mercoledì 10 dicembre 2014

Cronaca quasi storica di Racalmuto: anni '20


Senza veli e con pretese di resoconto storico, si dilunga sul periodo fascista l’altro autore racalmutese: Eugenio Napoleone Messana. Stralciamo vari pasi passi dal suo lavoro: «Racalmuto nella storia della Sicilia».

«Nel 1925 si fece la mascherata delle elezioni politiche italiane (6 bis) messa in scena dal duce. Malgrado il clima terroristco in cui si svolse la campagna elettorale e la precisa sensazione che le cose potevano solo mutare in meglio per il fascismo, Eduardo Romano ed i compagni comunisti di Racalmuto ebbero l’abilità di raccogliere circa quattrocento voti. Questo fatto impressionò i dirigenti del fascio locale e contribuì ad evitare persecuzioni feroci, per tema di generare vittime, che poi avrebbero potuto essere causa di disordini gravi. Non osarono nemmeno, infatti, provvedere con mezzi palesi contro Edoardo Romano, per quanto avvenuto in teatro giorni dopo, durante la serata inaugurale del Mortorio, eseguito quell’anno da una filodrammatica locale, nella quale primeggiava Giovanni Agrò. (7 ) In quella serata era andato a teatro pure Edoardo Romano, perché la sorella signorina, con la quale conviveva, era stata invitata dalle sorelle di Leonardo Abramo ad andarci ed aveva accettato. Edoardo Romano non aveva trovato posto nel palco ov’era la sorella con le Abramo e si era seduto in platea. Prima di cominciare lo spettacolo l’orchestra suonò ‘Giovinezza’, l’inno fascista. Tutti i presenti scattarono in piedi e si tolsero il cappello. Edoardo Romano rimase seduto col capo coperto ed il sigaro in bocca. L’insegnante Emanuele Cavallaro, don Niniddu, gli si avvicinò e con tono categorico gli ordinò - Alzatevi, toglietevi il berretto e smettete di fumare!  Il Romano a voce altissima rispose - Non mi alzo, non mi tolgo il cappello e non smetto di fumare! A questa risposta don Cesare Macaluso gridò da un palco - Arrestatelo, arrestatelo! I carabinieri in servizio si erano mossi, ma il popolo scattò a gridare - No, No! L’avv. Carmelo Burruano intervenne e frenò i carabinieri, dicendo di lasciare perdere se non non si sarebbe potuta più fare la recita. Non passò molto tempo però e Romano ebbe perquisita la casa. Non trovarono niente, solo dei proiettili da caccia ed un fucile. Lo denunziarono per detenzione non autorizzata di armi e munizioni, subì un processo, lo difesero Cesare Sessa, Vincenzo Campo e Cigna, in pretura fu condannato a due mesi e quindici giorni, in appello assolto per insufficienza di prove. (8 )

«Le elezioni ebbero il risultato che dovevano avere. L’onorevole Angelo Abisso conseguì dei grandi meriti in quest’occasione. Il 31 gennaio 1926 Curatola infatti deliberò la spesa di L. 50 di contributo ad una medaglia d’oro, che la Sicilia aveva deciso di offrire a questo deputato in segno di gratitudine per aver fatto le ossa al fascismo nella regione. Più avanti lo stesso commissario deliberò ancora L. 200 di contributo alla federazione dei fasci di Girgenti. Inoltre diede l’incarico all’ingegnere Giammusso di Girgenti per redigere il progetto particolareggiato di una rete fognante generale da costruire a Racalmuto e arrivò a deliberare L. 300 di acconto per tali lavori.

«La mascherata elettorale del 1925 si organizzò pure a Racalmuto in occasione delle ultime elezioni amministrative, prima della costituzione della dittatura, o meglio durante le more per la sua solidificazione. L’assassinio dell’onorevole Giacomo Matteotti, capo dell’opposizione, aveva scosso la nazione. Il fascismo era lì per cadere e sarebbe caduto se fosse intervenuto il re in difesa dei diritti statutari del regno e contro la violenza, la criminalità e l’assassinio e se l’opposizione non comunista avesse fatto appello alle masse, invece di ritirarsi sull’Aventino in inutili discussioni. Mussolini allora diede la parvenza di rientrare nella legalità convocando alle urne il popolo, prima per le votazioni politiche, poi per le amministrative. Si trattò di sola parvenza, sia per la legge Acerbo che truffò la maggioranza in pro del partito di governo, sia perché le elezioni avvennero sotto il controllo bieco delle squadracce e dei manutengoli assoldati dal fascio. Le persecuzioni, gli arresti, le violenze, le intimidazioni avevano, fin dalla conquista del potere operata da Mussolini, in combutta con Vittorio Emanuele III di Savoia, costretto al ritiro dall’agone politico le forze più genuine del pensiero italiano e siciliano. La repressione della delinquenza era servita come pretesto per reprimere gli esponenti dei vari partiti, coinvolgendoli nelle inchieste e nei processi o a diritto o a torto. (9)

«Ad Agrigento il prefetto Mori aveva di già fatto sentire di che erba si fa la scopa a tutti i liberi pensatori della provincia. Fingendo di lottare la mafia, che invece eludeva, com’è suo costume i processi e passava dalla presenza palese alla presenza nascosta nella vita pubblica, Mori era finito con l’abbattere il prestigio di vari uomini politici e disperdere i seguiti elettorali. In questo clima nel 1926 si votò a Racalmuto, ma per chi?

«Per i fascisti che, dopo essersi fusi coi nazionalisti locali, come avvenne in parecchie parti del regno, fecero un’unica lista. Si presentò una sola lista, la fascista. Gli altri si ritirarono e si misero in posizione di attesa. Non ci fu da preoccuparsi o affaticarsi. Essendo una lista la vittoria era sicura, di campagna elettorale democratica non ce n’era di bisogno. Bastava che si votasse, tanto il voto, andava sempre a loro. I democratici del paese risero di sdegno allorchè si accorsero che si doveva votare solo per una concentrazione di candidati, quella ad ispirazione e composizione fascista. Il listone aggiusta tutto, fu definito.

«Il 18 luglio 1926, alle ore 12 si insediò il consiglio eletto da questa pseudo votazione. Risultarono consiglieri il dottor Enrico Macaluso, il dottor Achille Vinci, Oreste Cavallaro, Carmelo Rosina, l’avv. Baldassare Cavallaro, Luca Giuseppe Brucculeri, l’ins. Giuseppe Mattina, Giuseppe Tulumello, l’avv. Camillo Vinci, Antonino Restivo Ardilla, Salvatore Sbalanca, Carmelo Romano, Calogero Scimè Giancani, Giovanni Salvo, Giovanni Farrauto, Cav, Alfredo Falletti, Giuseppe Cinquemani, Giuseppe Sardo, Calogero Burruano, Luigi Casuccio, Pietro Buscarino, Luigi Nalbone, Andrea Petrone, l’avv. Salvatore Picone, l’ins. Antonio Muratori, Alfonso Puma, il dottor Calogero Burruano. Sindaco fu eletto, con 18 voti su 29 presenti, il dottor Enrico Macaluso. La giunta fu così composta: Baldassare Cavallaro, Giuseppe Mattina, Salvatore Picone, il dottor Achille Vinci, Giovanni Farrauto ed Antonino Restivo Ardilla. Il dottor Enrico Macaluso in tale data iniziò la sua epoca nella vita pubblica ed amministrativa di Racalmuto. Dico epoca perché tutto il periodo fascista, da allora in poi e fino al’arrivo degli alleati, porta la sua impronta.

«Chi era Enrico Macaluso lo sappiamo da quando al seguito di Marchesano abbiamo visto muovere la politica in questa famiglia ed eleggero suo fratello Vincenzo, il farmacista vecchio, consigliere comunale. [...]

«Gli antifascisti o i discendenti dei vecchi esponenti della politica paesana che, o per dignità propria, o per semplice disavvedutezza non prestarono l’omaggio deferente a lui, mentre imperò, la pagarono cara. I Greco, cordai, dovettero trasferirsi altrove, non poterono facilmente ambientarsi commercialmente, fallirono e si ridussero all’elemosina. Salvatore Greco inteso Cinniredda dovette fuggire. Riparò in America, precisamente nella Virginia. Là organizzò il partito comunista e gli operai nel sindacato rosso. Si fece un nome dirigendo lotte terribili contro il padronato. Subì un attentato e rimase ferito alla testa. Si salvò la vita per miracolo. I Figliola si sparsero per la provincia perché per loro non ci fu più pace a Racalmuto.

«Luigi Scimè, figlio del dottor Nicolò, per aver dato la famosa lira per la corona a Matteotti, mentre sosteneva un concorso, al secondo scritto, venne invitato a lasciare la sede di esami e tornarsene a casa. Coloro chelo privarono di un diritto, non più tale sotto il tallone fascista, risposero al giovane che chiedeva perché lo mandavano via, di andarlo a domandare al suo paese. Eloquentissima allocuzione. Un Cavallaro vinse il concorso di Commissario di pubblica sicurezza ma non potè essere nominato per cattive informazioni date dal paese. Don Michele Di Naro, il vecchio socialista, accerchiato dalle persecuzioni, in un momento di scoraggiamento si suicidò, buttandosi sotto il treno. Era costui una persona intelligentissima, poeta felice in vernacolo, lasciò la moglie e l’unico figlio nella miseria. Vincenzo Vella fece una colletta e  comprò alla vedova una macchina per fare calze.

«Gli arresti e le condanne per gli indizi fondati più sui rapporti personali con lui che sulla probalilità o capacità di reato riempirebbero pagine e pagine se si dovessero riportare e ridesterebbero rancori ormai sopiti dal tempo. Basti pensare che era pericoloso andare a comprare medicine in altre farmacie, significava ripercussioni nel lavoro o nella vita privata; non salutarlo incontrandolo valeva dar conto di sè alla milizia o ai carabinieri, sotto forma di sovversivismo o altro aggeggio del genere. Quando decise, per esempio, di ordinare ai contadini di non rientrare più con l’aratro legato alla mula e l’asta che strisciava per terra, perché il rumore lo disturbava, Nicolò Schillaci, ogni sera, cominciò a rientrare in paese con l’asta dell’aratro alzata e la portava a mano fino a quando arrivava a casa., tanto erano grandi il rigorismo e la paura che incombeva don Enrico sulla popolazione. Trovò qualcuno però che gli diede filo da torcere, anche se pagò bene le sue bravate. Una mattina, il lucchetto del negozio Macaluso si trovò unto di sterco umano e con una scritta attaccata, ove si leggeva:

«Qua la faccio/ qua la lascio/ merda al duce/ merda al fascio.

«Il grave oltraggio impose la mobilitazione di tutte le forze per esperire le indagini. Risultò colpevole Giuseppe Collura, lu casinieri, e fu arrestato. Quando lo stavano portando ad Agrigento a San Vito, don Enrico, volle far mostra di un generoso perdono e gli porse una moneta da L. 10, per comprarsi il tabacco in carcere. Il Collura di rimando gliela buttò in faccia. Fu condannato, espiò la pena e tornò in paese. Venne ad essere sospettato di un omicidio, che poi si venne a sapere che non commise per avvenuta spontanea confessione del colpevole a letto di morte, e fu condannato all’ergastolo. Durante il processo andò a testimoniare contro l’imputato don Enrico. L’imputato vedendolo, dalla gabbia gli mollò uno sputo e lo colpì sulla guancia. Allorchè, risultato innocente, il Collura fu scarcerato e tornò in paese, Don Enrico ebbe paura perché il fascio era già caduto e si lasciò assoggettare maledettamente. Collura diceva ‘ma parrinu’ e gli scroccava soldi per vivere, fino a quando trovò una sistemazione decente e cambiò vita. Aveva degli amici don Enrico che gli facevano corona la sera nel negozio all’angolo del corso Garibaldi, e standogli da presso godevano di una illuminata sicurtà, si rischiaravano della sua luce e brillavano di prestigio ed autorità nel paese. Abbiamo presente quel negozio e quelle persone che la sera stavano con un certo occhio a guardare i passanti della piazza con superiorità regale e con l’altra a spiare glu umori del comandante per assuefarsi al discorso ed all’espressione della sua faccia.

«I passanti vedevano quel gruppo con distacco, il distacco della paura per le mezze figure, il distacco dello sdegno per coloro che avevano saputo conservare gelosamente personalità e dignità anche sotto il fascismo. Erano amici di Macaluso gli impiegati del municipio dei tempi, l’ufficiale postale, un falegname, un muratore, Oreste Cavallaro, Luigi Marchese, Giuseppe Mattina, Giuseppe Sicurella, Calogero Rizzo e qualche altro il cui nome ci sfugge. Don Enrico atterrì la popolazione con la sua azione intransigente tanto da fare di Racalmuto un paese senza volto e senza prospettiva, addormentato nella crisi economica, morale e di valori spirituali, rassegnato ad un amaro destino, separato dalla classe dirigente, incline alla soggezione ed all’ipocrita acquiescenza esteriore alla volontà dei tenutari del potere del paese.

«I difetti che produsse il Macaluso nella società racalmutese furono i difetti necessari per potere subire con serenità l’oppressione di una dittatura, quale la fascista, che tendeva a spegnere le volontà agli uomini ai fini di una sola volontà, quella del capo a Roma, come ad Agrigento ed in ogni recondito angolo d’Italia. L’opposizione al regime a poco a poco si affievolì fino a ridursi ai frequentatori di una bottega di merceria, gestita dal sig. Salvatore Giudice in via Matrona, case Tulumello, e gli amici di un barbiere, Calogero Bellavia, inteso Nasone, che aveva il salone in corso Garibaldi, accanto l’odierno negozio di generi alimentari di Carmelo Brucculeri. La merceraia non vendette più perché nessuno vi andava a comprare per paura di essere visto dal podestà. Il salone ridusse i clienti, ma resistette perché divenne il salone dei soli nemici del fascismo. La merceria era chiamata dai fascisti ‘La cucina del demonio’. Don Liddu Nasone fu e rimase indicato come il sovversivo. Il Circolo degli Amici si chiuse in quel periodo perché i suoi soci in maggioranza non si tesserarono al fascio. Nuovi soci non ne entrarono più per paura del libro nero e si esaurì lentamente. Macaluso fu infatti l’uomo del libro nero, lo diceva sempre di annotarsi il nome di chi gli faceva sgarbo, per saperlo colpire al momento opportuno. E siccome faceva sul serio seccava ai più di finire scritto là e si preferiva ingoiare e stare alla larga, quando non si riusciva o non si sentiva di fare il codino come gli altri. Non mancarono i ricorsi contro don Enrico, spesso anonimi, avevano paura di farsi conoscere gli autori, anche se, a dire della gente, si lasciavano individuare e risultavano buoni professionisti con un decoroso passato politico alle spalle. Si attribuì all’avv. Carmelo Burruano un ricorso, l’altro al farmacista Argento.

«Sindaco Don Enrico lo fu poco, perché nel marzo del 1927 si sciolsero tutti i consigli comunali d’Italia ed i comuni furono affidati ai podestà di nomina governativa, che si riduceva a nomina del capo del fascio della provincia. Il podestà  doveva rinnovarsi ogni quattro anni e doveva essere collaborato dalla consulta podestarile nei centri grossi, nominata da lui stesso, a cui venivano conferite le funzioni della giunta comunale. Nei piccoli comuni il podestà aveva facoltà di delegare alla firma un cittadino di sua fiducia per la continuità della vita amministrativa in caso di sua assenza. La prima deliberazione podestarile di Racalmuto, come si rileva dagli atti d’archivio del municipio, porta la data del 9 aprile 1927. Enrico Macaluso fu sindaco per meno di nove mesi, poi diventò podestà per intrigo e raccomandazione di Abisso. Alla firma delegò l’ins. Giuseppe Mattina fu Gaetano il 5 novembre dello stesso anno. Da podestà diede meglio sfogo al suo carattere  singolare, incline al ripicco ed alla vendetta, pronto al pettegolezzo ed implacabile nell’odio e nell’amore, pretenziodo di continue umiliazioni e di sciocche e melliflue deferenze, fanatico e puerilmente capriccioso.

«Se ebbe dei difetti gravi ed incancellabili, ebbe anche dei pregi encomiabilissimi. Fu onesto fino allo scrupolo. Non rubò nè permise che si rubasse. Ebbe sacro rispetto per l’erario e per tutto ciò che fosse patrimonio del pubblico. Non trasse profitto alcuno dalla carica di podestà e di altre che ne ebbe. Fu infatti presidente del Consorzio delle ‘tre sorgenti’ per molti anni, consigliere del Banco di Sicilia, sciarpa littorio del partito nazionale fascista e console del Touring Club italiano. Ebbe amicizia con tutte le autorità del suo tempo, sia civili, sia militari, sia religiose, relazioni che seppe cattivarsi con la sua straordinaria generosità nel donare. Non calcolò interesse pur di emergere e di acquistare rispetti. In questo campo fu tale la sua prodigalità che può dirsi di aver diviso il suo patrimonio, ed era considerevole, alla gente. Nessun racalmutese può vantarsi di non essere stato un suo debitore. A chi andava a comprare medicinali o radio, o, più tardi elettrodomestici, prima cucine, sedie ed altro, quando chiedeva il conto lui rispondeva ‘Po si nni parla’. Il cliente in altra occasione si dichiarava pronto a pagare e lui ancora rifiutava. Guai ad insistere. Cambiava espressione e grave diveca: ‘I conti a casa mia li debbo fare io’. Era la premessa di una rottura. La gente così facendo, volente o nolente, gli restava vincolata, anche se non mancavano persone che si urtavano di questo vincolo a cui venivano costrette senza la loro volontà. Lui però era felice di poter dire che tutti gli dovevano o, nominando qualche persona che gli mancava di rispetto, dire in farmacia davanti al pubblico, ‘perché nun mmi veni a pagari primu’, quando non la mandava a chiamare e gli intimava l’immediata soluzione del credito. Questa prodigalità sui generis finì col ridurlo in cattive condizioni economiche e sarebbe morto all’elemosina se non avesse posto riparo una ragazza, che a tarda età rese sua figlia adottiva e salvò il salvabile. Il grosso però fu tutto venduto e i soldi divisi ai clienti del suo esercizio e della sua farmacia.

«Nell’attività amministrativa don Enrico pensò prima di portare a conclusione le opere avviate dai suoi predecessori, ma con scarso risultato, perché, non ammettendo interferenze nell sua volontà, finiva col provocare passiva reazione negli uffici o fra coloro che dovevano necessariamente portare avanti le cose, quando non incontrava opposizione dura, da cui scaturivano lunghi processi civili. Il progetto per le fognature, per l’ammontare di L. 900.000 lo approvò il 19 marzo del 1927, ma le fognature si fecero nel 1956, quando il fascismo era morto e sepolto e lui relegato alla sola attività professionale. Collaudò l’esecuzione del contratto con l’impresa elettrica Siculo Lombarda, redatto l’11 febbraio 1925, secondo il quale si costruì in paese la centrale elettrica, nei pressi della stazione, con motore generatore di corrente. Tale motore sfruttava l’acqua della Fontana a mezzo di una pompa aspirante, che in fase eduttiva provocava una cascata sufficiente alla generazione dell’elettricità necessaria a fornire luce agli abitanti ed alimentare 384 lampade ad incandescenza sparse nelle vie dell’abitato, di cui 14 nel corso Garibaldi. Tentò di realizzare il vecchio progetto dell’edificio scolastico, redatto nel 1913 dall’ingegnere Stefano Bianco per una spesa di L. 335.000, aggiornata nel 1919 e portata a L. 735.000, nel 1922 ad 1.300.000, ma non vi riuscì perché provocò un giudizio civile col proprietario del fondo ove doveva essere ubicato, nello spiazzale Palma. L’edificio infatti potè sorgere solo nel 1936, dopo la sua caduta.

«Subito dopo la prima guerra mondiale in Racalmuto si era costituito il comitato pro monumento ai Caduti, stabilendo a presidente il sindaco pro tempore. Si erano raccolte selle somme sufficienti alla costruzione mediante sottoscrizioni civiche ed offerte degli emigrati di America. L’opera era in corso di realizzazione quando subentrò Macaluso a presidente del Comitato. Egli cominciò a rivoluzionare il programma precedente e si venne ad una clamorosa divisione fra i componenti in merito alla forma ed all’ubicazione dell’opera. Questa divisione durò per sempre. Don Enrico non mollava e quelli intralciavano il suo operato. Gli anni passavano ed il paese era rimasto uno dei pochissimi d’Italia a non avere un ricordo degli infelici giovani morti sul campo di battaglia.

«Intanto il 10 settembre del 1929 il podestà deliberava l’offerta di L. 100 del comune per contributo alla lampada votiva per i caduti in guerra di Agrigento, non potendolo fare per i racalmutesi sprovvisti di monumento.

«Quando si fece la nuova strada di circonvallazione, oggi Filippo Villa, Macaluso comprò con i solde del comitato e per conto del comitato un po’ di suolo edificabile di proprietà dei Baiamonte a San Gregorio, prima adibito a mulino per l’epurazione della feccia di mosto. Nel punto d’incontro fra la strada di circonvallazione ed il cosro Garibaldi fece fare un recinto in filo spinato, che sarebbe dovuto diventare, ma non lo fu mai, un’aiuola spartitraffico. Nel mezzo di questo recento vi fece piantare un albero di pino, dedicato ad Arnaldo Mussolini, ma non crebbe e fu estirpato secco nel 1950. Contava di costruire, ove oggi è l’Esso, sul suolo edificabile dell’ex mulino, la casa del fascio ed il monumento ai Caduti. Gli anni passarono e non sorse mai niente. Negli ultimi tempi della dittatura soltanto le basi di un edificio. [...]

«Durante il podesterato del Macaluso, i lavori pubblici furono curati dal di lui fratello Cesare, dottore in agraria, addetto ai sindacati fascisti. Don Cesare era stato in Tripolitania ed aveva visto le strade di là com’erano fatte, le famose strade a mac adam con sottofondo in breccia aggregata con polvere di cava. Pensò d’introdurre questo sistema a Racalmuto, furono divelti quasi tutti i selciati a ciottolato delle strade e cambiate in mac-adam. La riforma ben presto risultò inidonea. La friabilità delle pietre sabbiose ed il clima dell’Africa agevola la durata delle vie fatte con questo sistema. Le rocce di Racalmuto non essendo nè sabbiose nè friabili, non resistettero all’uso, si frantumarono e si cambiarono in polvere di estate ed in fanfo d’inverno. In via R. Margherita e in Via Asaro d’inverno era un problema passarvi. Se si andava su si dava un passo in avanti e tre all’indietro con i piedi affondati nella mota. Se si andava giù si rischiava di finire a terra con qualche scivolone. Meno male che macchine non ce n’erano tante, se no gli sbandamenti sarebbero stati frequenti e disastrosi. Le macchine allora erano rarissime, le prime Balilla e le Ardita le ebbero Giuseppe Mattina, l’avv. Carmelo Burruano e l’avvocato Luigi Cavallaro, che era funzionario del Banco di Sicilia. Poi si fornirono di macchina i Nalbone e si fecero i primi autisti di piazza, Di Marco e Don Pietro Sedita.

«Macalus ebbe il culto degli alberi e si devono a lui gli alberi che costeggiano la strada che va al padre Eterno e la via Filippo Villa. Altri alberi costeggiano la via Macaluso e Ferdinando Martini, fino al ponte Carmelo e fino alla Stazione ferroviaria. Ne restano pochi perché sono stati, purtroppo, distrutti dai frontisti della strada, dimostrando scarso senso civico. Lo spiazzale Canalotto, oggi occupato dalle case degli zolfatai, sotto Macaluso fu attivato a Palco della Rimembranza e vi sorsero tanti alberi dedicati ai Caduti. Durante l’estate vi si eseguiva ogni Domenica sera un concerto bandistico e spesso proiezione cinematografica muta delle pellicole in voga. La musica non suonò più al Canalotto, che cessò di essere meta e ritrovo delle passeggiate estive, verso il 1935, in seguito ad un fatto di sangue avvenuto proprio ai piedi dell’icona attaccata al muro di fronte, lato Ovest. Vi fu assassinato il procuratore del registro Sciascia ed il delitto rimase impunito, perché non si individuarono i colpevoli.

«Don Enrico fece restaurare il teatro riportandolo alla primiera sontuosità, ma non riuscì ad evitare che fosse adibito a sala di proiezione cinematografica. Dapprima era il comune a gestirlo direttamente, poi si diede in appalto, sotto Mattina, a Parisi, indi a Collura e a Bordonaro. Con gli appalti cominciò a rovinarsi il locale. I gestori non avevano interesse a custodire l’iimobile, il quotidiano uso e la vetustà a poco a poco lo resero inagibile.

«Curò il riattamento del municipio, disimpegnando tutti gli ambienti a mezzo del corridoio che collega al salone del lato sud, rimettendoci soldi di tasca propria ed impegnando architetti ed artisti di vaglia. Dopo i patti lateranensi, nella consegna della congrua parte alla chiesa, riuscì a tacitare l’arciprete di allora, Giovanni Casuccio, con la restituzione dell’intero locale di S. Giovanni di Dio a soluzione dei diritti su altri edifici del comune. Tale atto fu abbastanza lodevole perché servì a conservare integra la proprietà al comune del municipio, del cimitero e della chiesa di S. Maria e dell’ex orto delle clarisse, area oggi occupata dal teatro. [...]

« Fra le opere meritorie della sua amministrazione va ricordato l’acquisto dei locali dell’ex Castello del Conte, Lu Cannuni, o palazzo Chiaramontano. Questo edificio era finito in mano ai privati. Alla famiglia Presti la parte di sud est e di sud ovest; l’ingresso, la porta centrale, il salone delle adunanze della Signoria, tutto il versante di nord e le due torri in mano di Padre Cipolla. Ciò dopo che non fu più adibito a carcere. Padre Cipolla ne voleva fare un educandato femminile affidato alle suore domenicane, ma quando nel 1930 fallì, l’immobile, venduto all’asta per L. 2000 (duemila), l’acquistò il Comune.

«Con gli impiegati non fu mai in confidenza. Mantenne il distacco, ma ebbe garbo nei rapporti personali. Tutte le mattine arrivava il primo al Municipio, entrava nel suo abinetto, lasciava la porta aperta e così impegnava i dipendenti ad essere scrupolosi nell’osservanza dell’orario. Col pubblico non fu mai tenero. Usò il confine e l’isola, le vili armi della dittatura fascista, a discrezione [...]

«Un bel giorno .. dovette ingoiare un rospo:  venne privato della segreteria politica e fu nominato in sua vece Tito Tinebra. Mobilitò le sue forze ed ingaggiò battaglia. Cadde Tinebra e fu nominato il suo amico Giuseppe Mattina. Si sentì appagato e riprese fiato ad esercitare le sue funzioni di tirannello paesano.

«Il fascismo intanto si realizzava con la sua pesante struttura anche nel paese. Nata l’opera Nazionale Balilla, don Enrico si affrettò ad iscrivere socio perpetuo il comune l’8 gennaio 1928. Nel 1930 l’iscrizione all’opera Nazionale Balilla diventò obbligatoria per tutti i fanciulli e le fanciulle che dovevano frequentare le pubbliche scuole elementari e per gli studenti di ogni ordine e grado. Cominciarono le fastodiose adunate del Sabato e della Domenica, le sfilate estenuanti e le parate stupide fra le vie imbandierate fitte e le bestemmie degli anziani. Le donne scesero pure a sfilare, le maestre e le giovani. A Racalmuto la dirigenza dei fasci femminili la ebbe sempre, nella qualità di fiduciaria, collaborata dalle figlie del farmacista Argento, la maestra Piera Taibi. Le divise omogeneizzarono apertamente i cittadini. L’opposizione però continuava nel segreto a vivere, pur se divenne presto innocua all’arbitrio fascista. Il giornale ‘L’Unità’ arrivava da parigi in un pacchetto con la scritta profumi. Il fattorino postale Salvatore Morreale lo sapeva e portava il pacco a Giovanni Facciponti, in un salone sopra l’attuale negozio di Falco. L’Unità si vendeva una lira la copia, prezzo iperbolico per i tempi e la comprava Vincenzo Vella, Eduardo Romano, Vincenzo Macaluso, Giuseppe Cutaia e qualche altro di nascosto, sapendo che se fossero stati scoperti il confine non glielo avrebbe tolto nessuno.

«Durante tutto il periodo fascista continuarono ad essere comunisti, subire discriminazioni violente e non piegarsi, affrontando fame e disagi, ma rimanendo a Racalmuto Vincenzo Macaluso fu Stefano falegname, Salvatore Jacono calzolaio, Salvatore Dell’Aira muratore, Eduardo Romano, muratore, Giovanni Lo Forte, Di Liberto Carlo, Luigi Leone, Leonardo Abramo Vizzini, Alfonso Tirone Tiberio e qualche altro. Mantenersi iscritto clandestinamente al partito comunista durante il fascismo era una impresa non facile, si trattava rischiare la galera ad ogni istante e la rovina della propria famiglia. Loro furono in continuo contatto con Cesare Sessa a Raffadali. Per lo più vi si recava Eduardo Romano, col pretesto che andava a badare alla campagna dell’avv. Vincenzo Campo, cognato del Sessa. Solo Sessa rimase nell’Agrigentino a reggere le fila del partito comunista. Il dirigente Scarfidi, in seguito ad un’aggressione subita a casa dalle squadre fasciste, dalla quale scampò mediante l’intervento di un alto magistrato, al quale era amico, che, quel giornoper caso, era andato a fargli visita e fu presente, era fuggito e si era rifugiato in un convento. I comunisti di Racalmuto, spesso Romano ed una volta anche Abramo, durante la dittatura andavano anche a presenziare riunioni segrete a Palermo. Avvenivano in una casa in via Albergheria ed erano presiedute dall’onorevole Pilato.

«Ad Eduardo Romano infine è da attribuirsi il merito di avere salvato il grosso del partito, che poi furono quelli che in maggioranza fecero l’abiura a don Enrico, dalle persecuzioni. Infatti, allorchè alla caserma gli chiesero l’elenco dei tesserati, egli fornì un elenco in cui comparvero i notabili e tutti i morti e gli emigrati. Un plauso solenne vada pertanto a costoro vivi e defunti, che ebbero il coraggio di professare le proprie idee affrontando ogni rischio. E ben ha fatto il partito comunista nel 1961 ad offrire una medaglia di bronzo ed il diploma degli otto lustri di fedeltà ai superstit, perché le nuove generazioni potessero conoscere ed ammirare gli uomini tenaci e fermi nel loro credo anche in clima di difficoltà e divieto. Da Racalmuto poterono avere quest’attestato di riconoscenza, Salvatore Dell’Aira, Di Liberto Carlo e Vincenzo Macaluso. Quest’ultimo alla memoria, per essere deceduto giorni prima. Don Enrico non seppe mai queste cose e dire che aveva sempre fra i piedi Carmelo Romano, il fratello di Eduardo che gli faceva l’amico e badava a tener lungi i sospetti dalla sua casa.

«Lui seppe solo il borbottio della bottega Giudice e del salone Bellavia, ma non potè mai eccpire alcunchè per colpire con carcere e confine il titolare ed i frequentatori. [..]

«Il giovane che sin qua ci ha seguiti ci darà, credo, dell’esagerato, ma prima di giudicare si informi e saprà che il fascismo aveva un decalogo, i cui primi articoli o comandamenti così dicevano - 1) Mussolini ha sempre ragione; 2) le punizioni sono sempre meritate; 3) la Patria si serve anche facendo da guardia ad un bidone di benzina, ecc. ecc.

«Quando vedrà che il governo fascista imponeva il domma dell’infallibilità del suo capo, costringeva la supina accettazione di ogni pena e poneva tutte le attività lavorative al servizio della Patria, per attribuire il delitto di attentato alla sicurezza dello Stato contro ogni inadempienza, si accorgerà che non siamo esagerati e si meravigliera che un popolo di circa 45 milioni di componenti ha sopportato per venti anni tanto obbrobrioso sistema. Coloro che avevano assaporato la libertà democratica mal sopportavano tanta opprimente vuotaggine, ma guai a manifestare la loro avversione, si rischiava il confine o la galera, il domicilio coatto o una serie di legnate e sevizie nelle caserme. Ebbe considerevoli guai Edoardo Romano, per esempio, perché a Giovanni Agrò che gli ingiunse un giorno al campo sportivo di credere, obbedire e combattere, rispose: - Combattere sì, perché se mi chiamano alle armi non mi posso rifiutare, obbedire altrettanto perché se non ubbidisco mi costringono a farlo, ma credere no, perché nessuno può impormi una fede. [...]

«Si nasceva figli della lupa e si aveva una divisa da portare ed un moschetto. Si diventava balilla e la stessa cosa, poi avanguardista, giovane fascista, camicia nera ecc. L’opera nazionale Balilla era stata sostituita dalla Gil, gioventù italiana del littorio, che inquadrava tutta la gioventù della nazione in un casermone rigurgitante odio ed abuso, soverchieria e sbronzerie dei tanti megalomani dell’epoca. Per andare a scuola si doveva presentare la tessera Gil, sia per le elementari che per le medie o superiori, comprese le università, dove oltre al diploma di maturità si doveva esibire il certificato di iscrizione al G.U.F., gioventù universitaria fascista, e l’attestato di avere superato il brevetto sportivo. Senza la tessera Gil non si poteva nemmeno lavorare. A Racalmuto potè rifiutarla un solo giovane, Calogero Macaluso, figlio di un cugino di don Enrico, il quale da solo, o per contatti con Eduardo Romano, diventò comunista. Costui fu raggiunto dai tentacoli della piovra nera del fascismo e fu chiamato in caserma dai carabinieri. Il maresciallo gli disse, fra l’altro, che lo avrebbe arrestato se non prendeva la tessera. Lui ebbe il coraggio di ripondere: - mi arresti pure, è necessario che i nostri compagni in galera ricevino il conforto delle nuove generazioni. - Non fu arrestato perché don Enrico non volle subire l’affronto di far sapere ovunque che un suo omonimo parente non era fascista.

«Nelle scuole si studiava dottrina fascista e cultura militare fino alla università dove pure era la materia obbligatoria di mistica fascista. Prima di andare soldati c’era il premilitare obbligatorio, e qui a suon di nerbo i giovani diciottonni, ogni Sabato pomeriggio, per ore ed ore dovevano stare a fare marce ed istruzioni. A Racalmuto il premilitare si faceva al campo sportivo, lo faceva fare il geometra Luigi Falletti, coadiuvato dal cadetto della milizia Luigi Di Marco e qualche altro. Non so altrove, ma a Racalmuto la borghesia aveva un privilegio, non faceva le istruzioni. Noi studenti facevamo gli elenchi al geometra Falletti e stavamo ogni sabato a guardare. Ricordiamo la nausea e la ribellione che provavamo quando vedevamo schiaffeggiare sonoramente i poveri giovani contadini ed a volte anche bastonare, perché si muovevano sull’attenti o per altro. La nausea ci veniva perché già ai nostri diciotto anni eravamo organizzati da circa due anni nelle file clandestine antifasciste. Alla formazione del nostro pensiero politico, impreciso partiticamente, ma decisamente ugualitario, di sinistra e di pronta opposizione al fascismo, contribuì, oltre la famiglia sempre antifascista alla quale apparteniamo, il nostro insegnante di filosofia Ettore Centineo, che ci schiuse la mente alla democrazia ed alla critica. Siamo entrati nelle organizzazioni allora operanti in Italia per mezzo di Leonardo Sciascia [..] A lui si deve la formazione di un gruppo di studenti antifascisti in Racalmuto e la coscienza della brutalità di quel partito, nonchè della sua carenza ideologica fra gli studenti di ieri e professionisti di oggi in questo paese. Leonardo Sciascia, convinto comunista nel 1938 e 39, quando aveva 17 e 18 anni, riuscì a fare preziose cellule nel paese, si ricordano Angelo Picone, Diego Paradiso e Salvatore Cavallaro, oltre noi e qualche altro fra coloro che collaborarono nei limiti delle loro capacità, compromettendosi magari, a prepare la resistenza contro il fascismo ed a sabotare le organizzazioni della dittatura. [...]

«Feste nazionali sotto il fascismo erano: il 23 marzo, anniversario della fondazione del fascio, il 21 aprile, natale di Roma, l’11 febbraio anniversario del Concordato con la Chiesa, il 24 maggio, entrata in guerra, il 28 ottobre anniversario della marcia su Roma ed il 4 novembre festa della vittoria. [..] Una mattina di festa nazionale il dottor Giuseppe Cavallaro ebbe inferto dai fascisti racalmutesi un colpo terribile, tale che tarò per sempre la sua salute. Il dottor Cavallaro era un vecchietto senza figli, che ogni giorno con la moglie andava a trovare il suocere e i cognati. Un giorno fu fermato in Via R. Margherita, davanti di Pavia dai militi. Gli chiesero perché non portava la camicia nera quantunque festa nazionale. Il povero dottore rispose di averlo dimenticato, essendo uscito di premura per fare una visita di urgenza. I militi fecero l’addebito e riferirono al segretario politico. Il dottor Cavallaro ebbe ritirata la tessera d’iscrizione al partito nazionale fascista. Tale provvedimento significava la rovina, infatti senza tessera non si poteva esercitare la professione sanitaria, perché l’ordine dei medici lo vietava. Il dottor Cavallaro, sospeso dall’esercizio professionale, si dispiacque tanto, anche se stava economicamente bene, che si ammalò. Non si guarì più e morì alcuni anni dopo. [...]

«La delinquenza però è bene che si dica non finì proprio sotto il fascismo, e la stessa mafia non fu eliminata, infatti ad essa, strumento di repressione contadina, si sostituì lo stato autoriatario fascista, cioè non ve ne fu più bisogno e sembrò essere stata debellata, ma debellata non fu tanto che rinacque così rigogliosa alla caduta del regime, cessarono soltanto le efferatezze del dopo prima guerra mondiale non la criminalità vera e propria. Al fascismo si diede a torto quel merito. Si dimenticò che Sciascia, il ricevitore del registro fu assassinato nel 1935 e c’era il fascismo, Federico Giancani ammazzato barbaramente nel maggio del 1937 e c’era il fascismo, il latitante Ciciruneddu, Rizzo, non potè mai essere preso dalle forze dell’ordine e fu ucciso da uno per la regola del tagione che gravava sulla sua morte ed erano gli anni dal 1936 al 1939 e c’era il fascismo, l’orificeria di don Carmelo Rosina fu scassinata, una prostituta fu trovata con la gola recisa da un rasoio nella sua casa in Via Madonna della Rocca, l’altra fatta a pezzi alla Acqua Amara presso la Torre di Baeri in pieno fascismo. Abbiamo voluto citare i misfatti più eclatanti del periodo fascista, sorvolando i minori, per dimostrare l’infondatezza di quest’affermazione, che, purtroppo, si sente ancora ripetere nelle discussioni di piazza. Il fascismo usò metodi repressivi atroci e questo è vero, mise la pena di morte e la esercitò e questo è pure vero, ma l’una e l’altra non gli fanno onore. Non si scherza con la vita degli uomini, ed essa è sacra e nessuno può toglierla per nessuna ragione. La società può relegare fuori del proprio consorzio il tarato, il reo, ma non sopprimerlo, non ne ha nessun diritto. La repressione poliziesca del fascismo poi era peggio della fucilazione, si trattava delle torture di medievale memoria, praticate nelle caserme dei carabinieri: nerbate fino al sangue, scosse elettriche, fare ingerire acqua satura di sale, legare alla cassetta e tante e tante altre barbarie. Basta dire che l’omicidio di Federico Giancani se lo accollarono parecchie persone incapaci ed innocenti pur di non patire più le torture e poi si vennero a trovare i colpevoli fuori dell’Italia, in Africa dove erano riusciti ad imboscarsi.» (10)

 

La traballante prosa del Messana traccia un quadro della situazione politica a Racalmuto duntante il fascismo che va preso - lo ripetiamo - con le molle. Ma qualche elemento di prima mano ce lo fornisce. Sappiamo solo così di antifascisti operanti a Racalmuto. Le loro vicende sono palesemente enfiate. Un riscontro possiamo coglierlo dale schedature della polizia, oggi consultabili presso l’Archivio Centrale dello Stato in Roma.

Secondo il Messana, il maggiore esponente comunista dell’epoca fu Edoardo Roma. Abbiamo visto che la locale caserma dei carabinieri già nel 1925 lo definisce un “pericoloso comunista”, portando acqua al mulino dellenfasi antifascista del nostro storico racalmutese. Pericoloso lo fu, però, non a lungo, se lo schedario puntuale e puntiglioso del capo della polizia Arturo Bocchini (11) lo ignora del tutto. Forse a motivo delle influenti protezioni fasciste che al Romano venivano dalle sue parentele bene inserite nel regime. Vi sarà pure un motivo se la famosa medaglia di fedelta quarantennale al PCI non fu conferita nel 1961 ad Edoardo Romano (vedansi le precedenti annotazioni del Messana).

Nelle nostre ricerche a Roma, di racalmutesi finiti negli schedari di polizia durante il fascismo troviamo:

1) Vella Vincenzo;

2)  Vella Diego;

3) Picone Chiodo Calogero;

4) Sacerdoti Edmondo;

5) Messana Everardo.

Ma dei cinque sudetti nominativi i veri racalmutesti sono tre (Vella Vincenzo, Picone Chiodo Calogero e Messana Everardo), nessuno viene schedato in quanto comunista, e i due schedati (Picone Chiodo Calogero e Messana Everardo) hanno poco di politico.

Vella Vincenzo, è personaggio di risalto durante i Fasci siciliani, è attivo nell’era prefascista e rientra nei ranghi durante il fascismo. Schedato già dalla questura di Girgenti sin dal primo settembre del 1896, ne è “radiato” l’8 aprile 1936 «tenuto conto della buona condotta e delle prove di ravvedimento» ed essendosi «espresso in senso favorevole al Governo nazionale.»

Nel 1893 si era lanciato nell’agone politico a capo del movimento contadino e zolfataio del luogo, con cipiglio e furore. Agì anche fuori di Racalmuto: lo troviamo impigliato nella repressione dei moti rivoluzionari dei Fasci in quel di Milena. Ecco quel che ci racconta Arturo Petix: «Nel pomeriggio del 27 luglio del 1893, a Milocca, in casa del contadino Luigi Schillaci, posta nella robba Valenti (oggi via Gioberti) si riuniva un gruppo di contadini con lo scopo di costituirsi in fascio dei lavoratori. [...] A quella riunione furono presenti l’Avvocato Vincenzo Vella, presidente del fascio dei lavoratori di Racalmuto e l’insegnante Rinaldo Di Napoli, presidente di quello di Grotte (ASCL, Carp. n. 9, Pubbl. Sicur., lettera del 2 agosto 1893).»( 12). Abbiamo sopra fornito alcuni dati del fascicolo sul Vella dell’Archivio Centrale dello Stato. Li integriamo qui trascrivendo quant’altro vi è annotato.

«N.° 16434 - Prefettura di Girgenti, comune di Racalmuto - Vella Vincenzo fu Giuseppe e della Vincenza Tinebra nato in Racalmuto il 17 ottobre 1868, residente a Racalmuto mandamento della Provincia di Girgenti.- Laureato in giurisprudenza - celibe - Socialista rivoluzionario - statura 1,58 - corporatura robusta, capelli castano scuri, viso oblungo, fronte alta, occhi castani, naso giusto, barba alla mefistofele e di colore castana scura, mento tondo, bocca regolare, espressione fisionomica satirica, abigliamento (sic) abituale, veste decente in nero.

«Riscuote nell’opinione pubblica fama di fanatico stravagante. Di carattere volubile. Di educazione limitata, in quanto che si appartiene a famiglia di esercenti miniere. Di corta intelligenza. Di coltura scarsissima. Ha compiuto gli studi nel liceo ed il corso di università in legge. Non possiede titoli accademici. E’ lavoratore fiacco. Ritrae i mezzi di sostentamento dalla poca proprietà lasciata alla famiglia dall’Avv. Tinebra Vincenzo. Frequenta la compagnia dei pochi affiliati al partito socialista di questo  Comune e dei Comuni di Grotte ed Aragona. Mal si comporta nei suoi doveri con la famiglia, di cui dovrebbe essere il sostegno, causa la morte del padre, trascurandola completamente. Non gli sono state affidate cariche amministrative e politiche. E’ iscritto al partito socialista rivoluzionario. Non ha precedentemente appartenuto ad altro partito.

«Ha molta influenza nel partito socialista locale, di cui è il capo e di cui fa il promotore. La sua influenza è circoscritta al luogo dove risiede. E’ stato in corrispondenza epistolare con i componenti il comitato centrale socialista di Palermo, con l’avv. Maniscalco direttore della Giustizia Sociale, coi nominativi Rao Gaetano, Presidente del disciolto fascio dei lavoratori di Canicattì, Di Napoli Rinaldo Presidente del disciolto fascio di Grotte, coll’onorevole Colajanni e col presidente della Federazione Regionale Socialista Lombarda. Non è stato, nè è in relazione epistolare con individui del partito all’Estero. Presentemente è in relazione epistolare col Direttore del periodico ‘La Riscossa’ di Palermo, il presidente del Comitato Regionale della Federazione Socialista Ligure, coi sudetti Di Napoli e Rao, col Direttore del periodico ‘La Lotta di classe’, e dicesi in relazione epistolare con Bosco Garibaldi e l’on. De Felice.

«Non ha dimorato all’estero, nè vi riportò condanne, e non ne fu esplulso. - Ha appertunuto al disciolto fascio dei lavoratori di Racalmuto, con la carica di Presidente. Presentemente non appartiene ad alcuna associazione sovversiva di mutuo soccorso o di altro genere. Durante il 1893 ha collaborato ai periodici sovversivi ‘La Lotta di Classe’ e ‘La Giustizia Sociale’. Di tanto in tanto spedisce corrispondenze alla ‘Riscossa’, ed alla ‘Lotta di Classe’.

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«Riceve i periodici ‘La lotta di classe’ e ‘la Riscossa’ ed opuscoli editi a cura del Comitato Regionale della Federazione socialista Ligure. Fa propaganda fra gli esercenti arti e mestieri, con poco profitto. E’ capace tenere conferenze. Ne ha tenute nel 1893, nel locale di questo disciolto fascio dei lavoratori, e nel domicilio di qualche socialista di qui. - Verso le autorità tiene un contegno sprezzante. Non ha preso parte a manifestazioni del partito cui è ascritto a mezzo della stampa firmando cioè manifesti, programmetti. Ma ha preso parte in occasione della dimostrazione organizzata in questa Stazione ferroviaria il 2 Novembre 1893, al passaggio dell’on. Colajanni, nella quale circostanza il fanatismo dei dimostranti raggiunse il colmo, intervenne la forza pubblica, fu percosso il Deputato di P.S. del tempo, malmenati il Maresciallo ed i militi.

«Nelle elezioni ammimistrative di Racalmuto del 1905 è stato eletto consigliere comunale. »

[Aggiunta in calce la posteriore data: Girgenti 14 gennaio 1908 - il prefetto Mario Rebucci].

«Prefettura di Girgenti - Cenno biografico del 20 ottobre 1913 - Andatura attempata. - Gode nell’opinione pubblica fama di uomo di poco carattere e di nessuna serietà. D’intelligenza ed educazione medie, è mordace ed aggressivo, quando scrive per i giornali, tanto che ha un frasario tutto suo speciale, fatto di volgare turpiloquio, appunto perché nelle lotte sia politiche che amministrative non sa fare a meno di attaccare in modo triviale le persone degli avversari, invece di combattere le idee. E’ laureato in legge, ma la sua cultura non va oltre gli studi fatti e le molte pubblicazioni socialiste lette e ben poco ben assimilate. Di natura fiacca, lavora lo stretto necessario, approfittando di quello che ricava dalla poca proprietà immobiliare a lui lasciata da un suo avo. Tenace nelle lotte, ma non nel carattere, egli varia di continuo e con molta leggerezza di relazioni politiche e di amicizie personali, a seconda della convenienza e dell’opportunità del momento, non si può dire quindi egli abbia in ciò una direttiva sicura, per quanto inclini nella scelta verso gli elementi sovversivi o politicamente esaltati. Si deve a tale sua malleabilità di carattere ed azione se egli sia stato consigliere comunale ed anche assessore supplente. Nella presente lotta politica, egli, transigendo con la sua condotta passata, ha stretto relazione con persone, altra volta attaccate fino all’insulto, per appoggiare la candidatura socialista dell’Avv. Marchesano. Nel biennio 1893-1894 - egli dette pensiero ed azione ai moti convulsionarii dei ‘fasci’ ed ebbe perciò il suo quarto d’ora di influenza e di popolarità, fra gli elementi sovversivi di allora; ma sopravvenuta la repressione egli ritornò quello di prima, anzi fu lì lì per essere inviato a domicilio coatto, a termini dell’art. 3 della legge 19 luglio 1894.  [..] Successivamente egli si occupò dei suoi affari privati per cui fece dimora a Delia ed a Casteltermini. Nel presente fa qualche pubblicazione sui giornali della provincia a carattere sovversivo; fa come può, ma con scarso profitto, propaganda fra gli operai ed è presidente della lega di miglioramento tra gli zolfatai di Racalmuto.

«E’ capace di parlare al pubblico, ma non di tenere conferenze vere e proprie, ciò quindi ha fatto sempre che se ne sia presentata l’occasione; in lui però più che la facilità di parola è comune il turpiloquio, che, in fondo, tradisce la sua origine volgare. Però nel passato tenne verso l’autorità un contegno altero e sprezzante; ora però si mostra remissivo e rispettoso. Ma ha preso parte a vere e proprie pubbliche manifestazioni di carattere del partito. Nel 1893 intervenne in manifestazioni più o meno violente e, successivamente, in un pubblico spettacolo si lasciò andare a qualche atto inconsulto. Mai fu sottoposto alla pregiudiziale ammonizione e fu solo proposto, ma non assegnato, a domicilio coatto. Non ha subito condanne, ma ha i seguenti precedenti penali. Il 1° settembre 1893 fu arrestato in Milocca per istigazione a delinquere; a 7 maggio 1894 fu assolto dal Tribunale di Girgenti dall’imputazione di violenza e resistenza ad agenti della forza pubblica; a 19 maggio 1894 la camera di consiglio di Girgenti disse non luogo per l’imputazione di tentativo di fare insorgere gli abitanti del regno contro i poteri dello stato. Nello assieme il Vella, per quanto sempre relativamente temibile, non è più il sovversivo di una volta e non è più da ritenersi un socialista veramente combattivo, perché, in fondo, non riesce a farsi pigliare sul serio da alcuno. L’età, il male cronico di cui è affetto e qualche debito hanno fiaccato e piegato il suo carattere, naturalmente a ciò disposto, ed oggi si aggioga al carro di taluni conservatori, liberali d’occasione, con la stessa facilità con la quale si metterebbe loro contro, se gli tornasse opportuno, data anche la sua venalità.»

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«Relazione Prefettura: Dall’elenco allegato al n.° 16085 del 3.7.1911 risulta pericoloso. - Girgenti 1912: N.° 1128 del 23.4.1912 - E’ stato rieletto Consigliere Comunale di Racalmuto e poscia nominato assessore. Non tiene più contegno sprezzante con le autorità e si è mostrato favorevole al Governo per la guerra in Libia - Professa sempre idee socialiste e viene pertanto vigilato.»

 

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«Prefettura: 27 11.1925 - Professa tuttora principi socialisti e non tralascia occasione per fare propaganda antifascista. E’ attentamente sorvegliato. - Prefettura: 21.1.1929. - In data 2.12.1926 venne diffidato ai sensi dell’art. 166 legge P.S. In atto serba regolare condotta morale e politica mantenendosi estraneo ad ogni manifestazione contraria all’attuale Regime. Prefettura: 3.7.1931 - .. socialista rivoluzionario. Continua a tenere buona condotta politica, dedicandosi esclusivamente alla sua professione di avvocato. I suoi atteggiamenti nei riguardi del Regime sono favorevoli e mostra in apparenza di essersi ravveduto. Però non si ritiene opportuno, almeno per ora, di proporlo per la radiazione dallo schedario dei sovversivi, e si continua a esercitare su di lui assidua vigilanza. - Prefettura: 21.2.1933 - Risiede a Racalmuto, dove esercita la professione di procuratore legale presso quella pretura. Non spiega alcuna attività politica e tiene atteggiamento favorevole al Regime. Viene sempre sorvegliato non avendo dato prove sicure di ravvedimento. - Prefettura: 22.12.1934 - Non ha dato luogo a rilievi in linea politica, e nei riguardi del Regime si mostra apparentemente favorevole. Viene vigilato. - Prefettura: 25.9.1935 - Durante il terzo trimestre del corrente anno non ha dato luogo a rilievi con la sua condotta politica. Viene vigilato.» (13)

 

 

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Quanto a Vella Dante Nunziato fu Giuseppe, nato a Racalmuto il 3 marzo 1908, abbiamo fornito in precedenza i dati dello schedario centrale che lo riguardano.  Appartenente ad una famiglia di anarchici di Grotte, i suoi legami con Racalmuto sono del tutto accidentali e di mera anagrafe. La madre era una Pedalino Di Rosa, sorella di quello che è stato un affermato notaio di Milano, e discreto verseggiatore in dialetto. Il Pedalino, come si è detto, brigò tanto nel 1930 per farsi riconoscere i meriti di essere stato tra i sansepolcristi del 1919. Il 27 dicembre 1937, il suo nome però viene associato sia pure molto casualmente con quello dell’anarchico Dante Nunziato Vella di cui è zio materno. Il prefetto G. Marzano esclude ogni favoreggiamento, ma si dà il caso che da allora il Pedalino ha qualche screzio col fascismo. Oggi, la figlia tiene a rivendicare un passato (inesistente) antifascista del padre. Ciò ha sorpreso i redattori del locale foglio di Racalmuto Malgrado tutto, che avevano - ed a ragione - visto il Pedalino come un antesignano del fascismo.

 

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La schedatura di Picone Chiodo Calogero (14) fa emergere una figura che comunque la si giri difficilmente può venire riportata nell’ambito dell’antifascismo. Trattasi, piuttosto, di un avventuriero che opera ai margini della truffa. Certo, siamo in pieno contrasto con la idealizzazione che la lettura locale (il citato libro del Messana e Malgrado tutto) hanno di recente sfornato. Latrscrizione dei dati d’archivio chiarisce meglio l’assunto.

«Picone Chiodo Calogero fu Giuseppe e fu Munisteri Pinò Ignazia, nato a Racalmuto il 17 aprile 1884, qui abitante (Milano), avvocato - 1,68 circa. - Avuta da Agrigento il 14/7/1932 n.° 33032 - 1° gennaio 1930:  Cartolina postale di Picone Chiodo all’avv. Sincero Rugarli, corso Umbero I°, 26 Roma. Si parla di libri e di abbonamenti a riviste. La questura di Roma definisce il Rugarli ‘noto socialista schedato’. Non sa nulla sul Picone Chiodo. - 27 febbraio 1930 - Consolato generale di Nizza - Riceve una lettera dall’avv. C. Picone Chiodo Via Tritone 201: Roma 24 febbraio 1930: ‘Ricevo il suo pregiato invito a presentarmi nella Regia Cancelleria per comunicazione che mi riguarda. Trovomi in Italia nostra da circa 15 giorni. Sarei grato a V.S. se volesse farmi conoscere l’oggetto dell’invito, non dovendo più venire a Nizza ..’   

  «Questura di Roma n. 023885 del 2 aprile 1930: C. Calogero Picone Chiodo .. con recapito presso il notaio Schillaci Guido. - Regia Questura di Roma da quella di Agrigento: Il 16.3.1904 dall’Amministrazione Comunale di Racalmuto il Picone venne incaricato dello insegnamento nella quinta classe elementare e tale incarico tenne sino alla fine del 1907. Laureatosi in legge, nell’ottobre 1907 si recò a New York per accompagnarvi una sorella, e a mezzo di un suo parente, che colà risiedeva da parecchi anni, cercò fortuna facendo il pubblicista, ma non ebbe successo, e l’anno successivo ritornò in patria riprendendo, nel luglio del 1908, l’insegnamento elementare, che tenne sino al febbraio del 1912. Durante la sua permanenza a Racalmuto, esercitò, saltuariamente, anche la professione di avvocato. Nel 1912 si trasferì a Milano, dove, il 26.2.1914, sposò certa Matilde Margherita Ochert da Monaco.

«In seguito a tale matrimonio, e dopo breve permanenza a Monaco, ottenne la rappresentanza di alcune fabbriche tedesche di colori. Durante la guerra fu prima soldato di artiglieria a Messina, e poi Ufficiale presso il distretto militare di Agrigento, ove disimpegnò la carica di aiutante maggiore. Ultimati gli obblighi militari ritornò con la famiglia a Milano, occupandosi nuovamente di colori. Nei primi del 1922, si trasferì a Rovato (Brescia) e nel novembre dello stesso anno ritornò stabilmente a Milano, dove aprì uno studio legale in Via Col di Lana 3, recandosi ad abitare al Viale Ticinese n.° 3.

«Nei primi del 1929 si recò a Parigi allo scopo, come si disse, di pubblicare alcuni libri e di occuparsi di studi spiritici. Già in Italia il Picone aveva pubblicato un libro di sociologia criminale, un altro sul bolscevismo, un opuscoletto della biblioteca Vallardi sulla cambiale, ed un libro di spiritismo intitolato ‘La verità spiritualistica’.

«Ultimamente, da Roma, ha inviato ai conoscenti un biglietto di partecipazione dell’apertura di uno studio legale. Durante la sua permanenza a Racalmuto professò teorie socialiste, ma senza accanimento. Si vuole che a Milano contasse numerose relazioni nell’ambiente socialista. Il predetto risulta di temperamento nervoso, eccitabile, ma oltremodo pavido.

«La Questura di Milano ha comunicato che il Picone ha risieduto in quella città dal 1913 al 1928, epoca in cui si recò all’estero, senza dar luogo a rilievi in linea politica e mantenendo contegno indifferente nei riguardi del Regime.

«Questura di Roma: 8 luglio 1930 - L’avv. Picone Chiodo Calogero è pertito ieri per Monaco di Baviera accompagnato dalla moglie Ockert Matilde fu Adolfo e dai figli Giuseppe, Ignazio ed Isabella.

«27.5.1932- Viene riferito da fonte fiduciaria che il segnalato Picone Chiodo Calogero, avvocato, residente a Parigi al n.° 203 Bld. Voltaire, continua a svolgere attiva propaganda contro il Regime, trattando e criticando violentemente questioni relative al Regime. Benchè apparentemente voglia far credere di non interessarsi di politica, la sua azione è notoriamente dannosa, perché svolta fra elementi intellettuali.

«1° luglio 1932 Prefetto di Agrigento: Risulta di buona condotta morale ed a suo carico non risultano precedenti e pendenze morali. Egli non ha in questi atti precedenti politici, ma è notorio che nel suo Comune di origine professava idee socialiste. Il Picone si allontanò da Racalmuto una prima volta nel 1914, e in un secondo tempo nel 1923. Il 14.2.1914 contrasse matrimonio con certa Occhert Matilde.

«N.° 16434 - Prefettura di Girgenti, comune di Racalmuto - Vella Vincenzo fu Giuseppe e della Vincenza Tinebra nato in Racalmuto il 17 ottobre 1868, residente a Racalmuto mandamento della Provincia di Girgenti.- Laureato in giurisprudenza - celibe - Socialista rivoluzionario - statura 1,58 - corporatura robusta, capelli castano scuri, viso oblungo, fronte alta, occhi castani, naso giusto, barba alla mefistofele e di colore castana scura, mento tondo, bocca regolare, espressione fisionomica satirica, abigliamento (sic) abituale, veste decente in nero.

«Riscuote nell’opinione pubblica fama di fanatico stravagante. Di carattere volubile. Di educazione limitata, in quanto che si appartiene a famiglia di esercenti miniere. Di corta intelligenza. Di coltura scarsissima. Ha compiuto gli studi nel liceo ed il corso di università in legge. Non possiede titoli accademici. E’ lavoratore fiacco. Ritrae i mezzi di sostentamento dalla poca proprietà lasciata alla famiglia dall’Avv. Tinebra Vincenzo. Frequenta la compagnia dei pochi affiliati al partito socialista di questo  Comune e dei Comuni di Grotte ed Aragona. Mal si comporta nei suoi doveri con la famiglia, di cui dovrebbe essere il sostegno, causa la morte del padre, trascurandola completamente. Non gli sono state affidate cariche amministrative e politiche. E’ iscritto al partito socialista rivoluzionario. Non ha precedentemente appartenuto ad altro partito.

«Ha molta influenza nel partito socialista locale, di cui è il capo e di cui fa il promotore. La sua influenza è circoscritta al luogo dove risiede. E’ stato in corrispondenza epistolare con i componenti il comitato centrale socialista di Palermo, con l’avv. Maniscalco direttore della Giustizia Sociale, coi nominativi Rao Gaetano, Presidente del disciolto fascio dei lavoratori di Canicattì, Di Napoli Rinaldo Presidente del disciolto fascio di Grotte, coll’onorevole Colajanni e col presidente della Federazione Regionale Socialista Lombarda. Non è stato, nè è in relazione epistolare con individui del partito all’Estero. Presentemente è in relazione epistolare col Direttore del periodico ‘La Riscossa’ di Palermo, il presidente del Comitato Regionale della Federazione Socialista Ligure, coi sudetti Di Napoli e Rao, col Direttore del periodico ‘La Lotta di classe’, e dicesi in relazione epistolare con Bosco Garibaldi e l’on. De Felice.

«Non ha dimorato all’estero, nè vi riportò condanne, e non ne fu esplulso. - Ha appertunuto al disciolto fascio dei lavoratori di Racalmuto, con la carica di Presidente. Presentemente non appartiene ad alcuna associazione sovversiva di mutuo soccorso o di altro genere. Durante il 1893 ha collaborato ai periodici sovversivi ‘La Lotta di Classe’ e ‘La Giustizia Sociale’. Di tanto in tanto spedisce corrispondenze alla ‘Riscossa’, ed alla ‘Lotta di Classe’.

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«Riceve i periodici ‘La lotta di classe’ e ‘la Riscossa’ ed opuscoli editi a cura del Comitato Regionale della Federazione socialista Ligure. Fa propaganda fra gli esercenti arti e mestieri, con poco profitto. E’ capace tenere conferenze. Ne ha tenute nel 1893, nel locale di questo disciolto fascio dei lavoratori, e nel domicilio di qualche socialista di qui. - Verso le autorità tiene un contegno sprezzante. Non ha preso parte a manifestazioni del partito cui è ascritto a mezzo della stampa firmando cioè manifesti, programmetti. Ma ha preso parte in occasione della dimostrazione organizzata in questa Stazione ferroviaria il 2 Novembre 1893, al passaggio dell’on. Colajanni, nella quale circostanza il fanatismo dei dimostranti raggiunse il colmo, intervenne la forza pubblica, fu percosso il Deputato di P.S. del tempo, malmenati il Maresciallo ed i militi.

«Nelle elezioni ammimistrative di Racalmuto del 1905 è stato eletto consigliere comunale. »

[Aggiunta in calce la posteriore data: Girgenti 14 gennaio 1908 - il prefetto Mario Rebucci].

«Prefettura di Girgenti - Cenno biografico del 20 ottobre 1913 - Andatura attempata. - Gode nell’opinione pubblica fama di uomodi poco carattere e di nessuna serietà. D’intelligenza ed educazione medie, è mordace ed aggressivo, quando scrive per i giornali, tanto che ha un frasario tutto suo speciale, fatto di volgare turpiloquio, appunto perché nelle lotte sia politiche che amministrative non sa fare a meno di attaccare in modo triviale le persone degli avversari, invece di combattere le idee. E’ laureato in legge, ma la sua cultura non va oltre gli studi fatti e le molte pubblicazioni socialiste lette e ben poco ben assimilate. Di natura fiacca, lavora lo stretto necessario, approfittando di quello che ricava dalla poca proprietà immobiliare a lui lasciata da un suo avo. Tenace nelle lotte, ma non nel carattere, egli varia di continuo e con molta leggerezza di relazioni politiche e di amicizie personali, a seconda della convenienza e dell’opportunità del momento, non si può dire quindi egli abbia in ciò una direttiva sicura, per quanto inclini nella scelta verso gli elementi sovversivi o politicamente esaltati. Si deve a tale sua malleabilità di carattere ed azione se egli sia stato consigliere comunale ed anche assessore supplente. Nella presente lotta politica, egli, transigendo con la sua condotta passata, ha stretto relazione con persone, altra volta attaccate fino all’insulto, per appoggiare la candidatura socialista dell’Avv. Marchesano. Nel biennio 1893-1894 - egli dette pensiero ed azione ai moti convulsionarii dei ‘fasci’ ed ebbe perciò il suo quarto d’ora di influenza e di popolarità, fra gli elementi sovversivi di allora; ma sopravvenuta la repressione egli ritornò quello di prima, anzi fu lì lì per essere inviato a domicilio coatto, a termini dell’art. 3 della legge 19 luglio 1894.  [..] Successivamente egli si occupò dei suoi affari privati per cui fece dimora a Delia ed a Casteltermini. Nel presente fa qualche pubblicazione sui giornali della provincia a carattere sovversivo; fa come può, ma con scarso profitto, propaganda fra gli operai ed è presidente della lega di miglioramento tra gli zolfatai di Racalmuto.

«E’ capace di parlare al pubblico, ma non di tenere conferenze vere e proprie, ciò quindi ha fatto sempre che se ne sia presentata l’occasione; in lui però più che la facilità di parola è comune il turpiloquio, che, in fondo, tradisce la sua origine volgare. Peò passato tenne verso l’autorità un contegno altero e sprezzante; ora però si mostra remissivo e rispettoso. Ma ha preso parte a vere e proprie pubbliche manifestazioni di carattere del partito. Nel 1893 intervenne in manifestazioni più o meno violente e, successivamente, in un pubblico spettacolo si lasciò andare a qualche atto inconsulto. Mai fu sottoposto alla pregiudiziale ammonizione e fu solo proposto, ma non assegnato, a domicilio coatto. Non ha subito condanne, ma ha i seguenti precedenti penali. Il 1° settembre 1893 fu arrestato in Milocca per istigazione a delinquere; a 7 maggio 1894 fu assolto dal Tribunale di Girgenti dall’imputazione di violenza e resistenza ad agenti della forza pubblica; a 19 maggio 1894 la camera di consiglio di Girgenti disse non luogo per l’imputazione di tentativo di fare insorgere gli abitanti del regno contro i poteri dello stato. Nello assieme il Vella, per quanto sempre relativamente temibile, non è più il sovversivo di una volta e non è più da ritenersi un socialista veramente combattivo, perché, in fondo, non riesce a farsi pigliare sul serio da alcuno. L’età, il male cronico di cui è affetto e qualche debito hanno fiaccato e piegato il suo carattere, naturalmente a ciò disposto, ed oggi si aggioga al carro di taluni conservatori, liberali d’occasione, con la stessa facilità con la quale si metterebbe loro contro, se gli tornasse opportuno, data anche la sua venalità.»

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«Relazione Prefettura: Dall’elenco allegato al n.° 16085 del 3.7.1911 risulta pericoloso. - Girgenti 1912: N.° 1128 del 23.4.1912 - E’ stato rieletto Consigliere Comunale di Racalmuto e poscia nominato assessore. Non tiene più contegno sprezzante con le autorità e si è mostrato favorevole al Governo per la guerra in Libia - Professa sempre idee socialiste e viene pertanto vigilato.»

 

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«Prefettura: 27 11.1925 - Professa tuttora principi socialisti e non tralascia occasione per fare propaganda antifascista. E’ attentamente sorvegliato. - Prefettura: 21.1.1929. - In data 2.12.1926 venne diffidato ai sensi dell’art. 166 legge P.S. In atto serba regolare condotta morale e politica mantenendosi estraneo ad ogni manifestazione contraria all’attuale Regime. Prefettura: 3.7.1931 - .. socialista rivoluzionario. Continua a tenere buona condotta politica, dedicandosi esclusivamente alla sua professione di avvocato. I suoi atteggiamenti nei riguardi del Regime sono favorevoli e mostra in apparenza di essersi ravveduto. Però non si ritiene opportuno, almeno per ora, di proporlo per la radiazione dallo schedario dei sovversivi, e si continua a esercitare su di lui assidua vigilanza. - Prefettura: 21.2.1933 - Risiede a Racalmuto, dove esercita la professione di procuratore legale presso quella pretura. Non spiega alcuna attività politica e tiene atteggiamento favorevole al Regime. Viene sempre sorvegliato non avendo dato prove sicure di ravvedimento. - Prefettura: 22.12.1934 - Non ha dato luogo a rilievi in linea politica, e nei riguardi del Regime si mostra apparentemente favorevole. Viene vigilato. - Prefettura: 25.9.1935 - Durante il terzo trimestre del corrente anno non ha dato luogo a rilievi con la sua condotta politica. Viene vigilato.» (13)

 

 

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Quanto a Vella Dante Nunziato fu Giuseppe, nato a Racalmuto il 3 marzo 1908, abbiamo fornito in precedenza i dati dello schedario centrale che lo riguardano.  Appartenente ad una famiglia di anarchici di Grotte, i suoi legami con Racalmuto sono del tutto accidentali e di mera anagrafe. La madre era una Pedalino Di Rosa, sorella di quello che è stato un affermato notaio di Milano, e discreto verseggiatore in dialetto. Il Pedalino, come si è detto, brigò tanto nel 1930 per farsi riconoscere i meriti di essere stato tra i sansepolcristi del 1919. Il 27 dicembre 1937, il suo nome però viene associato sia pure molto casualmente con quello dell’anarchico Dante Nunziato Vella di cui è zio materno. Il prefetto G. Marzano esclude ogni favoreggiamento, ma si dà il caso che da allora il Pedalino ha qualche screzio col fascismo. Oggi, la figlia tiene a rivendicare un passato (inesistente) antifascista del padre. Ciò ha sorpreso i redattori del locale foglio di Racalmuto Malgrado tutto, che avevano - ed a ragione - visto il Pedalino come un antesignano del fascismo.

 

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La schedatura di Picone Chiodo Calogero (14) fa emergere una figura che comunque la si giri difficilmente può venire riportata nell’ambito dell’antifascismo. Trattasi, piuttosto, di un avventuriero che opera ai margini della truffa. Certo, siamo in pieno contrasto con la idealizzazione che la lettura locale (il citato libro del Messana e Malgrado tutto) hanno di recente sfornato. Latrscrizione dei dati d’archivio chiarisce meglio l’assunto.

«Picone Chiodo Calogero fu Giuseppe e fu Munisteri Pinò Ignazia, nato a Racalmuto il 17 aprile 1884, qui abitante (Milano), avvocato - 1,68 circa. - Avuta da Agrigento il 14/7/1932 n.° 33032 - 1° gennaio 1930:  Cartolina postale di Picone Chiodo all’avv. Sincero Rugarli, corso Umbero I°, 26 Roma. Si parla di libri e di abbonamenti a riviste. La questura di Roma definisce il Rugarli ‘noto socialista schedato’. Non sa nulla sul Picone Chiodo. - 27 febbraio 1930 - Consolato generale di Nizza - Riceve una lettera dall’avv. C. Picone Chiodo Via Tritone 201: Roma 24 febbraio 1930: ‘Ricevo il suo pregiato invito a presentarmi nella Regia Cancelleria per comunicazione che mi riguarda. Trovomi in Italia nostra da circa 15 giorni. Sarei grato a V.S. se volesse farmi conoscere l’oggetto dell’invito, non dovendo più venire a Nizza ..’   

  «Questura di Roma n. 023885 del 2 aprile 1930: C. Calogero Picone Chiodo .. con recapito presso il notaio Schillaci Guido. - Regia Questura di Roma da quella di Agrigento: Il 16.3.1904 dall’Amministrazione Comunale di Racalmuto il Picone venne incaricato dello insegnamento nella quinta classe elementare e tale incarico tenne sino alla fine del 1907. Laureatosi in legge, nell’ottobre 1907 si recò a New York per accompagnarvi una sorella, e a mezzo di un suo parente, che colà risiedeva da parecchi anni, cercò fortuna facendo il pubblicista, ma non ebbe successo, e l’anno successivo ritornò in patria riprendendo, nel luglio del 1908, l’insegnamento elementare, che tenne sino al febbraio del 1912. Durante la sua permanenza a Racalmuto, esercitò, saltuariamente, anche la professione di avvocato. Nel 1912 si trasferì a Milano, dove, il 26.2.1914, sposò certa Matilde Margherita Ochert da Monaco.

«In seguito a tale matrimonio, e dopo breve permanenza a Monaco, ottenne la rappresentanza di alcune fabbriche tedesche di colori. Durante la guerra fu prima soldato di artiglieria a Messina, e poi Ufficiale presso il distretto militare di Agrigento, ove disimpegnò la carica di aiutante maggiore. Ultimati gli obblighi militari ritornò con la famiglia a Milano, occupandosi nuovamente di colori. Nei primi del 1922, si trasferì a Rovato (Brescia) e nel novembre dello stesso anno ritornò stabilmente a Milano, dove aprì uno studio legale in Via Col di Lana 3, recandosi ad abitare al Viale Ticinese n.° 3.

«Nei primi del 1929 si recò a Parigi allo scopo, come si disse, di pubblicare alcuni libri e di occuparsi di studi spiritici. Già in Italia il Picone aveva pubblicato un libro di sociologia criminale, un altro sul bolscevismo, un opuscoletto della biblioteca Vallardi sulla cambiale, ed un libro di spiritismo intitolato ‘La verità spiritualistica’.

«Ultimamente, da Roma, ha inviato ai conoscenti un biglietto di partecipazione dell’apertura di uno studio legale. Durante la sua permanenza a Racalmuto professò teorie socialiste, ma senza accanimento. Si vuole che a Milano contasse numerose relazioni nell’ambiente socialista. Il predetto risulta di temperamento nervoso, eccitabile, ma oltremodo pavido.

«La Questura di Milano ha comunicato che il Picone ha risieduto in quella città dal 1913 al 1928, epoca in cui si recò all’estero, senza dar luogo a rilievi in linea politica e mantenendo contegno indifferente nei riguardi del Regime.

«Questura di Roma: 8 luglio 1930 - L’avv. Picone Chiodo Calogero è pertito ieri per Monaco di Baviera accompagnato dalla moglie Ockert Matilde fu Adolfo e dai figli Giuseppe, Ignazio ed Isabella.

«27.5.1932- Viene riferito da fonte fiduciaria che il segnalato Picone Chiodo Calogero, avvocato, residente a Parigi al n.° 203 Bld. Voltaire, continua a svolgere attiva propaganda contro il Regime, trattando e criticando violentemente questioni relative al Regime. Benchè apparentemente voglia far credere di non interessarsi di politica, la sua azione è notoriamente dannosa, perché svolta fra elementi intellettuali.

«1° luglio 1932 Prefetto di Agrigento: Risulta di buona condotta morale ed a suo carico non risultano precedenti e pendenze morali. Egli non ha in questi atti precedenti politici, ma è notorio che nel suo Comune di origine professava idee socialiste. Il Picone si allontanò da Racalmuto una prima volta nel 1914, e in un secondo tempo nel 1923. Il 14.2.1914 contrasse matrimonio con certa Occhert Matilde.

«Ambasciata Parigi del 26.9.1932: Si riscontra la nota di codesto Ministero, nella quale l’avv. Picone Chiodo è qualificato ‘antifascista’. Tale appellativo non sembra in armonia con le informazioni fornite dalla stessa Prefettura. L’attività svolta a Parigi per la costituzione di una ‘Association Internationale pour la lutte contre le crîme’ lo ha portato a contatto di elementi francesi che nutrono sentimenti massonici ed ostili al Regime, ma non avrebbe avuto, per quanto risulta, alcuna attività antifascista.

«26.9.1932 minuta del Ministero Interno: Il Picone, pertanto, è per lo meno politicamente sospetto, provenendo le informazioni fiduciarie da fonti attendibili, e pertanto egli rimane iscritto nel Casellario politico per quei provvedimenti che questo Ministero crederà di adottare sia per la vigilanza all’estero, sia in caso di un suo eventuale rientro nel Regno.

«13 ottobre 1932 Affari Esteri all’Ambasciata a Parigi: Sono evidenti i suoi legami con noti esponenti della massoneria. Provvedimento. ‘da perquisire, segnalare e vigilare’. 3 dicembre 1932: Detto socialista è scomparso da Parigi e sconoscesi dove possa trovarsi. 28 gennaio 1933 Prefettura di Agrigento: L’Ufficio di P.S. di frontiera di Ventimiglia informa che il 26 gennaio ore 22 è entrato di transito nel Regno, diretto a Monaco di Baviera. Avv. Picone Chiodo, iscritto nella rubrica di frontiera, schedina n.° 35132, e  perquisizione ha avuto esito negativo. Idem 2.2.1933: Connazionale avv. Picone Chiodo Calogero, munito passaporto n.° 053285 reg. 1385 rilasciato Questura di Bolzano il 6.8.1928, accompagnato consorte ... è stato perquisito con esito negativo.

«17.3.1933 Affari Esteri, Consolato di Monaco: Ha chiamato il Ciodo per soddisfare il suo debito verso l’editore Schmidt.. Rilascia una lettera a sua difesa [ove si parla di ‘compensazione occulta’ fra debiti e crediti].

«Monaco 8.3.1933 lettera Picone: E’ tuttora pendente un conto che avrebbe dovuto essere definito negli anni 1927-28. Il Drenler .. si vanterà mio ceditore della somma di lire 2.000 ... mi vanto ancora creditore di tutte le provvigioni sugli affari conclusi direttamente dalla ditta con i clienti italiani durante circa sei anni (1920-26 =1927). Non ricordo esattamente Il signor Drenler .. non volle adempiere .. complessivamente non volle liquidare circa lire 4.000 per gli affari da me conclusi.

«23.3.1933 Consolato Monaco di Baviera: L’avv. Picone si è sempre dimostrato un entusiasta del Regime e non ha qui dato motivo a sospetti di antifascismo. Ha fatto anzi domanda per essere iscritto al Fascio di Grasse di recente istituzione. Sarei grato a codesto R. Ministero se volesse comunicarmi in base a quali elementi sono stati formulati i sospetti di antifascismo.

«Minuta M.I. del 4.8.1933: [Accenno ai fatti di Parigi, ma dopo:] ‘questo Ministero prende atto delle favorevoli informazioni fornite dal N.R. Console di Nizza e con provvedimento di pari data dispone la di lui radiazione dal casellario di frontiera e dal novero dei sovversivi.

«8.4.1939: Revoca iscrizione.

«21.12.1940: Picone Chiodo qui domiciliato [Roma] da molti anni in via Compagnoni, 10 non dà luogo a rilievi e nei confronti del Regime mantiene atteggiamento indifferente. Risulta di regolare condotta morale. Esercita la professione di avvocato penale, versa in discrete condizioni economiche.

«28.8.1942: Non dà luogo a rilievi.»

 

*   *   *

Lo schedato Edmondo Sacrdoti è un avvocato romano, palesemente ebreo, che con Racalmuto ha in comune solo il fatto di esservi casualmente nato. Il padre - ignoriamo il perché - era astretto alle locali carceri e la moglie, che lo aveva seguito in questa sperduta cittadina dell’agrigentino diede alla luce proprio qui a Racalmuto il piccolo Edmondo il 27 aprile 1888: questo dicono gli atti dello stato civile che siamo andati a rintracciare. Il Sacerdoti non fu poi un grosso antifascista: passa una notte in gattabuia, pensiamo per svista della polizia. Lo stesso Mussolini si premura il giorno dopo di farlo mettere in libertà. Ecco quanto annotato nello schedario (15):

«10 dicembre 1929 - Ministero Interno - Polizia Politica: L’avv. Edmondo Sacerdoti, già iscritto nel partito socialista e noto per le cariche che occupò nel partito stesso nella Capitale, si è allontanato da qualsiasi movimento politico. [Scheda intestata a:] Sacerdoti Edmondo di Cesare e fu Fogger Isabella, nato a Racalmuto (Agrigento) il 27.4.1888. Avvocato residente a Roma - Socialista.»

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L’ultimo inquisito - anche in ordine di tempo - dalla polizia fascista ha poco a che fare con

l’antifascismo: sembra un piccolo Sindona anzitempo che cerca di truffare ebrei romani con

promesse di trasferimenti all’estero di capitali per il tramite delle organizzazioni finanziarie

del Vaticano. In combutta con un console della M.V.S.N., il racalmutese Everardo Messana,

trasferitosi a Roma nel 1928, dopo essere messo in congedo dall’Arma dei Carabinieri Reali,

incappa in due ordini di confino politico per tre anni ciascuno nel 1934 e nel 1939 (16).

Questo il profilo ricavabile dai vari rapporti di polizia.  Ecco quello che scrive la Regia

Questura di Roma  in data 10 febbraio 1934:«Messana Everardo fu Angelo e di Marchioni

[rectius: Mantione] Vincenza, nato a Racalmuto (Agrigento) il 16.9.1902, abitante in Roma

Via Principe Eugenio n. 22 - Denunzia per il confino di Polizia.«Questo Ufficio si è testè

interessato [...] della losca attività affaristica svolta da alcuni individui nelle varie ambigue

categorie di tenutari di case di prostituzione, di biscazzieri e di venditori di fumo. Tra questi è

emersa, in pieno, la figura del nominato MESSANA Everardo. Prospettatasi la bbraio

1934:«Messana Everardo fu Angelo e di Marchioni [rectius: Mantione] Vincenza, nato a

Racalmuto (Agrigento) il 16.9.1902, abitante in Roma Via Principe Eugenio n. 22 - Denunzia

per il confino di Polizia.«Questo Ufficio si è testè interessato [...] della losca attività affaristica

svolta da alcuni individui nelle varie ambigue categorie di tenutari di case di prostituzione, di

biscazzieri e di venditori di fumo. Tra questi è emersa, in pieno, la figura del nominato

MESSANA Everardo. Prospettatasi la possibilità di giocare d’azzardo al noto circolo

Casanova della Capitale, il Messana si assunse la garanzia del pacifico esercizio del giuoco,

a condizione che si fosse versato un premio ‘ai suoi amici della Direzione Generale di P.S.’

di L. 200.000 ridotte poi a 150.000. Tale riduzione, però, com’egli fece comprendere

costituiva per lui un grande sacrificio, in quanto ben poco avrebbe avuto di tale somma. Nel

settembre scorso, essendogli stato parlato dell’eventualità dell’istituzione in Acqui di una

casa dell’Interno. Esso Messana ne parlò al dott. Guido Albergo, già confinato da codesta

On. Commissione, che gli aveva detto di far parte dell’O.V.R.A. e di avere forti addentellati

presso la Direzione Generale della P.S. [..]«E’ agevole rilevare quanta speciosità vi sia nelle

dichiarazioni del Messana i cui rapporti coll’Albergo costituiscono una riprova della sua

attività millantatrice, diffamando le Utorità Statali e la Polizia in ispecie, con l’insinuare la

possibilità, se non la certezza, di poter corrompere funzionari di ogni grado. [..]»Abbiamo,

poi, da un rapporto informativo della Legione Territoriale de Carabinieri di Roma del 3 luglio

1939:«Messana Everardo fu Calogero e fu Mantione Vincenza, nato a Racalmuto (Agrigento)

il 6 settembre 1902, vedovo senza prole. Dal 18 aprile [1939] è associato alle locali carceri

giudiziarie. E’ di razza ariana e professa la religione cattolica. Ha prestato servizio militare

nell’Arma dei CC.RR. dal 24 gennaio 1922 al 23 gennaio 1928, data sotto la quale fu inviato

in congedo dalla legione territoriale di Roma, col grado di brigadiere. Il 12 febbraio 1934,

dalla commissione provinciale di Roma, fu assegnato al confino politico, per la durata di anni

3, per avere in Acqui promesso di far ottenere licenza per casa da giuoco, vantando

inesistenti aderenze ed assicurando di essere in grado di corrompere funzionari. Il 10

gennaio 1937, dopo aver scontata la pena, rientrò dal confino. In conseguenza di tale

precedente, con Decreto del Ministero della Guerra n. 21 in data 5 giugno 1935, venne

radiato dai ruoli dell’Arma ed assegnato come soldato di fanteria in congedo del Distretto

Militare di Roma 1°. Il 19 agosto 1938, fu denunziato

 

 

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dal Commissariato di P.S. Celio, per tentata truffa in danno di varie persone, per aver assicurato loro di essere in grado inviarli in A.O.I. in qualità di autisti mediante compenso, ma il relativo processo non è stato ancora discusso. [...] Recentemente ha svolto illecita attività in materia valutaria ed infatti il comando del Nucleo di Polizia Tributaria Investigativa di Milano, in seguito ad indagini eseguite in quella sede, venne a conoscenza che sulla piazza di Roma, venivano offerti ingenti quantitativi di valuta estera provenienti dallo Stato Città del Vaticano, contro versamenti in lire italiane ad un cambio molto superiore a quello ufficiale. [...]

«Sangalli Massimo dichiarò di aver conosciuto casualmente verso la fine dell’anno scorso, certo Angeli Giulio, il quale gli aveva comunicato che lo Stato Vaticano era in possesso di forte quantitativo di divisa estera appartenente all’obolo di S. Pietro, che desiderva convertire in lire italiane, ad un cambio maggiorato di circa 70% rispetto a quello ufficiale. L’operazione di cambio in argomento era, secondo l’affermazione dell’Angeli, completamente legale, perché il cambio veniva eseguito non in Italia ma nello Stato Vaticano, mentre il passaggio della valuta tra il Vaticano e l’Italia era perfettamente libero. Secondo l’Angeli le lire italiane ricevute dal Vaticano in dipendenza di tale attività, sarebbero state versate, sempre da tale Stato a quello italiano, in conto spese di Spagna ed altro. [...]

«Il Sangalli stava quindi, per porre in relazione il supposto procuratore della ditta ‘Lagomarsino’ (che altro non era che il sottoufficiale del Nucleo di P.T.I. di Milano) con certo Messana Everardo, giunto in quel momento accompagnato dall’Angeli, il quale avrebbe dovuto procurare la divisa estera, costituita da sterline per un controvalore di un milione di lire al cambio di 160. [...]

«Successivamente interrogato, il Messana confermò la dichiarazione del Carrara ma precisò che non intendeva eseguire alcuna illecita operazione valutaria in quanto agiva per conto del console della M.V.S.N. sig. Panphili Entico. [...]

«Da quanto sopra è esposto, risulta provato che il Messana Everardo ha esplicato una attività rilevante, diretta a concludere operazioni valutarie per l’importo di un milione di lire italiane, dichiarando ai contraenti cio quali era entrato in rapporto, che la divisa estera doveva essergli fornita dallo Stato Città Vaticano. [..]»

*  *   *

Le farragini  della letteratura locale e le nostre ricerche negli archivi (specie in quelli romani) forniscono un quadro che crediamo interessante sullo squarcio di vita racalmutese agli esordi dell’avvento del Regime: negare che almeno inizialmente vi sia stato qualche focolaio antifascista evidentemente non si può. Ma esso fu pochissima cosa, riducibile agli strascichi dell’attivismo di alcuni dirigenti locali del socialismo rivoluzionario. Col 1926, però, tali rimasugli si dissolsero completamente. La statura morale ed ideologica degli uomini del socialismo racalmutese non svetta di certo. Qualche legame con il movimento comunista sembra esservi stato. Il Messana vi si diffonde, ma con evidente enfasi di parte. Racalmuto, ancor prima degli anni del consenso che secondo il De Felice abbracciano il periodo 1929-1936, fu fascista in modo entusiastico e radicale, Dal 1927 senza dubbio. Sciascia ironizza sulla frase ‘fascista sino al midollo’: ma nel nostro caso una qualche rispondenza al vero quel motto di Mussolini ce l’ha. Grande merito di ciò è da attribuire alla figura del primo podestà Enrico Macaluso, esaltato persino dallo stesso Sciascia, bistrattato dal Messana che, però, alquanto contraddittoriamente, finisce col fornire un quadro di positività, almeno per quanto attiene alle doti di onestà amministrativa del Macaluso. E non è poco, come l’attuale rivolta morale contro tangentopoli ampiamente dimostra.

 

 

Prodromi, avvento ed affermazione del fascismo a Racalmuto.

 

Risulta alquanto singolare che il primo momento d’interesse per il fascismo si consumi, a Racalmuto, nell’esclusivo e nobiliare circolo Unione. Era il sedici gennaio 1921. Nel sodalizio reso celebre da Sciascia nelle sue Parrocchie di Regalpetra si volle l’abbonamento al giornale di Mussolini “Popolo d’Italia”. Quali movivi vi sottendessero non è dato di sapere. Il verbale n. 4 recita testulamente:

«Abbonamento al giornale Popolo d’Italia: Indi [il 16.1.1921] postoa in discussione l’abbonamento al giornale “Popolo d’Italia”, esperitasi la votazione, riesce approvato a maggioranza di voti. Previa lettura e conferma il verbale si sottoscrive. Il presidente: Bartolotta; I soci: G. Grillo e S.Messana - Il Segretario: Sciascia.»

Non si raggiunge l’unanimità, come di solito. Si fa firmare il verbale, inconsuetamente a due soci. Il presidente è Bartolotta, all’epoca potente vicesindaco e notabile del luogo che l’opinione pubblica accreditava come referente della mafia del territorio.

La verbalizzazione del Circolo Unione - diversamente, ad esempio, da quella del Muotuo Soccorso - è estrememante succinta ed è del tutto rituale: ciò conferisce maggior risalto a questa nota sull’abbonamento al giornale di Mussolini agli albori del fascismo. Pensiamo che quell’atto da parte dei ‘galantuomini’ racalmutesi si debba alla svolta, notatasi anche in paese, dell’opinione pubblica, in accentuata fase di disaffezione verso il movimento socialista, in auge nel biennio precedente. Un riscontro lo troviamo nella verbalizzazione del cennato Mutuo Soccorso di Racalmuto. Citiamo da un lavoro dattiloscritto disponibile presso quel circolo (17 :

« Il 18 aprile 1920, il Mutuo Soccorso aveva avuto anche  un momento di simpatie socialiste. Ciò, per merito del Vice Presidente Giuseppe SCIASCIA. In una seduta consiliare,        sovraccarica di lavoro ed alquanto disordinata, inopinatamente il sig. Sciascia Giuseppe di Giuseppe propone di abbonare il  circolo all'«AVANTI!». Il Presidente (ricopriva allora quella          carica il sig. Restivo Pantalone Salvatore, un benpensante con nessuna simpatia socialista) «propone di respingere la  proposta avendo scopo di sovvertimento della Società». Le         votazioni dànno, però, torto al Restivo Pantalone: «su nove aventi diritto al voto, viene approvato l'abbonamento con voti  sei contro tre». Non è comunque nelle intenzioni dello Sciascia stravincere o dare troppo peso politico all'episodio. Questi fa verbalizzare che «tiene a dichiarare che,       contrariamente all'allusione fatta dal Presidente nel ritenere  che l'abbonamento al giornale Avanti sia fatto nell'esclusivo interesse di sovvertimento della nostra società, ha creduto <invece> sottoporre all'approvazione del Consiglio l'abbonamento in parola per scopo  soltanto istruttivo e        per allargare le cognizioni culturali della società.» Ancor più contrario a quel vezzo socialista  il controllo Vincenzo Tinebra. Ma questi non può votare. Si attacca allora all'espediente di rimettere la decisione all'assemblea «trattandosi di un giornale con scopi rivoluzionari e sovversivi». Ma il V. Presidente si oppone perché «ciò non è  competenza dell'assemblea». Il consiglio è d'accordo col V. Presidente. La faccenda ha un seguito: il Presidente Restivo Pantalone è uomo d'onore e, quindi, si dimette dalla carica. Porta a scusa  di essere stato trattato «con poca cordialità         dall'amministrazione». Tante insistenze e la smentita per il tramite di una commissione non valsero a farlo desistere da quelle dimissioni. Ciò agevola il Vice Giuseppe SCIASCIA, che finisce col diventare il numero  uno del circolo. Segue il Restivo Pantalone nelle dimissioni anche il controllo Vincenzo Tinebra, che peraltro  gli era 'congiunto'. La vicepresidenza SCIASCIA dura, ad ogni buon conto, lo spazio di un mattino. Non ci vien detto neppure perché: le sue dimissioni vengono approvate all'unanimità il giorno 27 maggio 1920. In seconda convocazione, annota il segretario Giuseppe Collura. Subentra nella presidenza Giovanni FANTAUZZO. [...]

« L'anno 1921 si apre con una nuova amministrazione, stavolta tutta conservatrice ed antisocialista. Vi sono tagli persino dittatoriali. Ne è alfiere un personaggio insospettabile sotto tale veste: IGNAZIO INFANTINO.  Viene strappata mezza pagina del libro dei verbali. La calligrafia si fa rototondeggiante, linda, precisa. Lo stile è  curato. Col 31 gennaio 1921, inizia una nuova epoca al  circolo. Contrassegna la restaurazione il nuovo presidente Ignazio Infantino. La sua amministrazione era stata eletta  sulla base di una lista che, per la prima volta, viene        propagandata su fogli dattiloscritti. Il Vice Presidente è la  notoria figura di Baldassare Tinebra. Il vecchio e  antisocialista presidente dimissionario Salvatore Restivo Pantalone accetta, ora, di retrocedere al grado di cassiere,  pur di essere presente nell'opera di recupero conservatore del Mutuo Soccorso. Tra i consiglieri notiamo personalità come Casuccio Salvatore di Calogero o Rosina Salvatore. Calogero Volpe e Vincenzo Tinebra gradiscono la carica di 'controlli'. A portabandiera vengono chiamati Giuseppe Fantauzzo ed Angelo Collura.  La  verbalizzazione della prima seduta del nuovo corso val la  pena di riportarla pressoché integralmente. «Il presidente, visto il numero legale degli intervenuti, dichiara aperta la seduta e delibera quanto appresso:        «1° La Presidenza con l'accordo unanime degli intervenuti, ritenuto che il voto a Vice Segretario era attribuito al  signor Scimè Chiodo Giuseppe di Carmelo, perché egli era il candidato proposto dalla lista di opposizione a quella  ufficiale, lo proclama a Vice Segretario di questo Sodalizio ad unanimità. - 2° Il consiglio Direttivo ad unanimità, compresi i controlli aventi diritto di voto, ritenuto che il giornale L'AVANTI  non risponde alle esigenze delle istituzioni costituzionali, che reggono il nostro Sodalizio, propone la soppressione di detto giornale L'AVANTI, ed ad unanimità si delibera la soppressione, dando mandato al Presidente di sopprimere detto giornale, scrivendo al Direttore di detto giornale, di non più spedire il detto giornale ad onta di essere pagato         anticipatamente. [..]» 

« Nei primi anni del fascismo, la vita del circolo scorre tranquilla e piuttosto anonima. [..]  Qualche segno dell'avvento del regime fascista si ha nel 1926. Il giorno 11 dicembre si verbalizza l'approvazione  dell'abbonamento al giornale IL POPOLO D'ITALIA dismettendo la compera del giornale SICILIA NUOVA. Durante la discussione il Consigliere Luigi VELLA si allontana, intuibilmente per  dissenso. [...] Si ha la forza per rifiutare l'abbonamento al giornale         L'Aquila, nonostante la richiesta promani dalla casa dei Balilla di Agrigento (5 novembre 1929). Ma per il matrimonio  del principe di Piemonte, «ad unanimità il consiglio stanzia la somma di lire trecento» (2 gennaio 1930). Il 10 maggio 1930 (anno VIII) «il presidente mette a voti segreti col sistema delle fagiole, per il prelevamento della somma per pagare le tessere agli iscritti del circolo all'O.N.D. oppure pagare personalmente l'iscritto. Visto il risultato ad unanimità di voti, approva il prelevamento della somma dal fondo di cassa e l'iscrizione a corpo.» L'omologazione fascista si è dunque consumata. Presidente è  Salvatore Mattina fu Gaetano. Segretario: Collura Alfonso. Era        arrivata una circolare mandata dal Podestà, con cui si esigeva l'iscrizione del circolo all'Opera nazionale Dopolavoro. I  tempi della libertà di associazione erano definitivamente tramontati. L'assenso era d'obbligo. [..] Le cariche sociali cessano di essere affidate a libere elezioni. «Ritenuto che la nuova amministrazione - viene verbalizzato, con contorta prosa, il 9 dicembre 1932 - sarà  approvata prima della fine del c.m. per ordine del Commissario Comunale ddel'O.N.D. sig. Mattina prof. Giuseppe, ed in esito alla circolare n. 8 dell'8 c.m.» al consiglio non rimane altro  che procedere ad una commissione consultiva, incaricata di segnalare nominativi graditi.»

 

Per avere un’altra testimonianza della propensione del Circolo Unione verso il fascismo dobbiamo, invece, attendere (18) il 1932. E’ di risalto per la nostra ricerca questo verbale:

«Nomina a Soci Onorari: L’anno millenovecentotrentadue il giorno 26 del mese di giugno alle ore 20,30 nella solita sala delle adunanze si è riunita l’assemblea generale straordinaria dei Signori Soci per discutere e deliberare sul seguente:/ Ordine del giorno/ Nomina a Soci Onorari./ Il Presidente/ constatato il numero legale dei Soci presenti in n. 35 dichiara aperta la seduta ed invita l’assemblea a procedere alla nomina a Socio Onorario del concittadino Sansepolcrista Comm. avv. Giuseppe Pedalino.

«Il Socio Rag. Sciascia Vincenzo a questo punto domanda la parola, ed avutone l’assenso dal Presidente dichiara non solo di aderire toto corde alla proposta per la nomina del Comm. Pedalino a Socio onorario di questo Sodalizio, ma di nominare anche, con lui, gli altri nostri illustri concittadini, Generale Egidio Macaluso, il gesuita Padre Francesco Paolo Nalbone, e il gesuita oratore insigne, Padre Antonio Parisi.

«L’assemblea per acclamazione approva la proposta del Presidente e del Rag. Vincenzo Sciascia e dà incarico al Presidente di comunicare tale deliberato agli illustri nuovi Soci onorari. Dopo di che l’Assemblea si scioglie. Previa lettura e conferma il verbale è approvato e sottoscritto. Il Segretario: Vinci. - Il Presidente: Mendola».

Il Pedalino aveva nel 1930 brigato per farsi riconoscere ‘Sansepolcrista’. Nel 1929 v’era stata la celebrazione del decennale dell’adunata del 23 marzo 1919 di piazza S. Sepolcro. I giornali avevano pubblicato l’elenco dei sansepolcristi desunto dal numero del “Popolo d’Italia” del 24 marzo 1919” ed il Pedalino non c’era. (Cfr., ad esempio, L’Impero - quotidiano fascista della sera, Sabato 23 marzo 1929 - VII). (19 ) L’anno successivo, 56 milanesi - tra i quali il nostro Giuseppe Pedalino - mostravano di avere vinto la loro piccola battaglia per il riconoscimento ufficiale si sansepolcristi, come attesta questo telegramma:

«A S.E. Mussolini roma - ricevuto il 23 marzo 1930 ore 19,18 da Milano 89399 - Presenti alla seduta del 21 marzo partecipanti all’adunata gloriosa del 23 marzo 1919 stop Esprimiamo cordiale devoto ringraziamento pel Vostro pensiero benevolo verso di noi stop Avere posto la vecchia guardia accanto autorità ci commuove ed esalta stop Noi chiediamo di servirVi in ogni ora come nella primissima col giuramento con la fede con l’opera con tutto noi stessi stop Pronti alla buona causa[seguono firme: Giuseppe Pedalino è al quindicesimo posto].»

La retorica dei firmatari non era valsa ad impedire una poliziesca attenzione sul loro conto. Viene annotato  con matita rossa:”tenere in evidenza tutti nomi”, e con matita nera: “Fatte copie per i fasc. rispettivi di tutti i firmatari dell’accluso telegr. -  27.3.1930 VIII”.

*   *   *

 

Un episodio del ocale consiglio comunale desta l’ilare ironia di Leonardo Sciascia e la corrusca pedanteria di Eugenio Napoleone Messana: l’attribuzione della cittadinanza onoraria nel 1923 a S. E. Benito Mussolini. Annotata Sciasca: (20 )

«Dopo il declino dei Lascuda [vale a dire dei Tulumello, n.d.r.] si formarono due fazioni guidate da professionisti, dominavano i medici, ché allora diversa era la professione del medico, a Regalpetra [alias Racalmuto, n.d.r.] dico; [...] Le due fazioni elettorali non si distinguevano tra loro né per colore politico né per programmi; l’unica distinzione stava nel fatto che una fazione lottava senza la mafia el’altra alla mafia si appoggiava, le possibilità di vittoria stavano dalla parte dei mafiosi, ma un risultato imprevisto poteva avvenire che scattasse, sicché i mafiosi non giuocavano aperto pur gettando tutto il loro peso su una parte. I socialisti, come si dice delle puntate a cavallo nel baccarà, quando il banco né tira né paga, non facevano giouco; l’avvocato [Vincenzo Vella, n.d.r] che al tempo dei Fasci Siciliani aveva coraggio e speranza, mugugnava amarezza e delusione.

«Questa arcadia da cui ogni tanto scappava fuori l’ammazzato prosperò fino al 1923, degnamente chiuse la sua vita con questa deliberazione del Consiglio Cominale:

«”L’anno millenoventoventitre nel giorno quattordici del mese di dicembre alle ore diciotto. Il Consiglio Comunale di Regalpetra [Racalmuto, n.d.r.] in seguito ad avvisi di seconda convocazione, diramati e consegnati ai sensi degli articoli 119, 120 e 125 della legge, si è riunito in adunanza straordinaria nella solita sala municipale con l’intervento dei signori ..., ed all’appello nominale  risultarono assenti gli altri diciannove consiglieri di cui uno morto, ed essendo in numero legale per validità della deliberazione ... PROPOSTA  - Conferimento della cittadinanza onoraria a S.E. Benito Mussolini - Il presidente rammenta all’onorevole consesso la viva lotta che molti Comuni Siciliani, compreso il nostro, hanno sostenuto presso i passati governi per la soluzione dell’annoso problema idrico. Finalmente, soggiunge, solo il Governo Fascista ha saputo sollecitamente e pienamente accontentare i voti di quanti di quel dono della natura vanno privi. Di fronte a sì alto beneficio, questo Consiglio Comunale, interprete dei sentimenti di tutto il popolo di Regalpetra, non potrà diversamente esprimere la sua riconoscenza e devozione al Governo Fascista che conferendo la cittadinanza onoraria al suo Capo Supremo S.E. Benito Mussolini - IL CONSIGLIO - a voti unanimie con entusiastiche acclamazioni, ripetute dal pubblico assistente, ha conferito la cittadinanza onoraria a S.E. Benito Mussolini.”

«Così sollecitamente e pienamente il governo fascista risolse il problema idrico che i tubi che dovevano portare l’acqua a Regalpetra giunsero a questo scalo ferroviario nel 1938, furono ammucchiati dietro i magazzini, da principio se ne interessarono i ragazzi, per giuoco vi si inconigliavano dentro, poi l’erba li coprì, restarono dimenticati nell’erba alta. L’acqua arrivò nel 1950, fu festa grande per il paese. In quanto agli undici consiglieri che avevano deliberato per la cittadinanza a Mussolini, un paio restarono nella rete di Mori, gli altri non si iscrissero mai al fascio, masticarono amaro per vent’anni. In compenso furono fascisti quei diciotto (facevano diciannove col morto) che risultarono assenti, e si erano evidentemente assentati per protesta, il giorno della deliberazione.

«Il sindaco quella proposta aveva fatto per guardarsi le spalle, così si illudeva; dopo il telegramma che annunciava a Mussolini la deliberata cittadinanza onoraria, un altro ne fece che denunciava il prefetto come protettore della delinquenza, voleva dire della delinquenza dei fascisti non di quella della mafia: come un fulmine giunse l’ordine di scioglimento del Consiglio comunale, fu nominato commissario il capo dei fascisti regalpetresi. [...]

«Dopo il 23, il diagramma degli omicidi si avalla; poi Mori, con metodi già noti, ramazzò mafiosi e favoreggiatori, ma non si creda riuscisse ad estirparli definitivamente, soltanto nella nostalgia per il fascismo si può credere una simile cosa. Per quel che io ricorso, e più indietro i miei ricordi non vanno, negli anni più euforici del fascismo c’era a Regalpetra, nelle campagne intorno, un latitante cui per comodo tutti i furti e gli incendi di case di campagna, che in quel tempo furono numerosissimi, venivano attribuiti. Fu messa una taglia sul bandito (che era un proveruomo che doveva scontare una condanna per furto, e a costituirsi non si decideva; viveva con le magre tassazioniche ai galantuomini imponeva); e per la taglia lo ammazzarono, gli diedero alloggio e poi l’ammazzarono: e il fratello del bandito sparò poi, in piazza e a mezzogiorno, all’uomo che quel servigio aveva reso alla società, nell’opinione dei regalpetresi fece giusta vendetta. »

Il Messana (21) spoglia del velo della fantasia l’episodio ed il contesto storico della pagina sciasciana, e con il suo solito approccio politicamente fin troppo scoperto, così ricostruisce la vicenda:

«Il Commendatore Bartolotta, ad un certo punto, cominciò a sentirsi in pericolo personale e sentì bisogno di difesa. Era lui il capo gruppo di maggioranza, l’uomo che aveva da tempo un seguito nel paese e che era riuscito a conquistare il comune nel 1920. I capipopolo erano il bersaglio preferito dei gregari del fascismo. Da ciò la persecuzione a Racalmuto e lo sgomento del commendatore. C’era da cercare un pretesto per allontanare l’occhio grifagno dei fascisti dalla compagine consiliare del paese. L’occasione sembrò trovarsi allorchè Mussolini, già nelle sue qualità di capo del Governo del regno d’Italia, s’interessò del problema idrico della Sicilia. Prima del fascismo erano nati, noi l’abbiamo già visto per il paese che trattiamo, molti consorzi fra comuni per l’approvvigionamento idrico delle popolazioni. Tali consorzi però non avevano potuto iniziare la costruzione degli acquedotti, se non tutti, parte di essi, per mancanza di anticipazione di fondi della cassa Depositi e prestiti e per le remore burocratiche nella approvazione dei progetti. A un certo punto Mussolini promosse una legge che snelliva l’iter per lo sviluppo dei consorzi e ne semplificava le operazioni di finanziamento e quindi di realizzazione delle opere. Siccome Racalmuto era un paese già consorziato nelle ‘Tre Sorgenti’, venne ad essere beneficiato da tale provvedimento legislativo. Il commendatore Bartolotta, prese la palla al balzo e chiese al sindaco Scimè di conferire la cittadinanza onoraria del paese a Benito Mussolini. Egli pensava che ciò avrebbe fatto desistere il prefetto dal perseguitare il consiglio ed avrebbe anche allontanato le insidie che si tendevano contro la sua persona. Il sindaco Scimè convocò il consiglio per il 13 dicembre 1923 alle ore 18 con un solo argomento all’ordine del giorno: Conferimento della cittadinanza onoraria a S.E. Benito Mussolini per avere risolto l’annoso problema idrico della Sicilia.

«Malgrado le pressioni e le preghiere di Bartolotta, il 13 dicembre di quell’anno la seduta rimase deserta. non si potè in modo assoluto raggiungere il numero legale di consiglieri presente. Il 14 dicembre alla stessa ora ebbe luogo la seconda convocazione. Non c’era più bisogno delle presenze della metà più uno dei consiglieri in carica per essere valida l’adunanza, per cui ai sensi degli articoli 119,120, 125 della legge comunale allora vigente, essa ebbe luogo. Il commendatore Bartolotta aveva personalmente pregato tutti i consiglieri di essere presenti, molti avevano promesso di accontentarlo, ma all’appello risultarono presenti solo dieci e precisamente, lui, che venne il primo, il sindaco Nicolò Scimè, Giovanni Macaluso, Nestore Falletti, Salvatore Falcone, Carmelo Licata, Enrico Grisafi, Calogero Scimè, Calogero Bellavia e Luigi Messana. Nelle more per l’inizio della discussione si sguinzagliarono alla caccia di consiglieri tutti gli amici di Bartolotta, non trovarono nessuno, solo Messana Pio, che faceva la siesta a casa nella sua poltrona. Invano tentò di evitare con pretesti di recarsi al consiglio, l’insistenza fi tale che dovette andarci. Quando giunse in aula la votazione era già avvenuta, ma invitato dal Sindaco dovette associarsi, sicché Mussolini diventò cittadino onorario di Racalmuto con undici voti su undici consiglieri presenti e contro diciannove assenti. Le cose sono andate poi in modo alquanto strano: gli undici che votarono sì per la cittadinanza onoraria a Mussolini non divennero mai fascisti, anzi molti di essi rimasero i depositari dell’antifascismo locale, i protestatari, i nostalgici della libertà e furono definiti borbonici, si estraniarono completamente dalla vita pubblica, rimasero a maledire e ad attendere la caduta dell’avventuriero, rinunziando a possibili sistemazioni, non pochi dei diciannove assenti invece si accodarono e scesero in piazza in “giummo” e stivali.

«Il problema idrico Mussolini lo risolvette solo a parole, l’acqua delle Tre Sorgenti, ripetiamo, giunse in paese ben sette anni dopo la caduta del suo governo e cinque anni dopo la sua fucilazione. Non avrebbe potuto impiegare certamente di più se il suo avvento al potere non ci fosse mai stato. Egli si limitò a mandare a Sciacca a spese dei vari comuni S.E. Teruzzi, ministro del suo governo, nel 1925, per mettere la prima pietra dei costruendi acquedotti, in parata tanto solenne che solo a Racalmuto costò L. 1000 di allora. Dopo, vennero le lungaggini, le difficoltà senza possibilità di ricorrere o di parlare.

«Il commendatore Bartolotta, rassicurato dagli applausi dei fascisti presenti in aula allorchè si proclamò in consiglio l’esito della votazione per il conferimento della cittadinanza a Mussolini, tentò anche di costituire lui un fascio di combattimento, sperando di abbattere i fascisti locali.

«Nello stesso tempo indusse il Sindaco Scimè a ricorrere al Ministero contro il prefetto per certe irregolarità commesse in provincia. L’esito di tale azione fu drastico. Il consiglio comunale fu sciolto appena tre settimane dopo il conferimento della cittadinanza al Capo del Governo. Il 7 gennaio si insediò il commissario prefettizio ragionere [sic] Angelo Zambuto. Il commendatore finì in carcere la sua attività politica.»

Tra la versione dei fatti dello Sciascia e quella del Messana vi sono piccole divergenze: certo Messana è più informato, ma la sua prosa e troppo barcollante per effere più efficace. La realtà storica appare, però,  più intricante di quella resa dai due intellettuali antifascisti di Racalmuto. Gli archivi di Stato forniscono ai volenterosi fonti informative puntuali e oltremodo precise. Le carte dell’archivio centrale romano (22) , da noi consultate, consentono questa ricostruzione:

«R. Prefettura di Girgenti - Gabinetto n.° 1266 del  19. 12. 1923. - L’amministrazione comunale di Racalmuto sorta dalle elezioni generali del 1920 con carattere prettamente demosociale, per mancanza di una vigile ed attiva opposizione, si abbandonò ben presto alla inerzia più assoluta, sicura di poter vivere tranquillamente per le condizioni della politica locale e per la protezione che alla stessa veniva accordata dagli esponenti della democrazia in Provincia. Sindaco del Comune fu eletto il Dr. Scimè, ma anima dell’Amministrazione è stato sempre il Dr. Bartolotta Giuseppe, che ha assunto la carica di assessore anziano, e che rappresenta in Provincia uno dei campioni più forti e fedeli della democrazia sociale.

«Con l’avvento del Fascismo al potere cominciarono a muoversi delle timidi e lievi lagnanze contro la detta amministrazione, ma finora ho creduto opportuno di soprassedere dall’adottare alcun provvedimento, stimando doveroso procedere prima alla liquidazione delle amministrazioni a carattere socialista ed anticostituzionale, che non funzionavano o funzionavano male. Esaurito questo compito, credetti di rivolgere il mio pensiero al Comune di Racalmuto e disposi un’inchiesta a carico [.... E’ emerso:]

«- Scarsissima attività del Consiglio: 15 sedute nel 1921; 10 nel 1922 e 7 nell’anno in cors;

«Quasi abbandonato l’ufficio di polizia rurale, lasciando piena libertà alla maffia di scorazzare ed agire impunemente per le campagne, perché le guardie rurali sono adibite ad altro. [...]

«A tutto questo è da aggiungere che la parte migliore della cittadinanza ed il Fascio locale ha sempre intensificato la campagna contro l’attuale Amministrazione della quale sono pure noti i rapporti sia pure indiretti con la maffia, la quale viene se non protetta apertamente, certo lasciata indisturbata a compiere le sue gesta. Tant’è vero che le guardie campestri, anzichè prestare servizio in campagna come dovrebbero, vengono adibite a servizi interni. Trattandosi di un importante comune, sarebbe opportuno che venisse designata come R. Commissario persona capace ed energica, estranea all’ambiente locale [..] Il Prefetto: Reale.

«10 gennaio 1924: Appunto per S.E. il Ministro: Comune di Racalmuto.- Proposta scioglimento Consiglio comunale; popolazione 15.000 - motivi della proposta: ragioni d’ordine pubblico per il pericoloso malcontento della popolazione contro gli amministratori. Numerose irregolarità e deficienze accertate da una recente inchiesta. Non risultano interessamentei.

«Il Prefetto della Provincia di Girgenti, veduto il R.D. 24 gennaio 1924 col quale venne sciolto il Consiglio Comunale di Racalmuto [...] Ritenuto che il Commissario non ha potuto completare la sistemazione della Finanza comunale e dei pubblici servizi e che la situazione dei partiti locali non consente d’altro lato, d’indire subito le elezioni [..] decreta: il termine per la ricostituzione del Consiglio Comunale di Racalmuto è prorogato di tre mesi. Girgenti 16 maggio 1924. Per il Prefetto: F.to Giordano.

  « 19 marzo 1924: Indennità al Commissario straordinario: L. 50 - Il Cav. Enrico Sindico, ex colonnello nel R. Esercito, si è appositamente trasferito da Spezia a Racalmuto [...]

«Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 73 del 26 marzo 1924.

«”Relazione di S.E. il Ministro Segretario di Stato per gli affari dell’Interno, Presidente del Consiglio dei Ministri, a S.M. il Re, in udienza del 24 gennaio 1924, sul decreto che scioglie il Consiglio comunale di Racalmuto, in provincia di Girgenti, MAESTA’, sul funzionamento dell’amministrazione comunale di Racalmuto, sorta dalle elezioni generali del 1920, è stata recentemente eseguita un’inchiesta che ha accertato numerose irregolarità. L’Ufficio comunale è disorganizzato, privo d’inventario e con scritture contabili deficienti, la situazione finanziaria non è esattamente accertabile, per la trascurata esecuzione delle verifiche di cassa, e per il mancato esame dei conti, non è stato effettuato il passaggio dei fondi dal cessato al nuovo tesoriere. Le tasse, applicate con criteri partigiani, danno un gettito notevolmente inferiore alle previsioni del bilancio, mentre le spese vengono erogate in eccedenza agli stanziamenti e talora senz’alcuna autorizzazione; il dazio è concesso in appalto a condizioni onerose, è stato omesso il reimpiego di somme provenienti da alienazione di patrimonio; lavori e forniture sono state eseguite irregolarmente in economia ed in esse hanno spesso avuto interesse gli stessi amministratori.

«Tra i pubblici servizi sono assai trascurati la nettezza urbana, la pubblica illuminazione, la vigilanza annonaria e la polizia rurale. La disordinata gestione della civica azienda ha provocato nella popolazione un vivissimo malcontento e l’eccitazione degli animi è tale da far temere turbamenti per la pubblica quiete.

«Anche ragioni di ordine pubblico, oltre che la necessità di provvedere senza indugio al riordinamento amministrativo e finanziario della civica azienda, rendono quindi indispensabile lo scioglimento del Consiglio comunale con la conseguente nomina di un Regio commissario, ed a ciò provvede lo schema di decreto che ho l’onore di sottoporre all’Augusta firma della Maestà Vostra.

«Vitt. Emanuele III [..] visti gli articoli 323 e 324 del t.u. della legge comunale e provinciale, approvato con R. d. 4.2.1915 n. 148, nonchè il R.d. 24.9.1923, n. 2074: il consiglio è sciolto [...] il sig. cav. Enrico Sindico è nominato Commissario straordinario con i poteri del R. d. 24.9.1923, n. 2074. Dato a Roma il 24.3.1924. V.E. III re d’Italia- Mussoluni.»

  Il colonnello Sindico non diede buona prova: nel dicembre di quell’anno veniva destituito:

«26.12.1924, risposta a 26.11.1924. - Prefettura diGirgenti n. 600 Gab. - [...] dimissioni presentate dal Colonnello Enrico Sindico [..] la relazione non rappresenta nulla di notevole, anzi [..] non ha provveduto alla formazione del bilancio [..] Giudizio: mediocre.»

 

 

 

 
Salvatore Nalbone morto il 23 novembre 1811 (anni 42 (tribunale Regia Curia) Salvator Nalbone vir vid. Conceptae .. anni 42 miserandus, sumptis tantum sacramentis penitentiae et viatici secato capite multatus a Trib. N. Reg. Cur. Discriminalis animam in patibulo expiravit in medium platea et secatis capite et manibus corpus eius per me D. Paulo Tirone sepoltum in ecclesia Matricis in fovea Commune. – Battesimo pag. 135 – nasce il 25 marzo 1769 da Pietro Nalbo

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