
algunos annos, Gerardo de Carreto Marques de Sahona: y haziendose la guerra
muy cruel contra los rebeldes, el Conde de Veyntemilla, que sucedio en el
Contado de Golisano al conde Francisco su padre se reduxo a la obediencia del
Rey ...
Per il
Surita, dunque, fu Gerardo del Carretto, Marchese di Savona, che si mise al
servizio del re di Sicilia, Martino, nella nota guerra che durò alcuni anni. Lo
spagnolo desunse questa notizia dagli archivi aragonesi, di certo, ma abbiamo
il dubbio che ad ispirarlo siano state le cronache cinquecentesche, specie
quelle del Fazello. Se attendibili, queste note di cronaca ci svelano il fatto
che Gerardo del Carretto attorno al 1392 si faceva passare come marchese di
Savona, il che non collima proprio con la storia di quella città ligure. Più
che il fratello Matteo del Carretto, sarebbe Gerardo a darsi da fare in un
primo tempo per accattivarsi le simpatie dei Martino. Sarebbe sempre Gerardo a
mettersi a guerreggiare in difesa dei catalani nella lotta contro la parzialità
latina di Sicilia. Quanto credito si possa concedere è questione ardua, non
risolvibile allo stato delle attuali conoscenze.
Una
documentazione probante della titolarità su Racalmuto i Del Carretto sono,
comunque, costretti a darla alla fine del secolo, quando la cancelleria dei
Martino diviene intransigente e vuole prove certe delle pretese feudali. Alle
prese con la corte non è più però Gerardo ma Matteo, il fratello cadetto. Fu
vero l’atto transattivo tra i fratelli che fu presentato alla corte in quello
che può considerarsi il primo processo per l’investitura della baronia di
Racalmuto? Davvero avvenne il riparto dei beni tra i due fratelli? Fu solo
formalizzata l’assegnazione delle possidenze genovesi al primogenito Gerardo e
l’attribuzione dei beni feudali e burgensatici di Sicilia - in particolare il
castro di Racalmuto - al cadetto Matteo Del Carretto? Interrogatvi cui non
siamo in grado di dare risposte certe.
Sui Del Carretto di
Racalmuto è reperibile una folta letteratura, specie fra storici ed eruditi del
Seicento; ma solo Sciascia (vedansi Le parrocchie di Regalpetra e Morte
dell'inquisitore), scavalcando il vacuo curiosare araldico, scandaglia gli
amari gravami di quella signoria feudale. Peccato che il grande scrittore si
sia voluto attenere, sino alla fine dei suoi giorni, ai dati cronachistici
dell'acerbo Tinebra Martorana. Finisce, così, col dare fuorviante credibilità a
vicende inventate o pasticciate. Sono da notare, ad esempio, queste topiche
piuttosto gravi:
1. Il 'Girolamo terzo Del Carretto' che «moriva per mano del
boia: colpevole di una congiura che tendeva all'indipendenza del regno di
Sicilia» () è inesistente. A salire sul patibolo allestito nel 'regio castello'
di Palermo era stato lo scervellato Giovanni V del Carretto il 26 febbraio
1650. Quello che si indica come Girolamo quarto è invece il terzo. Dopo una
parentesi in cui il feudo di Racalmuto risulta della vedova del malcapitato
Giovanni V, la contea viene restituita, nel 1654, al predetto Girolamo III.
Costui, finché subì l'influenza della prima moglie Melchiorra Lanza Moncada
figlia del conte di Sommatino, fu munifico verso conventi, ospedale e chiese.
Ma quando fu prossimo ai cinquant'anni,() forse perché oberato dai debiti, si
scatenò contro il clero di Racalmuto, denegandogli le esenzioni terriere
risalenti all'ultimo barone Giovanni III Del Carretto () ed intentando contro
di esso, presso il Tribunale della Gran Corte, una causa che poteva costargli
una scottante scomunica.
Alla fine dei Seicento, il
2 giugno 1687, Girolamo III del Carretto si spoglia della contea, sicuramente
per sfuggire ai creditori, facendone donazione al figlio Giuseppe. Ma costui
premuore al padre e pertanto il feudo ritorna sotto la titolarità di Girolamo
III sino alla sua morte, con la quale si estingue la signoria dei Del Carretto
su Racalmuto. Un Girolamo IV (), dunque, non è mai esistito.
2. Giovanni V Del Carretto non "contrasse parentado con
Beatrice Ventimiglia, figlia di Giovanni I, principe di Castelnuovo" come
vorrebbe - sulla scia del Villabianca () - il Tinebra-Martorana, riecheggiato
più volte da Sciascia. Costei, invero, ne era la madre ed era proprio quella
Beatrice protagonista del pasticciaccio che nel maggio del 1622 sarebbe stato perpetrato insieme "al
priore degli agostiniani ed al servo di Vita" ().
3. Che Girolamo II Del Carretto sia il massimo responsabile
della «vessatoria pressione fiscale» del terraggio e del terraggiolo,
«canoni e tasse enfiteutiche ... applicati con pesantezza ed arbitrio» ed «in
modo particolarmente crudele e brigantesco» () dal conte in parola, è forzatura
storica. Il terraggiolo fu tassa sui 'cittadini et habitaturi' della
Terra di Racalmuto osteggiata sin dai tempi degli ultimi baroni del Cinquecento.
Nel 1580 il neo-conte Girolamo I, dissanguato finanziariamente dalla sua mania
per i titoli altisonanti - quello di conte riesce a conseguirlo, quello di
marchese, no -, trova giurati compiacenti ed ordisce una 'transazione
consensuale'. Nel 1609, quando Girolamo II è appena dodicenne, il suo tutore
architetta con i maggiorenti di Racalmuto una furbata che verrà poi del tutto
cassata nel 1613: si pensa di sostituire il terraggiolo con una
donazione una tantum di 34.000 scudi da far gravare su tutti gli abitanti di
Racalmuto. Gli effetti furono disastrosi, pensiamo più per il conte che per
racalmutesi. I fondi della donazione risultarono irreperibili. Si optò per un
reddito annuo del 7% (2.380 scudi) da far pagare a tutti i residenti, dovessero
o non dovessero il terraggiolo (e cioè due salme di frumento per ogni
salma di terra coltivata in feudi diversi da quello di Racalmuto). Furono 700
le famiglie che presero la fuga. Nel 1613, avendo maggior peso il sedicenne
Girolamo Del Carretto, si ritornò all'antico regime sancito nel 1580. L'anno
dopo, frate Evodio di Polizzi fondava il convento degli agostiniani 'riformati
di S. Adriano' a San Giuliano. Rem promovente Hieronymo Comite, scrive
il Pirro. Che ragione avesse poi, otto anni dopo, il frate a mutare la doverosa
gratitudine in rancore omicida non può spiegarsi con la stravagante tradizione
riportata dal Tinebra. A ben vedere, il frate ebbe a limitare la sua opera alla
primissima fase. Passò quindi ad altri conventi ed a Racalmuto con tutta
probabilità non mise più piede. Le carte della Matrice, così diuturnamente
puntuali per quel periodo, giammai accennano al padre agostiniano (Evodio o
Fuodio o Odio, comunque si chiamasse).
Val dunque la pena di
tentare una veridica storia dei Del Carretto? A noi pare di sì. In definitiva,
anche se di vita 'appena descrivibile',
si tratta pur sempre della storia di Racalmuto.
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