Ricevuto il dottor
Cantarella, la placida, materna, parruccata e pia dottoressa TARANTOLA non si
sarà potuta grattar la testa per non guastarsi la recente sistemazione
capelluta. Si sarà domandata: ma cosa è questo secondo pilastro? Qui la lingua
è italica, ma il senso è oscuro, più di quanto avrebbe ammesso il competente
filosofo greco circa il dovere dell’intellettuale di non essere di facile
percettibilità.
Ancora non avevo pubblicato
il magistrale trattato del dottor Grossi. Perché allora sì che la dottoressa
Tarantola non avrebbe avuto ambasce di sorta.
Il secondo PILASTRO di
basilisca confettura eccolo:
1)
Primo
pilastro:
richiesta di un capitale
minimo in funzione del tipo di rischio.
2)
Secondo
pilastro:
supervisione.
3)
Terzo
pilastro:
Trasparenza informativa.
Ma perché doveva tanto affliggersi la signora Vice Direttrice
Generale (prima e credo ultima donna che sia potuta accedere al Direttorio di
palazzo Koch) con ‘ste faccende muratorie?
Perché questo aveva il Cantarella eccepito sul MPS:
«… tali politiche –
associate a una dinamica commerciale che, nel primo semestre del 2010, ha
generato fabbisogni in eccesso al budget
– hanno impattato sulla situazione di liquidità, con effetti significativi sul
livello delle attività disponibili e del funding
gap. Solo negli ultimi mesi sono stati avviati interventi volti a
correggere tali tendenze e a riallineare agli obiettivi l’evoluzione di
impieghi e raccolta diretta.
I rischi finanziari di secondo pilastro così assunti non hanno
trovato adeguata evidenza nel recente resoconto ICAAP (dove, ad es., sono state
giudicate di grado basso le alee di tasso) e nelle stime dei fabbisogni di
capitale interno).»
Diciamo una cosa: dormo o son sveglio? Preliminarmente, per
capirci un po’, prendiamo il dizionario
inglese. Budget è termine frusto e
tutti crediamo di sapere cosa significhi; ma da sacco, fascio e bilancio dell’origine linguistica anglosassone e il
significato eleusino di questa modernissima vigilanza econometrica ce ne corre.
Solo che l’ispettore Cantarella mica tanto chiaro ci appare qui. Occorre
conoscere la retrostante disciplina di settore. Io ad esempio, vecchia
vecchissima scuola, non la conosco e non ho voglia alcuna di conoscerla. Ma son
sicuro manco la Tarantola vi ha dimestichezza. Quando la incrociai nel 1980 in
quel di Milano balbettava sì e no quegli schemi ispettivi alla cui conformazione
ebbi ruoli non proprio secondari. Tutto al macero: ora o parli inglese e sei
addentro al testo della francese sposata marocchina di cui parla il mio
carissimo Lillo di Racalmuto pure in questo blog CONTRA OMNIA RACALMUTO o la
dimensione e i trabocchetti di codesto budget
non li afferri. Non credo che nell’ottobre del 2010 la Tarantola si fosse tanto
profondamente convertita alla nuova mistica ispettiva di quasi terza
generazione basilisca.
Di cosa ciancia quindi il signor Rizzo quando fa scrivere ai
giornali:
«Non sono io il
supertestimone ma la dottoressa Tarantola» - dice Rizzo -, l'ex vicedirettore
generale della Banca d'Italia che nel novembre 2010 lesse la relazione dei
propri ispettori su Mps non trovando nulla da eccepire. Di diverso avviso
sembra essere la Procura di
Trani, orientata all'archiviazione della posizione
dell'attuale presidente Rai.
Rizzo attacca anche il
ministro delle Finanze, Vittorio Grilli, per non avere saputo spiegare le
responsabilità politiche e istituzionali sui buchi nei conti Mps. Riserva
infine due siluri all'operazione Casaforte - approvata dalla Vigilanza - e
secondo lui volutamente tenuta sotto traccia, e ai Monti bonds, operazione di
«trasferimento di ingenti capitali dall'economia reale e dallo Stato alle
banche con la complicità dei loro amici» e il più grande derivato stipulato a
danno del contribuente italiano.»
Una cosa è certa: la Tarantola, candida, può presentare
queste sette paginette ai giudici e dir loro. Questo mi è stato riferito e di conseguenza ho agito. Il sig. Rizzo parla
di cose che non sa ovviamente. E’ consapevole della mia assoluta estraneità ai
fatti per pensare a delitti calunniosi?
Roba da ultrasofistici legulei.
Altro inghippo anglosassone: funding gap. GAP, il mio dizionario mi dice: breccia, apertura, fenditura. Credo che debba passare oltre. Allora
forse: lacuna, divergenza. Dobbiamo
forse andare oltre per interpretazioni derivate, analogiche, astratte. I miei
studi danteschi del liceo classico di sicuro una mano di aiuto me la danno. Ma
sia chiaro: la prima interpretazione è quella letteraria.
Accoppiamo e ci saranno molte più probabilità per capire. Funding: forse dovrei derivarlo da to fund come dire “consolidare,
investire in titoli di stato”. Mi sa che non ci azzecca proprio. Dal
contesto forse (e sottolineo FORSE) l’ermeneutica ardua ed ondivaga ci porta a
seguire il Cantarella, in uso pendulo, giudizi sugli equilibri nelle occorrenze di liquide
di quel colosso che è il monte dei paschi di Siena. Avrei voglia di gridargli Ragazzino, ne ultra crepitam.
Ricevuta una siffatta dissolvente censura cosa restava da
fare alla Tarantola? Dobbiamo rispondere?
No!, riprendiamo il filo del discorso non sul nominalismo –
che pure era branca non spregevole dei corsi liceali di filosofia – ma sulla praxis, sulle cose. Il buon Cantarella,
traghettato il periglioso pelago del sostegno dei titoli pubblici che crede di esorcizzare
con denominazioni sfuggenti come “titoli
gavernativi nazionali” e dimentico forse che la BI sempre banca di stato è
e quindi un invito alle banche coassiali a non permettere il tracollo delle
quotazioni del debito pubblico, scivola e di brutto in una smemoratezza
istituzionale. Qualcuno - e costui di legami al suo istituto ce ne aveva tanti
come tanti ne aveva con i suoi conterranei
- non poteva essere immune da
“pressioni” nel 2008 quando vigente l’art. 57 del
nuovo TULB qualche operazione di imperio l’ebbe ad orchestrarla. E via
nazionale 91 e il direttore generale e tutta la vigilanza amministrativa non
potevano non avere fatto bordone. Dirottare all’estero 9 miliardi di euro non
era una bazzecola. I contraccolpi su tutti i funding gap e su ogni budget
di questo mondo sono onde che non si esauriscono nel poetico spazio di un
mattino. Chi fa kamasutra senza mai
aver visto quella cosa può andare a raccontare e censurare tutte le scemenze di
questo mondo, ma chi da vice direttore generale con delega alla vigilanza dopo
la dipartita del compianto onnisciente Desario (il difensore in parlamento dei
derivati, anche sottoscritti dagli enti pubblici territoriali anche quelli
appioppati dall’euforia tremontiana
persino al periferico Grotte della periferica Sicilia) sa bene le cose, cosa le
resta da fare? Fare applicare una sanzione amministrativa, un pizzicotto cioè o
tre pater ave e gloria per il
confessato peccatuzzo a nome atto impuro da parte di un giovinottello. Ed
infatti supponiamo che una sanzione è scattata a seguito di questa mirabolante
colpa: “ omessa adeguata evidenza
nell’ICAAP”. La Tarantola dovrà andare dal giudice e dire che Lei il suo
dovere l’ha fatto; ha imposto (si fa per dire) ai competenti uffici
amministrativi dell’ex feudo di
Pietrafesa, le “sanzioni amministrative”. Secondo Rizzo e dintorni cosa doveva
fare di più per sciocchezzuole del genere? Doveva chiamare i carabinieri? Non
la mandavano in manicomio (oltre a rimetterci pure il posto per incapacità di
intendere e di volere?
Calogero Taverna
[segue]
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