Io sono COMPAESANO di Sciascia e Sciascia è mio COMPAESANO. Mi incontrai con lui tre o quattro volte nella mia vita. Un uomo semplice, non eccezionale, scarsamente loquace, sempre lì: predace, pronto a rubarti una parola, una frase, una sciocchezza. Viveva di letteratura e per la letteratura. Seppe scrivere. Divenne suo malgrado profeta. In politica fu vagolo, direi un diverso. Nella locale storia non ci si raccapezzò molto. I potenti ala fine lo affascinavano. I pezzenti talora furono derisi - fantastica la descrizione di Celestino [rectius Gelistrino]. - Non credo che in quelle pagine ci fosse disprezzo ma neppure pietas. Sciascia era così: indifferente. Non ci amò ricambiammo. In fondo ci odiava: non ce ne accorgemmo. Grande nell'ambito dei suoi amici grandi, non accolse gente del luogo. Per Racalmuto era un professore gentile ed estraneo. Non vi fu mai colloquio. Del resto Sciascia non colloquiava con nessuno. Forse con Guttuso, ma finì male. Ebbe occhi cupidi per la Sellerio, ma finì male. Mi si dice: gelosia della moglie. Penso che solo tre persone del luogo ebbero la sua confidenza con moti di stima. l'avvocato Totò Marchese, Carmelino Rizzo e lo strano Aldo Scimé. Se mi posso limitare alla gente di paese. Ma di questa disaffezione Racalmuto non ne fece certo un dramma.
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