La politica della Curia Vescovile di Agrigento.
Vi è stata una doppia morale matrimoniale?
Ricchi e poveri, tutti uguali?
I vescovi "rinascimentali" agrigentini.
Il laicato racalmutese
Fede e preti a Racalmuto
Quarantacinque anni di eventi
Una rapina di Stato.
D.: Continuo sul piano della provocazione. Nel Settecento, mi è sembrato che ci fosse un atteggiamento differenziato della curia vescovile nei confronti dei matrimoni tra parenti. Quando si trattava di poveri, scattava tutto un processo con l’adozione di provvedimenti che imponevano atti di mortificazione pubblica. I fidanzati dovevano cingersi il capo con una corona di spine e in ginocchio dovevano chiedere perdono sul sagrato delle chiese: dovevano così recitarsi in ginocchio tanti rosari davanti a tante chiese. Veniva dato incarico al Vicario Foraneo affinché vigilasse sul completo adempimento delle penitenze inflitte. Quando, invece, si trattava dei cosiddetti galantuomini, i matrimoni tra parenti, anche tra primi cugini, non solo non venivano osteggiati ma persino favoriti. Ci si guardava bene dal comminare pubbliche penitenze come per i poveri. E questo si trascina fino a certi conclamati gesuiti dell’epoca contemporanea. Questa faccenda, al laico suona molto strana. Si domanda: ma che ci stanno, secondo la curia vescovile, due morali matrimoniali: quella dei ricchi e quella dei poveri? Per converso, il sacerdozio locale mi è apparso piuttosto lungimirante ed equo.
R.: Che in passato ci sia stato qualche inconveniente, è fuori discussione. La Chiesa, si sa, dall’interno ha modificato certi atteggiamenti giuridici. Molti canoni sono stati aboliti, molti canoni attenuati, molti canoni cambiati. Abbiamo un codice nuovo, ben diverso da quello antico. La Chiesa ha dovuto modificare il suo atteggiamento per stare al passo con i tempi. C’è stata una maturità popolare e questa è stata registrata dalla Chiesa. Ricordo che nei primi anni di sacerdozio, per i fuggitivi c’era il matrimonio in sagrestia. Era umiliante, ma serviva anche da deterrente, per evitare gli abusi. Oggi la gente ha più maturità, più coscienza. Una mea culpa ricade sui sacerdoti, che non erano riusciti a far maturare religiosamente i propri fedeli. Ma c’era il peccato per ignoranza della povera gente e bisognava correggerla per evitare il peggio. Le ingiustizie? E dove non sono?
D.: Durante l’arcipretura Puma, ho avuto l’impressione - naturalmente sono un osservatore non qualificato ed esterno - che le due morali matrimoniali, quella dei ricchi e quella dei poveri, si siano finalmente unificate. Non posso dire altrettanto per l’arcipretura del suo predecessore.
R.: Beh! .. il mio predecessore ha avuto grandi virtù: sono stato con lui una vita. Carattere forte, duro, qualche volta, ma a volte era necessario prendere atteggiamenti e decisioni dure. Bisognava creare una certa coscienza. Andare ai Sacramenti senza una preparazione, accostarvisi con leggerezza, erano malvezzi da correggere, anche con durezza. Quell’arciprete andava giustificato. Avrei preferito, invece, meno severità e più disponibilità verso la gente. A ciò ci stiamo uniformando io ed i miei confratelli. Bisognava più convincere che reprimere. Con l’amore si ottiene di più, come diceva don Bosco, della rigidità.
D.: Perché negli alti prelati c’è una sorta di diffidenza nei confronti dei poveri ed una sorta di intelligenza con i ricchi? Ci si scorda che nel Vangelo sta scritto «è più facile che un cammello entri nella cruna di un ago che un ricco nel regno dei cieli»? Perché invece i parroci, l’arciprete, il basso clero che sono più a contatto con il popolo, sovvertono quell’atteggiamento?
R.: Diceva il servo di Dio padre Elia Lauricella: «bisogna avvicinare i ricchi e tenerseli vicini perché facciano del bene ai poveri.». Credo che questa sia una strategia intelligente, pastorale. Nel Vangelo non c’è scritto che si devono disprezzare i ricchi. Certo non bisogna affiancarsi ai potenti sol perché sono potenti. Occorre comunque stare in mezzo ai poveri, perché la Chiesa è dei poveri. Lo diceva anche papa Giovanni: Ecclesia pauperum. Essere poveri non va considerata una gran bella cosa. La maggior parte del mondo vive in povertà non per sua scelta. Sorge il problema dell’aiuto che occorre approntare. Un aiuto verso i fratelli poveri.
D.: Premesso che a me i vescovi rinascimentali non piacciono, mi pare che gli ultimi tre o quattro vescovi agrigentini siano di tutt’altra paste. Non sono, di certo, rinascimentali.
R.: Sì, I vescovi di oggi sono diversi, perché è cambiato anche lo stile della Chiesa. I trionfalismi di una volta sono sorpassati. Il tipo di cultura ecclesiale è cambiato. Il vescovo ora è fratello fra i fratelli, per quanto riguarda i sacerdoti. Il vescovo è ora un pastore: gira, si muore, entra a stretto contatto con i fedeli della sua diocesi. Prima, invero, non era così. Ai tempi, il vescovo aveva il potere, aveva autorità e quindi era il vertice. Oggi, con il Concilio Vaticano II, il Pastore sta al centro: la Chiesa non è più verticale, come si pensava una volta; la Chiesa è circolare. Al centro il parroco con le varie entità come il Consiglio pastorale, presbiterale, Consiglio economico. Prima il parroco era il deus ex machina e accentrava tutto, mentre i laici erano scollati. Oggi il laicato ha ripreso il suo ruolo. Rammentiamoci che il laicato ha i doni che abbiamo avuto noi sacerdoti: il laico battezzato è sacerdote, fa parte del regno di Dio, ed ha anche l’ufficio profetico. Quindi i laici predicano, annunciano la parola di Dio e mutano nel tempo.
D.: A tal proposito, c’è a Racalmuto un laicato fervido?
R.: Grazie a Dio, sì. Anzi, addirittura qualche vescovo mi diceva: «fortunato, perché lei ha collaboratori numerosi». Non possiamo cantare vittoria .. ma, tutto sommato, ci è lecito un moto di soddisfazione. Sotto questo profilo, siamo a posto.
D.: Quando nel 1960 ho dovuto emigrare da Racalmuto, per motivi di lavoro, ho lasciato un paese povero, con grande miseria, con strade sporche, con case invivibili, oggi - a parte il vezzo di piangere miseria, che è vecchia abitudine contadina - il paese mi pare di gran lunga cresciuto, economicamente parlando. A questa crescita economica - se vi è stata - si è accompagnata una crescita religiosa?
R.: Sì, possiamo affermare con certezza che c’è anche una crescita religiosa. Ad esempio, le varie parrocchie - che prima stentavano ed avevano vita grama - ora sono fervide, con varie associazioni, con tante belle iniziative, vi si celebrano incontri parrocchiali ed interparrocchiali. La consulta che già è nata fra i giovani è efficiente. Abbiamo organizzato gli incontri anche col Vescovo. Stanno sorgendo, anche, dei movimenti artistici, lirici. Tutte le occasioni servono per essere anche noi presenti e dire una buona parola, anche di incoraggiamento. Ciò dimostra che cosa? Una maggiore apertura ed una maggiore coscienza da parte delle famiglie che incoraggiano questi ragazzi a vivere la vita della parrocchia. Sarebbe auspicabile che le Amministrazioni comunali concertino con le parrocchie attività a respiro annuale. Su questa lunghezza d’onda ancora non ci siamo.
D.: Trenta quarant’anni fa, a Racalmuto - mi consenta una battuta - c’erano tanti preti .. e poca fede; ho l’impressione che ora ci stia tanta fede ma pochi preti.
R.: Ih! ...ih! ... ih! [piccolo accenno al riso]. Vuoi forse dire che è scattato un processo inversamente proporzionale? Beh! Io non vorrei giudicare il passato; comunque mi consta che nel passato vi erano uomini di fede granitica. Se la fede si deve misurare dalle opere, allora dobbiamo dire che in passato attività se ne fecero. Le varie chiese che sono state costruite dalle varie maestranze sono l’attestato più bello. Le varie opere caritative come la casa della fanciulla, la Misericordia (quella della mastranza), il maritaggio dell’orfana, furono edificanti iniziative dei nostri padri racalmutesi, atti bellissimi di fede. Ecco, perché mi sembra un po’ azzardato avanzare riserve sulla fede degli antichi di Racalmuto. Col cambiare dei tempi, certo cambiano le manifestazione di fede. Anche oggi abbiamo tante belle manifestazioni di fede .. specie per l’apporto dei laici che suppliscono alle deficienze numeriche di sacerdoti.
D.: Altra domanda scottante... Come giudica le vicende politiche di Racalmuto?
R.: Beh! .. Racalmuto ha avuto la mala sorte di avere subito amministrazioni poco accorte. Forse elementi non preparati sufficientemente hanno potuto scalare i vertici del potere locale. Ma contro le tristi vicende che abbiamo subito c’è stata una reazione che dobbiamo definire sana. Si è cercato di ovviare alle varie piaghe che si sono aperte. Ma dal punto di vista amministrativo, c’è stata una specie di corsa .... ai beni, più che al bene comune. Ai beni, di vario genere. Quindi il paese si è sviluppato piuttosto caoticamente. Ognuno ha cercato di fare a modo proprio. Tanti hanno cercato di affermarsi con il potere. In case, sono finiti i sudati risparmi dell’onesto lavoro dei racalmutesi, del lavoro degli emigranti. In politica, qualcosa, molto deve cambiare: così il paese non può migliorare.
[Questo passo dell’intervista appare decisamente datato: si riferisce al tempo - trascorso ormai da vari anni - in cui si è svolta la stessa intervista. Non vi si può attribuire valore attuale o riferimento alla presente congiuntura politico-amministrativa del paese, n.d.r.]
D.: In quarantacinque anni di sacerdozio, ne saranno successi di tutti i colori. Ricorda eventi belli, eventi brutti?
R.: Eventi brutti? ... possiamo dire anno per anno. Eventi belli, dopo la guerra? ... quelli a livello nazionale della ricostruzione. Riflessi sul posto, tanti. Poi abbiamo avuto il nefasto blocco dell’attività edilizia. Dei tempi buoni, a respiro nazionale, noi racalmutesi ne abbiamo usufruito, però, tutto sommato, poco. La povera gente è rimasta delusa. Molti dovettero uscire fuori dal paese, per trovare lavoro. Sono dovuti andare a cercare pane altrove. In Germania, ad esempio. E’ stata un’emigrazione dolorosissima. La migliore gioventù è dovuta emigrare. Andare negli Stati Uniti, in Canada. Qualcuno poté emigrare con qualche documento parrocchiale ... vorrei dire un po’ ... truccato. Allora c’era lo spauracchio del comunismo. Qualcuno doveva, per emigrare, rinnegare la propria ideologia, che poteva risultare sgradita e fingere di professare quella ... gradita. Tutto questo non è stato bello. Abbiamo avuto le sciagure minerarie del Belgio che hanno coinvolto anche nostri emigranti. Sono uscito diverse volte: sono stato in Belgio, in Germania, due volte negli Stati Uniti. Ho avuto modo di vedere i nostri emigranti nella loro nuova patria; ho potuto scorgere il buono ed il cattivo, il positivo ed il negativo, della loro nuova vita.
In definitiva, il paese, dal punto di vista socio-economico, non possiamo dire che sia migliorato di molto. Si è soltanto difeso.
D.: .... sono convinto che se si sapesse la verità sui depositi bancari, sulla sottoscrizione dei titoli pubblici, sulle disponibilità, addirittura, in valuta estera, sui depositi postali, di Racalmuto, forse, il giudizio cambierebbe.
R.: Sì, perché si tratta di un paese parsimonioso. Noi in definitiva discendiamo dai giudei: risparmiatori, avvezzi alle banche, ai depositi. La gente nostra non è abituata ad investire. Anche perché ha avuto diffidenza verso le istituzioni finanziarie (e talora grosse fregature). Una diffidenza che ha investito anche le istituzioni finanziarie d’ispirazione ecclesiastica.
D.: Padre Puma, lei accennava alla grande emigrazione degli anni quaranta, cinquanta... sessanta. Ne derivò un forte flusso di rimesse degli emigranti... mal convertite in lire dalle banche. L’Italia ha potuto sfruttarle per costruire le sue fortune, per cui oggi, nel bene o nel male, viene considerata la sesta, settima ottava potenza economica del mondo. Queste rimesse degli emigranti, già mal convertite in lire e finite in depositi bancari, sono state quindi polverizzate dall’inflazione galoppante degli anni settanta. Lo Stato quindi è doppiamente debitore nei confronti di Racalmuto. Non riesco a capire perché a livello nazionale si vuole recitare il de profundis allo Stato assistenziale e rompere con ogni forma di sovvenzione al Sud (e quindi a Racalmuto), dimenticando che si debbono atti di risarcimento, di riparazione. Lei è sacerdote e quindi le cose dell’economia le lascia agli economisti. Il suo parere resta però sempre interessante: si tratta pur sempre delle condizioni di vita dei suoi parrocchiani.
R.: Io - per quello che ho potuto constatare, sentire, avvertire - debbo sottolineare che qui la mano del minatore, del bracciante, dell’operaio, del commerciante, è stata sempre defraudata. Il mare di rimesse dall’estero non ha lambito, vivificato le nostre aride terre. Sono d’accordo, dunque, sul fatto che lo Stato è fortemente debitore. Addirittura, se ci rivolgiamo alle banche per prestiti, loro fanno gli indiani verso i racalmutesi. Le banche locali, già assorbite da quelle colossali del continente, sono molto aperte a prendere (i depositi racalmutesi), ma del tutto restie a dare (accordare prestiti, finanziare, etc.). Noi non abbiamo avuto agevolazioni da parte delle banche. Sono scesi come i predatori - mi dispiace dire questa frase - perché sanno dove pescare. E qui hanno sempre pescato un po’ tutti. Nel vicino paese di Grotte, invero, è stato diverso. I grottesi si sono serviti delle banche per i loro investimenti, ma lì vige un’altra mentalità, diversa da quella racalmutese. Non va sottaciuto il ruolo della Regione Siciliana. Essa ha comprato a poco prezzo le miniere: ha fatto sorgere delle società alquanto speculative. Beh! Sappiamo tutti come sono andate a finire le miniere racalmutesi. Quando si è finalmente levata una voce di protesta, questa voce - voce nel deserto - è stata soffocata.
Una rapina di Stato.
D.: Di fronte a questa - che io azzardatamente chiamerei - rapina di Stato, secondo lei il sacerdote deve mantenere un atteggiamento di dignitosa distanza o è chiamato ad elevare, se non altro, un grido di protesta?
R.: Ma credo che il grido di protesta sia stato spesso elevato. Io non accetto la supina rassegnazione che alcuni, impropriamente, dicono cristiana. La rassegnazione cristiana è valore ben diverso rispetto a ciò che suona omertà, silenzio, acquiescenza che per secoli hanno danneggiato questa povera gente siciliana. Tanto ha dato adito al rifiorire della mafia, all’ingrossamento delle fila della mafia, ai 43.000 killer che spadroneggiano e fanno tutto quello che credono. Tutto questo è l’effetto. Ma le cause non sono forse quelle a cui abbiamo accennato? Chi doveva provvedere non ha provveduto. Chi doveva agire non ha agito. Chi doveva gridare non ha gridato. Noi sacerdoti abbiamo questo compito di gridare perché si dice: il cane che non abbaia, non è un buon cane. Noi siamo come i cani da guardia che dobbiamo abbaiare, se non altro per scongiurare i pericoli. Ma non basta denunciare i pericoli, occorre provvedere. Mettersi a fianco della povera gente, a fianco dei sindacati, in un’azione a pro’ dei meno abbienti.
D.: Ci stanno le virtù teologali ed i peccati capitali ... Quanti sono .... sette i peccati capitali, mi pare. Quali sono le virtù teologali dei racalmutesi e quali i peccati capitali?
R.: Le virtù teologali - lo sappiamo - sono fede, speranza, carità. Vivere solo di speranza significa ... morire disperati. La fede non è soltanto fede che ci sia Dio, ma mettere in pratica i comandamenti e la legge di Dio, costi quello che costi. Qualcuno magari ci rimette la pelle. Amare non è vacuo parlare. Amore significa condivisione: soffrire con quelli che soffrono e magari qualche volta venire emarginati. Qualche volta ti sbattono la porta in faccia e tu devi essere inopportuno come dice S. Paolo.
I vizi capitali sono sette, ma sono ancora di più, i vizi. Quelli sono capitali, ma ce ne sono tanti altri, che magari possono sembrare virtù. ( ih!..ih!... sorrisetto beffardo).
D.: Mi rendo conto che non possiamo continuare su questo tasto perché la prudenza del sacerdote è ostativa. Scatta da parte mia il sacro rispetto verso la riservatezza totale del sacerdote che non può certo svelare i segreti più intimi dei suoi parrocchiani. Passiamo ad altro. Nel 1860 Garibaldi conquista anche Racalmuto. Distrugge tutti i pii lasciti che sono costati lagrime di sangue alle nostre pie trisavole del cinquecento o del seicento. Sussistevano vincoli: dovevano recitarsi sante messe in perpetuo per la loro anima. Pro Deo et anima testatricis è la formula ricorrente nei Rolli delle confraternite che si conservano in Matrice. Tali sacri vincoli, oggi come vengono onorati?
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