Senza veli
e con pretese di resoconto storico, si dilunga sul periodo fascista l’altro
autore racalmutese: Eugenio Napoleone Messana. Stralciamo vari pasi passi dal
suo lavoro: «Racalmuto nella storia della Sicilia».
«Nel 1925 si fece la mascherata delle
elezioni politiche italiane (6
bis) messa in scena dal duce.
Malgrado il clima terroristco in cui si svolse la campagna elettorale e la
precisa sensazione che le cose potevano solo mutare in meglio per il fascismo,
Eduardo Romano ed i compagni comunisti di Racalmuto ebbero l’abilità di
raccogliere circa quattrocento voti. Questo fatto impressionò i dirigenti del
fascio locale e contribuì ad evitare persecuzioni feroci, per tema di generare
vittime, che poi avrebbero potuto essere causa di disordini gravi. Non osarono
nemmeno, infatti, provvedere con mezzi palesi contro Edoardo Romano, per quanto
avvenuto in teatro giorni dopo, durante la serata inaugurale del Mortorio,
eseguito quell’anno da una filodrammatica locale, nella quale primeggiava
Giovanni Agrò. (7 ) In quella serata era andato a teatro pure
Edoardo Romano, perché la sorella signorina, con la quale conviveva, era stata
invitata dalle sorelle di Leonardo Abramo ad andarci ed aveva accettato.
Edoardo Romano non aveva trovato posto nel palco ov’era la sorella con le
Abramo e si era seduto in platea. Prima di cominciare lo spettacolo l’orchestra
suonò ‘Giovinezza’, l’inno fascista. Tutti i presenti scattarono in piedi e si
tolsero il cappello. Edoardo Romano rimase seduto col capo coperto ed il sigaro
in bocca. L’insegnante Emanuele Cavallaro, don Niniddu, gli si avvicinò e con
tono categorico gli ordinò - Alzatevi, toglietevi il berretto e smettete di
fumare! Il Romano a voce altissima
rispose - Non mi alzo, non mi tolgo il cappello e non smetto di fumare! A
questa risposta don Cesare Macaluso gridò da un palco - Arrestatelo,
arrestatelo! I carabinieri in servizio si erano mossi, ma il popolo scattò a
gridare - No, No! L’avv. Carmelo Burruano intervenne e frenò i carabinieri,
dicendo di lasciare perdere se non non si sarebbe potuta più fare la recita.
Non passò molto tempo però e Romano ebbe perquisita la casa. Non trovarono
niente, solo dei proiettili da caccia ed un fucile. Lo denunziarono per
detenzione non autorizzata di armi e munizioni, subì un processo, lo difesero
Cesare Sessa, Vincenzo Campo e Cigna, in pretura fu condannato a due mesi e
quindici giorni, in appello assolto per insufficienza di prove. (8 )
«Le elezioni ebbero il risultato che dovevano avere.
L’onorevole Angelo Abisso conseguì dei grandi meriti in quest’occasione. Il 31
gennaio 1926 Curatola infatti deliberò la spesa di L. 50 di contributo ad una
medaglia d’oro, che la Sicilia aveva deciso di offrire a questo deputato in
segno di gratitudine per aver fatto le ossa al fascismo nella regione. Più
avanti lo stesso commissario deliberò ancora L. 200 di contributo alla
federazione dei fasci di Girgenti. Inoltre diede l’incarico all’ingegnere
Giammusso di Girgenti per redigere il progetto particolareggiato di una rete
fognante generale da costruire a Racalmuto e arrivò a deliberare L. 300 di
acconto per tali lavori.
«La mascherata elettorale del 1925 si organizzò pure a
Racalmuto in occasione delle ultime elezioni amministrative, prima della
costituzione della dittatura, o meglio durante le more per la sua
solidificazione. L’assassinio dell’onorevole Giacomo Matteotti, capo
dell’opposizione, aveva scosso la nazione. Il fascismo era lì per cadere e
sarebbe caduto se fosse intervenuto il re in difesa dei diritti statutari del
regno e contro la violenza, la criminalità e l’assassinio e se l’opposizione
non comunista avesse fatto appello alle masse, invece di ritirarsi
sull’Aventino in inutili discussioni. Mussolini allora diede la parvenza di
rientrare nella legalità convocando alle urne il popolo, prima per le votazioni
politiche, poi per le amministrative. Si trattò di sola parvenza, sia per la
legge Acerbo che truffò la maggioranza in pro del partito di governo, sia
perché le elezioni avvennero sotto il controllo bieco delle squadracce e dei
manutengoli assoldati dal fascio. Le persecuzioni, gli arresti, le violenze, le
intimidazioni avevano, fin dalla conquista del potere operata da Mussolini, in
combutta con Vittorio Emanuele III di Savoia, costretto al ritiro dall’agone
politico le forze più genuine del pensiero italiano e siciliano. La repressione
della delinquenza era servita come pretesto per reprimere gli esponenti dei
vari partiti, coinvolgendoli nelle inchieste e nei processi o a diritto o a
torto. (9)
«Ad Agrigento il prefetto Mori aveva di già fatto sentire di
che erba si fa la scopa a tutti i liberi pensatori della provincia. Fingendo di
lottare la mafia, che invece eludeva, com’è suo costume i processi e passava
dalla presenza palese alla presenza nascosta nella vita pubblica, Mori era
finito con l’abbattere il prestigio di vari uomini politici e disperdere i
seguiti elettorali. In questo clima nel 1926 si votò a Racalmuto, ma per chi?
«Per i fascisti che, dopo essersi fusi coi nazionalisti
locali, come avvenne in parecchie parti del regno, fecero un’unica lista. Si
presentò una sola lista, la fascista. Gli altri si ritirarono e si misero in
posizione di attesa. Non ci fu da preoccuparsi o affaticarsi. Essendo una lista
la vittoria era sicura, di campagna elettorale democratica non ce n’era di
bisogno. Bastava che si votasse, tanto il voto, andava sempre a loro. I
democratici del paese risero di sdegno allorchè si accorsero che si doveva
votare solo per una concentrazione di candidati, quella ad ispirazione e
composizione fascista. Il listone aggiusta tutto, fu definito.
«Il 18 luglio 1926, alle ore 12 si insediò il consiglio
eletto da questa pseudo votazione. Risultarono consiglieri il dottor Enrico
Macaluso, il dottor Achille Vinci, Oreste Cavallaro, Carmelo Rosina, l’avv.
Baldassare Cavallaro, Luca Giuseppe Brucculeri, l’ins. Giuseppe Mattina,
Giuseppe Tulumello, l’avv. Camillo Vinci, Antonino Restivo Ardilla, Salvatore
Sbalanca, Carmelo Romano, Calogero Scimè Giancani, Giovanni Salvo, Giovanni
Farrauto, Cav, Alfredo Falletti, Giuseppe Cinquemani, Giuseppe Sardo, Calogero
Burruano, Luigi Casuccio, Pietro Buscarino, Luigi Nalbone, Andrea Petrone,
l’avv. Salvatore Picone, l’ins. Antonio Muratori, Alfonso Puma, il dottor
Calogero Burruano. Sindaco fu eletto, con 18 voti su 29 presenti, il dottor
Enrico Macaluso. La giunta fu così composta: Baldassare Cavallaro, Giuseppe
Mattina, Salvatore Picone, il dottor Achille Vinci, Giovanni Farrauto ed
Antonino Restivo Ardilla. Il dottor Enrico Macaluso in tale data iniziò la sua
epoca nella vita pubblica ed amministrativa di Racalmuto. Dico epoca perché
tutto il periodo fascista, da allora in poi e fino al’arrivo degli alleati,
porta la sua impronta.
«Chi era Enrico Macaluso lo sappiamo da quando al seguito di
Marchesano abbiamo visto muovere la politica in questa famiglia ed eleggero suo
fratello Vincenzo, il farmacista vecchio, consigliere comunale. [...]
«Gli antifascisti o i discendenti dei vecchi esponenti della
politica paesana che, o per dignità propria, o per semplice disavvedutezza non
prestarono l’omaggio deferente a lui, mentre imperò, la pagarono cara. I Greco,
cordai, dovettero trasferirsi altrove, non poterono facilmente ambientarsi
commercialmente, fallirono e si ridussero all’elemosina. Salvatore Greco inteso
Cinniredda dovette fuggire. Riparò in America, precisamente nella Virginia. Là
organizzò il partito comunista e gli operai nel sindacato rosso. Si fece un
nome dirigendo lotte terribili contro il padronato. Subì un attentato e rimase
ferito alla testa. Si salvò la vita per miracolo. I Figliola si sparsero per la
provincia perché per loro non ci fu più pace a Racalmuto.
«Luigi Scimè, figlio del dottor Nicolò, per aver dato la
famosa lira per la corona a Matteotti, mentre sosteneva un concorso, al secondo
scritto, venne invitato a lasciare la sede di esami e tornarsene a casa. Coloro
chelo privarono di un diritto, non più tale sotto il tallone fascista,
risposero al giovane che chiedeva perché lo mandavano via, di andarlo a
domandare al suo paese. Eloquentissima allocuzione. Un Cavallaro vinse il
concorso di Commissario di pubblica sicurezza ma non potè essere nominato per
cattive informazioni date dal paese. Don Michele Di Naro, il vecchio
socialista, accerchiato dalle persecuzioni, in un momento di scoraggiamento si
suicidò, buttandosi sotto il treno. Era costui una persona intelligentissima,
poeta felice in vernacolo, lasciò la moglie e l’unico figlio nella miseria.
Vincenzo Vella fece una colletta e
comprò alla vedova una macchina per fare calze.
«Gli arresti e le condanne per gli indizi fondati più sui
rapporti personali con lui che sulla probalilità o capacità di reato
riempirebbero pagine e pagine se si dovessero riportare e ridesterebbero
rancori ormai sopiti dal tempo. Basti pensare che era pericoloso andare a
comprare medicine in altre farmacie, significava ripercussioni nel lavoro o
nella vita privata; non salutarlo incontrandolo valeva dar conto di sè alla
milizia o ai carabinieri, sotto forma di sovversivismo o altro aggeggio del
genere. Quando decise, per esempio, di ordinare ai contadini di non rientrare
più con l’aratro legato alla mula e l’asta che strisciava per terra, perché il
rumore lo disturbava, Nicolò Schillaci, ogni sera, cominciò a rientrare in
paese con l’asta dell’aratro alzata e la portava a mano fino a quando arrivava
a casa., tanto erano grandi il rigorismo e la paura che incombeva don Enrico
sulla popolazione. Trovò qualcuno però che gli diede filo da torcere, anche se
pagò bene le sue bravate. Una mattina, il lucchetto del negozio Macaluso si
trovò unto di sterco umano e con una scritta attaccata, ove si leggeva:
«Qua la faccio/ qua la lascio/ merda al duce/ merda al
fascio.
«Il grave oltraggio impose la mobilitazione di tutte le
forze per esperire le indagini. Risultò colpevole Giuseppe Collura, lu
casinieri, e fu arrestato. Quando lo stavano portando ad Agrigento a San Vito,
don Enrico, volle far mostra di un generoso perdono e gli porse una moneta da
L. 10, per comprarsi il tabacco in carcere. Il Collura di rimando gliela buttò
in faccia. Fu condannato, espiò la pena e tornò in paese. Venne ad essere
sospettato di un omicidio, che poi si venne a sapere che non commise per
avvenuta spontanea confessione del colpevole a letto di morte, e fu condannato
all’ergastolo. Durante il processo andò a testimoniare contro l’imputato don
Enrico. L’imputato vedendolo, dalla gabbia gli mollò uno sputo e lo colpì sulla
guancia. Allorchè, risultato innocente, il Collura fu scarcerato e tornò in
paese, Don Enrico ebbe paura perché il fascio era già caduto e si lasciò
assoggettare maledettamente. Collura diceva ‘ma parrinu’ e gli scroccava soldi
per vivere, fino a quando trovò una sistemazione decente e cambiò vita. Aveva
degli amici don Enrico che gli facevano corona la sera nel negozio all’angolo del
corso Garibaldi, e standogli da presso godevano di una illuminata sicurtà, si
rischiaravano della sua luce e brillavano di prestigio ed autorità nel paese.
Abbiamo presente quel negozio e quelle persone che la sera stavano con un certo
occhio a guardare i passanti della piazza con superiorità regale e con l’altra
a spiare glu umori del comandante per assuefarsi al discorso ed all’espressione
della sua faccia.
«I passanti vedevano quel gruppo con distacco, il distacco
della paura per le mezze figure, il distacco dello sdegno per coloro che
avevano saputo conservare gelosamente personalità e dignità anche sotto il
fascismo. Erano amici di Macaluso gli impiegati del municipio dei tempi,
l’ufficiale postale, un falegname, un muratore, Oreste Cavallaro, Luigi
Marchese, Giuseppe Mattina, Giuseppe Sicurella, Calogero Rizzo e qualche altro
il cui nome ci sfugge. Don Enrico atterrì la popolazione con la sua azione intransigente
tanto da fare di Racalmuto un paese senza volto e senza prospettiva,
addormentato nella crisi economica, morale e di valori spirituali, rassegnato
ad un amaro destino, separato dalla classe dirigente, incline alla soggezione
ed all’ipocrita acquiescenza esteriore alla volontà dei tenutari del potere del
paese.
«I difetti che produsse il Macaluso nella società
racalmutese furono i difetti necessari per potere subire con serenità
l’oppressione di una dittatura, quale la fascista, che tendeva a spegnere le
volontà agli uomini ai fini di una sola volontà, quella del capo a Roma, come
ad Agrigento ed in ogni recondito angolo d’Italia. L’opposizione al regime a
poco a poco si affievolì fino a ridursi ai frequentatori di una bottega di
merceria, gestita dal sig. Salvatore Giudice in via Matrona, case Tulumello, e
gli amici di un barbiere, Calogero Bellavia, inteso Nasone, che aveva il salone
in corso Garibaldi, accanto l’odierno negozio di generi alimentari di Carmelo
Brucculeri. La merceraia non vendette più perché nessuno vi andava a comprare
per paura di essere visto dal podestà. Il salone ridusse i clienti, ma
resistette perché divenne il salone dei soli nemici del fascismo. La merceria
era chiamata dai fascisti ‘La cucina del demonio’. Don Liddu Nasone fu e rimase
indicato come il sovversivo. Il Circolo degli Amici si chiuse in quel periodo
perché i suoi soci in maggioranza non si tesserarono al fascio. Nuovi soci non
ne entrarono più per paura del libro nero e si esaurì lentamente. Macaluso fu
infatti l’uomo del libro nero, lo diceva sempre di annotarsi il nome di chi gli
faceva sgarbo, per saperlo colpire al momento opportuno. E siccome faceva sul
serio seccava ai più di finire scritto là e si preferiva ingoiare e stare alla
larga, quando non si riusciva o non si sentiva di fare il codino come gli
altri. Non mancarono i ricorsi contro don Enrico, spesso anonimi, avevano paura
di farsi conoscere gli autori, anche se, a dire della gente, si lasciavano
individuare e risultavano buoni professionisti con un decoroso passato politico
alle spalle. Si attribuì all’avv. Carmelo Burruano un ricorso, l’altro al
farmacista Argento.
«Sindaco Don Enrico lo fu poco, perché nel marzo del 1927 si
sciolsero tutti i consigli comunali d’Italia ed i comuni furono affidati ai
podestà di nomina governativa, che si riduceva a nomina del capo del fascio
della provincia. Il podestà doveva
rinnovarsi ogni quattro anni e doveva essere collaborato dalla consulta
podestarile nei centri grossi, nominata da lui stesso, a cui venivano conferite
le funzioni della giunta comunale. Nei piccoli comuni il podestà aveva facoltà
di delegare alla firma un cittadino di sua fiducia per la continuità della vita
amministrativa in caso di sua assenza. La prima deliberazione podestarile di
Racalmuto, come si rileva dagli atti d’archivio del municipio, porta la data
del 9 aprile 1927. Enrico Macaluso fu sindaco per meno di nove mesi, poi
diventò podestà per intrigo e raccomandazione di Abisso. Alla firma delegò
l’ins. Giuseppe Mattina fu Gaetano il 5 novembre dello stesso anno. Da podestà
diede meglio sfogo al suo carattere
singolare, incline al ripicco ed alla vendetta, pronto al pettegolezzo
ed implacabile nell’odio e nell’amore, pretenziodo di continue umiliazioni e di
sciocche e melliflue deferenze, fanatico e puerilmente capriccioso.
«Se ebbe dei difetti gravi ed incancellabili, ebbe anche dei
pregi encomiabilissimi. Fu onesto fino allo scrupolo. Non rubò nè permise che
si rubasse. Ebbe sacro rispetto per l’erario e per tutto ciò che fosse
patrimonio del pubblico. Non trasse profitto alcuno dalla carica di podestà e
di altre che ne ebbe. Fu infatti presidente del Consorzio delle ‘tre sorgenti’
per molti anni, consigliere del Banco di Sicilia, sciarpa littorio del partito
nazionale fascista e console del Touring Club italiano. Ebbe amicizia con tutte
le autorità del suo tempo, sia civili, sia militari, sia religiose, relazioni
che seppe cattivarsi con la sua straordinaria generosità nel donare. Non
calcolò interesse pur di emergere e di acquistare rispetti. In questo campo fu
tale la sua prodigalità che può dirsi di aver diviso il suo patrimonio, ed era
considerevole, alla gente. Nessun racalmutese può vantarsi di non essere stato
un suo debitore. A chi andava a comprare medicinali o radio, o, più tardi
elettrodomestici, prima cucine, sedie ed altro, quando chiedeva il conto lui
rispondeva ‘Po si nni parla’. Il cliente in altra occasione si dichiarava
pronto a pagare e lui ancora rifiutava. Guai ad insistere. Cambiava espressione
e grave diveca: ‘I conti a casa mia li debbo fare io’. Era la premessa di una
rottura. La gente così facendo, volente o nolente, gli restava vincolata, anche
se non mancavano persone che si urtavano di questo vincolo a cui venivano
costrette senza la loro volontà. Lui però era felice di poter dire che tutti
gli dovevano o, nominando qualche persona che gli mancava di rispetto, dire in
farmacia davanti al pubblico, ‘perché nun mmi veni a pagari primu’, quando non
la mandava a chiamare e gli intimava l’immediata soluzione del credito. Questa
prodigalità sui generis finì col ridurlo in cattive condizioni economiche e
sarebbe morto all’elemosina se non avesse posto riparo una ragazza, che a tarda
età rese sua figlia adottiva e salvò il salvabile. Il grosso però fu tutto
venduto e i soldi divisi ai clienti del suo esercizio e della sua farmacia.
«Nell’attività amministrativa don Enrico pensò prima di portare
a conclusione le opere avviate dai suoi predecessori, ma con scarso risultato,
perché, non ammettendo interferenze nell sua volontà, finiva col provocare
passiva reazione negli uffici o fra coloro che dovevano necessariamente portare
avanti le cose, quando non incontrava opposizione dura, da cui scaturivano
lunghi processi civili. Il progetto per le fognature, per l’ammontare di L.
900.000 lo approvò il 19 marzo del 1927, ma le fognature si fecero nel 1956,
quando il fascismo era morto e sepolto e lui relegato alla sola attività
professionale. Collaudò l’esecuzione del contratto con l’impresa elettrica
Siculo Lombarda, redatto l’11 febbraio 1925, secondo il quale si costruì in
paese la centrale elettrica, nei pressi della stazione, con motore generatore
di corrente. Tale motore sfruttava l’acqua della Fontana a mezzo di una pompa
aspirante, che in fase eduttiva provocava una cascata sufficiente alla
generazione dell’elettricità necessaria a fornire luce agli abitanti ed
alimentare 384 lampade ad incandescenza sparse nelle vie dell’abitato, di cui
14 nel corso Garibaldi. Tentò di realizzare il vecchio progetto dell’edificio
scolastico, redatto nel 1913 dall’ingegnere Stefano Bianco per una spesa di L.
335.000, aggiornata nel 1919 e portata a L. 735.000, nel 1922 ad 1.300.000, ma
non vi riuscì perché provocò un giudizio civile col proprietario del fondo ove
doveva essere ubicato, nello spiazzale Palma. L’edificio infatti potè sorgere
solo nel 1936, dopo la sua caduta.
«Subito dopo la prima guerra mondiale in Racalmuto si era
costituito il comitato pro monumento ai Caduti, stabilendo a presidente il
sindaco pro tempore. Si erano raccolte selle somme sufficienti alla costruzione
mediante sottoscrizioni civiche ed offerte degli emigrati di America. L’opera era
in corso di realizzazione quando subentrò Macaluso a presidente del Comitato.
Egli cominciò a rivoluzionare il programma precedente e si venne ad una
clamorosa divisione fra i componenti in merito alla forma ed all’ubicazione
dell’opera. Questa divisione durò per sempre. Don Enrico non mollava e quelli
intralciavano il suo operato. Gli anni passavano ed il paese era rimasto uno
dei pochissimi d’Italia a non avere un ricordo degli infelici giovani morti sul
campo di battaglia.
«Intanto il 10 settembre del 1929 il podestà deliberava
l’offerta di L. 100 del comune per contributo alla lampada votiva per i caduti
in guerra di Agrigento, non potendolo fare per i racalmutesi sprovvisti di
monumento.
«Quando si fece la nuova strada di circonvallazione, oggi
Filippo Villa, Macaluso comprò con i solde del comitato e per conto del
comitato un po’ di suolo edificabile di proprietà dei Baiamonte a San Gregorio,
prima adibito a mulino per l’epurazione della feccia di mosto. Nel punto
d’incontro fra la strada di circonvallazione ed il cosro Garibaldi fece fare un
recinto in filo spinato, che sarebbe dovuto diventare, ma non lo fu mai,
un’aiuola spartitraffico. Nel mezzo di questo recento vi fece piantare un
albero di pino, dedicato ad Arnaldo Mussolini, ma non crebbe e fu estirpato
secco nel 1950. Contava di costruire, ove oggi è l’Esso, sul suolo edificabile
dell’ex mulino, la casa del fascio ed il monumento ai Caduti. Gli anni
passarono e non sorse mai niente. Negli ultimi tempi della dittatura soltanto
le basi di un edificio. [...]
«Durante il podesterato del Macaluso, i lavori pubblici
furono curati dal di lui fratello Cesare, dottore in agraria, addetto ai
sindacati fascisti. Don Cesare era stato in Tripolitania ed aveva visto le
strade di là com’erano fatte, le famose strade a mac adam con sottofondo in
breccia aggregata con polvere di cava. Pensò d’introdurre questo sistema a
Racalmuto, furono divelti quasi tutti i selciati a ciottolato delle strade e
cambiate in mac-adam. La riforma ben presto risultò inidonea. La friabilità
delle pietre sabbiose ed il clima dell’Africa agevola la durata delle vie fatte
con questo sistema. Le rocce di Racalmuto non essendo nè sabbiose nè friabili,
non resistettero all’uso, si frantumarono e si cambiarono in polvere di estate
ed in fanfo d’inverno. In via R. Margherita e in Via Asaro d’inverno era un
problema passarvi. Se si andava su si dava un passo in avanti e tre
all’indietro con i piedi affondati nella mota. Se si andava giù si rischiava di
finire a terra con qualche scivolone. Meno male che macchine non ce n’erano
tante, se no gli sbandamenti sarebbero stati frequenti e disastrosi. Le
macchine allora erano rarissime, le prime Balilla e le Ardita le ebbero
Giuseppe Mattina, l’avv. Carmelo Burruano e l’avvocato Luigi Cavallaro, che era
funzionario del Banco di Sicilia. Poi si fornirono di macchina i Nalbone e si
fecero i primi autisti di piazza, Di Marco e Don Pietro Sedita.
«Macalus ebbe il culto degli alberi e si devono a lui gli
alberi che costeggiano la strada che va al padre Eterno e la via Filippo Villa.
Altri alberi costeggiano la via Macaluso e Ferdinando Martini, fino al ponte
Carmelo e fino alla Stazione ferroviaria. Ne restano pochi perché sono stati,
purtroppo, distrutti dai frontisti della strada, dimostrando scarso senso civico.
Lo spiazzale Canalotto, oggi occupato dalle case degli zolfatai, sotto Macaluso
fu attivato a Palco della Rimembranza e vi sorsero tanti alberi dedicati ai
Caduti. Durante l’estate vi si eseguiva ogni Domenica sera un concerto
bandistico e spesso proiezione cinematografica muta delle pellicole in voga. La
musica non suonò più al Canalotto, che cessò di essere meta e ritrovo delle
passeggiate estive, verso il 1935, in seguito ad un fatto di sangue avvenuto
proprio ai piedi dell’icona attaccata al muro di fronte, lato Ovest. Vi fu
assassinato il procuratore del registro Sciascia ed il delitto rimase impunito,
perché non si individuarono i colpevoli.
«Don Enrico fece restaurare il teatro riportandolo alla
primiera sontuosità, ma non riuscì ad evitare che fosse adibito a sala di
proiezione cinematografica. Dapprima era il comune a gestirlo direttamente, poi
si diede in appalto, sotto Mattina, a Parisi, indi a Collura e a Bordonaro. Con
gli appalti cominciò a rovinarsi il locale. I gestori non avevano interesse a
custodire l’iimobile, il quotidiano uso e la vetustà a poco a poco lo resero
inagibile.
«Curò il riattamento del municipio, disimpegnando tutti gli
ambienti a mezzo del corridoio che collega al salone del lato sud, rimettendoci
soldi di tasca propria ed impegnando architetti ed artisti di vaglia. Dopo i
patti lateranensi, nella consegna della congrua parte alla chiesa, riuscì a
tacitare l’arciprete di allora, Giovanni Casuccio, con la restituzione
dell’intero locale di S. Giovanni di Dio a soluzione dei diritti su altri
edifici del comune. Tale atto fu abbastanza lodevole perché servì a conservare
integra la proprietà al comune del municipio, del cimitero e della chiesa di S.
Maria e dell’ex orto delle clarisse, area oggi occupata dal teatro. [...]
« Fra le opere meritorie della sua amministrazione va
ricordato l’acquisto dei locali dell’ex Castello del Conte, Lu Cannuni, o
palazzo Chiaramontano. Questo edificio era finito in mano ai privati. Alla
famiglia Presti la parte di sud est e di sud ovest; l’ingresso, la porta
centrale, il salone delle adunanze della Signoria, tutto il versante di nord e
le due torri in mano di Padre Cipolla. Ciò dopo che non fu più adibito a
carcere. Padre Cipolla ne voleva fare un educandato femminile affidato alle
suore domenicane, ma quando nel 1930 fallì, l’immobile, venduto all’asta per L.
2000 (duemila), l’acquistò il Comune.
«Con gli impiegati non fu mai in confidenza. Mantenne il
distacco, ma ebbe garbo nei rapporti personali. Tutte le mattine arrivava il
primo al Municipio, entrava nel suo abinetto, lasciava la porta aperta e così
impegnava i dipendenti ad essere scrupolosi nell’osservanza dell’orario. Col
pubblico non fu mai tenero. Usò il confine e l’isola, le vili armi della
dittatura fascista, a discrezione [...]
«Un bel giorno .. dovette ingoiare un rospo: venne privato della segreteria politica e fu
nominato in sua vece Tito Tinebra. Mobilitò le sue forze ed ingaggiò battaglia.
Cadde Tinebra e fu nominato il suo amico Giuseppe Mattina. Si sentì appagato e
riprese fiato ad esercitare le sue funzioni di tirannello paesano.
«Il fascismo intanto si realizzava con la sua pesante
struttura anche nel paese. Nata l’opera Nazionale Balilla, don Enrico si
affrettò ad iscrivere socio perpetuo il comune l’8 gennaio 1928. Nel 1930
l’iscrizione all’opera Nazionale Balilla diventò obbligatoria per tutti i
fanciulli e le fanciulle che dovevano frequentare le pubbliche scuole
elementari e per gli studenti di ogni ordine e grado. Cominciarono le
fastodiose adunate del Sabato e della Domenica, le sfilate estenuanti e le
parate stupide fra le vie imbandierate fitte e le bestemmie degli anziani. Le
donne scesero pure a sfilare, le maestre e le giovani. A Racalmuto la dirigenza
dei fasci femminili la ebbe sempre, nella qualità di fiduciaria, collaborata
dalle figlie del farmacista Argento, la maestra Piera Taibi. Le divise
omogeneizzarono apertamente i cittadini. L’opposizione però continuava nel
segreto a vivere, pur se divenne presto innocua all’arbitrio fascista. Il
giornale ‘L’Unità’ arrivava da parigi in un pacchetto con la scritta profumi.
Il fattorino postale Salvatore Morreale lo sapeva e portava il pacco a Giovanni
Facciponti, in un salone sopra l’attuale negozio di Falco. L’Unità si vendeva
una lira la copia, prezzo iperbolico per i tempi e la comprava Vincenzo Vella,
Eduardo Romano, Vincenzo Macaluso, Giuseppe Cutaia e qualche altro di nascosto,
sapendo che se fossero stati scoperti il confine non glielo avrebbe tolto
nessuno.
«Durante tutto il periodo fascista continuarono ad essere
comunisti, subire discriminazioni violente e non piegarsi, affrontando fame e
disagi, ma rimanendo a Racalmuto Vincenzo Macaluso fu Stefano falegname,
Salvatore Jacono calzolaio, Salvatore Dell’Aira muratore, Eduardo Romano,
muratore, Giovanni Lo Forte, Di Liberto Carlo, Luigi Leone, Leonardo Abramo
Vizzini, Alfonso Tirone Tiberio e qualche altro. Mantenersi iscritto
clandestinamente al partito comunista durante il fascismo era una impresa non
facile, si trattava rischiare la galera ad ogni istante e la rovina della
propria famiglia. Loro furono in continuo contatto con Cesare Sessa a
Raffadali. Per lo più vi si recava Eduardo Romano, col pretesto che andava a
badare alla campagna dell’avv. Vincenzo Campo, cognato del Sessa. Solo Sessa
rimase nell’Agrigentino a reggere le fila del partito comunista. Il dirigente
Scarfidi, in seguito ad un’aggressione subita a casa dalle squadre fasciste,
dalla quale scampò mediante l’intervento di un alto magistrato, al quale era
amico, che, quel giornoper caso, era andato a fargli visita e fu presente, era
fuggito e si era rifugiato in un convento. I comunisti di Racalmuto, spesso
Romano ed una volta anche Abramo, durante la dittatura andavano anche a
presenziare riunioni segrete a Palermo. Avvenivano in una casa in via Albergheria
ed erano presiedute dall’onorevole Pilato.
«Ad Eduardo Romano infine è da attribuirsi il merito di
avere salvato il grosso del partito, che poi furono quelli che in maggioranza
fecero l’abiura a don Enrico, dalle persecuzioni. Infatti, allorchè alla
caserma gli chiesero l’elenco dei tesserati, egli fornì un elenco in cui
comparvero i notabili e tutti i morti e gli emigrati. Un plauso solenne vada
pertanto a costoro vivi e defunti, che ebbero il coraggio di professare le
proprie idee affrontando ogni rischio. E ben ha fatto il partito comunista nel
1961 ad offrire una medaglia di bronzo ed il diploma degli otto lustri di
fedeltà ai superstit, perché le nuove generazioni potessero conoscere ed
ammirare gli uomini tenaci e fermi nel loro credo anche in clima di difficoltà
e divieto. Da Racalmuto poterono avere quest’attestato di riconoscenza,
Salvatore Dell’Aira, Di Liberto Carlo e Vincenzo Macaluso. Quest’ultimo alla
memoria, per essere deceduto giorni prima. Don Enrico non seppe mai queste cose
e dire che aveva sempre fra i piedi Carmelo Romano, il fratello di Eduardo che
gli faceva l’amico e badava a tener lungi i sospetti dalla sua casa.
«Lui seppe solo il borbottio della bottega Giudice e del
salone Bellavia, ma non potè mai eccpire alcunchè per colpire con carcere e
confine il titolare ed i frequentatori. [..]
«Il giovane che sin qua ci ha seguiti ci darà, credo,
dell’esagerato, ma prima di giudicare si informi e saprà che il fascismo aveva
un decalogo, i cui primi articoli o comandamenti così dicevano - 1) Mussolini
ha sempre ragione; 2) le punizioni sono sempre meritate; 3) la Patria si serve
anche facendo da guardia ad un bidone di benzina, ecc. ecc.
«Quando vedrà che il governo fascista imponeva il domma
dell’infallibilità del suo capo, costringeva la supina accettazione di ogni
pena e poneva tutte le attività lavorative al servizio della Patria, per
attribuire il delitto di attentato alla sicurezza dello Stato contro ogni
inadempienza, si accorgerà che non siamo esagerati e si meravigliera che un
popolo di circa 45 milioni di componenti ha sopportato per venti anni tanto
obbrobrioso sistema. Coloro che avevano assaporato la libertà democratica mal
sopportavano tanta opprimente vuotaggine, ma guai a manifestare la loro
avversione, si rischiava il confine o la galera, il domicilio coatto o una
serie di legnate e sevizie nelle caserme. Ebbe considerevoli guai Edoardo
Romano, per esempio, perché a Giovanni Agrò che gli ingiunse un giorno al campo
sportivo di credere, obbedire e combattere, rispose: - Combattere sì, perché se
mi chiamano alle armi non mi posso rifiutare, obbedire altrettanto perché se
non ubbidisco mi costringono a farlo, ma credere no, perché nessuno può impormi
una fede. [...]
«Si nasceva figli della lupa e si aveva una divisa da portare
ed un moschetto. Si diventava balilla e la stessa cosa, poi avanguardista,
giovane fascista, camicia nera ecc. L’opera nazionale Balilla era stata
sostituita dalla Gil, gioventù italiana del littorio, che inquadrava tutta la
gioventù della nazione in un casermone rigurgitante odio ed abuso, soverchieria
e sbronzerie dei tanti megalomani dell’epoca. Per andare a scuola si doveva
presentare la tessera Gil, sia per le elementari che per le medie o superiori,
comprese le università, dove oltre al diploma di maturità si doveva esibire il
certificato di iscrizione al G.U.F., gioventù universitaria fascista, e
l’attestato di avere superato il brevetto sportivo. Senza la tessera Gil non si
poteva nemmeno lavorare. A Racalmuto potè rifiutarla un solo giovane, Calogero
Macaluso, figlio di un cugino di don Enrico, il quale da solo, o per contatti
con Eduardo Romano, diventò comunista. Costui fu raggiunto dai tentacoli della
piovra nera del fascismo e fu chiamato in caserma dai carabinieri. Il
maresciallo gli disse, fra l’altro, che lo avrebbe arrestato se non prendeva la
tessera. Lui ebbe il coraggio di ripondere: - mi arresti pure, è necessario che
i nostri compagni in galera ricevino il conforto delle nuove generazioni. - Non
fu arrestato perché don Enrico non volle subire l’affronto di far sapere
ovunque che un suo omonimo parente non era fascista.
«Nelle scuole si studiava dottrina fascista e cultura
militare fino alla università dove pure era la materia obbligatoria di mistica
fascista. Prima di andare soldati c’era il premilitare obbligatorio, e qui a
suon di nerbo i giovani diciottonni, ogni Sabato pomeriggio, per ore ed ore
dovevano stare a fare marce ed istruzioni. A Racalmuto il premilitare si faceva
al campo sportivo, lo faceva fare il geometra Luigi Falletti, coadiuvato dal
cadetto della milizia Luigi Di Marco e qualche altro. Non so altrove, ma a
Racalmuto la borghesia aveva un privilegio, non faceva le istruzioni. Noi
studenti facevamo gli elenchi al geometra Falletti e stavamo ogni sabato a
guardare. Ricordiamo la nausea e la ribellione che provavamo quando vedevamo
schiaffeggiare sonoramente i poveri giovani contadini ed a volte anche
bastonare, perché si muovevano sull’attenti o per altro. La nausea ci veniva
perché già ai nostri diciotto anni eravamo organizzati da circa due anni nelle
file clandestine antifasciste. Alla formazione del nostro pensiero politico,
impreciso partiticamente, ma decisamente ugualitario, di sinistra e di pronta
opposizione al fascismo, contribuì, oltre la famiglia sempre antifascista alla
quale apparteniamo, il nostro insegnante di filosofia Ettore Centineo, che ci
schiuse la mente alla democrazia ed alla critica. Siamo entrati nelle
organizzazioni allora operanti in Italia per mezzo di Leonardo Sciascia [..] A
lui si deve la formazione di un gruppo di studenti antifascisti in Racalmuto e
la coscienza della brutalità di quel partito, nonchè della sua carenza
ideologica fra gli studenti di ieri e professionisti di oggi in questo paese.
Leonardo Sciascia, convinto comunista nel 1938 e 39, quando aveva 17 e 18 anni,
riuscì a fare preziose cellule nel paese, si ricordano Angelo Picone, Diego
Paradiso e Salvatore Cavallaro, oltre noi e qualche altro fra coloro che
collaborarono nei limiti delle loro capacità, compromettendosi magari, a
prepare la resistenza contro il fascismo ed a sabotare le organizzazioni della
dittatura. [...]
«Feste nazionali sotto il fascismo erano: il 23 marzo,
anniversario della fondazione del fascio, il 21 aprile, natale di Roma, l’11
febbraio anniversario del Concordato con la Chiesa, il 24 maggio, entrata in
guerra, il 28 ottobre anniversario della marcia su Roma ed il 4 novembre festa
della vittoria. [..] Una mattina di festa nazionale il dottor Giuseppe
Cavallaro ebbe inferto dai fascisti racalmutesi un colpo terribile, tale che
tarò per sempre la sua salute. Il dottor Cavallaro era un vecchietto senza
figli, che ogni giorno con la moglie andava a trovare il suocere e i cognati.
Un giorno fu fermato in Via R. Margherita, davanti di Pavia dai militi. Gli chiesero
perché non portava la camicia nera quantunque festa nazionale. Il povero
dottore rispose di averlo dimenticato, essendo uscito di premura per fare una
visita di urgenza. I militi fecero l’addebito e riferirono al segretario
politico. Il dottor Cavallaro ebbe ritirata la tessera d’iscrizione al partito
nazionale fascista. Tale provvedimento significava la rovina, infatti senza
tessera non si poteva esercitare la professione sanitaria, perché l’ordine dei
medici lo vietava. Il dottor Cavallaro, sospeso dall’esercizio professionale,
si dispiacque tanto, anche se stava economicamente bene, che si ammalò. Non si
guarì più e morì alcuni anni dopo. [...]
«La delinquenza però è bene che si dica non finì proprio
sotto il fascismo, e la stessa mafia non fu eliminata, infatti ad essa,
strumento di repressione contadina, si sostituì lo stato autoriatario fascista,
cioè non ve ne fu più bisogno e sembrò essere stata debellata, ma debellata non
fu tanto che rinacque così rigogliosa alla caduta del regime, cessarono soltanto
le efferatezze del dopo prima guerra mondiale non la criminalità vera e
propria. Al fascismo si diede a torto quel merito. Si dimenticò che Sciascia,
il ricevitore del registro fu assassinato nel 1935 e c’era il fascismo,
Federico Giancani ammazzato barbaramente nel maggio del 1937 e c’era il
fascismo, il latitante Ciciruneddu, Rizzo, non potè mai essere preso dalle
forze dell’ordine e fu ucciso da uno per la regola del tagione che gravava
sulla sua morte ed erano gli anni dal 1936 al 1939 e c’era il fascismo,
l’orificeria di don Carmelo Rosina fu scassinata, una prostituta fu trovata con
la gola recisa da un rasoio nella sua casa in Via Madonna della Rocca, l’altra
fatta a pezzi alla Acqua Amara presso la Torre di Baeri in pieno fascismo.
Abbiamo voluto citare i misfatti più eclatanti del periodo fascista, sorvolando
i minori, per dimostrare l’infondatezza di quest’affermazione, che, purtroppo,
si sente ancora ripetere nelle discussioni di piazza. Il fascismo usò metodi
repressivi atroci e questo è vero, mise la pena di morte e la esercitò e questo
è pure vero, ma l’una e l’altra non gli fanno onore. Non si scherza con la vita
degli uomini, ed essa è sacra e nessuno può toglierla per nessuna ragione. La
società può relegare fuori del proprio consorzio il tarato, il reo, ma non
sopprimerlo, non ne ha nessun diritto. La repressione poliziesca del fascismo
poi era peggio della fucilazione, si trattava delle torture di medievale
memoria, praticate nelle caserme dei carabinieri: nerbate fino al sangue, scosse
elettriche, fare ingerire acqua satura di sale, legare alla cassetta e tante e
tante altre barbarie. Basta dire che l’omicidio di Federico Giancani se lo
accollarono parecchie persone incapaci ed innocenti pur di non patire più le
torture e poi si vennero a trovare i colpevoli fuori dell’Italia, in Africa
dove erano riusciti ad imboscarsi.» (10)
La
traballante prosa del Messana traccia un quadro della situazione politica a
Racalmuto duntante il fascismo che va preso - lo ripetiamo - con le molle. Ma
qualche elemento di prima mano ce lo fornisce. Sappiamo solo così di
antifascisti operanti a Racalmuto. Le loro vicende sono palesemente enfiate. Un
riscontro possiamo coglierlo dale schedature della polizia, oggi consultabili
presso l’Archivio Centrale dello Stato in Roma.
Secondo il
Messana, il maggiore esponente comunista dell’epoca fu Edoardo Roma. Abbiamo
visto che la locale caserma dei carabinieri già nel 1925 lo definisce un
“pericoloso comunista”, portando acqua al mulino dellenfasi antifascista del nostro
storico racalmutese. Pericoloso lo fu, però, non a lungo, se lo schedario
puntuale e puntiglioso del capo della polizia Arturo Bocchini (11)
lo ignora del tutto. Forse a motivo delle influenti protezioni fasciste che al
Romano venivano dalle sue parentele bene inserite nel regime. Vi sarà pure un
motivo se la famosa medaglia di fedelta quarantennale al PCI non fu conferita
nel 1961 ad Edoardo Romano (vedansi le precedenti annotazioni del Messana).
Nelle
nostre ricerche a Roma, di racalmutesi finiti negli schedari di polizia durante
il fascismo troviamo:
1) Vella
Vincenzo;
2) Vella Diego;
3) Picone
Chiodo Calogero;
4)
Sacerdoti Edmondo;
5) Messana
Everardo.
Ma dei
cinque sudetti nominativi i veri racalmutesti sono tre (Vella Vincenzo, Picone
Chiodo Calogero e Messana Everardo), nessuno viene schedato in quanto
comunista, e i due schedati (Picone Chiodo Calogero e Messana Everardo) hanno
poco di politico.
Vella
Vincenzo, è personaggio di risalto durante i Fasci siciliani, è
attivo nell’era prefascista e rientra nei ranghi durante il fascismo. Schedato
già dalla questura di Girgenti sin dal primo settembre del 1896, ne è “radiato”
l’8 aprile 1936 «tenuto conto della buona condotta e delle prove di
ravvedimento» ed essendosi «espresso in senso favorevole al Governo nazionale.»
Nel 1893
si era lanciato nell’agone politico a capo del movimento contadino e zolfataio
del luogo, con cipiglio e furore. Agì anche fuori di Racalmuto: lo troviamo
impigliato nella repressione dei moti rivoluzionari dei Fasci in quel di
Milena. Ecco quel che ci racconta Arturo Petix: «Nel pomeriggio del 27 luglio
del 1893, a Milocca, in casa del contadino Luigi Schillaci, posta nella robba
Valenti (oggi via Gioberti) si riuniva un gruppo di contadini con lo scopo di
costituirsi in fascio dei lavoratori. [...] A quella riunione furono presenti
l’Avvocato Vincenzo Vella, presidente del fascio dei lavoratori di Racalmuto e
l’insegnante Rinaldo Di Napoli, presidente di quello di Grotte (ASCL, Carp. n.
9, Pubbl. Sicur., lettera del 2 agosto 1893).»( 12). Abbiamo sopra
fornito alcuni dati del fascicolo sul Vella dell’Archivio Centrale dello Stato.
Li integriamo qui trascrivendo quant’altro vi è annotato.
«N.° 16434 - Prefettura di Girgenti, comune
di Racalmuto - Vella Vincenzo fu Giuseppe e della Vincenza Tinebra nato in
Racalmuto il 17 ottobre 1868, residente a Racalmuto mandamento della Provincia
di Girgenti.- Laureato in giurisprudenza - celibe - Socialista rivoluzionario -
statura 1,58 - corporatura robusta, capelli castano scuri, viso oblungo, fronte
alta, occhi castani, naso giusto, barba alla mefistofele e di colore castana
scura, mento tondo, bocca regolare, espressione fisionomica satirica,
abigliamento (sic) abituale, veste decente in nero.
«Riscuote nell’opinione pubblica fama di fanatico
stravagante. Di carattere volubile. Di educazione limitata, in quanto che si
appartiene a famiglia di esercenti miniere. Di corta intelligenza. Di coltura
scarsissima. Ha compiuto gli studi nel liceo ed il corso di università in
legge. Non possiede titoli accademici. E’ lavoratore fiacco. Ritrae i mezzi di
sostentamento dalla poca proprietà lasciata alla famiglia dall’Avv. Tinebra
Vincenzo. Frequenta la compagnia dei pochi affiliati al partito socialista di
questo Comune e dei Comuni di Grotte ed
Aragona. Mal si comporta nei suoi doveri con la famiglia, di cui dovrebbe
essere il sostegno, causa la morte del padre, trascurandola completamente. Non
gli sono state affidate cariche amministrative e politiche. E’ iscritto al
partito socialista rivoluzionario. Non ha precedentemente appartenuto ad altro
partito.
«Ha molta influenza nel partito socialista locale, di cui è
il capo e di cui fa il promotore. La sua influenza è circoscritta al luogo dove
risiede. E’ stato in corrispondenza epistolare con i componenti il comitato
centrale socialista di Palermo, con l’avv. Maniscalco direttore della Giustizia
Sociale, coi nominativi Rao Gaetano, Presidente del disciolto fascio dei
lavoratori di Canicattì, Di Napoli Rinaldo Presidente del disciolto fascio di
Grotte, coll’onorevole Colajanni e col presidente della Federazione Regionale
Socialista Lombarda. Non è stato, nè è in relazione epistolare con individui
del partito all’Estero. Presentemente è in relazione epistolare col Direttore
del periodico ‘La Riscossa’ di Palermo, il presidente del Comitato Regionale
della Federazione Socialista Ligure, coi sudetti Di Napoli e Rao, col Direttore
del periodico ‘La Lotta di classe’, e dicesi in relazione epistolare con Bosco
Garibaldi e l’on. De Felice.
«Non ha dimorato all’estero, nè vi riportò condanne, e non
ne fu esplulso. - Ha appertunuto al disciolto fascio dei lavoratori di
Racalmuto, con la carica di Presidente. Presentemente non appartiene ad alcuna
associazione sovversiva di mutuo soccorso o di altro genere. Durante il 1893 ha
collaborato ai periodici sovversivi ‘La Lotta di Classe’ e ‘La Giustizia
Sociale’. Di tanto in tanto spedisce corrispondenze alla ‘Riscossa’, ed alla
‘Lotta di Classe’.
-------------
«Riceve i periodici ‘La lotta di classe’ e ‘la Riscossa’ ed
opuscoli editi a cura del Comitato Regionale della Federazione socialista
Ligure. Fa propaganda fra gli esercenti arti e mestieri, con poco profitto. E’
capace tenere conferenze. Ne ha tenute nel 1893, nel locale di questo disciolto
fascio dei lavoratori, e nel domicilio di qualche socialista di qui. - Verso le
autorità tiene un contegno sprezzante. Non ha preso parte a manifestazioni del
partito cui è ascritto a mezzo della stampa firmando cioè manifesti,
programmetti. Ma ha preso parte in occasione della dimostrazione organizzata in
questa Stazione ferroviaria il 2 Novembre 1893, al passaggio dell’on.
Colajanni, nella quale circostanza il fanatismo dei dimostranti raggiunse il
colmo, intervenne la forza pubblica, fu percosso il Deputato di P.S. del tempo,
malmenati il Maresciallo ed i militi.
«Nelle elezioni ammimistrative di Racalmuto del 1905 è stato
eletto consigliere comunale. »
[Aggiunta
in calce la posteriore data: Girgenti 14 gennaio 1908 - il prefetto Mario
Rebucci].
«Prefettura di Girgenti - Cenno biografico
del 20 ottobre 1913 - Andatura attempata. - Gode nell’opinione pubblica fama di
uomo di poco carattere e di nessuna serietà. D’intelligenza ed educazione
medie, è mordace ed aggressivo, quando scrive per i giornali, tanto che ha un
frasario tutto suo speciale, fatto di volgare turpiloquio, appunto perché nelle
lotte sia politiche che amministrative non sa fare a meno di attaccare in modo
triviale le persone degli avversari, invece di combattere le idee. E’ laureato
in legge, ma la sua cultura non va oltre gli studi fatti e le molte
pubblicazioni socialiste lette e ben poco ben assimilate. Di natura fiacca,
lavora lo stretto necessario, approfittando di quello che ricava dalla poca
proprietà immobiliare a lui lasciata da un suo avo. Tenace nelle lotte, ma non
nel carattere, egli varia di continuo e con molta leggerezza di relazioni
politiche e di amicizie personali, a seconda della convenienza e
dell’opportunità del momento, non si può dire quindi egli abbia in ciò una
direttiva sicura, per quanto inclini nella scelta verso gli elementi sovversivi
o politicamente esaltati. Si deve a tale sua malleabilità di carattere ed
azione se egli sia stato consigliere comunale ed anche assessore supplente.
Nella presente lotta politica, egli, transigendo con la sua condotta passata,
ha stretto relazione con persone, altra volta attaccate fino all’insulto, per
appoggiare la candidatura socialista dell’Avv. Marchesano. Nel biennio
1893-1894 - egli dette pensiero ed azione ai moti convulsionarii dei ‘fasci’ ed
ebbe perciò il suo quarto d’ora di influenza e di popolarità, fra gli elementi
sovversivi di allora; ma sopravvenuta la repressione egli ritornò quello di
prima, anzi fu lì lì per essere inviato a domicilio coatto, a termini dell’art.
3 della legge 19 luglio 1894. [..]
Successivamente egli si occupò dei suoi affari privati per cui fece dimora a
Delia ed a Casteltermini. Nel presente fa qualche pubblicazione sui giornali
della provincia a carattere sovversivo; fa come può, ma con scarso profitto,
propaganda fra gli operai ed è presidente della lega di miglioramento tra gli
zolfatai di Racalmuto.
«E’ capace di parlare al pubblico, ma non di tenere
conferenze vere e proprie, ciò quindi ha fatto sempre che se ne sia presentata
l’occasione; in lui però più che la facilità di parola è comune il turpiloquio,
che, in fondo, tradisce la sua origine volgare. Però nel passato tenne verso
l’autorità un contegno altero e sprezzante; ora però si mostra remissivo e
rispettoso. Ma ha preso parte a vere e proprie pubbliche manifestazioni di
carattere del partito. Nel 1893 intervenne in manifestazioni più o meno
violente e, successivamente, in un pubblico spettacolo si lasciò andare a
qualche atto inconsulto. Mai fu sottoposto alla pregiudiziale ammonizione e fu
solo proposto, ma non assegnato, a domicilio coatto. Non ha subito condanne, ma
ha i seguenti precedenti penali. Il 1° settembre 1893 fu arrestato in Milocca
per istigazione a delinquere; a 7 maggio 1894 fu assolto dal Tribunale di
Girgenti dall’imputazione di violenza e resistenza ad agenti della forza
pubblica; a 19 maggio 1894 la camera di consiglio di Girgenti disse non luogo
per l’imputazione di tentativo di fare insorgere gli abitanti del regno contro
i poteri dello stato. Nello assieme il Vella, per quanto sempre relativamente
temibile, non è più il sovversivo di una volta e non è più da ritenersi un
socialista veramente combattivo, perché, in fondo, non riesce a farsi pigliare
sul serio da alcuno. L’età, il male cronico di cui è affetto e qualche debito
hanno fiaccato e piegato il suo carattere, naturalmente a ciò disposto, ed oggi
si aggioga al carro di taluni conservatori, liberali d’occasione, con la stessa
facilità con la quale si metterebbe loro contro, se gli tornasse opportuno,
data anche la sua venalità.»
-----
«Relazione Prefettura: Dall’elenco allegato al n.° 16085 del
3.7.1911 risulta pericoloso. - Girgenti 1912: N.° 1128 del 23.4.1912 - E’ stato
rieletto Consigliere Comunale di Racalmuto e poscia nominato assessore. Non
tiene più contegno sprezzante con le autorità e si è mostrato favorevole al
Governo per la guerra in Libia - Professa sempre idee socialiste e viene
pertanto vigilato.»
------
«Prefettura: 27 11.1925 - Professa tuttora principi
socialisti e non tralascia occasione per fare propaganda antifascista. E’
attentamente sorvegliato. - Prefettura: 21.1.1929. - In data 2.12.1926 venne
diffidato ai sensi dell’art. 166 legge P.S. In atto serba regolare condotta
morale e politica mantenendosi estraneo ad ogni manifestazione contraria
all’attuale Regime. Prefettura: 3.7.1931 - .. socialista rivoluzionario.
Continua a tenere buona condotta politica, dedicandosi esclusivamente alla sua
professione di avvocato. I suoi atteggiamenti nei riguardi del Regime sono
favorevoli e mostra in apparenza di essersi ravveduto. Però non si ritiene
opportuno, almeno per ora, di proporlo per la radiazione dallo schedario dei
sovversivi, e si continua a esercitare su di lui assidua vigilanza. -
Prefettura: 21.2.1933 - Risiede a Racalmuto, dove esercita la professione di
procuratore legale presso quella pretura. Non spiega alcuna attività politica e
tiene atteggiamento favorevole al Regime. Viene sempre sorvegliato non avendo
dato prove sicure di ravvedimento. - Prefettura: 22.12.1934 - Non ha dato luogo
a rilievi in linea politica, e nei riguardi del Regime si mostra apparentemente
favorevole. Viene vigilato. - Prefettura: 25.9.1935 - Durante il terzo
trimestre del corrente anno non ha dato luogo a rilievi con la sua condotta
politica. Viene vigilato.» (13)
*
* *
Quanto a
Vella Dante Nunziato fu Giuseppe, nato a Racalmuto il 3 marzo 1908, abbiamo
fornito in precedenza i dati dello schedario centrale che lo riguardano. Appartenente ad una famiglia di anarchici di
Grotte, i suoi legami con Racalmuto sono del tutto accidentali e di mera
anagrafe. La madre era una Pedalino Di Rosa, sorella di quello che è stato un
affermato notaio di Milano, e discreto verseggiatore in dialetto. Il Pedalino,
come si è detto, brigò tanto nel 1930 per farsi riconoscere i meriti di essere
stato tra i sansepolcristi del 1919. Il 27 dicembre 1937, il suo nome però
viene associato sia pure molto casualmente con quello dell’anarchico Dante
Nunziato Vella di cui è zio materno. Il prefetto G. Marzano esclude ogni
favoreggiamento, ma si dà il caso che da allora il Pedalino ha qualche screzio
col fascismo. Oggi, la figlia tiene a rivendicare un passato (inesistente)
antifascista del padre. Ciò ha sorpreso i redattori del locale foglio di
Racalmuto Malgrado tutto, che avevano
- ed a ragione - visto il Pedalino come un antesignano del fascismo.
*
* *
La
schedatura di Picone Chiodo Calogero (14) fa emergere una figura che
comunque la si giri difficilmente può venire riportata nell’ambito
dell’antifascismo. Trattasi, piuttosto, di un avventuriero che opera ai margini
della truffa. Certo, siamo in pieno contrasto con la idealizzazione che la
lettura locale (il citato libro del Messana e Malgrado tutto) hanno di recente sfornato. Latrscrizione dei dati
d’archivio chiarisce meglio l’assunto.
«Picone Chiodo Calogero fu Giuseppe e fu
Munisteri Pinò Ignazia, nato a Racalmuto il 17 aprile 1884, qui abitante
(Milano), avvocato - 1,68 circa. - Avuta da Agrigento il 14/7/1932 n.° 33032 -
1° gennaio 1930: Cartolina postale di
Picone Chiodo all’avv. Sincero Rugarli, corso Umbero I°, 26 Roma. Si parla di
libri e di abbonamenti a riviste. La questura di Roma definisce il Rugarli
‘noto socialista schedato’. Non sa nulla sul Picone Chiodo. - 27 febbraio 1930
- Consolato generale di Nizza - Riceve una lettera dall’avv. C. Picone Chiodo
Via Tritone 201: Roma 24 febbraio 1930: ‘Ricevo il suo pregiato invito a
presentarmi nella Regia Cancelleria per comunicazione che mi riguarda. Trovomi
in Italia nostra da circa 15 giorni. Sarei grato a V.S. se volesse farmi
conoscere l’oggetto dell’invito, non dovendo più venire a Nizza ..’
«Questura di Roma n.
023885 del 2 aprile 1930: C. Calogero Picone Chiodo .. con recapito presso il
notaio Schillaci Guido. - Regia Questura di Roma da quella di Agrigento: Il
16.3.1904 dall’Amministrazione Comunale di Racalmuto il Picone venne incaricato
dello insegnamento nella quinta classe elementare e tale incarico tenne sino
alla fine del 1907. Laureatosi in legge, nell’ottobre 1907 si recò a New York
per accompagnarvi una sorella, e a mezzo di un suo parente, che colà risiedeva
da parecchi anni, cercò fortuna facendo il pubblicista, ma non ebbe successo, e
l’anno successivo ritornò in patria riprendendo, nel luglio del 1908,
l’insegnamento elementare, che tenne sino al febbraio del 1912. Durante la sua
permanenza a Racalmuto, esercitò, saltuariamente, anche la professione di
avvocato. Nel 1912 si trasferì a Milano, dove, il 26.2.1914, sposò certa
Matilde Margherita Ochert da Monaco.
«In seguito a tale matrimonio, e dopo breve permanenza a
Monaco, ottenne la rappresentanza di alcune fabbriche tedesche di colori.
Durante la guerra fu prima soldato di artiglieria a Messina, e poi Ufficiale
presso il distretto militare di Agrigento, ove disimpegnò la carica di aiutante
maggiore. Ultimati gli obblighi militari ritornò con la famiglia a Milano,
occupandosi nuovamente di colori. Nei primi del 1922, si trasferì a Rovato
(Brescia) e nel novembre dello stesso anno ritornò stabilmente a Milano, dove
aprì uno studio legale in Via Col di Lana 3, recandosi ad abitare al Viale
Ticinese n.° 3.
«Nei primi del 1929 si recò a Parigi allo scopo, come si
disse, di pubblicare alcuni libri e di occuparsi di studi spiritici. Già in
Italia il Picone aveva pubblicato un libro di sociologia criminale, un altro
sul bolscevismo, un opuscoletto della biblioteca Vallardi sulla cambiale, ed un
libro di spiritismo intitolato ‘La verità spiritualistica’.
«Ultimamente, da Roma, ha inviato ai conoscenti un biglietto
di partecipazione dell’apertura di uno studio legale. Durante la sua permanenza
a Racalmuto professò teorie socialiste, ma senza accanimento. Si vuole che a
Milano contasse numerose relazioni nell’ambiente socialista. Il predetto
risulta di temperamento nervoso, eccitabile, ma oltremodo pavido.
«La Questura di Milano ha comunicato che il Picone ha
risieduto in quella città dal 1913 al 1928, epoca in cui si recò all’estero,
senza dar luogo a rilievi in linea politica e mantenendo contegno indifferente
nei riguardi del Regime.
«Questura di Roma: 8 luglio 1930 - L’avv. Picone Chiodo
Calogero è pertito ieri per Monaco di Baviera accompagnato dalla moglie Ockert
Matilde fu Adolfo e dai figli Giuseppe, Ignazio ed Isabella.
«27.5.1932- Viene riferito da fonte fiduciaria che il
segnalato Picone Chiodo Calogero, avvocato, residente a Parigi al n.° 203 Bld.
Voltaire, continua a svolgere attiva propaganda contro il Regime, trattando e
criticando violentemente questioni relative al Regime. Benchè apparentemente
voglia far credere di non interessarsi di politica, la sua azione è
notoriamente dannosa, perché svolta fra elementi intellettuali.
«1° luglio 1932 Prefetto di Agrigento: Risulta di buona
condotta morale ed a suo carico non risultano precedenti e pendenze morali.
Egli non ha in questi atti precedenti politici, ma è notorio che nel suo Comune
di origine professava idee socialiste. Il Picone si allontanò da Racalmuto una
prima volta nel 1914, e in un secondo tempo nel 1923. Il 14.2.1914 contrasse
matrimonio con certa Occhert Matilde.
«N.° 16434 - Prefettura di Girgenti, comune
di Racalmuto - Vella Vincenzo fu Giuseppe e della Vincenza Tinebra nato in
Racalmuto il 17 ottobre 1868, residente a Racalmuto mandamento della Provincia
di Girgenti.- Laureato in giurisprudenza - celibe - Socialista rivoluzionario -
statura 1,58 - corporatura robusta, capelli castano scuri, viso oblungo, fronte
alta, occhi castani, naso giusto, barba alla mefistofele e di colore castana
scura, mento tondo, bocca regolare, espressione fisionomica satirica,
abigliamento (sic) abituale, veste decente in nero.
«Riscuote nell’opinione pubblica fama di fanatico
stravagante. Di carattere volubile. Di educazione limitata, in quanto che si
appartiene a famiglia di esercenti miniere. Di corta intelligenza. Di coltura
scarsissima. Ha compiuto gli studi nel liceo ed il corso di università in
legge. Non possiede titoli accademici. E’ lavoratore fiacco. Ritrae i mezzi di
sostentamento dalla poca proprietà lasciata alla famiglia dall’Avv. Tinebra
Vincenzo. Frequenta la compagnia dei pochi affiliati al partito socialista di
questo Comune e dei Comuni di Grotte ed
Aragona. Mal si comporta nei suoi doveri con la famiglia, di cui dovrebbe
essere il sostegno, causa la morte del padre, trascurandola completamente. Non
gli sono state affidate cariche amministrative e politiche. E’ iscritto al
partito socialista rivoluzionario. Non ha precedentemente appartenuto ad altro
partito.
«Ha molta influenza nel partito socialista locale, di cui è
il capo e di cui fa il promotore. La sua influenza è circoscritta al luogo dove
risiede. E’ stato in corrispondenza epistolare con i componenti il comitato
centrale socialista di Palermo, con l’avv. Maniscalco direttore della Giustizia
Sociale, coi nominativi Rao Gaetano, Presidente del disciolto fascio dei
lavoratori di Canicattì, Di Napoli Rinaldo Presidente del disciolto fascio di
Grotte, coll’onorevole Colajanni e col presidente della Federazione Regionale
Socialista Lombarda. Non è stato, nè è in relazione epistolare con individui
del partito all’Estero. Presentemente è in relazione epistolare col Direttore
del periodico ‘La Riscossa’ di Palermo, il presidente del Comitato Regionale
della Federazione Socialista Ligure, coi sudetti Di Napoli e Rao, col Direttore
del periodico ‘La Lotta di classe’, e dicesi in relazione epistolare con Bosco
Garibaldi e l’on. De Felice.
«Non ha dimorato all’estero, nè vi riportò condanne, e non
ne fu esplulso. - Ha appertunuto al disciolto fascio dei lavoratori di
Racalmuto, con la carica di Presidente. Presentemente non appartiene ad alcuna
associazione sovversiva di mutuo soccorso o di altro genere. Durante il 1893 ha
collaborato ai periodici sovversivi ‘La Lotta di Classe’ e ‘La Giustizia Sociale’.
Di tanto in tanto spedisce corrispondenze alla ‘Riscossa’, ed alla ‘Lotta di
Classe’.
-------------
«Riceve i periodici ‘La lotta di classe’ e ‘la Riscossa’ ed
opuscoli editi a cura del Comitato Regionale della Federazione socialista
Ligure. Fa propaganda fra gli esercenti arti e mestieri, con poco profitto. E’
capace tenere conferenze. Ne ha tenute nel 1893, nel locale di questo disciolto
fascio dei lavoratori, e nel domicilio di qualche socialista di qui. - Verso le
autorità tiene un contegno sprezzante. Non ha preso parte a manifestazioni del
partito cui è ascritto a mezzo della stampa firmando cioè manifesti,
programmetti. Ma ha preso parte in occasione della dimostrazione organizzata in
questa Stazione ferroviaria il 2 Novembre 1893, al passaggio dell’on.
Colajanni, nella quale circostanza il fanatismo dei dimostranti raggiunse il
colmo, intervenne la forza pubblica, fu percosso il Deputato di P.S. del tempo,
malmenati il Maresciallo ed i militi.
«Nelle elezioni ammimistrative di Racalmuto del 1905 è stato
eletto consigliere comunale. »
[Aggiunta
in calce la posteriore data: Girgenti 14 gennaio 1908 - il prefetto Mario
Rebucci].
«Prefettura di Girgenti - Cenno biografico
del 20 ottobre 1913 - Andatura attempata. - Gode nell’opinione pubblica fama di
uomodi poco carattere e di nessuna serietà. D’intelligenza ed educazione medie,
è mordace ed aggressivo, quando scrive per i giornali, tanto che ha un frasario
tutto suo speciale, fatto di volgare turpiloquio, appunto perché nelle lotte
sia politiche che amministrative non sa fare a meno di attaccare in modo
triviale le persone degli avversari, invece di combattere le idee. E’ laureato
in legge, ma la sua cultura non va oltre gli studi fatti e le molte
pubblicazioni socialiste lette e ben poco ben assimilate. Di natura fiacca,
lavora lo stretto necessario, approfittando di quello che ricava dalla poca
proprietà immobiliare a lui lasciata da un suo avo. Tenace nelle lotte, ma non
nel carattere, egli varia di continuo e con molta leggerezza di relazioni politiche
e di amicizie personali, a seconda della convenienza e dell’opportunità del
momento, non si può dire quindi egli abbia in ciò una direttiva sicura, per
quanto inclini nella scelta verso gli elementi sovversivi o politicamente
esaltati. Si deve a tale sua malleabilità di carattere ed azione se egli sia
stato consigliere comunale ed anche assessore supplente. Nella presente lotta
politica, egli, transigendo con la sua condotta passata, ha stretto relazione
con persone, altra volta attaccate fino all’insulto, per appoggiare la
candidatura socialista dell’Avv. Marchesano. Nel biennio 1893-1894 - egli dette
pensiero ed azione ai moti convulsionarii dei ‘fasci’ ed ebbe perciò il suo
quarto d’ora di influenza e di popolarità, fra gli elementi sovversivi di allora;
ma sopravvenuta la repressione egli ritornò quello di prima, anzi fu lì lì per
essere inviato a domicilio coatto, a termini dell’art. 3 della legge 19 luglio
1894. [..] Successivamente egli si
occupò dei suoi affari privati per cui fece dimora a Delia ed a Casteltermini.
Nel presente fa qualche pubblicazione sui giornali della provincia a carattere
sovversivo; fa come può, ma con scarso profitto, propaganda fra gli operai ed è
presidente della lega di miglioramento tra gli zolfatai di Racalmuto.
«E’ capace di parlare al pubblico, ma non di tenere
conferenze vere e proprie, ciò quindi ha fatto sempre che se ne sia presentata
l’occasione; in lui però più che la facilità di parola è comune il turpiloquio,
che, in fondo, tradisce la sua origine volgare. Peò passato tenne verso
l’autorità un contegno altero e sprezzante; ora però si mostra remissivo e
rispettoso. Ma ha preso parte a vere e proprie pubbliche manifestazioni di
carattere del partito. Nel 1893 intervenne in manifestazioni più o meno
violente e, successivamente, in un pubblico spettacolo si lasciò andare a
qualche atto inconsulto. Mai fu sottoposto alla pregiudiziale ammonizione e fu
solo proposto, ma non assegnato, a domicilio coatto. Non ha subito condanne, ma
ha i seguenti precedenti penali. Il 1° settembre 1893 fu arrestato in Milocca
per istigazione a delinquere; a 7 maggio 1894 fu assolto dal Tribunale di
Girgenti dall’imputazione di violenza e resistenza ad agenti della forza
pubblica; a 19 maggio 1894 la camera di consiglio di Girgenti disse non luogo
per l’imputazione di tentativo di fare insorgere gli abitanti del regno contro
i poteri dello stato. Nello assieme il Vella, per quanto sempre relativamente
temibile, non è più il sovversivo di una volta e non è più da ritenersi un
socialista veramente combattivo, perché, in fondo, non riesce a farsi pigliare
sul serio da alcuno. L’età, il male cronico di cui è affetto e qualche debito
hanno fiaccato e piegato il suo carattere, naturalmente a ciò disposto, ed oggi
si aggioga al carro di taluni conservatori, liberali d’occasione, con la stessa
facilità con la quale si metterebbe loro contro, se gli tornasse opportuno,
data anche la sua venalità.»
-----
«Relazione Prefettura: Dall’elenco allegato al n.° 16085 del
3.7.1911 risulta pericoloso. - Girgenti 1912: N.° 1128 del 23.4.1912 - E’ stato
rieletto Consigliere Comunale di Racalmuto e poscia nominato assessore. Non
tiene più contegno sprezzante con le autorità e si è mostrato favorevole al
Governo per la guerra in Libia - Professa sempre idee socialiste e viene
pertanto vigilato.»
------
«Prefettura: 27 11.1925 - Professa tuttora principi
socialisti e non tralascia occasione per fare propaganda antifascista. E’
attentamente sorvegliato. - Prefettura: 21.1.1929. - In data 2.12.1926 venne
diffidato ai sensi dell’art. 166 legge P.S. In atto serba regolare condotta
morale e politica mantenendosi estraneo ad ogni manifestazione contraria
all’attuale Regime. Prefettura: 3.7.1931 - .. socialista rivoluzionario.
Continua a tenere buona condotta politica, dedicandosi esclusivamente alla sua
professione di avvocato. I suoi atteggiamenti nei riguardi del Regime sono
favorevoli e mostra in apparenza di essersi ravveduto. Però non si ritiene
opportuno, almeno per ora, di proporlo per la radiazione dallo schedario dei
sovversivi, e si continua a esercitare su di lui assidua vigilanza. -
Prefettura: 21.2.1933 - Risiede a Racalmuto, dove esercita la professione di
procuratore legale presso quella pretura. Non spiega alcuna attività politica e
tiene atteggiamento favorevole al Regime. Viene sempre sorvegliato non avendo
dato prove sicure di ravvedimento. - Prefettura: 22.12.1934 - Non ha dato luogo
a rilievi in linea politica, e nei riguardi del Regime si mostra apparentemente
favorevole. Viene vigilato. - Prefettura: 25.9.1935 - Durante il terzo
trimestre del corrente anno non ha dato luogo a rilievi con la sua condotta
politica. Viene vigilato.» (13)
*
* *
Quanto a
Vella Dante Nunziato fu Giuseppe, nato a Racalmuto il 3 marzo 1908, abbiamo
fornito in precedenza i dati dello schedario centrale che lo riguardano. Appartenente ad una famiglia di anarchici di
Grotte, i suoi legami con Racalmuto sono del tutto accidentali e di mera
anagrafe. La madre era una Pedalino Di Rosa, sorella di quello che è stato un
affermato notaio di Milano, e discreto verseggiatore in dialetto. Il Pedalino,
come si è detto, brigò tanto nel 1930 per farsi riconoscere i meriti di essere
stato tra i sansepolcristi del 1919. Il 27 dicembre 1937, il suo nome però
viene associato sia pure molto casualmente con quello dell’anarchico Dante
Nunziato Vella di cui è zio materno. Il prefetto G. Marzano esclude ogni
favoreggiamento, ma si dà il caso che da allora il Pedalino ha qualche screzio
col fascismo. Oggi, la figlia tiene a rivendicare un passato (inesistente)
antifascista del padre. Ciò ha sorpreso i redattori del locale foglio di
Racalmuto Malgrado tutto, che avevano
- ed a ragione - visto il Pedalino come un antesignano del fascismo.
*
* *
La
schedatura di Picone Chiodo Calogero (14) fa emergere una figura che
comunque la si giri difficilmente può venire riportata nell’ambito
dell’antifascismo. Trattasi, piuttosto, di un avventuriero che opera ai margini
della truffa. Certo, siamo in pieno contrasto con la idealizzazione che la
lettura locale (il citato libro del Messana e Malgrado tutto) hanno di recente sfornato. Latrscrizione dei dati
d’archivio chiarisce meglio l’assunto.
«Picone Chiodo Calogero fu Giuseppe e fu
Munisteri Pinò Ignazia, nato a Racalmuto il 17 aprile 1884, qui abitante (Milano),
avvocato - 1,68 circa. - Avuta da Agrigento il 14/7/1932 n.° 33032 - 1° gennaio
1930: Cartolina postale di Picone Chiodo
all’avv. Sincero Rugarli, corso Umbero I°, 26 Roma. Si parla di libri e di
abbonamenti a riviste. La questura di Roma definisce il Rugarli ‘noto
socialista schedato’. Non sa nulla sul Picone Chiodo. - 27 febbraio 1930 -
Consolato generale di Nizza - Riceve una lettera dall’avv. C. Picone Chiodo Via
Tritone 201: Roma 24 febbraio 1930: ‘Ricevo il suo pregiato invito a
presentarmi nella Regia Cancelleria per comunicazione che mi riguarda. Trovomi
in Italia nostra da circa 15 giorni. Sarei grato a V.S. se volesse farmi
conoscere l’oggetto dell’invito, non dovendo più venire a Nizza ..’
«Questura di Roma n.
023885 del 2 aprile 1930: C. Calogero Picone Chiodo .. con recapito presso il
notaio Schillaci Guido. - Regia Questura di Roma da quella di Agrigento: Il
16.3.1904 dall’Amministrazione Comunale di Racalmuto il Picone venne incaricato
dello insegnamento nella quinta classe elementare e tale incarico tenne sino
alla fine del 1907. Laureatosi in legge, nell’ottobre 1907 si recò a New York
per accompagnarvi una sorella, e a mezzo di un suo parente, che colà risiedeva
da parecchi anni, cercò fortuna facendo il pubblicista, ma non ebbe successo, e
l’anno successivo ritornò in patria riprendendo, nel luglio del 1908,
l’insegnamento elementare, che tenne sino al febbraio del 1912. Durante la sua
permanenza a Racalmuto, esercitò, saltuariamente, anche la professione di
avvocato. Nel 1912 si trasferì a Milano, dove, il 26.2.1914, sposò certa
Matilde Margherita Ochert da Monaco.
«In seguito a tale matrimonio, e dopo breve permanenza a
Monaco, ottenne la rappresentanza di alcune fabbriche tedesche di colori.
Durante la guerra fu prima soldato di artiglieria a Messina, e poi Ufficiale
presso il distretto militare di Agrigento, ove disimpegnò la carica di aiutante
maggiore. Ultimati gli obblighi militari ritornò con la famiglia a Milano,
occupandosi nuovamente di colori. Nei primi del 1922, si trasferì a Rovato
(Brescia) e nel novembre dello stesso anno ritornò stabilmente a Milano, dove
aprì uno studio legale in Via Col di Lana 3, recandosi ad abitare al Viale
Ticinese n.° 3.
«Nei primi del 1929 si recò a Parigi allo scopo, come si
disse, di pubblicare alcuni libri e di occuparsi di studi spiritici. Già in
Italia il Picone aveva pubblicato un libro di sociologia criminale, un altro
sul bolscevismo, un opuscoletto della biblioteca Vallardi sulla cambiale, ed un
libro di spiritismo intitolato ‘La verità spiritualistica’.
«Ultimamente, da Roma, ha inviato ai conoscenti un biglietto
di partecipazione dell’apertura di uno studio legale. Durante la sua permanenza
a Racalmuto professò teorie socialiste, ma senza accanimento. Si vuole che a
Milano contasse numerose relazioni nell’ambiente socialista. Il predetto
risulta di temperamento nervoso, eccitabile, ma oltremodo pavido.
«La Questura di Milano ha comunicato che il Picone ha
risieduto in quella città dal 1913 al 1928, epoca in cui si recò all’estero, senza
dar luogo a rilievi in linea politica e mantenendo contegno indifferente nei
riguardi del Regime.
«Questura di Roma: 8 luglio 1930 - L’avv. Picone Chiodo
Calogero è pertito ieri per Monaco di Baviera accompagnato dalla moglie Ockert
Matilde fu Adolfo e dai figli Giuseppe, Ignazio ed Isabella.
«27.5.1932- Viene riferito da fonte fiduciaria che il
segnalato Picone Chiodo Calogero, avvocato, residente a Parigi al n.° 203 Bld.
Voltaire, continua a svolgere attiva propaganda contro il Regime, trattando e
criticando violentemente questioni relative al Regime. Benchè apparentemente
voglia far credere di non interessarsi di politica, la sua azione è
notoriamente dannosa, perché svolta fra elementi intellettuali.
«1° luglio 1932 Prefetto di Agrigento: Risulta di buona
condotta morale ed a suo carico non risultano precedenti e pendenze morali.
Egli non ha in questi atti precedenti politici, ma è notorio che nel suo Comune
di origine professava idee socialiste. Il Picone si allontanò da Racalmuto una
prima volta nel 1914, e in un secondo tempo nel 1923. Il 14.2.1914 contrasse
matrimonio con certa Occhert Matilde.
«Ambasciata Parigi del 26.9.1932: Si riscontra la nota di
codesto Ministero, nella quale l’avv. Picone Chiodo è qualificato
‘antifascista’. Tale appellativo non sembra in armonia con le informazioni
fornite dalla stessa Prefettura. L’attività svolta a Parigi per la costituzione
di una ‘Association Internationale pour la lutte contre le crîme’ lo ha portato
a contatto di elementi francesi che nutrono sentimenti massonici ed ostili al
Regime, ma non avrebbe avuto, per quanto risulta, alcuna attività antifascista.
«26.9.1932 minuta del Ministero Interno: Il Picone,
pertanto, è per lo meno politicamente sospetto, provenendo le informazioni
fiduciarie da fonti attendibili, e pertanto egli rimane iscritto nel Casellario
politico per quei provvedimenti che questo Ministero crederà di adottare sia
per la vigilanza all’estero, sia in caso di un suo eventuale rientro nel Regno.
«13 ottobre 1932 Affari Esteri all’Ambasciata a Parigi: Sono
evidenti i suoi legami con noti esponenti della massoneria. Provvedimento. ‘da
perquisire, segnalare e vigilare’. 3 dicembre 1932: Detto socialista è
scomparso da Parigi e sconoscesi dove possa trovarsi. 28 gennaio 1933
Prefettura di Agrigento: L’Ufficio di P.S. di frontiera di Ventimiglia informa
che il 26 gennaio ore 22 è entrato di transito nel Regno, diretto a Monaco di
Baviera. Avv. Picone Chiodo, iscritto nella rubrica di frontiera, schedina n.°
35132, e perquisizione ha avuto esito
negativo. Idem 2.2.1933: Connazionale avv. Picone Chiodo Calogero, munito
passaporto n.° 053285 reg. 1385 rilasciato Questura di Bolzano il 6.8.1928,
accompagnato consorte ... è stato perquisito con esito negativo.
«17.3.1933 Affari Esteri, Consolato di Monaco: Ha chiamato
il Ciodo per soddisfare il suo debito verso l’editore Schmidt.. Rilascia una
lettera a sua difesa [ove si parla di ‘compensazione occulta’ fra debiti e
crediti].
«Monaco 8.3.1933 lettera Picone: E’ tuttora pendente un
conto che avrebbe dovuto essere definito negli anni 1927-28. Il Drenler .. si
vanterà mio ceditore della somma di lire 2.000 ... mi vanto ancora creditore di
tutte le provvigioni sugli affari conclusi direttamente dalla ditta con i
clienti italiani durante circa sei anni (1920-26 =1927). Non ricordo
esattamente Il signor Drenler .. non volle adempiere .. complessivamente non
volle liquidare circa lire 4.000 per gli affari da me conclusi.
«23.3.1933 Consolato Monaco di Baviera: L’avv. Picone si è
sempre dimostrato un entusiasta del Regime e non ha qui dato motivo a sospetti
di antifascismo. Ha fatto anzi domanda per essere iscritto al Fascio di Grasse
di recente istituzione. Sarei grato a codesto R. Ministero se volesse
comunicarmi in base a quali elementi sono stati formulati i sospetti di
antifascismo.
«Minuta M.I. del 4.8.1933: [Accenno ai fatti di Parigi, ma
dopo:] ‘questo Ministero prende atto delle favorevoli informazioni fornite dal
N.R. Console di Nizza e con provvedimento di pari data dispone la di lui
radiazione dal casellario di frontiera e dal novero dei sovversivi.
«8.4.1939: Revoca iscrizione.
«21.12.1940: Picone Chiodo qui domiciliato [Roma] da molti
anni in via Compagnoni, 10 non dà luogo a rilievi e nei confronti del Regime
mantiene atteggiamento indifferente. Risulta di regolare condotta morale.
Esercita la professione di avvocato penale, versa in discrete condizioni
economiche.
«28.8.1942: Non dà luogo a rilievi.»
*
* *
Lo
schedato Edmondo Sacrdoti è un avvocato romano, palesemente ebreo, che con
Racalmuto ha in comune solo il fatto di esservi casualmente nato. Il padre -
ignoriamo il perché - era astretto alle locali carceri e la moglie, che lo
aveva seguito in questa sperduta cittadina dell’agrigentino diede alla luce
proprio qui a Racalmuto il piccolo Edmondo il 27 aprile 1888: questo dicono gli
atti dello stato civile che siamo andati a rintracciare. Il Sacerdoti non fu
poi un grosso antifascista: passa una notte in gattabuia, pensiamo per svista
della polizia. Lo stesso Mussolini si premura il giorno dopo di farlo mettere
in libertà. Ecco quanto annotato nello schedario (15):
«10 dicembre 1929 - Ministero Interno -
Polizia Politica: L’avv. Edmondo Sacerdoti, già iscritto nel partito socialista
e noto per le cariche che occupò nel partito stesso nella Capitale, si è
allontanato da qualsiasi movimento politico. [Scheda intestata a:] Sacerdoti
Edmondo di Cesare e fu Fogger Isabella, nato a Racalmuto (Agrigento) il
27.4.1888. Avvocato residente a Roma - Socialista.»
__-__________
* * *
L’ultimo
inquisito - anche in ordine di tempo - dalla polizia fascista ha poco a che
fare con
l’antifascismo:
sembra un piccolo Sindona anzitempo che cerca di truffare ebrei romani con
promesse
di trasferimenti all’estero di capitali per il tramite delle organizzazioni
finanziarie
del
Vaticano. In combutta con un console della M.V.S.N., il racalmutese Everardo
Messana,
trasferitosi
a Roma nel 1928, dopo essere messo in congedo dall’Arma dei Carabinieri Reali,
incappa
in due ordini di confino politico per tre anni ciascuno nel 1934 e nel 1939
(16).
Questo
il profilo ricavabile dai vari rapporti di polizia. Ecco quello che scrive la Regia
Questura
di Roma in data 10 febbraio
1934:«Messana Everardo fu Angelo e di Marchioni
[rectius:
Mantione] Vincenza, nato a Racalmuto (Agrigento) il 16.9.1902, abitante in Roma
Via
Principe Eugenio n. 22 - Denunzia per il confino di Polizia.«Questo Ufficio si
è testè
interessato
[...] della losca attività affaristica svolta da alcuni individui nelle varie
ambigue
categorie
di tenutari di case di prostituzione, di biscazzieri e di venditori di fumo.
Tra questi è
emersa,
in pieno, la figura del nominato MESSANA Everardo. Prospettatasi la bbraio
1934:«Messana
Everardo fu Angelo e di Marchioni [rectius: Mantione] Vincenza, nato a
Racalmuto
(Agrigento) il 16.9.1902, abitante in Roma Via Principe Eugenio n. 22 -
Denunzia
per
il confino di Polizia.«Questo Ufficio si è testè interessato [...] della losca
attività affaristica
svolta
da alcuni individui nelle varie ambigue categorie di tenutari di case di prostituzione,
di
biscazzieri
e di venditori di fumo. Tra questi è emersa, in pieno, la figura del nominato
MESSANA
Everardo. Prospettatasi la possibilità di giocare d’azzardo al noto circolo
Casanova
della Capitale, il Messana si assunse la garanzia del pacifico esercizio del
giuoco,
a
condizione che si fosse versato un premio ‘ai suoi amici della Direzione
Generale di P.S.’
di
L. 200.000 ridotte poi a 150.000. Tale riduzione, però, com’egli fece
comprendere
costituiva
per lui un grande sacrificio, in quanto ben poco avrebbe avuto di tale somma.
Nel
settembre
scorso, essendogli stato parlato dell’eventualità dell’istituzione in Acqui di
una
casa
dell’Interno. Esso Messana ne parlò al dott. Guido Albergo, già confinato da
codesta
On.
Commissione, che gli aveva detto di far parte dell’O.V.R.A. e di avere forti
addentellati
presso
la Direzione Generale della P.S. [..]«E’ agevole rilevare quanta speciosità vi
sia nelle
dichiarazioni
del Messana i cui rapporti coll’Albergo costituiscono una riprova della sua
attività
millantatrice, diffamando le Utorità Statali e la Polizia in ispecie, con
l’insinuare la
possibilità,
se non la certezza, di poter corrompere funzionari di ogni grado. [..]»Abbiamo,
poi,
da un rapporto informativo della Legione Territoriale de Carabinieri di Roma
del 3 luglio
1939:«Messana
Everardo fu Calogero e fu Mantione Vincenza, nato a Racalmuto (Agrigento)
il
6 settembre 1902, vedovo senza prole. Dal 18 aprile [1939] è associato alle
locali carceri
giudiziarie.
E’ di razza ariana e professa la religione cattolica. Ha prestato servizio
militare
nell’Arma
dei CC.RR. dal 24 gennaio 1922 al 23 gennaio 1928, data sotto la quale fu
inviato
in
congedo dalla legione territoriale di Roma, col grado di brigadiere. Il 12
febbraio 1934,
dalla
commissione provinciale di Roma, fu assegnato al confino politico, per la
durata di anni
3,
per avere in Acqui promesso di far ottenere licenza per casa da giuoco,
vantando
inesistenti
aderenze ed assicurando di essere in grado di corrompere funzionari. Il 10
gennaio
1937, dopo aver scontata la pena, rientrò dal confino. In conseguenza di tale
precedente,
con Decreto del Ministero della Guerra n. 21 in data 5 giugno 1935, venne
radiato
dai ruoli dell’Arma ed assegnato come soldato di fanteria in congedo del
Distretto
Militare
di Roma 1°. Il 19 agosto 1938, fu denunziato
________________
dal Commissariato di P.S. Celio, per tentata truffa in danno
di varie persone, per aver assicurato loro di essere in grado inviarli in
A.O.I. in qualità di autisti mediante compenso, ma il relativo processo non è
stato ancora discusso. [...] Recentemente ha svolto illecita attività in
materia valutaria ed infatti il comando del Nucleo di Polizia Tributaria
Investigativa di Milano, in seguito ad indagini eseguite in quella sede, venne
a conoscenza che sulla piazza di Roma, venivano offerti ingenti quantitativi di
valuta estera provenienti dallo Stato Città del Vaticano, contro versamenti in
lire italiane ad un cambio molto superiore a quello ufficiale. [...]
«Sangalli Massimo dichiarò di aver conosciuto casualmente
verso la fine dell’anno scorso, certo Angeli Giulio, il quale gli aveva
comunicato che lo Stato Vaticano era in possesso di forte quantitativo di
divisa estera appartenente all’obolo di S. Pietro, che desiderva convertire in
lire italiane, ad un cambio maggiorato di circa 70% rispetto a quello
ufficiale. L’operazione di cambio in argomento era, secondo l’affermazione
dell’Angeli, completamente legale, perché il cambio veniva eseguito non in
Italia ma nello Stato Vaticano, mentre il passaggio della valuta tra il
Vaticano e l’Italia era perfettamente libero. Secondo l’Angeli le lire italiane
ricevute dal Vaticano in dipendenza di tale attività, sarebbero state versate,
sempre da tale Stato a quello italiano, in conto spese di Spagna ed altro.
[...]
«Il Sangalli stava quindi, per porre in relazione il
supposto procuratore della ditta ‘Lagomarsino’ (che altro non era che il
sottoufficiale del Nucleo di P.T.I. di Milano) con certo Messana Everardo,
giunto in quel momento accompagnato dall’Angeli, il quale avrebbe dovuto
procurare la divisa estera, costituita da sterline per un controvalore di un
milione di lire al cambio di 160. [...]
«Successivamente interrogato, il Messana confermò la
dichiarazione del Carrara ma precisò che non intendeva eseguire alcuna illecita
operazione valutaria in quanto agiva per conto del console della M.V.S.N. sig.
Panphili Entico. [...]
«Da quanto sopra è esposto, risulta provato che il Messana
Everardo ha esplicato una attività rilevante, diretta a concludere operazioni
valutarie per l’importo di un milione di lire italiane, dichiarando ai
contraenti cio quali era entrato in rapporto, che la divisa estera doveva
essergli fornita dallo Stato Città Vaticano. [..]»
*
* *
Le
farragini della letteratura locale e le nostre ricerche
negli archivi (specie in quelli romani) forniscono un quadro che crediamo
interessante sullo squarcio di vita racalmutese agli esordi dell’avvento del
Regime: negare che almeno inizialmente vi sia stato qualche focolaio
antifascista evidentemente non si può. Ma esso fu pochissima cosa, riducibile
agli strascichi dell’attivismo di alcuni dirigenti locali del socialismo
rivoluzionario. Col 1926, però, tali rimasugli si dissolsero completamente. La
statura morale ed ideologica degli uomini del socialismo racalmutese non svetta
di certo. Qualche legame con il movimento comunista sembra esservi stato. Il
Messana vi si diffonde, ma con evidente enfasi di parte. Racalmuto, ancor prima
degli anni del consenso che secondo il De Felice abbracciano il periodo
1929-1936, fu fascista in modo entusiastico e radicale, Dal 1927 senza dubbio.
Sciascia ironizza sulla frase ‘fascista sino al midollo’: ma nel nostro caso
una qualche rispondenza al vero quel motto di Mussolini ce l’ha. Grande merito
di ciò è da attribuire alla figura del primo podestà Enrico Macaluso, esaltato
persino dallo stesso Sciascia, bistrattato dal Messana che, però, alquanto
contraddittoriamente, finisce col fornire un quadro di positività, almeno per
quanto attiene alle doti di onestà amministrativa del Macaluso. E non è poco,
come l’attuale rivolta morale contro tangentopoli ampiamente dimostra.
Prodromi,
avvento ed affermazione del fascismo a Racalmuto.
Risulta
alquanto singolare che il primo momento d’interesse per il fascismo si consumi,
a Racalmuto, nell’esclusivo e nobiliare circolo Unione. Era il sedici gennaio
1921. Nel sodalizio reso celebre da Sciascia nelle sue Parrocchie di Regalpetra
si volle l’abbonamento al giornale di Mussolini “Popolo d’Italia”. Quali movivi
vi sottendessero non è dato di sapere. Il verbale n. 4 recita testulamente:
«Abbonamento al giornale Popolo d’Italia:
Indi [il 16.1.1921] postoa in discussione l’abbonamento al giornale “Popolo
d’Italia”, esperitasi la votazione, riesce approvato a maggioranza di voti.
Previa lettura e conferma il verbale si sottoscrive. Il presidente: Bartolotta;
I soci: G. Grillo e S.Messana - Il Segretario: Sciascia.»
Non si
raggiunge l’unanimità, come di solito. Si fa firmare il verbale,
inconsuetamente a due soci. Il presidente è Bartolotta, all’epoca potente
vicesindaco e notabile del luogo che l’opinione pubblica accreditava come
referente della mafia del territorio.
La
verbalizzazione del Circolo Unione - diversamente, ad esempio, da quella del
Muotuo Soccorso - è estrememante succinta ed è del tutto rituale: ciò
conferisce maggior risalto a questa nota sull’abbonamento al giornale di
Mussolini agli albori del fascismo. Pensiamo che quell’atto da parte dei
‘galantuomini’ racalmutesi si debba alla svolta, notatasi anche in paese,
dell’opinione pubblica, in accentuata fase di disaffezione verso il movimento
socialista, in auge nel biennio precedente. Un riscontro lo troviamo nella
verbalizzazione del cennato Mutuo Soccorso di Racalmuto. Citiamo da un lavoro
dattiloscritto disponibile presso quel circolo (17 :
« Il 18 aprile 1920, il Mutuo Soccorso aveva
avuto anche un momento di simpatie
socialiste. Ciò, per merito del Vice Presidente Giuseppe SCIASCIA. In una
seduta consiliare, sovraccarica di
lavoro ed alquanto disordinata, inopinatamente il sig. Sciascia Giuseppe di
Giuseppe propone di abbonare il circolo
all'«AVANTI!». Il Presidente (ricopriva allora quella carica il sig. Restivo Pantalone
Salvatore, un benpensante con nessuna simpatia socialista) «propone di
respingere la proposta avendo scopo di
sovvertimento della Società». Le
votazioni dànno, però, torto al Restivo Pantalone: «su nove aventi
diritto al voto, viene approvato l'abbonamento con voti sei contro tre». Non è comunque nelle
intenzioni dello Sciascia stravincere o dare troppo peso politico all'episodio.
Questi fa verbalizzare che «tiene a dichiarare che, contrariamente all'allusione fatta dal
Presidente nel ritenere che
l'abbonamento al giornale Avanti sia fatto nell'esclusivo interesse di
sovvertimento della nostra società, ha creduto <invece> sottoporre
all'approvazione del Consiglio l'abbonamento in parola per scopo soltanto istruttivo e per allargare le cognizioni culturali
della società.» Ancor più contrario a quel vezzo socialista il controllo Vincenzo Tinebra. Ma questi non
può votare. Si attacca allora all'espediente di rimettere la decisione
all'assemblea «trattandosi di un giornale con scopi rivoluzionari e
sovversivi». Ma il V. Presidente si oppone perché «ciò non è competenza dell'assemblea». Il consiglio è
d'accordo col V. Presidente. La faccenda ha un seguito: il Presidente Restivo
Pantalone è uomo d'onore e, quindi, si dimette dalla carica. Porta a scusa di essere stato trattato «con poca
cordialità dall'amministrazione».
Tante insistenze e la smentita per il tramite di una commissione non valsero a
farlo desistere da quelle dimissioni. Ciò agevola il Vice Giuseppe SCIASCIA,
che finisce col diventare il numero uno
del circolo. Segue il Restivo Pantalone nelle dimissioni anche il controllo
Vincenzo Tinebra, che peraltro gli era
'congiunto'. La vicepresidenza SCIASCIA dura, ad ogni buon conto, lo spazio di
un mattino. Non ci vien detto neppure perché: le sue dimissioni vengono
approvate all'unanimità il giorno 27 maggio 1920. In seconda convocazione,
annota il segretario Giuseppe Collura. Subentra nella presidenza Giovanni
FANTAUZZO. [...]
« L'anno 1921 si apre con una nuova amministrazione,
stavolta tutta conservatrice ed antisocialista. Vi sono tagli persino
dittatoriali. Ne è alfiere un personaggio insospettabile sotto tale veste:
IGNAZIO INFANTINO. Viene strappata mezza
pagina del libro dei verbali. La calligrafia si fa rototondeggiante, linda,
precisa. Lo stile è curato. Col 31
gennaio 1921, inizia una nuova epoca al
circolo. Contrassegna la restaurazione il nuovo presidente Ignazio
Infantino. La sua amministrazione era stata eletta sulla base di una lista che, per la prima
volta, viene propagandata su fogli
dattiloscritti. Il Vice Presidente è la
notoria figura di Baldassare Tinebra. Il vecchio e antisocialista presidente dimissionario
Salvatore Restivo Pantalone accetta, ora, di retrocedere al grado di cassiere, pur di essere presente nell'opera di recupero
conservatore del Mutuo Soccorso. Tra i consiglieri notiamo personalità come
Casuccio Salvatore di Calogero o Rosina Salvatore. Calogero Volpe e Vincenzo
Tinebra gradiscono la carica di 'controlli'. A portabandiera vengono chiamati
Giuseppe Fantauzzo ed Angelo Collura.
La verbalizzazione della prima
seduta del nuovo corso val la pena di
riportarla pressoché integralmente. «Il presidente, visto il numero legale
degli intervenuti, dichiara aperta la seduta e delibera quanto appresso: «1° La Presidenza con l'accordo unanime
degli intervenuti, ritenuto che il voto a Vice Segretario era attribuito
al signor Scimè Chiodo Giuseppe di
Carmelo, perché egli era il candidato proposto dalla lista di opposizione a
quella ufficiale, lo proclama a Vice
Segretario di questo Sodalizio ad unanimità. - 2° Il consiglio Direttivo ad
unanimità, compresi i controlli aventi diritto di voto, ritenuto che il
giornale L'AVANTI non risponde alle
esigenze delle istituzioni costituzionali, che reggono il nostro Sodalizio,
propone la soppressione di detto giornale L'AVANTI, ed ad unanimità si delibera
la soppressione, dando mandato al Presidente di sopprimere detto giornale,
scrivendo al Direttore di detto giornale, di non più spedire il detto giornale
ad onta di essere pagato
anticipatamente. [..]»
« Nei primi anni del fascismo, la vita del circolo scorre
tranquilla e piuttosto anonima. [..]
Qualche segno dell'avvento del regime fascista si ha nel 1926. Il giorno
11 dicembre si verbalizza l'approvazione
dell'abbonamento al giornale IL POPOLO D'ITALIA dismettendo la compera
del giornale SICILIA NUOVA. Durante la discussione il Consigliere Luigi VELLA
si allontana, intuibilmente per
dissenso. [...] Si ha la forza per rifiutare l'abbonamento al giornale L'Aquila, nonostante la richiesta promani
dalla casa dei Balilla di Agrigento (5 novembre 1929). Ma per il
matrimonio del principe di Piemonte, «ad
unanimità il consiglio stanzia la somma di lire trecento» (2 gennaio 1930). Il
10 maggio 1930 (anno VIII) «il presidente mette a voti segreti col sistema
delle fagiole, per il prelevamento della somma per pagare le tessere agli
iscritti del circolo all'O.N.D. oppure pagare personalmente l'iscritto. Visto
il risultato ad unanimità di voti, approva il prelevamento della somma dal
fondo di cassa e l'iscrizione a corpo.» L'omologazione fascista si è dunque
consumata. Presidente è Salvatore
Mattina fu Gaetano. Segretario: Collura Alfonso. Era arrivata una circolare mandata dal
Podestà, con cui si esigeva l'iscrizione del circolo all'Opera nazionale
Dopolavoro. I tempi della libertà di
associazione erano definitivamente tramontati. L'assenso era d'obbligo. [..] Le
cariche sociali cessano di essere affidate a libere elezioni. «Ritenuto che la
nuova amministrazione - viene verbalizzato, con contorta prosa, il 9 dicembre
1932 - sarà approvata prima della fine
del c.m. per ordine del Commissario Comunale ddel'O.N.D. sig. Mattina prof.
Giuseppe, ed in esito alla circolare n. 8 dell'8 c.m.» al consiglio non rimane
altro che procedere ad una commissione
consultiva, incaricata di segnalare nominativi graditi.»
Per avere
un’altra testimonianza della propensione del Circolo Unione verso il fascismo
dobbiamo, invece, attendere (18) il 1932. E’ di risalto per la
nostra ricerca questo verbale:
«Nomina a Soci Onorari: L’anno
millenovecentotrentadue il giorno 26 del mese di giugno alle ore 20,30 nella
solita sala delle adunanze si è riunita l’assemblea generale straordinaria dei
Signori Soci per discutere e deliberare sul seguente:/ Ordine del giorno/ Nomina
a Soci Onorari./ Il Presidente/
constatato il numero legale dei Soci presenti in n. 35 dichiara aperta la
seduta ed invita l’assemblea a procedere alla nomina a Socio Onorario del
concittadino Sansepolcrista Comm. avv. Giuseppe Pedalino.
«Il Socio Rag. Sciascia Vincenzo a questo punto domanda la
parola, ed avutone l’assenso dal Presidente dichiara non solo di aderire toto
corde alla proposta per la nomina del Comm. Pedalino a Socio onorario di questo
Sodalizio, ma di nominare anche, con lui, gli altri nostri illustri
concittadini, Generale Egidio Macaluso, il gesuita Padre Francesco Paolo
Nalbone, e il gesuita oratore insigne, Padre Antonio Parisi.
«L’assemblea per acclamazione approva la proposta del
Presidente e del Rag. Vincenzo Sciascia e dà incarico al Presidente di
comunicare tale deliberato agli illustri nuovi Soci onorari. Dopo di che
l’Assemblea si scioglie. Previa lettura e conferma il verbale è approvato e
sottoscritto. Il Segretario: Vinci. - Il Presidente: Mendola».
Il
Pedalino aveva nel 1930 brigato per farsi riconoscere ‘Sansepolcrista’. Nel
1929 v’era stata la celebrazione del decennale dell’adunata del 23 marzo 1919
di piazza S. Sepolcro. I giornali avevano pubblicato l’elenco dei
sansepolcristi desunto dal numero del “Popolo d’Italia” del 24 marzo 1919” ed
il Pedalino non c’era. (Cfr., ad esempio, L’Impero - quotidiano fascista della
sera, Sabato 23 marzo 1929 - VII). (19 ) L’anno successivo, 56
milanesi - tra i quali il nostro Giuseppe Pedalino - mostravano di avere vinto
la loro piccola battaglia per il riconoscimento ufficiale si sansepolcristi,
come attesta questo telegramma:
«A S.E. Mussolini roma - ricevuto il 23 marzo
1930 ore 19,18 da Milano 89399 - Presenti alla seduta del 21 marzo partecipanti
all’adunata gloriosa del 23 marzo 1919 stop Esprimiamo cordiale devoto
ringraziamento pel Vostro pensiero benevolo verso di noi stop Avere posto la
vecchia guardia accanto autorità ci commuove ed esalta stop Noi chiediamo di
servirVi in ogni ora come nella primissima col giuramento con la fede con
l’opera con tutto noi stessi stop Pronti alla buona causa[seguono firme:
Giuseppe Pedalino è al quindicesimo posto].»
La
retorica dei firmatari non era valsa ad impedire una poliziesca attenzione sul
loro conto. Viene annotato con matita
rossa:”tenere in evidenza tutti nomi”, e con matita nera: “Fatte copie per i
fasc. rispettivi di tutti i firmatari dell’accluso telegr. - 27.3.1930 VIII”.
*
* *
Un
episodio del ocale consiglio comunale desta l’ilare ironia di Leonardo Sciascia
e la corrusca pedanteria di Eugenio Napoleone Messana: l’attribuzione della
cittadinanza onoraria nel 1923 a S. E. Benito Mussolini. Annotata Sciasca: (20
)
«Dopo il declino dei Lascuda [vale a dire dei
Tulumello, n.d.r.] si formarono due fazioni guidate da professionisti, dominavano
i medici, ché allora diversa era la professione del medico, a Regalpetra [alias
Racalmuto, n.d.r.] dico; [...] Le due fazioni elettorali non si distinguevano
tra loro né per colore politico né per programmi; l’unica distinzione stava nel
fatto che una fazione lottava senza la mafia el’altra alla mafia si appoggiava,
le possibilità di vittoria stavano dalla parte dei mafiosi, ma un risultato
imprevisto poteva avvenire che scattasse, sicché i mafiosi non giuocavano
aperto pur gettando tutto il loro peso su una parte. I socialisti, come si dice
delle puntate a cavallo nel baccarà,
quando il banco né tira né paga, non facevano giouco; l’avvocato [Vincenzo
Vella, n.d.r] che al tempo dei Fasci Siciliani aveva coraggio e speranza,
mugugnava amarezza e delusione.
«Questa arcadia da cui ogni tanto scappava fuori l’ammazzato
prosperò fino al 1923, degnamente chiuse la sua vita con questa deliberazione
del Consiglio Cominale:
«”L’anno millenoventoventitre nel giorno quattordici del
mese di dicembre alle ore diciotto. Il Consiglio Comunale di Regalpetra
[Racalmuto, n.d.r.] in seguito ad avvisi di seconda convocazione, diramati e
consegnati ai sensi degli articoli 119, 120 e 125 della legge, si è riunito in
adunanza straordinaria nella solita sala municipale con l’intervento dei
signori ..., ed all’appello nominale
risultarono assenti gli altri diciannove consiglieri di cui uno morto,
ed essendo in numero legale per validità della deliberazione ... PROPOSTA - Conferimento della cittadinanza onoraria a
S.E. Benito Mussolini - Il presidente rammenta all’onorevole consesso la viva
lotta che molti Comuni Siciliani, compreso il nostro, hanno sostenuto presso i
passati governi per la soluzione dell’annoso problema idrico. Finalmente,
soggiunge, solo il Governo Fascista ha saputo sollecitamente e pienamente
accontentare i voti di quanti di quel dono della natura vanno privi. Di fronte
a sì alto beneficio, questo Consiglio Comunale, interprete dei sentimenti di
tutto il popolo di Regalpetra, non potrà diversamente esprimere la sua
riconoscenza e devozione al Governo Fascista che conferendo la cittadinanza
onoraria al suo Capo Supremo S.E. Benito Mussolini - IL CONSIGLIO - a voti
unanimie con entusiastiche acclamazioni, ripetute dal pubblico assistente, ha
conferito la cittadinanza onoraria a S.E. Benito Mussolini.”
«Così sollecitamente e pienamente il governo fascista
risolse il problema idrico che i tubi che dovevano portare l’acqua a Regalpetra
giunsero a questo scalo ferroviario nel 1938, furono ammucchiati dietro i magazzini,
da principio se ne interessarono i ragazzi, per giuoco vi si inconigliavano
dentro, poi l’erba li coprì, restarono dimenticati nell’erba alta. L’acqua
arrivò nel 1950, fu festa grande per il paese. In quanto agli undici
consiglieri che avevano deliberato per la cittadinanza a Mussolini, un paio
restarono nella rete di Mori, gli altri non si iscrissero mai al fascio,
masticarono amaro per vent’anni. In compenso furono fascisti quei diciotto
(facevano diciannove col morto) che risultarono assenti, e si erano
evidentemente assentati per protesta, il giorno della deliberazione.
«Il sindaco quella proposta aveva fatto per guardarsi le
spalle, così si illudeva; dopo il telegramma che annunciava a Mussolini la
deliberata cittadinanza onoraria, un altro ne fece che denunciava il prefetto
come protettore della delinquenza, voleva dire della delinquenza dei fascisti
non di quella della mafia: come un fulmine giunse l’ordine di scioglimento del
Consiglio comunale, fu nominato commissario il capo dei fascisti regalpetresi.
[...]
«Dopo il 23, il diagramma degli omicidi si avalla; poi Mori,
con metodi già noti, ramazzò mafiosi e favoreggiatori, ma non si creda
riuscisse ad estirparli definitivamente, soltanto nella nostalgia per il
fascismo si può credere una simile cosa. Per quel che io ricorso, e più
indietro i miei ricordi non vanno, negli anni più euforici del fascismo c’era a
Regalpetra, nelle campagne intorno, un latitante cui per comodo tutti i furti e
gli incendi di case di campagna, che in quel tempo furono numerosissimi,
venivano attribuiti. Fu messa una taglia sul bandito (che era un proveruomo che doveva scontare una condanna per furto, e a
costituirsi non si decideva; viveva con le magre tassazioniche ai galantuomini
imponeva); e per la taglia lo ammazzarono, gli diedero alloggio e poi
l’ammazzarono: e il fratello del bandito sparò poi, in piazza e a mezzogiorno, all’uomo che quel servigio aveva
reso alla società, nell’opinione dei regalpetresi fece giusta vendetta. »
Il Messana
(21) spoglia del velo della fantasia l’episodio ed il contesto
storico della pagina sciasciana, e con il suo solito approccio politicamente
fin troppo scoperto, così ricostruisce la vicenda:
«Il Commendatore Bartolotta, ad un certo
punto, cominciò a sentirsi in pericolo personale e sentì bisogno di difesa. Era
lui il capo gruppo di maggioranza, l’uomo che aveva da tempo un seguito nel
paese e che era riuscito a conquistare il comune nel 1920. I capipopolo erano
il bersaglio preferito dei gregari del fascismo. Da ciò la persecuzione a
Racalmuto e lo sgomento del commendatore. C’era da cercare un pretesto per
allontanare l’occhio grifagno dei fascisti dalla compagine consiliare del
paese. L’occasione sembrò trovarsi allorchè Mussolini, già nelle sue qualità di
capo del Governo del regno d’Italia, s’interessò del problema idrico della
Sicilia. Prima del fascismo erano nati, noi l’abbiamo già visto per il paese
che trattiamo, molti consorzi fra comuni per l’approvvigionamento idrico delle
popolazioni. Tali consorzi però non avevano potuto iniziare la costruzione
degli acquedotti, se non tutti, parte di essi, per mancanza di anticipazione di
fondi della cassa Depositi e prestiti e per le remore burocratiche nella
approvazione dei progetti. A un certo punto Mussolini promosse una legge che snelliva
l’iter per lo sviluppo dei consorzi e ne semplificava le operazioni di
finanziamento e quindi di realizzazione delle opere. Siccome Racalmuto era un
paese già consorziato nelle ‘Tre Sorgenti’, venne ad essere beneficiato da tale
provvedimento legislativo. Il commendatore Bartolotta, prese la palla al balzo
e chiese al sindaco Scimè di conferire la cittadinanza onoraria del paese a
Benito Mussolini. Egli pensava che ciò avrebbe fatto desistere il prefetto dal
perseguitare il consiglio ed avrebbe anche allontanato le insidie che si
tendevano contro la sua persona. Il sindaco Scimè convocò il consiglio per il
13 dicembre 1923 alle ore 18 con un solo argomento all’ordine del giorno:
Conferimento della cittadinanza onoraria a S.E. Benito Mussolini per avere
risolto l’annoso problema idrico della Sicilia.
«Malgrado le pressioni e le preghiere di Bartolotta, il 13
dicembre di quell’anno la seduta rimase deserta. non si potè in modo assoluto
raggiungere il numero legale di consiglieri presente. Il 14 dicembre alla
stessa ora ebbe luogo la seconda convocazione. Non c’era più bisogno delle
presenze della metà più uno dei consiglieri in carica per essere valida
l’adunanza, per cui ai sensi degli articoli 119,120, 125 della legge comunale
allora vigente, essa ebbe luogo. Il commendatore Bartolotta aveva personalmente
pregato tutti i consiglieri di essere presenti, molti avevano promesso di
accontentarlo, ma all’appello risultarono presenti solo dieci e precisamente,
lui, che venne il primo, il sindaco Nicolò Scimè, Giovanni Macaluso, Nestore
Falletti, Salvatore Falcone, Carmelo Licata, Enrico Grisafi, Calogero Scimè,
Calogero Bellavia e Luigi Messana. Nelle more per l’inizio della discussione si
sguinzagliarono alla caccia di consiglieri tutti gli amici di Bartolotta, non
trovarono nessuno, solo Messana Pio, che faceva la siesta a casa nella sua
poltrona. Invano tentò di evitare con pretesti di recarsi al consiglio,
l’insistenza fi tale che dovette andarci. Quando giunse in aula la votazione
era già avvenuta, ma invitato dal Sindaco dovette associarsi, sicché Mussolini
diventò cittadino onorario di Racalmuto con undici voti su undici consiglieri
presenti e contro diciannove assenti. Le cose sono andate poi in modo alquanto
strano: gli undici che votarono sì per la cittadinanza onoraria a Mussolini non
divennero mai fascisti, anzi molti di essi rimasero i depositari
dell’antifascismo locale, i protestatari, i nostalgici della libertà e furono
definiti borbonici, si estraniarono completamente dalla vita pubblica, rimasero
a maledire e ad attendere la caduta dell’avventuriero, rinunziando a possibili
sistemazioni, non pochi dei diciannove assenti invece si accodarono e scesero
in piazza in “giummo” e stivali.
«Il problema idrico Mussolini lo risolvette solo a parole,
l’acqua delle Tre Sorgenti, ripetiamo, giunse in paese ben sette anni dopo la
caduta del suo governo e cinque anni dopo la sua fucilazione. Non avrebbe
potuto impiegare certamente di più se il suo avvento al potere non ci fosse mai
stato. Egli si limitò a mandare a Sciacca a spese dei vari comuni S.E. Teruzzi,
ministro del suo governo, nel 1925, per mettere la prima pietra dei costruendi
acquedotti, in parata tanto solenne che solo a Racalmuto costò L. 1000 di
allora. Dopo, vennero le lungaggini, le difficoltà senza possibilità di
ricorrere o di parlare.
«Il commendatore Bartolotta, rassicurato dagli applausi dei
fascisti presenti in aula allorchè si proclamò in consiglio l’esito della
votazione per il conferimento della cittadinanza a Mussolini, tentò anche di costituire
lui un fascio di combattimento, sperando di abbattere i fascisti locali.
«Nello stesso tempo indusse il Sindaco Scimè a ricorrere al
Ministero contro il prefetto per certe irregolarità commesse in provincia.
L’esito di tale azione fu drastico. Il consiglio comunale fu sciolto appena tre
settimane dopo il conferimento della cittadinanza al Capo del Governo. Il 7
gennaio si insediò il commissario prefettizio ragionere [sic] Angelo Zambuto.
Il commendatore finì in carcere la sua attività politica.»
Tra la
versione dei fatti dello Sciascia e quella del Messana vi sono piccole
divergenze: certo Messana è più informato, ma la sua prosa e troppo barcollante
per effere più efficace. La realtà storica appare, però, più intricante di quella resa dai due intellettuali
antifascisti di Racalmuto. Gli archivi di Stato forniscono ai volenterosi fonti
informative puntuali e oltremodo precise. Le carte dell’archivio centrale
romano (22) , da noi consultate, consentono questa ricostruzione:
«R. Prefettura di Girgenti - Gabinetto n.°
1266 del 19. 12. 1923. -
L’amministrazione comunale di Racalmuto sorta dalle elezioni generali del 1920
con carattere prettamente demosociale, per mancanza di una vigile ed attiva
opposizione, si abbandonò ben presto alla inerzia più assoluta, sicura di poter
vivere tranquillamente per le condizioni della politica locale e per la
protezione che alla stessa veniva accordata dagli esponenti della democrazia in
Provincia. Sindaco del Comune fu eletto il Dr. Scimè, ma anima dell’Amministrazione
è stato sempre il Dr. Bartolotta Giuseppe, che ha assunto la carica di
assessore anziano, e che rappresenta in Provincia uno dei campioni più forti e
fedeli della democrazia sociale.
«Con l’avvento del Fascismo al potere cominciarono a
muoversi delle timidi e lievi lagnanze contro la detta amministrazione, ma
finora ho creduto opportuno di soprassedere dall’adottare alcun provvedimento,
stimando doveroso procedere prima alla liquidazione delle amministrazioni a
carattere socialista ed anticostituzionale, che non funzionavano o funzionavano
male. Esaurito questo compito, credetti di rivolgere il mio pensiero al Comune
di Racalmuto e disposi un’inchiesta a carico [.... E’ emerso:]
«- Scarsissima attività del Consiglio: 15 sedute nel 1921;
10 nel 1922 e 7 nell’anno in cors;
«Quasi abbandonato l’ufficio di polizia rurale, lasciando
piena libertà alla maffia di scorazzare ed agire impunemente per le campagne,
perché le guardie rurali sono adibite ad altro. [...]
«A tutto questo è da aggiungere che la parte migliore della
cittadinanza ed il Fascio locale ha sempre intensificato la campagna contro
l’attuale Amministrazione della quale sono pure noti i rapporti sia pure
indiretti con la maffia, la quale viene se non protetta apertamente, certo
lasciata indisturbata a compiere le sue gesta. Tant’è vero che le guardie
campestri, anzichè prestare servizio in campagna come dovrebbero, vengono
adibite a servizi interni. Trattandosi di un importante comune, sarebbe
opportuno che venisse designata come R. Commissario persona capace ed energica,
estranea all’ambiente locale [..] Il Prefetto: Reale.
«10 gennaio 1924: Appunto per S.E. il Ministro: Comune di
Racalmuto.- Proposta scioglimento Consiglio comunale; popolazione 15.000 -
motivi della proposta: ragioni d’ordine pubblico per il pericoloso malcontento
della popolazione contro gli amministratori. Numerose irregolarità e deficienze
accertate da una recente inchiesta. Non risultano interessamentei.
«Il Prefetto della Provincia di Girgenti, veduto il R.D. 24
gennaio 1924 col quale venne sciolto il Consiglio Comunale di Racalmuto [...]
Ritenuto che il Commissario non ha potuto completare la sistemazione della
Finanza comunale e dei pubblici servizi e che la situazione dei partiti locali
non consente d’altro lato, d’indire subito le elezioni [..] decreta: il termine
per la ricostituzione del Consiglio Comunale di Racalmuto è prorogato di tre
mesi. Girgenti 16 maggio 1924. Per il Prefetto: F.to Giordano.
« 19 marzo 1924:
Indennità al Commissario straordinario: L. 50 - Il Cav. Enrico Sindico, ex
colonnello nel R. Esercito, si è appositamente trasferito da Spezia a Racalmuto
[...]
«Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 73 del 26 marzo
1924.
«”Relazione di S.E. il Ministro Segretario di Stato per gli
affari dell’Interno, Presidente del Consiglio dei Ministri, a S.M. il Re, in
udienza del 24 gennaio 1924, sul decreto che scioglie il Consiglio comunale di
Racalmuto, in provincia di Girgenti, MAESTA’, sul funzionamento
dell’amministrazione comunale di Racalmuto, sorta dalle elezioni generali del
1920, è stata recentemente eseguita un’inchiesta che ha accertato numerose
irregolarità. L’Ufficio comunale è disorganizzato, privo d’inventario e con
scritture contabili deficienti, la situazione finanziaria non è esattamente
accertabile, per la trascurata esecuzione delle verifiche di cassa, e per il
mancato esame dei conti, non è stato effettuato il passaggio dei fondi dal
cessato al nuovo tesoriere. Le tasse, applicate con criteri partigiani, danno
un gettito notevolmente inferiore alle previsioni del bilancio, mentre le spese
vengono erogate in eccedenza agli stanziamenti e talora senz’alcuna
autorizzazione; il dazio è concesso in appalto a condizioni onerose, è stato
omesso il reimpiego di somme provenienti da alienazione di patrimonio; lavori e
forniture sono state eseguite irregolarmente in economia ed in esse hanno
spesso avuto interesse gli stessi amministratori.
«Tra i pubblici servizi sono assai trascurati la nettezza
urbana, la pubblica illuminazione, la vigilanza annonaria e la polizia rurale.
La disordinata gestione della civica azienda ha provocato nella popolazione un
vivissimo malcontento e l’eccitazione degli animi è tale da far temere
turbamenti per la pubblica quiete.
«Anche ragioni di ordine pubblico, oltre che la necessità di
provvedere senza indugio al riordinamento amministrativo e finanziario della
civica azienda, rendono quindi indispensabile lo scioglimento del Consiglio
comunale con la conseguente nomina di un Regio commissario, ed a ciò provvede
lo schema di decreto che ho l’onore di sottoporre all’Augusta firma della
Maestà Vostra.
«Vitt. Emanuele III [..] visti gli articoli 323 e 324 del
t.u. della legge comunale e provinciale, approvato con R. d. 4.2.1915 n. 148,
nonchè il R.d. 24.9.1923, n. 2074: il consiglio è sciolto [...] il sig. cav.
Enrico Sindico è nominato Commissario straordinario con i poteri del R. d.
24.9.1923, n. 2074. Dato a Roma il 24.3.1924. V.E. III re d’Italia- Mussoluni.»
Il colonnello Sindico non diede buona prova:
nel dicembre di quell’anno veniva destituito:
«26.12.1924, risposta a 26.11.1924. -
Prefettura diGirgenti n. 600 Gab. - [...] dimissioni presentate dal Colonnello
Enrico Sindico [..] la relazione non rappresenta nulla di notevole, anzi [..]
non ha provveduto alla formazione del bilancio [..] Giudizio: mediocre.»
Nessun commento:
Posta un commento