Tra le
altre sventure Giovanni V del Carretto ebbe quella di essere pronipote della
terribile donna Aldonza del Carretto, proprio quella che passa per benefattrice
di Racalmuto per avervi voluto il chiostro femminile della Badia.
Donna
Aldonza era figlia, come si disse, di Girolamo I del Carretto, il primo conte
di Racalmuto che lasciò ben sei figlie femmine (la stessa Aldonza, Diana,
Ippolita, Giovanna, Eumilia e Margherita)
e tre figli maschi (Giovanni IV, Aleramo e Giuseppe). Sull’erede
Giovanni IV caddero i pesi del cosiddetto “paragio” - una cospicua dote per
ogni fratello e per ogni sorella. Pare
che il violento conte non se ne desse eccessivo pensiero. Snobbò principalmente
di dotare le sorelle specie quella zitellona che fu donna Aldonza. Questa non
glielo perdonò mai, specie sul letto di morte. Redasse un testamento, tanto pio
quanto subdolo verso l’inviso fratello conte. Lo escluse, innanzi tutto, dal
nutrito numero dei suoi eredi universali,[1] che invece
limitò alle sorelle donna Diana, donna Ippolita, donna Giovanna, donna Eumilia
e donna Margherita del Carretto «...eius sorores pro equali portione, salvis
tamen legatis, fidei commissis, dispositionibus praedictis et infrascriptis».
Dopo
aver fatto alcuni lasciti per la sua anima ed aver dato le disposizioni per l’erezione del
convento di Santa Chiara, si ricorda del non amato fratello maggiore Giovanni
in questi termini: «..et perché a detta D. Aldonza ci competiscono li doti di
paraggio sopra lo stato di Racalmuto et beni di detto quondam suo Padre una con
li frutti di essi doti, pertanto essa D. Aldonza testatrici declara volere
detti doti di paraggio una con li detti frutti di essi et volersi letari di
quelli, in virtù di tutti e qualsivoglia
leggi et altri ragioni in suo favore dittarsi et disponersi, non
obstante si potesse pretendere in contrario, in virtù di qualsivoglia
testamento et dispositione, delle quali leggi in suo favore disponenti, essa
voli et intendi servirsi et usari in juditiarij et extra, sempre in suo favore,
conforme alle leggi et ragione di essa testatrice tiene, le quali doti di
paraggio, una con li frutti di quelle, siano
et s’intendano instituti heredi universali per equale porzione atteso
che di li frutti detti doti ni lassao et lassa à D. Gio: lo Carretto conte di Racalmuto
suo frate onze duecento una volta tantum pro bono amore et pro omni et
quocumque jure eidem Don Joanni quemlibet competenti et competituro et non
aliter.
«Item
dicta testatrice vole et comanda che della liti la quale have fatto di
conseguitare la sua legittima che non ni possa consequire più di onze 600,
oltra di quelli li quali essa D. Aldonza testatrici si ritrova havere havuto;
li quali onze 600 essa testatrice lassao et lassa à d. Gio: Battista et D.
Eumilia del Carretto soi soro oltre della loro portione [parte corrosa, n.d.r.] [di cui alla] presente heredità modo quo supra fatta et hoc pro
bono amore et non aliter..»
Ma
non tutte le sorelle erano eguali per la terribile donna Aldonza. E solo dopo
un paio di nipoti che si ricorda di avere un’altra sorella. A questa solo un
legato di 200 once così condizionato:
«Item
ipsa tetatrix legavit et legat D. Mariae Valguarnera comitissae Asari, eius
sorori, uncias ducentas in pecunia semel tantum solvendas per supradictos
heredes universales infra terminum annorum quatuor numerandorum a die mensis
[mortis] ipsius testatricis et hoc pro bono amore».
Uguale
trattamento per il fratello Aleramo: «Item essa testatrice lassao e lassa à D.
Aleramo del Carretto suo fratello, conte di Gagliano, onzi ducento della somma
di quelle denari che essa testatrici pagao à Giuseppe Platamone per esso D.
Aleramo delli quali detto D. Aleramo è debitori di essa testatrici et hoc pro
bono amore et pro omni et quocumque jure eiusdem D. Aleramo competenti et
competituro.
«Item
essa testatrice declarao et declara che della legittima quale detto Don Aleramo
divi pagando onsi secento tutto lo resto di detta legittima essa testatrice la
lassao e lassa a detto D. Aleramo pro bono amore».
Il
testamento venne redatto l’8 marzo del 1605. Punto importante per Racalmuto era
il lascito per la fabbrica del convento femminile. Vi era detto che “essa
testatrice volle ed espressamente ordina ed ordina ai sopraddetti eredi
universali che subito ed in contanti, appena giunta la morte della medesima
testatrice sopraddetta, i suoi eredi hanno da assegnare e debbono e sono tenute
a versare cento onze di reddito, alla medesima testatrice dovute per il detto
Don Ottavio Lanza principe di Trabia, quota parte della maggior somma dovutale
in virtù e per forza di contratto, affinché si doti un monastero di nuova
fondazione, con il favore di Dio, e lo si costruisca e lo si edifichi nella
predetta terra di Racalmuto. Con codeste cento once annuali si faccia
fabbricare il detto Monastero ed allorché il detto Monastero sarà completo nel
fabbricato ed in ciò che occorrerà”, allora «habbiano da pigliarsi dudici poveri di detta terra et
preditti redditi di onzi cento saranno pro dicto Monasterio videlicet uncias
duodecim (12 onze) per l’elemosina del cappellano, lo quale Monasterio et per
esso li soi officiali et detto cappellano siano tenuti ogni giorno celebrare
una messa allu Venniri, (e) si dica la messa delli cinque piaghi del Signore et
un’altra delli Angeli et la colletta a Santo Micheli Arcangelo et onze 88 pro
vitto et vestito di detti dudici Monachi poveri da monacarsi per nenti ma per
l’amor di Dio. E tutto per remissione di suoi peccati, La electione delli quali
monachi si facci per l’arcipreti et Guardiano di Santa Maria di Jesu di detta
terra di Racalmuto ...»
Il chiostro
di Santa Chiara aprì i battenti poco prima del 1649. Ad Agrigento (Archivio di
Stato - inventario n. 46 Vol. 533) si custodisce il “Libro d’esito del
Venerabile Monasterio di S. Chiara fundato in questa terra di Racalmuto
dell’anno terza inditione 1649”. La prima registrazione è del 24 agosto 1649.
Dalla morte della testatrice (1605) alla realizzazione dell’opera passano
dunque 44 anni. Se non vi furono latrocini, dovettero essere spesi 4.400 onze,
come dire due miliardi e mezzo circa delle nostre lire pre Euro. Tutto quel
tempo impiegato per costruire il convento, ha dell’inspiegabile; ma alla fin
fine le sorelle superstiti di donna Aldonza (o i loro eredi) rispettarono la
volontà testamentaria della terribile virago. Nel chiostro, però, non andarono
solo giovanette chiamate dal Signore di bisognevoli condizioni economiche.
Verso la fine del Seicento vi può entrare una Lo Brutto. L’omonimo arciprete
annota nei libri della matrice: «Victoria figlia di Giaijmo LO BRUTTO e della quondam Melchiora, entrò nel
monastero di Santa Clara per monacharsi di questa terra di Racalmuto a 24
giugno 8.a Ind. 1685 in presenza dell'Ecc.mi Sig.ri d. Geronimo e Donna Melchiora
del CARRETTO conte e contessa di detta terra, dell'ecc.mo Prencipino don
Gioseppe et ill.mi donna Maria e donna Gioseppa figli di d.i sig.ri eccell.mi -
Dr don Vincenzo LO BRUTTO Archip. di detta terra.»
Nel
1807 il convento è ormai luogo di preghiera (o di frustrazione) delle sole
signorine di buona famiglia che i genitori reputano di non dovere sposare per
esigenze di bilancio familiare. Lo prova questa sorta di organico monacale:
MARIA AGNESE FARRAUTO SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA ANGELICA PICONE SUORA
MONASTERO S. CHIARA
MARIA ANTONIA AMELLA SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA ARCANGELA GRILLO SUORA
MONASTERO S. CHIARA
MARIA CARMELA CAVALLARO SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA CATERINA TIRONE SUORA
MONASTERO S. CHIARA
MARIA CROCIFISSA FARRAUTO SUORA
MONASTERO S. CHIARA
MARIA EMANUELA GRILLO SUORA
MONASTERO S. CHIARA
MARIA FRANCESCA SAVITTERI SUORA
MONASTERO S. CHIARA
MARIA GABRIELLA GRILLO SUORA
MONASTERO S. CHIARA
MARIA GRAZIA SCIBETTA SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA MADDALENA AVARELLO SUORA
MONASTERO S. CHIARA
MARIA NICOLETTA GRILLO SUORA
MONASTERO S. CHIARA
MARIA RAFFAELLA CAVALLARO SUORA
MONASTERO S. CHIARA
MARIA ROSARIA TULUMELLO SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA SALESIA VINCI SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA SERAFINA ALFANO SUORA
MONASTERO S. CHIARA
MARIA VENERANDA GRILLO SUORA
MONASTERO S. CHIARA
PETRA ANTONIA MATRONA SUORA MONASTERO S. CHIARA
PETRA MARGHERITA CAMPANELLA SUORA
MONASTERO S. CHIARA
VINCENZA PAOLO MATTINA SUORA MONASTERO S. CHIARA
MARIA CHERUBINA GRILLO SUORA
MONASTERO S. CHIAIRA
MARIA GIACINTA GRILLO SUORA MONASTERO S .CHIARA
FRANCESCA CASTELLO CONVERSA MONASTERO S. CHIARA
IGNAZIA SERRAVILLO CONVERSA MONASTERO S. CHIARA
VINCENZA BERTOLINO CONVERSA MONASTERO S. CHIARA
Dovevano
bene ricordarsene i Matrona, i Savatteri, i Grillo, i Vinci, i Farrauto, i
Cavallaro, gli Alfano, i Tulumello, i Tirone, quando con le leggi Siccardi,
dopo l’Unità d’Italia, non parve loro vero di arraffare i beni della chiesa e
di trasformare quel convento secolare in una fabbrica di San Pietro per
sperperare soldi pubblici in nome del decoro della costruenda casa comunale. Ed
oggi, la chiesa ove vennero sepolte quelle “poverette” è luogo di raduno
pubblico e vi si vanno concerti profani, sopra le obliate ceneri di quelle
monache. Neppure una lapide a ricordarle. (Basterebbe scorrere i libri di morte
della Matrice per farne una doverosa ricognizione). Neppure un fiore. Neanche
un segno esteriore, un monito. I soldi di donna Aldonza sono stati rapinati dai
governi sabaudi. Anche a Racalmuto, alla fine, risultarono stregati, come la
sua non molto pia donatrice testamentaria.
Ritornando
ai fatti di famiglia dei del Carretto, in quel testamento non troviamo alcunché
che ricordi anche il fratello di donna Aldonza, Giuseppe. Forse perché già
morto?
Ma
non basta. Se ci si addentra nei processi per investitura dei Del Carretto,
sbuca fuori un’altra sorella: Beatrice del Carretto,[2] morta nel
settembre del 1592. Tirando le somme, su Giovanni del Carretto il buon genitore
Girolamo scaricava le doti di ‘paragio’ di otto sorelle[3] e due
fratelli. Poi, si aggiungeranno i carichi di un paio di figli ‘illegittimi’ e,
naturalmente, l’eredità ab intestato
per l’unico figlio legittimo, il conte di Racalmuto per antonomasia, Girolamo
del Carretto. Su quest’ultimo si abbatteranno i fendenti di una tale complessa
situazione patrimoniale, carica di soggiogazioni anche per le tanti doti di
‘paragio’. Sarà stato per questo, ma si dà il caso che il giovane conte del
Carretto, all’età di ventitre anni si spoglia di tutto, facendone donazione ai
due figli Giovanni e Dorotea e nominando governatrice la moglie Beatrice e
tutore il fratello (o fratellastro) don Vincenzo del Carretto, arciprete di
Racalmuto.
Il fatto
poi è che il testamento di donna Aldonza, per una sorta di ricorso perverso,
viene riesumato a danno sul nostro
Giovanni V del Carretto. Un documento del Fondo Palagonia ci svela l’arcano. [4] E’ il 10
ottobre del 1645: Giovanni V del Carretto ha ora 36 anni, sta a Palermo, non
crediamo che avesse voglia di fare dei colpi di stato per far nominare re di
Sicilia il cognato, il conte di Mazarino. E’ costretto a stipulare un contratto
(in effetti una transazione) con il dottore in
utroque Giuseppe Bonafante. Su questa figura di prelato vedasi il Nalbone.
([5]) Si
trattava in effeti del “procuratore generale e protettore del venerabile
convento di Santa Rosalia” in Palermo.
Costui
aveva ottenuto dal consultore Don Diego de Uzeda una “provvisionale” datata 5
luglio 1643. L’ingiunzione seguiva ad una sentenza del 5 maggio 1643 che
investiva in pieno il conte di Racalmuto. Questi veniva condannato a pagare entro un mese al monastero di Santa
Rosalia di Palermo «dotes de paragio D. Aldonzae, d. Margaritae, d. Eumiliae et
d. Joannae de Carretto», le doti di paragio (quelle abbiamo prima citate) di
quattro delle otto sorelle del trucidato conte Giovanni IV del Carretto. E non
era una bazzecola: si trattava di once 7.687, diciassette tarì e tre grani. Un
calcolo in moneta attuale? era la cospicua cifra di quasi quattro miliardi e
mezzo.
Ma che
diavolo era avvenuto?
Come si
disse, anche sul letto di morte presso il pauroso concento di Santa Caterina,
donna Aldonza del Carretto non sia acquietò contro il fratello Giovanni per la
faccenda del paragio. V’era in corso una causa: la vecchia non voleva che con
la sua morte, la lite andasse in nulla a favore del fratello. Stabilì dunque
che il paragio, dedotte duecento onze per tacitazione dei diritti del conte del
Carretto, andasse alle sorelle che istituiva sue eredi universali. Il passo del
testamento è eloquente:
«Et perche a detta D. Aldonza ci competiscono
li doti di paraggio sopra lo stato di Racalmuto et beni di detto quondam suo
Padre una con li frutti di essi doti, pertanto essa donna Aldonza testatrici
declara voleri detti doti di paraggio una con li detti frutti di essi et
volersi letari di quelli. In vertù di tutti e qualsivoglia leggi et altri
raggioni in suo favore dittanti et disponenti non obstante si potesse
pretendere in contrario, in virtù di qualsivoglia testamento et disposizione
delle quali leggi in suo favore disponenti, essa vole et intendi servirsi et
usari in juditiarijs et axtra sempre in suo favore conforme alle leggi et
ragione di essa testatrice tiene; le quali doti di paraggio una con li frutti
di quelle siano et s’intendano insitituti heredi universali per eguale portione
atteso che di li frutti detti doti ni lassao et lassa a Don Giovanni lo
Carretto conte di Racalmuto suo frate onze duecento una volta tantum pro bono
amore et pro omni et quocumque jure eidem don Joanni quemlibet competenti et
competituro et non aliter.
«Item detta testatrice vole e comanda che della lite
la quali have fatto di consequitare la sua legittima che non ni possa
conseguire più di onze 600 oltra di quelli li quali essa donna Aldonza
testatrici si retrova havere havuto, li quali onze 600 essatestatrici lassao e
lassa a donna Giovanna e d. Eumilia del Carrettosoi soro oltre della loro
portione di cui alla presente heredità modo quo supra fatta pro loro amore et
non aliter nec alio modo.
«Item detta testatrice vole e comanda che morendo
alcuna delli sopra detti heredi universali senza figli legittimi et naturali
nepoti et pronepoti usque in infinitum
che la portione di tali heredità universali et cossì ancora s’intenda
morendo alcuna di detti Donna Giovanna et donna Eumilia senza figli pro ut
supra tanto la loro portione hereditaria quanto la portione di li supra dette
onze 600 si paga allo Monasterio - Deo dante - per essi supra detti heredi
universali in questa città di farsi ...» Con questa ultima clausola il destino del
futuro conte Giovanni V del Carretto viene segnato. E siamo nel giorno 31 marzo
del 1605.
Nel 1625,
sotto l’egida di un sacerdote troppo intraprendente, sorge una sorta di
monastero patrocinato e sovvenzionato dalle tante sorelle del Carretto. Sia
come sia, le doti di paragio di Donna Aldonza, donna Margherita, e donna
Eumilia finisconto negli appetiti del convento. Si sostiene che sarebbero state
devolute per volontà testamentaria in dote del chiostro palermitano.
Attorno al
1635, l’indomabile prete Bonafante intenta causa, quale protettore e
procuratore del convento di Santa Rosalia in Palermo, contro il sedicenne conte
Giovanni V del Carretto. Si nominano periti, si fanno conteggi, si tentano
espedienti formali, ma il 15 luglio del 1643 don Diego de Uzeda, consultore di
Sua eccellenza, condanna irrimediabilmente il giovane conte ad una cifra
enorme. Sulla base delle ricostruzioni contabili di tal gaspare Guarneri, il
conte - sui beni di Racalmuto - deve corrispondere a quell’alieno convento di
Santa Rosalia 7.687 onze, 17 tarì e 3 grani (abbiamo detto circa quattro miliardi
di lire). Il conte soprassiede, ma al 10 ottobre del 1645, la pretesa viene
elevata ad onze 7.977.29.9.
A questo
punto il conte, un po’ più agguerrito, si rammenta di paragi pagati, di
biancheria pregiata fornita in dote, di altri pagamenti a quelle tremende
prozie. Sarebbero oltre mille onze da decurtare dalla pretesa conventuale.
Inoltre,
chiede che si nominino altri periti di sua fiducia. E’ una corsa ad ostacoli
... giudiziari. Soprattutto si offre la cessione dei diritti di baglia di
Racalmuto. Questa offerta viene gradita dagli organi giudicanti. Il padre
Bonafante annusa la trappola e si oppone. Le suorine palermitane giammai
sarebbero state in grado di conseguire quelle tassazioni sui poveri e
riluttanti racalmutesi.
I diritti
di baglia su Racalmuto erano ingenti: 823 onze annuali. Lo attestavano persone
di fiducia del luogo come dalla seguente dichiarazione:
Noi infrascritte
persone di questa terra e contato di Racalmuto facciamo fede a chi spetta
vedere la presente qualmente li frutti della gabella nominata della baglìa di
questa sudetta terra sono li frutti infrascritti cioè mille cinquecento case
quali pagano ogn’anno tt. 12 per ogn’una in detta baglìa importano tutte
[1]) vedi testamento
reperibile in Archivio di Stato di Agrigento - Fondo 46 - vol. 501.
[2])
Archivio di Stato di Palermo - Fondo: Conservatoria Registro - Serie
Investiture - Busta n.° 141- Anni
1636-48 - f. 118 -
Il
documento, invero, riesce ad intricare ancor più le vicende feudali di Cerami
di cui si è detto.
Per gli
eventuali appassionati di araldica ne facciano una sintetica trascrizione,
lasciando però su di loro il gravoso compito di dipanare la matassa - giuridica
ed ereditaria - delle poco chiare vicende e dell’armonia fra i diversi
documenti, distanti quasi un secolo l’uno dall’altro.
«Investitura del fego di Donna Maria in
persona di D. Antonino Grillo.
«Die 16 septembris X ind. 1641 - Apud urbem
felicem Panormi ...
«d. Joseph Burghetti procurator .. vigore procurationis in actis notarii
Ascanij de Frat’Antoni Panormi die 22 februarij IX^ ind. 1641 .. D. Antonii
Grillo baronis pheudi D. Mariae tenentis et possidentis feudum praedictum olim
de membris et pertinentiis baroniae et terrae Ceramis ... ob venditionem de eo
sibi factam sub verbo regio absque spe reddimendi ut dicitur “à lutti passati” per ill.mum D.
Joannem del Carretto Comitem Rahalmuti et baronis dicti feudi et pro eo per
ill.m D. Ferdinandum Isguerra olim consultorem E.S. et judicem deputatum
electum per S. E. in venditionem feudi paedicti per acta notarii Cesaris Luparelli
Panormi die 7. ottobris 9^ ind. 1640 ...
«In quo feudo dictus ill.s D. Jo: Junior
successit tam ut donatarius quondam ill.is Hieronimi del Carretto eius olim
patris, quam uti filius primogenitus
legitimus et naturalis ac indubitatus successor quondam ill.is Hieronimi vigore
donationis in attis notarij Angeli
Castrojoanne terrae Raxhalmutu die X Juliii IIIJ^ ind. 1621, insinuatae in
actis Juratorum dictae terrae eodem die et postea confirmatae per dictum ill.m
D. Hieronimum per quamdam scripturam
privatam seu apodixam manu reverendi patris
Francisci Testa virectoris Collegij Societatis Jesus civitatis Nari,
subscriptam manu ill.s Don Hieronimi et reservatam penes eumdem patrem Rectorem
et exinde per acta notarii Anibalis Musanti
«voluit dictus ill.s del Carretto Don
Hieronimus et expresse mandavit quod post dies duos a die eius mortis praedicta
scriptura seu apodixa vim et roborem habeat et sub dicta dispositione mortuus
fuit sub die primo Maij V^ Ind. 1622.
«Vigore cuius pèer M.R.C. fuerunt confirmati
tutores ill.s D. Beatrix del Carretto et de XXliis vidua relicta dicti quondam Ill.is D.
Hieronimi et U.J.D. D. Vincentius del Carretto dicti don Joannis, moderni
comitis pro ut patet per cedulam receptam penes acta M.R.C. sub die 23 Julii V^
Ind. 1622 et inventarii facti per dictos tutores in actis Anibalis Musanti
Panormi die 3 septembris VI^ ind. 1622
«et dictus ill.s don Hieronimus successit ut
unicus filius ab intestato ob mortem quondam ill.s D. Joannis del Carretto
Senioris eius olim patris, vigore inventarii hereditatis facti in actis notarij
Pauli Mulé Panormi die 7 Maij 6^ ind. 1608
«quod feudum fuit venditum dicto Ill.i Don
Joanni Seniori per don Aleranum et d. Joseph del Carretto fratres per acta
notarii Francisci de Alfano Panormi die 17 septembris 13 Ind. 1599.
«In quo feudo dicti D. Aleramus et d. Joseph
fratres successerunt ob mortem D. Beatricis del Carretto eorum sororis pro ut patet per acta
notarii Joannis Carbone die 12 septembris 1592.
«Quod feudum fuit dotatum dictae D. Beatrici
per D. Elisabettam del Carretto, eius matrem, per acta notarii Michaelis de
Avanzato sub die XJ Augusti primae ind. 1588.
«Quod feudum fuit venditum per donnam
Beatricem Russo et del Caarretto baronissam dictae terrae Ceramis et dominum
quondam ill.m D. Joannem del Carretto Seniorem Jug. vigore actus venditionis in
actis notarij Francisci Palmeri die 6 octobris 2^ ind. 1573.
«Quae Donna Elisabetta coepit investituram
de dicto feudo ut patet per investituram sub die X Aprilis V^ ind. 1577.
«Et quia de successionibus praedictis non
apparunt captae nullae investiturae per supradictos del Carretto, pout erant
obligati juxta formam capitulorum Regni et Regius Fiscus praetendebat penas
tangentes R.C., fuit itaque supplicatum E.S. ex parte sub die 19 Augusti 9^
ind. 1641 quod, stante relatione
magistri Collectoris fuisset provisum quod si solverit uncias centum vinginti
infra dies octo non molestetur.
«Ita quod, cum infra mensem capiat
investituram, pro ut apparet penes acta Tribunalis R.P., sicuti de procuratione
dicti ill.is D. Joannis contracta per supradictum actum, quam quidem
investituram, actus predictos et procurationes supra calendatas, pro curiae
cautela, vidit et recognovit spectabilis vir Regius Consiliarius dilectus,
U.J.D. D. Jacobus Corsettus .
«Constitutus procurator, in presentia Ill.mi
et Ex.mi Domini D. Alfonsi-Henriquez de Caprera Comitis Comitatus Mohac et
Proregis et G.C. huius Siciliae Regni, pro feudo praedicto, ob venditionem et
provisionem praedictam, praestitit atque fecit juramentum et homagium debìtae
fidelitatis et vassallagij amnibus et ore commendatum, in forma debita et
consueta, juxta sacrarum d. Regni constitutionum imperialium continentiam et tenorem, in manibus et posse
praefatae E.S. illud recipientis, nomine et parte S.C. et majestatis domini
nostri Philippi quarti Hispanorum utriusque Siciliae, Hierusalem etc. Regis invictissimi eiusque heredum et
successorum in perpetuum, retentis et reservatis Regiae Curiae eis omnibus;
«quae in privilegio dicti feudi eidem Curiae
reservantur, natura, tamen, et forma feudi in aliquo non mutata, servitio
militari, juribus R.C. et alterius cuiuscumque semper salvis et illesis
remanentibus et non aliter nec alio modo.
«Praesentibus ad hoc pro testibus Gaspare
Bonsignore et Jo: Battista Magliolo ..
alijsque quam pluribus.
«In cuius rei testimonium praesens nota
facta est loco investiturae, redapta et registrata in officiis Regni Siciliae
Protonotarii, et Regiae Cancellariae juxta formam Capitulorum Regni, nullo
tamen per praesentem notam generato prejudicio juribus Regiae Curiae tacite vel
expresse sed illa semper illesa remaneant.
« - Don Juan de Granada Cons. - ... vidit
Corsettus F. P.; Gaspare Guarneri pro...
vidit de Cavallariis, Reg. Coll.».
[3]) Non
sappiamo molto sulle otto sorelle (e le due zie: Maria e Porzia) di Giovanni
IV° del Carretto, ma abbastanza per escludere la fondatezza della pagina di
Eugenio Napoleone Messana (E.N. Messana
- Racalmuto nella storia della Sicilia -
Canicattì 1969, pag. 104) sulla saga familiare dei Savatteri in ordine al
mirabolante matrimonio di Scipione Savatteri con Maria del Carretto con
dotazione, in dispregio delle ferree leggi feudali dell’epoca, di un
improbabile feudo a Gibillini.
E.N. Messana -
come del resto Nicolò Tinebra Martorana, e in definitiva lo stesso Leonardo
Sciascia - subiva, nel far storia, «la tentazione dell’accensione visionaria,
fantastica», per dirla con lo stesso Sciascia.
Nulla di male,
sia chiaro. Basta tenerlo presente.
Ci riferiamo,
per intenderci, a questa simpatica digressione di famiglia:
«Giovanni IV del Carretto, marito di donna
Beatrice Ventimiglia, figlia unica del principe di Castelbuono, quando ascese
alla contea [di Racalmuto] aveva tre figli, Girolamo Aldonza e Porzia. Girolamo
per la legge del maggiorasco vigente era destinato alla successione della
contea.
«Le figlie erano entrambi ospiti della zia
Marzia del Carretto, figlia di Giovanni III, abbatessa di Santa Caterina in
Palermo fino al 1598, data della sua
morte e vi sarebbero forse rimaste se non fossero state riportate in paese nel
1600, per volontà del padre, allarmato dell'insurrezione contro il nuovo
pretore. In quell'occasione Giovanni IV promise le figlie in moglie a quei
cavalieri che gliele avessero ricondotte al castello sane e salve.
«La sorte arrise al milite Scipione
Savatteri che sposò Maria ed ebbe in dote il feudo di Gibillini. Questo
matrimonio diede inizio alla famiglia dei Savatteri di Racalmuto, che risulta
essere la più nobile di tutte le altre.
«I Savatteri infatti discendono da Pable
Zavatier, nobile francese al seguito del conte Ruggero [...]
«Non si hanno notizie dei motivi per cui
Aldonza non contrasse mai nozze, si sa soltanto che lei nel 1605 a proprie
spese fece costruire l'Abbazia di Santa Chiara
...».
Stando al
Villabianca (Sicilia Nobile), l’abbadessa si chiamava Maria e non Marzia.
Lo stesso marchese riporta le lapidi funeree delle due sorelle nei seguenti
termini, dopo aver premesso che:
«Di esso
[Giovanni, il padre del primo conte di Racalmuto] fu nobile prole GIROLAMO , che fu lo stipite della
presente investitura, ..., e le due
femmine MARIA e PORZIA; la prima delle quali si vede sepolta nella Chiesa del
Monastero di Santa Caterina di Palermo dentro un tumolo marmoreo adorno della
seguente iscrizione:
MARIAE de CARRETTO Joannis Domini RAHALMUTI filiae antiquissima, et
praeclarissima SAXONIAE Ducum stirpe, et quadam animi probitate
excellenti foeminae, quae annum aetatis agens septimum se ad Divae
Catharinae Coenobium religiosissimum aggregavit vixitque singu-
lari probitatis exemplo itaque anno 1566 Coenobii Antistita dele-
cta familiam meliore vitae ratione informandam curavit, eiusdem
deinde Coenobii Templo, quod condere inceperat absoluto, vitam omni
laude cumulatam explevit D. PORTIA de CARRETO uxor D. Gasparis
de Barresio illustris vir carissimae sorori hoc amoris, et doloris
monumentum posuit. Vixit annos 70. Antistita annos 30. Obiit
anno 1598.
Scorgendosi la
seconda cioè PORZIA testè avvisata
dentro un altro tumolo, eretto nella Cappella di Nostra Signora della Grazia
della Chiesa de' Padri di S. Cita di Palermo col seguente epitaffio:
Conditur hoc tumulo BARRESIS PORTIA, paris
CARRETTI illustris, candida progenies.
Vivit nobilitas, vivit post funera virtus.
Sic moriens Coeli gaudia laeta subit.
Obiit anno 1607 mense Julii die 25.
Accanto di questo tumolo se ne
vede un altro appartanente ad essa casa CARRETTO, ove si legge:
CARRECTI genere et claro jacet orta Beatrix
virtutum ardenti lumine splendior.
Vixit cara viro moriens, coeloque recepta est,
Inde Beatricis nomen, et homen[sic, ma forse honorem n.d.r.] habet.
D. ARDENTIA ARCAN D. Betricis CARRETTOS PHILADELPHI olim Baro-
nissae matri suae suavissemae tumulum propriis expolitum la-
crymis moestissima
[F.M. EMANUELI e
GAETANI - Della Sicilia Nobile - parte IV - Forni Editore - Copia anastatica
dell'edizione Palermo 1759 - RAGALMUTO - pag. 203 Parte II Libro IV»
La
Marzia di N.E. Messana sembra non esistere.
Quanto
a Scipione Savatteri, i registri della Matrice lo attestano verso la fine del
‘500, ma in termini poco nobiliari.
Fu
comunque un personaggio cospicuo; proveniva da Mussomeli e sposò tal Petra (o
Pina o Petruzza). Dal 1588 al 1595, troviamo tra i battesimi diversi figli di
tal Sipiuni Savatteri, senza orpelli nobiliari. Ecco gli estremi del suo
matrimonio:
12/10/1586 -SAVATERI SCIPIONI DI PAOLINO E BELLADONNA
sposa SAGUNA PETRINA DI ANTONINO E
MARCHISA. Benedice le nozze: don Paolino Paladino -TESTI: Montiliuni Gasparo notaro e cl. Cimbardo
Angilo.
Ma
l’origine dai del Carretto da parte dei Savatteri è, a dire il vero, una
revindica non nuova.
La
sostenne sino alla frenesia tal “Giuseppe Savatteri fu Gaspare di Racalmuto” in un processo
celebratosi in Girgenti il 14 luglio 1876 [Cfr. Archivio Curia Vescovile
Agrigento - Registro Vescovi 1902, pagg. 669 e segg.].
La
causa verteva sulla pretesa del Savatteri di avere per sé il beneficio del
Crocifisso, a suo avviso “usurpato dalle autorità ecclesiastiche di Racalmuto
in pregiudizio della famiglia Lo Brutto, di cui il Savatteri proclamasi il
maggiore dei discendenti”.
Persa
la causa, il Savatteri si rivolse persino al Vaticano per far valere le sue
ragioni. Perse ovviamente il suo tempo.
Presso
la Matrice si trovano alcune carte processuali, significative per la storia dei
benefici ecclesiastici di Racalmuto. Si
legga, ad esempio, la «Comparsa conclusionale dei Signori ben. d. Calogero Matrona
e consorti convenuti - contro: i conjugi d. Giuseppe Savitteri attore e donna
Concetta Matrona, interveniente forzosa - e contro il signor cav. Vincenzo
Ferlazzo Intendente di Finanza - dell’avv.
Giuseppe De Luca (ma, crediamo, con
l’assistenza dell’Arciprete Tirone).
[4])
Archivio di stato di Palermo - Fondo archivistico Palagonia - Serie Fondi Privati
- UNITA’ n.° 636 ff. da 372r a 390r
[5]) Da
Giuseppe Nalbone: Santa Rosalia (dattiloscritto 1994): pag. 8: «Che i del Carretto fossero devoti a S.
Rosalia è anche dimostrato dal fatto che le figlie del Conte di Racalmuto
Girolamo, Margherita e poi Diana, Ippolito, Giovanna, Emilia, fondarono in
Palermo, intorno al 1643, un Monastero intitolato alla Santa, sotto le regole
di S. Benedetto, eretto di fronte alla Chiesa Parrocchiale S. Giovanni dei
Tartari, e completato poi dal fratello Aleramo, nella sede dove don Giovanni
Bonfante sacerdote palermitano, nel 1625, aveva già istituito sotto lo stesso
titolo un conservatorio di donzelle (Gioacchino di Marzo. Biblioteca Storica
Letteraria vol. XIII pag. 287)..
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