Reitero una mia
lettera all’avvocato mio cigino Gigi Restivo
Uno storico davvero professionale e serio quale il prof.
Sala, deceduto, ha pubblicato volumi sulla vicenda della "guerra
parallela" che consentì al Duce di istituire questa cosiddetta provincia
di Lubiana per insegnare ai tedeschi come occupare un territorio straniero e
gestirlo "umanitariamente". Emerge che il Messana cercò nel primo
anno della "provincia" di attuare quella politica "umanitaria e
civile" ma non poté fare molto perché "esautorato
dall'esercito". Questo emerge da una probante corrispondenza che naturalmente
la Cernigoi o ignora o intenzionalmente oblitera.
Per il resto la Cernigoi si avvale della "postuma"
farneticazione del Ricciardelli, la quale credo di avere disinnescato in miei
post che mi pare hai letto (magari - scusami - molto superficialmente). Ad ogni
buon conto sto reiterandoli.
Altre pagine di tre testi della Bompiani si ostinano a martellare per infamare
indegnamente il Messana e cioè quelle che attengono alla faccenda di Riesi del
1919 e alla pretesa correità con fra Diavolo nell'ambito della tragica storia
del bandito Giuliano; mi dicevi ieri che anche a te apparivano
"cazzate". Non so se confermi o hai dei ripensamenti. Io resto
maggiormente confermato in favore del Messana
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bandito Giuliano
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La strage di Portella della Ginestra/ Documenti sulla strage/Documento
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VERBALE INTERROGATORIO
DELL’ISPETTORE VITO MESSANA [rectius ETTORE]
Verbale di
continuazione di dibattimento del 20 luglio 1951
[cartella 4, vol. V, n. 5]
D’ordine del Presidente, introdotto il testimone Messana
Ettore fu Clemente di anni 66, nato a Racalmuto (Agrigento) e domiciliato in Roma, Ispettore di Ps.
[Ettore Messana non nacque a Racalmuto, bens^ a Gela da Clemente Messana. Nato
nel 1988, per avere 66 anni dobbiamo essere nel 1956, n.d.r.]
Interrogato in merito ai fatti della causa, risponde:
«Fui mandato in Sicilia a capo dell’Ispettorato Generale di
P.S. per la Sicilia nel maggio 1945 e vi rimasi fino a tutto luglio 1947. Il
decreto che istituì l’Ispettorato è dell’aprile 1945 e funzione di tale organo
fu quella di integrare l’opera repressiva e preventiva nell’eliminazione del
banditismo ed in genere della delinquenza associata in Sicilia».
D. R. «Io ebbi a mia disposizione 750 carabinieri, 350 agenti
e 14 funzionari, che distribuii in tutte le province della Sicilia da Messina a
Trapani. Fui io che istituii i nuclei di carabinieri e polizia nei centri dove
a me sembrò che dovessero essere istituiti. Le mie prime operazioni feci nelle
province di Agrigento e di Catania. Verso la fine del 1945 incominciò ad
affiorare l’attività della banda Giuliano. Tale fatto fece aumentare la mia
attività tanto più che la banda Giuliano e quella di Avila si erano poste al
servizio dell’Evis».
D. R. «Ebbi notizia dei fatti di Portella nelle ore
pomeridiane del 1° maggio 1947. Mi recai ad una riunione indetta dal prefetto
Vittorelli, dove si stabilì una certa azione da svolgersi. L’indomani mi recai
a Piana degli Albanesi ed a San Giuseppe Jato, ove già si era proceduto
all’arresto di quattro persone ad opera di un nucleo dipendente
dall’Ispettorato e dove si era proceduto a largo rastrellamento arrestando
centinaia di persone sospette, le quali però furono quasi tutte rimesse in libertà.
Non essendo emersa a loro carico alcuna responsabilità».
D. R. «Tutto ciò venne fatto ad opera della questura che si
limitò poi a denunciare solo i quattro arrestati».
D. R. «In una riunione tenuta anche alla presenza
dell’Ispettore Generale di P. S. Rosselli, inviato a Palermo dal Ministero, fu
deciso da quest’ultimo che la direzione delle indagini dovesse essere affidata
al questore Giammorcaro e fu così che io passai alle dipendenze di costui»
D. R. «Si venne frattanto a conoscenza che il 1° maggio era
stato sequestrato, dopo la sparatoria, un campiere, certo Busellini, del quale
non si seppe nulla per tanti giorni e che poi fu trovato ucciso in un fossato
da un nucleo alle mie dipendenze».
D. R. «Non so se il ritrovamento del cadavere del Busellini
avvenne a mezzo di cani poliziotti od a mezzo solo di ricerche».
D. R. «Mi sembra di ricordare che sul petto del cadavere del
Busellini fu trovato un cartello con la scritta «questa è la fine dei
traditori», la qualcosa ci convinse che il delitto era stato consumato dalla banda
Giuliano. Tale convinzione ci facemmo anche per il delitto di Portella poiché
ci convincemmo che colui che aveva ucciso Busellini era uno di quelli che aveva
sparato a Portella».
D.R. «Noi dell’Ispettorato, fin dal primo momento, pensammo
che la strage di Portella era da attribuirsi alla banda Giuliano, perché il
fatto era avvenuto nella zona così detta d’imperio della banda stessa, mentre
l’Angrisani ed il Guarino avevano orientamento diverso».
D. R. «Tale convincimento da parte dell’Ispettorato fu però
rafforzato dal rinvenimento del cadavere del Busellini».
Contestatogli che nel verbale di rinvenimento del cadavere
del Busellini non vi è traccia del cartello rinvenuto sul suo cadavere,
risponde:
«Può darsi che io abbia un cattivo ricordo di tale fatto, ma
pure mi sembra di ricordare così».
D. R. «Le indagini continuarono e solo nel giugno avvennero i
primi fermi effettuati dal nucleo centrale comandato dal colonnello
Paolantonio, il quale mi riferiva lo sviluppo di esse».
D. R. «Il rapporto n. 37 fu redatto quando io non ero più
Ispettore Generale in Sicilia, essendo stato sostituito il 1.8.47 dal questore
di Napoli Coglitori».
D. R. «Quasi tutti i fermi avvennero durante la mia
permanenza in Sicilia ed io, giorno per giorno, venivo informato di quanto si
riusciva a sapere dai fermati».
D. R. «L’Ispettorato aveva dei confidenti ed inoltre era in
contatto con alcuni elementi che ci ponevano
in comunicazione con il bandito Ferreri Salvatore».
D. R. «Io nessun contatto diretto ebbi col Ferreri, solo ebbi
rapporti con lui tramite i suddetti elementi di collegamento».
D. R. «Escludo che Ferreri mi abbia fatto sapere i nomi di
coloro che avevano partecipato all’azione di Portella; può darsi che qualche
indicazione l’abbia data al colonnello Paolantonio oppure ad un altro
funzionario di P.S., certo Zappone, che io avevo dislocato nella zona di
Partinico e che fu ucciso a Borgetto in un agguato».
D. R. «Il nostro convincimento che l’azione di Portella era
dovuta alla banda Giuliano fu maggiormente rafforzato dal riconoscimento
effettuato da quattro cacciatori sequestrati in quella mattina del 1° maggio, i
quali in una fotografia di persona a cavallo riconobbero proprio colui che ritenevano
fosse il capo del gruppo che li aveva sequestrati».
D. R. «Il colonnello Paolantonio, fin quando io restai in
Sicilia, non mi parlò mai del fermo di alcuno ritenuto partecipe della strage
di Portella per confidenze avute dal Ferreri».
D. R. «Escludo di aver avuto mai rapporti con Pisciotta
Gaspare, come escludo di avergli rilasciato un tesserino di riconoscimento sia
al suo nome che a quello di Faraci Giuseppe».
Co0ntestatogli che il Pisciotta ha affermato invece di aver
avuto rilasciato un tesserino proprio da lui che glielo fece recapitare tramite
Ferreri, risponde:
«Escludo nel modo più reciso che ciò sia avvenuto».
Richiamato l’imputato Gaspare Pisciotta e contestatagli la
dichiarazione resa dall’Ispettore Messana a proposito del tesserino, risponde:
«Il tesserino lo ebbi tramite Ferreri, portava la firma
Messana, aveva i timbri dell’Ispettorato, fu strappato ed io spero che colui
che lo ha strappato, se ha coscienza, lo dirà».
D. R. «Luca potrà dire qualcosa in merito, può darsi che il
tesserino esista ancora, ma a me risulta che fu stracciato».
Il teste Messana:
D. R. «Io facevo da organo propulsore nell’attività dei miei
funzionari; dissi loro di indagare anche sulla ragione per cui Giuliano fece
l’azione di Portella ma nessuno di essi mi parlò mai su tale fatto».
D. R. «Andai via dalla Sicilia il 31.7.1947 e quindi non mi
occupai più della cosa».
A domanda dell’Avv. Sotgiu, risponde:
«Non ricordo di aver rilasciato al Ferreri un tesserino di
libera circolazione, ma non escludo che esso possa essere stato rilasciato da
altri sotto il mio nome, essendo io il capo dell’Ispettorato. Devo dire per
altro che la mia firma ufficiale è quasi inintellegibile come Messana, anzi
ritengo che sia del tutto inintellegibile».
D.R. «Non rilasciai tesserini di libera circolazione ai
confidenti, non so se ne furono rilasciati a mio nome dai miei dipendenti che
nulla mi riferivano intorno al rilascio di essi poiché ognuno ha i propri confidenti
ed intorno a noi si mantiene il più stretto riserbo anche con i superiori».
D.R. «Io fornivo il danaro che mi richiedevano per i
confidenti ai miei dipendenti, i quali mi rilasciavano ricevuta sulla quale si
limitavano a dire. -- per un confidente- senza indicarne le generalità».
D.R. «Certamente i rapporti col Ferreri iniziarono prima
della strage di Portella. Ricordo di aver
saputo, attraverso la fonte Ferreri, che Giuliano voleva attentare alla
vita dei dirigenti del Partito Comunista di Palermo, fra i quali il Li Causi. Informai
per la opportuna vigilanza il questore e fu il colonnello Paolantonio che
avvisò direttamente il Li Causi».
D.R. «Al padre del Ferreri feci dare un porto d’armi, ma ciò
rientrava nel progetto di venire all’arresto di Giuliano. Sentii parlare del
rinvenimento del predetto porto d’armi sul cadavere del Ferreri, ma ciò non constatai
personalmente».
D.R. «Escludo che il padre del Ferreri facesse parte della
banda Giuliano».
D.R. «Non mi risulta che dopo l’amnistia dell’Evis Giuliano
abbia mantenuto rapporti con persone insospettabili».
D.R. «Dopo di me all’Ispettorato ci fu Coglitore, poi Modica,
poi Spanò, poi Verdiani»
D.R. «Non ricordo i nominativi dei componenti la banda
Giuliano».
D.R. «Esiste un rapporto intorno alle bande armate dell’Evis
ed all’attività da esse spiegate, rapporto redatto dal nucleo centrale alle mie
dipendenze».
D.R. «Sono a conoscenza dei nomi in esso compresi, può darsi
che l’elenco contenuto in detto rapporto non sia completo e non comprenda tutta
la materia, essendo potuta qualcosa essere sfuggita e qualcosa sopraggiungere».
D.R. «Non ricordo il nome di Genovesi Giovanni tra i
confidenti della polizia, né so se egli sia stato interrogato dal colonnello Denti».
A domanda dell’avv. Crisafulli, risponde:
«Per il fatto di Portella venne in Sicilia un Ispettore
generale del Ministero, come di solito avviene quando succedono fatti di una
certa rilevanza».
D.R. «Detto Ispettore riunì tutti gli organi di polizia in
questura e poiché ogni organo comunicò i risultati delle indagini svolte,
l’Ispettore volle che le varie attività fossero coordinate e quindi, senza esautorare e sostituire alcuno, dette la direzione
al questore Giammorcaro al quale doveva essere comunicata ogni attività degli
organi di polizia. Tutto ciò per quanto riguarda i fatti di Portella».
D.R. «Mi fu detto che il Ferreri fu operato di appendicite».
A domanda dell’avv. Sotgiu, risponde:
«Non mi risulta che al Ferreri sia stata rilasciata una
tessera intestata a Salvo Rossi, autista del colonnello Paolantonio».
A domanda dell’avv. Crisafulli, risponde:
«Parlando di un rapporto Coglitore mi riferivo solo al
rapporto firmato dal maresciallo Lo Bianco relativo ai fatti di Portella»
A domanda del Pisciotta Gaspare, risponde:
«Escludo di essere stato io a consegnare i mitra al Ferreri,
né mi risulta che ciò sia stato fatto da qualcuno dell’Ispettorato. A
quell’epoca avevamo penuria di armi».
Il Pisciotta aggiunge:
«I cinque mitra servirono per l’azione di Portella, secondo
quanto mi disse Ferreri».
Dopo di che il Presidente rinvia la prosecuzione del
dibattimento all’udienza del 23.7.1951 ore 9,30.
Calogero Taverna
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